Buffalo Bill in Italia

A cura di Lorenzo Barruscotto

Tutti conoscono il nome di Buffalo Bill, perfino chi non è esperto o appassionato di West lo ha sentito nominare e lo identifica come una delle principali figure emblematiche dell’epopea della Frontiera.
Forse però non tutti sanno che il suo Wild West Show, nato nel 1883, uno spettacolo di rappresentazioni western dove si potevano ammirare cowboys che domavano cavalli selvaggi, indiani che assalivano diligenze, ricostruzioni di battaglie e tanto altro, è anche sbarcato in Europa, nel Vecchio Mondo, toccando numerose tappe e diversi Paesi, tra cui anche l’Italia.
Furono non poche le città della Penisola ad essere colpite dalla “febbre del West” e se ne hanno documentazioni grazie a giornali locali dell’epoca, fotografie, manifesti nonché dichiarazioni riportate da spettatori e testimoni.
Il biglietto costava 2 lire, una cifra che secondo i calcoli che ho eseguito, oggi corrisponderebbe all’incirca a 9 euro o se preferite poco più di 10 dollari.
In quasi tutte le tappe si svolgevano due rappresentazioni al giorno, una in tarda mattinata e una in orario serale. Se aveste voluto accaparrarvi i posti migliori avreste dovuto prenotare ed il prezzo del biglietto sarebbe salito a 8 lire (circa 45 dollari, sui 38 euro) ma per ogni spettacolo i bambini pagavano la metà.
In realtà Buffalo Bill ed il suo Show vennero in Italia due volte, durante la seconda e terza tournèe europee, rispettivamente nel 1890 e nel 1906. Quella del 1890 annoverava 4 treni speciali per un totale di 51 vagoni che trasportavano centinaia di persone ed animali. In questo caso gli spettacoli si limitarono a 5 mentre per la volta successiva si raggiunse il numero di ben 119 rappresentazioni con uomini e mezzi di entità ancora maggiore.


Ritratto di Buffalo Bill, opera di Lorenzo Barruscotto

Uno dei momenti più significativi avvenne durante il suo primo tour italiano e fu sicuramente la tappa di Roma: Bill fu ricevuto in Vaticano e venne accolto nei più eleganti salotti della capitale, dove era molto apprezzato per i suoi modi da avventuriero gentiluomo, che emanavano una sorta di “grazia romantica”. Il 3 marzo 1890 entrò nella Cappella Sistina ed incontrò papa Leone XIII.
Una delle testimonianze dell’avvenimento la fornisce l’ “Herald Tribune” nell’articolo “Buffalo Bill in the Vatican” che si può reperire per intero nel sito ufficiale degli archivi del giornale. Il reporter descrive il ricevimento come “uno degli eventi più strani che si siano mai visti all’interno delle venerabili mura del Vaticano”. In effetti cowboys e pellerossa che si inginocchiano insieme e si fanno il segno della croce quando il Pontefice li benedice deve essere stato qualcosa di coinvolgente ed unico allo stesso tempo. Negli articoli di allora si insisteva nel presentare gli uomini rossi come “civilizzati” sottolineando l’episodio di una donna che pare sia svenuta al passaggio di colui che veniva considerato (cito testualmente) “l’uomo dai poteri curativi inviato dal Grande Spirito”. Probabilmente il giornalista si era fatto un po’ prendere la mano.
Anche giornali italiani ovviamente raccontarono l’incontro. Sembra che dapprima l’idea del colloquio venne rifiutata dalle autorità vaticane poiché “la compagnia era troppo numerosa. Però si permise a Buffalo Bill e a un gruppo ristretto di assistere al passaggio del Pontefice nella Sala Ducale, mentre si sarebbe recato nella Cappella Sistina per le cerimonie dell’anniversario dell’incoronazione”.
Sul “New York Herald” dell’epoca si leggeva poi: “Tra affreschi immortali di Michelangelo e di Raffaello e in mezzo alla più antica aristocrazia romana, apparve improvvisamente una banda di selvaggi con le facce dipinte, coperti di piume e di armi, armati di accette e coltelli ». Alcune testimonianze riportate dai presenti e riprese anche a distanza di molti anni riferiscono, pare, che i Nativi americani salutarono l’arrivo del Papa con le loro urla, quindi si prostrarono per la benedizione e, rialzandosi, tornarono a urlare. Quanto bastò secondo alcuni cronisti “per far impallidire lievemente il Papa”, secondo altri “per strappargli un sorriso incuriosito”. Buffalo Bill portò in regalo a Leone XIII un bouquet e un cuscino di fiori che disegnavano il suo stemma. Il Pontefice gli fece invece dono di rosari e medaglie del Pontificato. Bill poco prima della morte si convertì al Cattolicesimo.


