Locande da incubo: i Bender, H.H. Holmes e altri orrori
A cura di Gian Mario Mollar
I segreti di casa Bender
La Great Osage Trail, o Kaw Trace: una striscia di terra, calpestata dalle mandrie di bisonti e dagli Osage, che le inseguivano. In seguito, divenne una delle vie verso il West percorsa dalle “golette della prateria”, i carri dei coloni carichi di masserizie e ricoperti di teli bianchi, simili a vele nel mare verde e giallo della pianura.
La cupa storia che stiamo per raccontare si svolge in Kansas, proprio ai bordi di questa pista maledetta, intorno al 1870.
Come accade ancora oggi, a muovere la fiumana di pionieri verso ovest era il sogno di una vita migliore, la speranza di un riscatto dalla fame e dalla miseria. Tra la realtà e il sogno, però, si frapponevano mille pericoli: polvere e fango, sudore, fatica, denutrizione, condizioni igieniche precarie, banditi e indiani ostili pronti ad attaccare i convogli.
La combriccola dei Bender
Per chi sceglieva di fermarsi presso la locanda gestita dalla famiglia Bender, era in agguato un destino ancora più agghiacciante.
Casa Bender, anche nota come “Wayside Inn” era una classica capanna di tronchi, di quelle che spesso si vedono nei film western. Sorgeva al bordo della Osage Trail, nella contea di Labette, in Kansas.
All’esterno, c’erano una stalla, un recinto per accogliere le cavalcature degli ospiti e un pozzo. Lo spazio interno, invece, era diviso a metà con una tela di quelle usate per coprire i carri. La parte frontale era adibita a ricevere gli avventori, mentre nel retro alloggiavano i membri della famiglia.
Il capofamiglia, John “Pa” Bender, era un uomo sulla sessantina. Alcuni schizzi dell’epoca lo rappresentano con una barba folta e arruffata, occhi penetranti incastonati sotto le sopracciglia prominenti.
I vecchi Bender
Il suo cognome tradiva origini tedesche, o forse olandesi, e infatti il suo inglese era limitatissimo, poco più che un’accozzaglia di suoni gutturali.
Anche “Ma” Bender, il cui nome di battesimo era Elvira, era un donnone sulla cinquantina con scarse capacità espressive. Le cronache dell’epoca la descrivono come un donnone dai capelli grigi e dagli occhi minacciosi color acciaio. Il suo atteggiamento scostante e aggressivo le aveva fatto guadagnare il soprannome di “Diavolessa” (She-Devil). Come vedremo tra poco, il soprannome era quantomai azzeccato.
La famiglia Bender al completo
Il loro figlio maschio, John Bender Junior, era un ragazzone di venticinque anni, con i capelli castani e i baffi. Il fatto che ridesse spesso e a sproposito faceva pensare a una personalità disturbata: un “half-wit”, un cretino.
Un trio del genere avrebbe avuto davvero poche possibilità di gestire un’attività commerciale, anche in un contesto desolato come quello del Kansas dell’epoca. A mitigare l’impressione d’insieme, però, c’era la figlia minore: Kate Bender, di circa ventitre anni. A differenza dei suoi famigliari, Kate era attraente, colta ed estroversa. In un dagherrotipo sbiadito la vediamo vestita di un’elegante camicetta bianca, i lunghi capelli castani raccolti con un nastro. I suoi tratti sono fini e gentili, ben lontani da quelli del resto della famiglia.
Kate Bender, la finta guaritrice
Kate Bender si spacciava per medium e guaritrice: distribuiva un volantino in cui si definiva “Prof.” e dichiarava di poter “curare ogni sorta di malattia: cecità, tosse e ogni sorta di questi mali. Anche il sordomutismo.” Al di là delle sue dubbie doti curative o alla possibilità di comunicare con gli spiriti dei trapassati e conoscere il futuro, gli avventori erano anche attratti dalla possibilità di trascorrere la notte con lei.
