La vita fuorilegge. Storia filosofica del Far West

Amici della frontiera, dopo la recentissima presentazione del nuovissimo libro di Mario Raciti (QUI!), eccoci nuovamente catapultati nell’avventuroso e pericoloso vecchio west con un libro che alternando storia e analisi ci racconta l’epopea dei fuorilegge, gli outlaws. Il tema va oltre la singola biografia dei famigerati pistoleri che imperversavano nelle zone di frontiera e nelle cittadine turbolenti, accomunando e sintetizzando la loro esperienza in un’analisi efficace di quello stile di vita.
La Vita Fuorilegge è il libro scritto da Tommaso Gazzolo in cui l’epopea del West, sospesa tra storia e leggenda, popolata da banditi e cow-boy, sceriffi e rinnegati, pone ancora affascinanti interrogativi su quanto labile possa essere il confine tra diritto e violenza, tra “buoni” e “cattivi”, tra giustizia e libertà. Il racconto si snoda seguendo le piste carovaniere e i treni a vapore che attraversano i grandi spazi americani, dove si incontrano assaltatori di banche, desperados e condannati a morte, ma anche avvocati, politici e amministratori della legge, con i loro codici e le loro taglie. Sull’incerta linea della frontiera, lì dove il mondo civile scopre il proprio limite, si muove il fuorilegge, vero e proprio mito fondativo degli Stati Uniti, protagonista dell’immaginario western.
Attraverso un’analisi che alterna la cronaca dell’epoca alla narrazione della letteratura popolare – e, più tardi, del cinema –, il libro prova a rispondere a una domanda apparentemente banale, ma dai risvolti quanto mai attuali: che cosa significa vivere fuori della legge?


La prima pagina del libro

E in che senso Jesse James, Billy the Kid o Liberty Valance non erano semplicemente dei criminali, ma dei fuorilegge? Rileggere oggi le loro avventure significa riflettere sull’ambiguo rapporto tra norme e vita, tra civiltà e natura selvaggia, perché, come dice Bob Dylan, «per vivere al di fuori della legge, bisogna essere onesti».

INTERVISTA ALL’AUTORE
Crediti a LETTURE.ORG dove potete trovare la versione integrale che vi invitiamo a leggere

DOMANDA: Prof. Tommaso Gazzolo, Lei è autore del libro La vita fuorilegge. Storia filosofica del Far West, edito da Salerno: cos’era, la legge, nel West?
RISPOSTA: Dopo aver scritto questo libro, non sono più sicuro di sapere la risposta. Provo a spiegarmi. Da una parte, oggi sappiamo – grazie al lavoro di storici particolarmente scrupolosi – che quello che noi chiamiamo Far West fu qualcosa di molto diverso rispetto a come il cinema e la letteratura lo hanno rappresentato. Esistono, in altri termini, specifici problemi, nel West, che hanno a che vedere essenzialmente con la necessità di adattare il diritto delle ex colonie dell’Est ai nuovi territori. Ma questi problemi riguardano questioni concrete come il caos dei diritti di proprietà, la difficoltà di assicurare la regolare registrazione degli atti di acquisto e vendita delle terre, la scarsa preparazione – almeno all’inizio – dei funzionari pubblici, il proliferare di falsificazioni e frodi, etc. In breve: più che dei “pistoleri”, dovremmo preoccuparci dei diritti di proprietà, se volessimo indagare il modo in cui la “colonizzazione” dell’Ovest avvenne. Dall’altra parte, però, quando l’America ha sentito il bisogno di narrare la propria storia, di legittimare se stessa attraverso il suo passato, tra la storia e la leggenda ha scelto – per dirla come in un film di Ford – la leggenda. È qui che si comincia a opporre il West “selvaggio”, wild, violento, senza legge (lawless), a ciò che invece sarebbe dell’ordine della legalità, della “civiltà”, rappresentato dall’Est. La legge diventa allora ciò che deve essere per la prima volta imposto in uno spazio uncivilized. Se non ho una risposta chiara da dare, è perché non penso che storia e leggenda debbano contrapporsi come se la “verità” storica fosse sempre e comunque da preferire, come se “leggenda” fosse sinonimo di menzogna o di favola. In realtà, la “leggenda” è parte costitutiva della storia stessa del West. E la favola, in fondo, non è che un modo della verità di raccontarsi. Quindi tra questi due aspetti non credo si debba “scegliere”. Il che è come dire: in filigrana, dietro i problemi, spesso molto “tecnici”, dell’adattamento del common law ai nuovi territori, dobbiamo riuscire a scorgere una questione più profonda, che riguarda l’ “origine” della legge, il suo rapporto con la violenza, il modo in cui essa si impone per la prima volta – ed il West, in fondo, è per l’America il terreno in cui interrogare questa origine.