Si tratta di un documento che conferma che il 21 aprile 1906 Buffalo Bill fece tappa ad Alessandria con il suo Wild West Show: l’intestazione della lettera inviata alla sorella recita “Alessandria Italia 21 aprile 1906” (fonte Mc Cracken Research Collezione digitale della Biblioteca).

Esistono anche aneddoti relativi alle varie visite di Buffalo Bill in tutta Italia: per esempio si narra che quando arrivò a Torino, Piemonte (vi rimase per quasi l’intero mese di Aprile), una parte della troupe venne sistemata in una strada chiamata via dei Pellicciai (ora ha cambiato nome in via IV Marzo) e che i cittadini improvvisarono perfino un ritornello in rima in dialetto: “Alé, alé, anduma a balé, ch’a j’é l’America an via dij Plissè”, che significa: “Dai, dai, andiamo a ballare che c’è l’America in via dei Pellicciai”. Si dice perfino, ma non si sa per certo se sia vero o meno, che il motivetto piacque a Bill in persona e che lo cantò egli stesso durante lo spettacolo conclusivo l’ultimo giorno di permanenza in città.
Pensate che l’accampamento si trovava in un’area di 40mila metri quadrati.
I mezzi di comunicazione ne parlarono ogni giorno della permanenza: al tempo il giornale cittadino più importante era “La Gazzetta del Popolo”, venivano dopo “La Gazzetta Piemontese” e “La Stampa”.
Dal Giornale del Popolo del 5 aprile 1906: “Il Colonnello Cody non ha risparmiato nulla per far conoscere ai torinesi che l’arrivo della sua troupe e le operazioni di attendamento costituivano per se stesse uno spettacolo assai interessante”.
Ed ancora, dallo stesso giornale di alcuni giorni dopo: “La celebrità delle pianure, il Re di tutti, riprodurrà fra noi le gesta compiute attraverso il continente americano, si mostrerà nell’abilità ad uccidere gli Siux (“gli” e letteralmente scritto così), e terminerà lo spettacolo con l’apoteosi della pace e la danza delle nazioni”.
Scriveva invece “La Stampa”: “Buona parte degli indiani, che seguivano la tournèe di Buffalo Bill, erano cattolici. L’istituto delle Missioni Cattoliche con sede a Roma, aveva provveduto all’amministrazione religiosa dei nativi e questo incarico era stato affidato a Padre Strikland, appartenente alla casa dei Gesuiti”. Lo show raccontava atti di eroismo presi dalle cronache della Frontiera e dalle pagine di storia: in “The drama of the Civilization”, la quotidianità per gli europei indomita e crudele degli indiani delle praterie e dei cowboys prendeva vita.


Buffalo Bill a Venezia in gondola

Altra cittadina piemontese dove passò il Wild West Show è Alessandria, nel sud-est della stessa regione. Pare che, pur non essendo un grosso centro, più di settemila persone fecero la fila, provenienti anche dalle aree limitrofe per vedere il mito americano. Tale cifra collima con l’incasso totale, vale a dire quasi 30mila lire, considerando che il sabato erano previsti due spettacoli. E’ opinione comune che una promozione consentisse di pagare un biglietto per l’intera giornata di “Show”.


Annie Oackley durante il tour con il Wild West Show

Una pubblicità dell’arrivo di Buffalo Bill a Rimini sempre nel 1906, è immortalata in una rara immagine posseduta dal “Buffalo Bill Museum and Grave”, Lookout Mountain, Golden, Colorado. Sul sito “tuttiarimini.com”, una delle tante fonti che ho consultato e reperito, il “circo”, così spesso veniva chiamato, di Buffalo Bill viaggiava “in quattro treni speciali (…), ognuno dei quali era composto da dodici o tredici carri e da due vetture regolari, per una larghezza media di circa 250 metri ciascuno. La carovana era composta da 700 persone e da 500 cavalli, era qualcosa di unico, di spettacolare, tutti a Rimini, per l’appunto, ne parlarono per molto tempo, fu un’opportunità eccezionale vedere coi propri occhi un mondo nuovo che popolava la fantasia di grandi e bambini”. “Lo spettacolo durò 2 ore circa e mostrava al pubblico episodi di vita vissuta: Pony Express, la battaglia del generale Custer (1876)… veri indiani con le loro famiglie si esibirono, quel giorno (…) accorsero oltre 10000 persone, gli spettacoli in programma furono 22”.