I Bender si erano installati in quell’angolo remoto del Kansas verso la fine del 1870, reclamando 160 acri di terra, un tempo appartenuta agli indiani Osage, trasferiti, grazie a un trattato, in una riserva in Oklahoma. Oltre a loro, c’erano alcune famiglie di coloni, di religione spiritualista, un movimento che a fine Ottocento era molto in voga e prevedeva la consultazione delle anime dei morti per mezzo di sedute spiritiche.
Ben presto, però, alcune di queste famiglie desistettero, scoraggiate dalla durezza della vita di frontiera. I Bender, invece, scelsero di rimanere: la loro attività prosperava, grazie all’intenso passaggio lungo il sentiero degli Osage.
Per circa due anni, dal 1870 al 1872, niente turbò la quiete apparente. Alcuni dei viaggiatori diretti a ovest scomparivano nel nulla, ma nessuno se ne curava: si pensava che avessero raggiunto la loro meta, o che, nel peggiore dei casi, fossero incappati in qualche fuorilegge. Certo, nel 1871 il cadavere di un uomo con il cranio fracassato e la gola tagliata venne trovato nel vicino Drum River, e nel 1872 fu rinvenuta un’altra coppia di cadaveri con le medesime ferite, ma gli omicidi vennero inizialmente attribuiti ai ladri di cavalli e ai banditi che infestavano la pista. Di fatto, però, la Osage Trail cominciava ad essere evitata perché pericolosa.
A svelare l’orribile segreto fu la scomparsa di una famiglia di Indipendence, in Kansas: un vedovo di nome George Newton Longcor e la sua bambina Mary Ann, partiti nell’inverno del 1872 per raggiungere l’Iowa. Il loro vicino di casa, uno stimato dottore di nome William Henry York, era partito alla loro ricerca, interrogando i coloni lungo la pista, ma anch’egli non aveva mai fatto ritorno.
La terribile locanda
A questo punto, entrano in scena i fratelli del dottore scomparso, che erano dei personaggi eminenti: Alexander M. York era un senatore del Kansas e Ed York un colonnello dell’esercito degli Stati Uniti. Fu quest’ultimo, all’inizio del 1873, a mettersi sulle tracce del fratello scomparso, deciso a ritrovarlo a tutti i costi. Partendo da Fort Scott, l’ultimo punto in cui il Dottor York era stato visto, iniziò le sue indagini interrogando i migranti lungo la pista.
Il 28 aprile di quell’anno, il Colonnello arrivò presso la locanda dei Bender. Il primo incontro fu piuttosto cordiale: rispondendo alle sue domande, i componenti della famiglia ammisero che il Dottor York aveva soggiornato presso di loro e che poi era ripartito, suggerendo che erano forse stati gli indiani a catturarlo o ucciderlo. Il colonnello York cenò presso di loro e continuò a visitare le abitazioni coloniche nei dintorni.
L’incontro successivo, qualche giorno dopo, ebbe un carattere decisamente meno cordiale: dopo essere stato informato che Ma Bender aveva cercato di accoltellare una donna, il militare fece ritorno alla locanda, accompagnato da uomini armati. Dapprima, i coniugi più anziani finsero di non capire, mentre i figli più giovani negarono ogni accusa. Vista l’insistenza del colonnello, tuttavia, ad un certo punto Ma Bender perse le staffe e dimenticò di non saper parlare inglese: sbraitò che quella donna era una strega e che le aveva maledetto il caffè. Per cercare di sviare i sospetti, l’avvenente Kate gli chiese di tornare una sera, mettendo a sua disposizione le sue doti di medium e chiaroveggente per risolvere il mistero.
Secondo altre fonti – probabilmente apocrife – nel corso della cena il colonnello avrebbe visto luccicare, sotto uno dei letti, un ciondolo d’oro. Dopo averlo raccolto senza farsi vedere, avrebbe scoperto che conteneva le foto di sua cognata e sua nipote.