DOMANDA: Come era strutturata l’amministrazione della giustizia nel West?
RISPOSTA: Anche qui, ci sarebbe in parte da recuperare il discorso di prima, circa il rapporto tra verità e leggenda. Sicuramente, come accennavo, siamo molto lontani, nella realtà, dal modo in cui tendiamo a immaginarci il West: linciaggi, impiccagioni senza processo, giudici che condannano alla forca senza processo, e così via. Il che non significa che nulla sia vero, e la giustizia ebbe diverse difficoltà sia per quanto riguarda il reclutamento del personale che l’organizzazione dei processi. Direi, cercando di semplificare, che certamente ad Ovest si presentarono una serie di problemi inediti: non tutti i giudici, ad esempio, avevano una preparazione all’altezza dei compiti affidati loro e spesso erano impreparati a fornire corrette istruzioni alle giurie per decidere i casi; i nuovi territori erano vastissimi e mal collegati, con la conseguenza che i giudici, nel percorrere il loro circuit per tenere le udienze, dovevano compiere viaggi lunghi e complicati; l’applicazione del common law – disposta per quasi tutti i nuovi Stati – presentava parecchi problemi sia per la difficoltà di conoscere le leggi vigenti che per la necessità di “adattare” le vecchie leggi alle esigenze della società di frontiera. Aggiungo anche che i territori non avevano una identica organizzazione dell’amministrazione giudiziaria: se una Superior Court era, infatti, presente obbligatoriamente in ciascuno di essi, il potere di stabilire eventualmente altri livelli di giurisdizione era stato lasciato alle legislature locali, e soltanto dopo il 1836 si cominciò un’opera per uniformare il sistema. Va però anche ricordato come l’ “americanizzazione” del common law procedette, in definitiva, spedita, e nei nuovi territori furono ovviamente da subito garantiti i diritti al processo con giuria, l’habeas corpus, etc., con la collaborazione di una classe forense che fu da subito di alto livello – l’Ovest rappresentava un’attrattiva per i giovani avvocati dell’Est. Dopodiché, talvolta realtà e leggenda finiscono per confondersi: la “legge ad Ovest del Pecos”, il “giudice” Roy Bean, è ovviamente realmente esistito, ed ha tenuto udienze e condannato nel suo saloon, in uno sperduto angolo del deserto di Chihuahua, Texas. Non so se abbia pronunciato quelle sue frasi leggendarie come “prima impiccateli, poi li processeremo”, o – quando si trovò a dover giudicare un irlandese accusato dell’omicidio di un operaio cinese – “poiché nel codice non trovo nulla riguardo all’uccisione di un cinese, dichiaro quest’uomo innocente”. Ma, ripeto, nel West, tra la realtà e la leggenda, prevale la leggenda.