Buffalo Bill e i Butteri

Così il “selvaggio Far West” si presentò alle genti italiane.


Locandine della Mostra di Rimini

A Padova, Veneto, arrivò gente da tutta la regione, bambini in testa. Un cronista scrive, ammirato dall’ordine che regnava in quella folla circense dai colori della pelle diversi: “Ogni forma di rumore e chiasso è bandita, tutto ciò per noi veneti espansivi in ogni nostra manifestazione costituisce un quadro sorprendente” – e aggiunge – “quando scendono le pelli rosse di una compostezza quasi ieratica, avvolte in strani ponci multicolori, e sudicetti anzichenò, dai lunghi capelli untuosi raggruppati in trecce sulla fronte sfuggente, l’effetto è disastroso”. Non doveva essere un grande fan del genere western.


Locandina della Mostra a Firenze

Cody, Annie Oackley e cinque nativi americani, noleggiata una carrozza, si recarono a Venezia.
All’imbarcadero (non dimentichiamo che eravamo nel 1906) Missy, questo era il nomignolo di “Piccolo Colpo Sicuro” Oackley (erroneamente a volte scambiata da qualche giornalista con troppa fantasia per un’amante di Bill), non volle salire in gondola. Un indiano rimase con lei per proteggerla e aspettarono gli altri in un’osteria. Cody ed i compagni invece non si meravigliarono dell’acqua, dei canali e dell’aspetto della barca: era una gondola.
Il gondoliere li portò a San Marco dove finalmente gli americani ebbero un momento di stupore e di incanto nel vedere la piazza e la famosa basilica. Un cicerone improvvisato raccontò agli stranieri delle bellezze artistiche e dei Dogi (paragonati da Cody ai presidenti Usa). Di seguito tornarono tutti insieme e mangiarono frittura mista di pesce. Così recitano le cronache del tempo.


Manifesto della Mostra per Torino e Pavia

Le città dove passò il Wild West Show di Bill Cody furono: nel 1890 Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Milano e Venezia (da gennaio ad aprile di quell’anno) e nel 1906: Genova, La Spezia, Livorno, Roma nuovamente, Perugia, Arezzo, Firenze, Terni, Pisa, Parma, Modena, Bologna, Forlì, Rimini, Ravenna, Padova, Verona, Cremona, Piacenza, Pavia, Alessandria, Ancona, Ferrara, Mantova, Torino, Asti (la mia piccola città, con una sola data il 27 aprile), Novara, Como, Milano, Bergamo, Brescia, Vicenza, Treviso, Udine, Trieste (da marzo a maggio).
Grandi città e centri più piccoli, la seconda volta prediligendo il nord ed il centro del Paese. Tutti questi spettacoli entrarono nell’immaginario collettivo contribuendo ad influenzare addirittura la visione italiana del West ed il mito del cowboy, come eminenti critici cinematografici anche del secolo scorso ancora riconoscevano: ciò insieme alle prime scene girate dal neonato Cinema, vale a dire sequenze di vera vita vissuta tra pianure e selle, raccontarono a generazioni di pubblico la leggenda della Frontiera.


Locandina della Mostra per Parma

Nella vita di William Frederick Cody però l’Italia non era solamente uno Stato da visitare. Buffalo Bill (il soprannome gli derivò come molti sanno dalla sua intensa, diciamo così, attività di cacciatore di bisonti, il conteggio degli esemplari abbattuti è sui 4000, per le compagnie ferroviarie) sposò Louisa Frederici nel 1866. Alla donna che gli diede quattro figli vennero attribuite, forse per via del cognome, origini italiane ma in realtà sembra che gli storici abbiano scoperto che era originaria di una regione tra Francia e Germania, l’Alsazia. Si conobbero a Saint Louis, subito dopo la fine della Guerra Civile. Si dice che si trattò di un colpo di fulmine ma non furono sempre rose e fiori, non tanto per la lontananza del marito quanto per la sua sensibilità verso il fascino di altre donne che spinse la coppia sull’orlo del divorzio almeno una volta.