I sospetti convergevano ormai sulla famiglia Bender e dopo qualche giorno il colonnello fece ritorno alla loro locanda, accompagnato dallo sceriffo pronto all’arresto. La trovò vuota. La polvere del cortile raccontava una partenza frettolosa a bordo di un carro, che venne successivamente ritrovato abbandonato, con i cavalli lasciati legati a morire di inedia, nella periferia della città di Thayer, a una ventina di chilometri. Da quel punto in poi, i Bender si erano separati, prendendo biglietti ferroviari per diverse destinazioni e facendo perdere le loro tracce nella terra di nessuno al confine tra Texas e Messico. Non vennero mai catturati.
Le indagini presso la loro locanda, tuttavia, portarono a scoperte macabre e sconvolgenti. Il giardino della proprietà dei Bender si rivelò disseminato di ossa umane e teschi, tanto da venire definito “il mezzo acro dell’inferno”.
Il famigerato mezzo acro dell’inferno
Solo un sottile strato di terra ricopriva i corpi “orrendamente mutilati” di dodici cadaveri, tra cui, ovviamente, anche quello del Dottor York, sepolto a faccia in giù nel frutteto. Il più agghiacciante tra i ritrovamenti, però, fu il corpo di una bambina, che non presentava tracce di ferite, lasciando supporre che fosse stata sepolta viva.
L’ispezione della locanda, poi, permise di ricostruire il modus operandi degli assassini: il malcapitato veniva invitato a sedersi a tavola al “posto d’onore”, una sedia collocata contro il telo divisorio. Da dietro al telo, senza che la vittima se ne potesse accorgere, veniva vibrata una violenta martellata, che in genere stordiva o tramortiva a morte il malcapitato. A questo punto gli veniva tagliata la gola e il corpo veniva fatto scomparire in una botola, situata in prossimità della sedia, per poterlo perquisire e derubare con comodo, senza rischiare di venire sorpresi da visite improvvise. Dalla botola emanava un odore rivoltante, dovuto al sangue secco che incrostava il pavimento.
In genere, i pionieri diretti a ovest portavano con sé tutti i loro averi e quantità di denaro anche ingenti, ma i Bender uccidevano anche per pochi spiccioli, probabilmente per il solo diabolico piacere di uccidere. Non in tutti i casi, però, la procedura si svolgeva senza intoppi: le pareti e il tetto della casa, infatti, erano crivellati di proiettili, probabilmente esplosi dalle vittime nel vano tentativo di salvarsi.
Il modus operandi dei Bender ricostruito in questo spaccato della locanda
I ritrovamenti scatenarono una folla di giornalisti, curiosi e cacciatori di taglie, attratti dalla ricompensa di duemila dollari – una cifra importante, a quei tempi – promessa per la cattura dei quattro.
Le indagini successive, poi, svelarono che i legami famigliari non erano che un’impostura. I due fratelli, Kate e John, erano in realtà marito e moglie. Si pensava che Kate fosse la quinta di dodici figli avuti di Ma’ Bender, il cui nome, in realtà era Almira Hill Mark. Era originaria dei monti Adirondack, nella parte orientale degli Stati Uniti, e si credeva che avesse ucciso diversi mariti. Nemmeno Pa’ Bender era chi diceva di essere: il suo vero nome era, infatti, John Flickinger. In casa venne trovata una Bibbia cattolica, con la scritta “Johannah Bender, nata il 30 luglio 1848 – John Gerbhart arrivò in America il 1 Luglio 18—”. Si trattava, probabilmente, di una Bibbia di famiglia (che all’epoca, essendo in genere l’unico libro presente nelle case dei coloni, fungeva anche da registro domestico per le nascite e i fatti principali) appartenuta alla vera famiglia Bender. In altre pagine, poi, si trovavano delle scritte in tedesco più inquietanti ed enigmatiche: “8 gennaio giorno del grande massacro” e “andato all’inferno”.
Le ricerche, alimentate dal clamore della stampa, proseguirono furiose: alcuni vicini dei Bender vennero arrestati e processati perché sospettati di complicità con la famiglia, ma i quattro principali indiziati vennero ricercati invano per quasi cinquant’anni.
