La rivoluzione di Zapata

A cura di Angelo D’Ambra

Dietro il labile equilibrio che manteneva Madero al governo, si celavano tensioni esplosive. Il 9 e 19 febbraio 1912, l’esercito maderista compì azioni sanguinose nella città di Santa María Ahuacatitlán, agli ordini del generale Juvencio Robles. La popolazione subì violenze indicibili e il centro fu dato alle fiamme. Robles era stato uno dei principali esponenti militari del Porfiriato, aveva combattuto le insurrezioni popolari di Tlaxcala, dello Stato del Messico, di Oaxaca e Veracruz, aveva pure combattuto contro Madero, ma poi aveva accettato il nuovo governo.
Madero se ne servì contro Emiliano Zapata, nominandolo comandante della Divisione meridionale federale e governatore dello stato di Morelos nel 1913. Robles fu brutale, fece terra bruciata, devastò coltivazioni e villaggi, saccheggiò, sequestrò ed uccise in massa contadini inermi. Intere città come Ticumán, Elotes o Santa María furono per suo ordine ridotte in cenere. Madero voleva indurre Zapata a rinunciare alla guerriglia, Zapata voleva la riforma agraria prima di deporre le armi. Coi fatti il presidente sceglieva il campo dei proprietari terrieri. Cosa era cambiato dagli anni di governo di Porfirio Díaz?
Bisognoso di più uomini per l’esercito, avviò il servizio militare obbligatorio ed accusò i zapatisti di fomentare la piaga del banditismo. Voleva rassicurare le classi dirigenti, mostrare che il suo governo era capace di garantire pace, stabilità, diritti di proprietà. Intanto nello stato di Morelos si consumavano i massacri.
Nell’aprile 1912, gli zapatisti lanciarono una controffensiva attraverso la quale presero momentaneamente il controllo di Tepoztlán, Jonacatepec e Jojutla, ed ampliarono la loro influenza militare nello stato e nelle aree circostanti, ulteriormente incoraggiati dalla rivolta di Orozco a Chihuahua. In questa lunga fase, dal governo Madero a quello di Huerta, si sono calcolate ben duemilatrecentoquattro azioni dell’esercito zapatista, imboscate e azioni sul campo, ma anche occupazioni di città, nonché numerose incursioni nei dintorni di Città del Messico. Era evidente il sostegno popolare di cui godeva Zapata.