DOMANDA: Quali sono i caratteri tipici della figura del fuorilegge americano?
RISPOSTA: Il fuorilegge è, in quanto tale, una costruzione letteraria, diciamo pure del folklore. Mi spiego. Jesse James, Billy the Kid, Butch Cassidy, Wesley Hardin furono, nella realtà, “banditi” molto diversi tra loro, appartenenti a contesti sociali ed economici sostanzialmente non paragonabili. Difficile pertanto trovare punti in comune tra un fuorilegge come il missouriano Jesse James, la cui figura non si capisce se non nel contesto della sconfitta dei sudisti nella guerra civile americana, ed un bandito bambino e brufoloso come Billy che invece vive e opera nel contesto della guerra del bestiame della Contea di Lincoln, nel New Mexico. Eppure, quando ascoltiamo le “ballate”, le canzoni su di loro, le loro vite finiscono tutte per assomigliarsi. Essere un fuorilegge significa, infatti, rappresentare qualcosa – ed è la leggenda popolare che fornisce le regole di questa rappresentazione. Ora, diversi studiosi si sono occupati di individuare le caratteristiche proprie dell’American outlaw-hero. Ne ricordo, brevemente, alcune. A cominciare, direi, dal tema di “Robin Hood”: il fuorilegge ruba ai ricchi per dare ai poveri, ripara i torti, vendica le ingiustizie subite. Egli si identifica sempre con il common people, si oppone a un sistema economico, legale e sociale identificato come oppressivo e ingiusto. Il suo primo “crimine”, ciò che lo ha posto per la prima volta contro la legge, è dipeso da una offesa, da una provocazione, da un’ingiustizia subita a opera di un esponente di quel sistema oppressivo. Secondo aspetto: il fuorilegge ha sempre un buon cuore, in fondo, è gentile ed onesto con gli amici, ha un suo proprio codice d’onore. Di un assassino spietato come Billy il Kid si può pertanto raccontare, nelle ballate “And of all the wild outlaws that met a bad end, / None so quick with a pistol or true to a friend”. Altra caratteristica fondamentale, nei racconti del West, è il tema del tradimento, il cosiddetto Judas element: il fuorilegge non muore che per mano di un suo ex compagno o di un traditore. Esemplare la morte di Jesse James, il 3 aprile 1882, «per mano del codardo Robert Ford», come recita la celebre ballata; l’amico, membro della banda, gli sparò alle spalle mentre Jesse, si narra, si era voltato per raddrizzare un quadro appeso al muro di casa sua. Ancora: la morte del fuorilegge è sempre motivo, o perlomeno cosí si racconta, di un grande lutto presso la sua gente, e di un culto della sua personalità. A ciò si accompagna spesso un ulteriore elemento, dato dalla capacità del fuorilegge di sopravvivere alla sua stessa morte: nessuno ha mai la certezza che egli sia davvero morto. Sono tantissimi i racconti in cui si dice che Billy the Kid, in realtà, non è morto per mano dell’amico Pat Garrett, o che Buth Cassidy e Sundance Kid sarebbero sopravvissuti alla sparatoria in Bolivia in cui, in realtà, furono assassinati. Direi pertanto che si tratta realmente di “caratteri”, ossia di tratti che in fondo non si possono mutare, che il soggetto può soltanto “assumere” come un destino – anche se, va detto, i due termini dovrebbero essere distinti, perché nel coincidere interamente con il proprio “carattere” il fuorilegge trova anche la propria “innocenza”, ma qui bisognerebbe rileggere anzitutto le riflessioni di Walter Benjamin sul tema, cosa che non ho potuto fare nello spazio limitato del libro.

DOMANDA: Quando e come nasce la leggenda del fuorilegge?
RISPOSTA: Storicamente, direi che nasce a partire dalla seconda metà del XIX secolo – grazie soprattutto alla stampa dell’Est e ad ai romanzi da pochi soldi (dime novels) che cominciarono a diffondersi dagli anni ’60. Ma sono certamente i giornalisti, a caccia di notizie per i lettori dell’Est, che danno l’inizio – Wesley Hardin, Jesse James, sono da subito protagonisti di avventure romanzate da vendere alla gente di città, alle signore della buona borghesia, e così via. Direi che sono meccanismi che ormai conosciamo. Detto questo, è chiaro che sarebbe interessante cercare di capire il perché – in quel momento storico – la leggenda e le gesta di questi banditi trovino così fortuna presso il pubblico dell’Est, quale funzione – politica, sociale – svolga, che tipo di messaggi ideologici veicoli. Queste cose sono state ovviamente studiate dagli specialisti – non solo americani, il bel libro di Bruno Cartosio uscito qualche anno spiega bene alcuni punti essenziali. Se dovessi provare a fare una considerazione di ordine generale, direi questo: la leggenda del fuorilegge, storicamente, ha svolto una funzione essenzialmente “reazionaria”, su diversi livelli. È servita, anzitutto, a “neutralizzare” i conflitti propri della fase di capitalismo industriale che l’America stava attraversando in quel momento, spostando la rappresentazione della “violenza” ad Ovest (e quindi dando l’immagine: l’Est industriale pacifico e ordinato, l’Ovest selvaggio violento e privo di ordine). Direi che ha anche “moralizzato” il problema della violenza – la presenza della violenza all’interno della società, cioè, viene fatta dipendere dall’immoralità di singoli individui, e non dalle condizioni economiche e sociali della società stessa. Certo, ha anche fornito quella letteratura d’avventura e d’evasione che il pubblico borghese ha particolarmente amato anche in Europa. Trovo però interessante una cosa. Quella stessa leggenda, che ha svolto specifiche funzioni nel modo in cui l’America di quegli anni ha rappresentato se stessa – è il mito della frontiera, dell’espansionismo, della “civilizzazione” –, contiene anche le possibilità di de-costruire, di “smontare” quella stessa rappresentazione che pure ha reso possibile. Lo si vede già nei western di Peckinpah, e, oggi, in quelli di Tarantino. Io ho cercato di riprendere questa contro-funzione, per così dire, su un diverso piano, chiedendo se la figura del fuorilegge – che è storicamente servita a legittimare l’imposizione della legge nei nuovi territori conquistati – non possa in realtà finire per funzionare come ciò che mette in crisi quella imposizione stessa.

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