La vicenda ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica, dando vita a numerose leggende ed esagerazioni, com’è consuetudine quando si parla di folklore americano. Oggi di quella terribile baracca sperduta nel Kansas non rimane nulla: venne letteralmente saccheggiata da curiosi alla ricerca di qualche macabro “souvenir”. Le colline che la circondavano, però, sono ancora oggi conosciute come “Bender Mounds”, e un cartellone racconta ai pochi turisti che passano da quelle parti la tragica storia che vi si svolse, sotto gli occhi impassibili del cielo sconfinato.
Holmes e gli Orrori del Murder Hotel
Dopo gli orrori di casa Bender, abbandoniamo le terre selvagge e desolate della Frontiera per raggiungere Chicago. Nel 1893 Chicago non è più il centro di smistamento di pellicce sul lago Michigan, frequentato da rudi trapper, che era agli albori dell’Ottocento. La modernità è ormai imminente, e il suo simbolo è la Fiera Colombiana di Chicago (o Chicago World Fair), volta a celebrare i quattrocento anni trascorsi dalla “scoperta” dell’America.
La fiera è un momento grandioso e futuristico: per la prima volta, viene usata per l’illuminazione in grande scala la corrente alternata, recentemente inventata da NiKola Tesla (1856-1943), ci sono padiglioni per rappresentare i diversi luoghi del mondo, e nel rutilante contesto c’è anche spazio per la vecchia frontiera, con il Wild West Show di Buffalo Bill.
Il murder castle
Ai margini di questo progetto grandioso, un uomo sta lavorando a un piano spaventoso. Si fa chiamare H. H. Holmes, ma il suo vero nome è Herman Webster Mudgett (1861-1896). È un truffatore inveterato e un bigamo, ma è anche un omicida seriale. Probabilmente, il primo vero omicida seriale nella storia degli Stati Uniti. Certo, sono in molti i personaggi a contendersi questo inquietante primato: si pensi, ad esempio, ai terribili fratelli Harpe, che ai tempi della Guerra di Indipendenza insanguinarono il Kentucky e l’Illinois, oppure al cannibale Boone Helm, oppure ancora agli stessi Bender, di cui si è parlato sopra.
H. H. Holmes, però, a differenza di tutti questi criminali, aveva una profonda consapevolezza della sua condizione, come si può comprendere da questa inquietante dichiarazione: “Sono nato con il diavolo in me. Non potevo combattere il fatto di essere un assassino, non più di quanto un poeta possa fermare la sua ispirazione a comporre versi”. La storia personale di Holmes percorre tutte le tappe caratteristiche del serial killer: infanzia difficile, dovuta a un padre alcolista e violento, relazioni complicate con i coetanei, episodi di sadismo infantile sugli animali e un alto quoziente intellettivo. Gli studi in medicina gli consentono di familiarizzare con cadaveri e dissezioni: spesso li mutila di proposito, per truffare le assicurazioni. La sua giovinezza è costellata di eventi “curiosi”: un bambino scompare per sempre a New York dopo essere stato visto in sua compagnia, a Philadelphia, dove lavora come farmacista, un cliente muore dopo aver preso una sua “medicina”.
Malgrado il suo lato oscuro, il giovane medico è elegante, brillante e affascinante, tanto da riuscire a collezionare tre matrimoni contemporaneamente.
A trentacinque anni, prima di venire impiccato – un’impiccagione “riuscita male”, che lo farà dibattere per quasi venti minuti appeso al cappio – confesserà di aver commesso centotrentasette omicidi, di cui ventisette accertati, ma si pensa che in totale il numero delle sue vittime ammonti quasi a duecento persone.