Tuttavia l’azione degli zapatisti mostrava pure evidenti difficoltà nel mantenere il controllo dei centri urbani conquistati. I guerriglieri facevano costantemente i conti con la mancanza di rifornimenti ed armi. Munizioni e fucili arrivavano essenzialmente grazie agli assalti alle caserme e alle postazioni federali. C’era pure una rete clandestina di rifornimenti, ma era scarna, inoltre mancavano di un radicamento nei grossi centri. Ciononostante Madero non riuscì a fermarli. Provò a sostituire il feroce Juvencio Robles col moderato Felipe Ángeles ed offrì ad Emiliano Zapata tre mesi di tregua. Era lui, in realtà, ad aver bisogno di respirare.
Madero non ebbe mai la piena consapevolezza di cosa gli stesse accadendo attorno, ma dovette sentire che s’andava indebolendo l’appoggio delle masse popolari e parimenti quello dei ceti dirigenti. Impotente a porre fine alla ribellione al sud come al nord, tentò con Ángeles di sottrarre sostegno allo zapatismo con una politica conciliante e si tentarono, così, alcune riforme a Morelos, ma fallimentari. Sostanzialmente si introdusse un’imposta del 10% sulle grandi proprietà e parte della terra fu nazionalizzata. Queste misure, però, non solo apparivano poca cosa rispetto alla riforma agraria agognata, ma restarono pure solo sulla carta. Alla fine del 1912, quando si mostrò l’inutilità dei tentativi riformisti e si capì che il potere dei settori delle classi medie e abbienti di Morelos era intatto, lo zapatismo accrebbe ancora una volta la sua influenza politica e la sua capacità di reclutamento nelle comunità.
Adesso esisteva una vera e propria rete urbana zapatista e poteva essere sfruttata. In questo quadro si inserisce la pianificazione del colpo di stato del 15 settembre. Il Palazzo Nazionale doveva essere preso attraverso una potente azione di guerriglia sostenuta però da una capillare infiltrazione di zapatisti a Città del Messico, da realizzarsi segretamente e pazientemente nei mesi precedenti. Il lavoro fu intenso, pericoloso, ma continuo e silenzioso. Solo pochi giorni prima dell’azione, i servizi segreti, che in sostanza erano ancora quelli porfiriani, sventarono tutto.
Il fallimento, gli arresti e le condanne non privarono lo zapatismo della sua forza.
Già ad ottobre gli uomini di Zapata stabilirono una vera e propria tassa rivoluzionaria, assumendo, di fatti, i poteri di un vero e proprio governo. I loro emissari riscuotevano le tasse anche a Città del Messico e chi si rifiutava di pagarle veniva giustiziato. In questa stessa fase si registrarono gli attacchi contro le grandi haciendas di Morelos, Tlaxcala, Puebla, Michoacán. Fu così che anche i tentativi di Felipe Ángeles fallirono. Migliaia di distretti erano sotto il controllo dei ribelli, la città di Oaxaca era isolata nelle loro mani, Ayotzingo cadde in loro possesso il 9 gennaio 1913. Sicuramente il governo di Madero aveva i giorni contati, ma non sarebbe caduto per mano di Zapata.
La traiettoria dello zapatismo fu segnata da un crescendo di maturità. Non fu solo un escalation militare ed organizzativa. Zapata all’inizio sostenne il Plan de San Luis di Madero, ma dopo gli accordi di Ciudad Juárez che deposero Porfirio Díaz, riuscì ad esprimere un programma politico completo, un’istanza di cambiamento radicale che si tradusse nel Plan de Ayala del 28 novembre 1911. Così si consumò la completa rottura dello zapatismo con i settori borghesi e conservatori.
Sebbene il vero autore del Plan fosse un maestro di scuole elementari, Otilio Montaño, le idee in esso espresse condensano la più risolutiva consapevolezza del mondo contadino. Francisco I. Madero era ora non un alleato, non il presidente, non l’apostolo della rivoluzione, ma un traditore. Il popolo veniva chiamato alle armi per restituire le terre comunali che erano state rubate dai latifondisti negli anni del porfiriato. Il Plan de Ayala affermava con chiarezza l’espropriazione e la nazionalizzazione delle terre, delle montagne, delle acque, delle grandi proprietà, escludendo ogni forma di compensazione. Ciò marcò la differenza da Madero che, pur nelle sue proposte più progressiste, non aveva mai minato l’intoccabilità della grande proprietà e nel Plan de San Luis parlava solo di restituire le piccole proprietà agli indigeni. Altra differenza con Madero era che la lotta e la difesa della terra non erano relegate al corso della giustizia nei tribunali, ma al potere armato dei contadini. Di fatti con Zapata irrompevano nella vita politica del paese le masse popolari con una serie di rivendicazioni radicali.