Manifesto pubblicitario a Torino

Cody inoltre chiamava la sua carabina “Lucrezia Borgia”.
Il futuro impresario teatrale iniziò nel mondo dello spettacolo assieme ad una celebre ballerina “from Milan”, Giuseppina Morlacchi, che si pensa essere stata la donna che introdusse e rese famoso il can can negli Stati Uniti. Fu la protagonista nella rappresentazione western di Ned Buntline “Scouts of the Prairies” assieme a Buffalo Bill ed altri come “Texas Jack” Omohundro, il quale divenne poi il marito di Giuseppina Morlacchi, e per qualche tempo perfino Wild Bill Hickok. Di questo spettacolo rimangono alcune foto di gruppo degli interpreti fatte dall’italiano Carlo Gentile, che lavorò per qualche tempo come fotografo nella compagnia.


Presentazione del Wild West Show a Verona

L’enorme successo di Buffalo Bill in Italia ebbe curiosi risvolti anche molto tempo dopo. Nel 1920 l’editore di Firenze Nerbini iniziò a pubblicare una collana dedicata alle sue avventure. A quel punto la popolarità del “cowboy” divenne permanente, fino a rappresentare un piccolo problema per il regime fascista. Negli anni ’30 si era infatti decretato di “italianizzare” ogni aspetto della cultura e del costume nazionale, compresi gli eroi dei fumetti e dei racconti per l’infanzia. Buffalo Bill era però un nome troppo popolare da poter essere storpiato. Ma con la guerra mondiale alle porte un eroe così americano non poteva comunque venire più tollerato. Come fare?
Nel 1942 l’editore obbedì al regime inventandosi la storia, peraltro priva di ogni fondamento, secondo la quale Bill era in realtà un immigrato italiano, si chiamava Domenico Tambini ed era romagnolo come Mussolini.
Non solo: spuntarono perfino “parenti compaesani”. Secondo un giornale del periodo, il “Corriere Padano”, “l’italiano Bill” avrebbe preso il nome di “Buffalo” non per la sua abilità a sterminare bisonti, ma perché emigrato dalla Romagna negli Usa fino alla città di Buffalo.
La storiella di Domenico Tambini, o Tombini, neanche all’epoca si misero d’accordo sul… vero nome inventato, si arricchì via via di nuovi particolari: per esempio nel 1911 una misteriosa nipote di Tambini avrebbe ricevuto attraverso il Ministero degli Esteri una ingentissima cifra, l’eredità di uno zio d’America. Ovviamente non poteva essere che quella di Buffalo Bill.
Il fatto che fosse ancora vivo e vegeto, essendo deceduto, appunto, solo nel 1917, non intaccò la popolarità della diceria. Tanto che nella regione ancora oggi circolano misteri alla programma televisivo di “ricerca” su poderi acquistati di punto in bianco, fortune sbucate dal nulla e via dicendo.