Lì dove questi principi trovarono applicazione fu nella Comune di Morelos, all’indomani della presa di Città del Messico del 1915, quindi dopo la sconfitta di Huerta. Carranza e Obregón si dedicarono a reprimere il villismo e Zapata ebbe la calma sufficiente per mettere in pratica i contenuti essenziali del Plan de Ayala. Tutto ciò era la conseguenza degli accordi pattuiti nella Convenzione di Aguascalientes, saltata per la deriva autoritaria imboccata da Carranza.
Cosa accadde? La distribuzione della terra fu attuata attraverso le commissioni agrarie che redassero piani topografici e confini e cancellarono le haciendas, assegnando ai contadini il possesso di fertili terreni per la coltivazione, pozzi d’acqua, sorgenti, fontane e boschi. Questa espropriazione dei latifondisti avvenne senza indennizzo, perché si trattava di terra di interesse pubblico e anche perché, secondo la legislazione zapatista, ogni proprietario che si opponeva alla Rivoluzione, o che aveva legami con il regime di Díaz, doveva essere espropriato senza pagamento non solo delle sue proprietà rurali ma anche di quelle urbane. Lo stato di Morelos vide, così, la realizzazione concreta dello zapatismo.
Un’importante precisazione è che, sebbene i contadini fossero abituati a lavorare piccole porzioni di terra e quindi a ragionare secondo uno sfruttamento individuale dei campi, Zapata li spinse ad approfittare del possesso comunale di vasti ettari, abbracciando un’ottica collettivista. L’obbiettivo era non puntare più all’autoconsumo, ma guardare oltre, assicurare una produzione moderna e nazionale. Tutto ciò si accompagnò con una ridefinizione dell’idea statuale. I rappresentanti comunali erano convocati ad assemblee distrettuali e lì si decideva tutto, in piena democrazia.
I rivoluzionari stabilirono di riparare i zuccherifici, i mulini, le raffinerie e tutte le aziende danneggiate dalla rivoluzione. A differenza di Villa al Nord, Zapata aveva creato qualcosa di nuovo, una vera e propria economia, un sistema di partecipazione popolare condiviso e complesso.
Alla fine del 1915, però, gli eserciti costituzionalisti erano riusciti ad avere il sopravvento sui villisti e si preparavano a scendere a Sud. Il generale Pablo González Garza invase lo stato di Morelos con 30.000 uomini che occuparono le città e si diedero al saccheggio. Centinaia di civili furono arrestati e massacrati, comprese donne e bambini. Quando cadde pure il quartier generale di Tlaltizapán, Emiliano Zapata fu costretto a ritirarsi sulle montagne.
Tutta la vita di questo rivoluzionario fu segnata dalla fame di terra. Fu dichiarato bandito nel 1910, dopo aver recuperato le terre di Villa de Ayala ed averle consegnate ai contadini locali. Ruppe con Madero perché la riforma agraria doveva essere attuata tempestivamente. Credette che Pascual Orozco potesse essere allora il leader giusto per la rivoluzione dei contadini, poi, con l’assassinio di Madero e l’ascesa al potere di Victoriano Huerta, col sostegno di Orozco, guardò a Villa. Nel settembre 1914, l’esercito di Zapata contava 27.000 uomini. Presero Chilpancingo, Cuernavaca, Cuajimalpa, Xochimilco e non riconobbero il governo di Venustiano Carranza. Alla fine di novembre, la potente Divisione Nord diretta da Pancho Villa e l’Esercito di Liberazione del Sud di Emiliano Zapata entrarono a Città del Messico. La rivoluzione sembrò trionfare, ma per poco.

Durante tutto il 1915 la Comune di Morelos realizzò nella pratica tutti i postulati zapatisti, però l’offensiva controrivoluzionaria di Carranza e Pablo González Garza vanificò tutto. Rafforzatosi programmaticamente, lo zapatismo aveva commesso un grave errore: lasciare solo a nord Villa, senza capire che aprire un secondo fronte a sud, avrebbe permesso con più facilità di sconfiggere Carranza. Troppo tardi Zapata si decise a mobilitare il suo esercito. Sconfitti i dorados, Zapata si ritrovò solo, minacciato da un nemico potente. La gente veniva imprigionata e trucidata dai carranzisti che acquisivano maggiore ferocia via via che la guerriglia rispondeva ai loro attacchi. Morelos cadde e fu ripresa, ma la pressione nemica era troppo forte, i leader zapatisti iniziarono a dividersi, alcuni passarono col nemico, altri precipitarono nel banditismo, Otilio Montaño, pur professandosi innocente, fu giustiziato per aver proposto la resa. Il suo cadavere fu esposto con un cartello appeso al collo che recitava: “Così muoiono tutti i traditori della patria”. Alla disperata ricerca di nuove alleanze, Zapata finì ingannato da Jesús Guajardo ed assassinato all’Hacienda de Chinameca.
Pagò la stanchezza di un decennio di guerriglia, pagò la mancanza di risorse, di armi e di munizioni, pagò le tante energie profuse nell’attuazione del Plan de Ayala e l’isolamento in cui era precipitato a seguito della sconfitta di Villa. Il suo più grande lascito al Messico fu l’esempio della Comune di Morelos, la più radicale e coerente formulazione delle richieste contadine.

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