Ingresso del Wild West Show in una città

L’8 marzo del 1890 a Roma, in un’area chiamata Prati di Castello, nacque un’accesa discussione tra l’eroe del selvaggio West ed il duca Caetani, il quale sosteneva che i suoi butteri guidati dal capo mandriano delle tenute dei Duchi Caetani, Augusto Imperiali, fossero più abili dei cowboys di Buffalo Bill.
Il guanto di sfida era lanciato: la posta in gioco venne stabilita per 500 lire (circa 3000 dollari, ora, ma il valore non è comunque quello che la stessa cifra avrebbe attualmente, considerando i tempi e le condizioni del periodo storico: 10 dollari di cento anni fa non valgono quanto 10 dollari di oggi, per capirci).
Imperiali riuscì a domare un mustang americano. Si racconta che compì un giro del campo tenendo le redini con la mano destra e sventolando il cappello con la sinistra. La sconfitta, sembra, non fu accettata da Bill che si rifiutò di pagare la scommessa. Ma considerata la cifra era quantomeno prevedibile.
Gli otto butteri della squadra italiana non arrivarono alle glorie di Hollywood, però furono i protagonisti del film italiano girato nel 1949, da Giuseppe Accatino “Buffalo Bill a Roma”, probabilmente primo esempio di western all’italiana.
Ad Augusto Imperiali fu in seguito intitolata una scuola e dedicata una statua nella sua città natale, Cisterna di Latina, nel Lazio. Numerosi sono i libri che narrano le sue gesta, oltre ad un celebre articolo di quel periodo del giornale “Il Messaggero”.
Le testimonianze di reporters quali ad esempio quelli dell’“Herald” differiscono da ciò che riportano gli inviati di testate italiane dal momento che i primi riferirono che Bill non ebbe difficoltà nel domare i cavalli portati sul campo per la contesa, cavalcandone anche un paio a pelo e poi “dichiarandoli calmati”. Perfino tra storici italiani non c’è mai stato assoluto accordo relativamente alla sfida, neanche sul numero di spettatori presenti, c’è chi sostiene perfino ventimila, sebbene ormai quasi tutti considerino veritiera la versione che vede come vincitori i butteri.
Piccolo riassunto per chi lo necessitasse: il buttero è il pastore/cowboy a cavallo della Maremma toscana e laziale, della Campagna Romana e dell’Agro Pontino, regioni del Lazio. Il nome buttero deriva dal latino “pungolatore di buoi”, da greco ???? boûs “bue” e ????? teír? “affatico”. Le selle caratteristiche sono chiamate bardella (larga, generalmente in legno, imbottita con alto arcione) soprattutto nel Lazio e scafarda in Toscana.
L’abbigliamento del buttero è caratteristicamente costituito da calzoni di fustagno, cosciali, giacca di velluto, cappello nero. Si protegge dalla pioggia con un mantello di grandi dimensioni, il pastrano (che ricorda il poncho dei gauchos). In mano tiene la mazzarella, un bastone impiegato per “stimolare” buoi e cavalli.
Con la scomparsa dei latifondi e con il declino delle attività di lavoro legate alla gestione del bestiame a cavallo, è venuta meno la necessità di queste figure professionali ma si è mantenuto vivo l’interesse per alcuni aspetti come lo stile di monta a cavallo che viene impiegato anche per l’equitazione in campagna, per il turismo equestre e nelle competizioni sportive.
La disciplina sportiva della “monta da lavoro” praticata dai butteri è stata creata dalla FITE (Fédération Internationale de Tourisme Équestre) al fine di permettere a tutti i tipi di monta europei (buttera italiana, vaquera spagnola e portoghese, camargue francese ecc.) di confrontarsi agonisticamente nelle seguenti prove tutte da sostenere con lo stesso cavallo:
– Addestramento: una prova assimilabile al dressage della monta sportiva.
– Attitudine: una gara di gimcana non a tempo nella quale si rileva la precisione nell’esecuzione.
– Gimcana veloce: una gara di gimcana a tempo.
– Sbrancamento vitelli: è una prova nella quale si deve separare un capo di bestiame dalla mandria nel minor tempo possibile.


Pagina di giornale denominata “La Nazione” di Firenze

Ci sono leggende che ispirano gli uomini e ci sono uomini che diventano leggenda.
Il Sud-Ovest americano ha affascinato e continua ad affascinare generazioni di appassionati, di studiosi, di storici, di “fans” con il mito dell’avventura, della Frontiera e del cowboy.
Al tempo in cui non esisteva internet, in cui non si potevano “vivere i propri sogni”, non come oggi, in un’epoca in cui una realtà “brutta, sporca e cattiva” con le sue luci e le sue ombre, con i suoi aspetti crudeli, sanguinari ma anche con i suoi esempi di onore, coraggio e valore si stava inevitabilmente trasformando da, come detto, realtà a racconto, un uomo che incarnava in tutto e per tutto l’anima di quell’intero mondo che per moltissimi era esistito solamente nella fantasia, sui libri o sui narrazioni in stile dime-novels, ebbe l’idea di far incontrare reale ed immaginario, di far conoscere a tutto il, concedetemi il gioco di parole, mondo il suo, incidendo a fuoco il proprio nome nella Storia, assurgendo da “semplice” uomo a mito vivente egli stesso, da normale essere umano a simbolo, unendo persone di ogni rango o ceto sociale, età o provenienza, lasciando intere nazioni a bocca aperta, catturate dalla “favola” del selvaggio West.
Quest’uomo era Buffalo Bill.

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