La mappa dettagliata del murder hotel di Holmes
Al di là del numero, il modus operandi è la cosa più inquietante: gran parte delle vittime di Holmes venne infatti uccisa all’interno di un hotel da lui gestito, in concomitanza con l’Esposizione Mondiale di Chicago: il nome dell’albergo era “World’s Fair Hotel”, ma passerà alla storia come “Murder Castle”, il castello dell’omicidio. Holmes lo fa costruire sulla sessantatreesima strada di Chicago, acquistando un lotto di terreno.
Diversi architetti e imprese edili si avvicendano nella costruzione dell’Hotel: Holmes da loro indicazioni parziali e li licenzia di frequente, rifiutandosi di pagarli. In questo modo riesce a mantenere segreto il quadro d’insieme dell’edificio e il suo reale scopo.
Il “castello”, completato nel 1892 e rimasto in attività fino al 1894, è un grande edificio a tre piani, con più di cento stanze, grande quanto un intero isolato. Il piano terra costituiva la facciata “rispettabile” dello stabile, ospitava diversi negozi tra cui una farmacia, in cui Holmes lavorò come commesso durante la costruzione, frodando i legittimi proprietari.
Le camere d’albergo erano al terzo piano, ma sicuramente non si trattava di un comune hotel: le porte potevano essere chiuse dall’esterno, cunicoli segreti collegavano le stanze, di cui alcune erano insonorizzate per non lasciare trapelare le urla delle vittime di Holmes. Una stanza era addirittura equipaggiata come “camera a gas”: il gas fuoriusciva da alcuni ugelli dissimulati nel pavimento, e poteva venire azionato da una camera adiacente. Le pareti erano rivestite di amianto in modo da ridurre il rischio di incendi involontari. Alcuni scivoli collegavano i piani superiori con l’interrato, dove Holmes si occupava di smaltire i cadaveri: lì si trovavano tavoli operatori, dove i corpi venivano dissezionati per rivendere organi e scheletri ai laboratori anatomici e all’università, bagni di acido per dissolvere i resti e addirittura una fornace “a misura d’uomo”.
Insomma, il Murder Hotel era una vera e propria fabbrica della morte, gestita da Holmes con la collaborazione di alcuni complici, che spesso finivano per esserne loro stessi “ospiti”. Le sue mura conobbero sofferenze e atrocità che è possibile immaginare solo vagamente.
H. H. Holmes venne catturato nel 1894, a causa delle continue frodi ai danni delle compagnie assicurative con cui si guadagnava da vivere. Fu arrestato proprio mentre cercava di fuggire in Europa: mentre si trovava in carcere, la polizia ebbe modo di esplorare i meandri del suo hotel, che aveva poco prima incendiato dolosamente per intascare un premio assicurativo.
Recentemente, un discendente di Holmes, Jeff Mudgett, ha addirittura ipotizzato che il suo bis-bis nonno fosse il volto che si celava dietro al serial killer per antonomasia: Jack Lo Squartatore, i cui omicidi di prostitute insanguinarono il quartiere londinese di White Chapel nel 1888. Mudgett sostiene di aver trovato traccia di questi omicidi tra le carte del suo avo, ma la teoria – per quanto plausibile da un punto di vista cronologico – fa acqua sotto diversi punti di vista. Non solo, infatti, H. H. Holmes era un noto millantatore, ma anche i modus operandi dei due assassini sembrano essere piuttosto differenti: in Holmes, infatti, non si riscontrano le sadiche mutilazioni genitali che invece erano la “firma” dello Squartatore.
In ogni caso, i fatti del Murder Hotel rimangono uno dei capitoli più disturbanti della storia del crimine americana.
Altre pensioni poco raccomandabili…
La storia della famiglia Bender e del Murder Hotel gestito da Holmes sono due esempi, lontani tra loro ma piuttosto vicini da un punto di vista operativo.
Di fatto, però, la “locanda trappola” non fu un’invenzione dei Bender, né di Holmes: ne troviamo traccia – sia letteraria che storica – sin dai tempi più remoti. Già nell’Odissea, risalente circa al VI secolo a. C., si susseguono diverse situazioni in cui un’apparente ospitalità cela invece un pericolo mortale: si pensi, ad esempio, alla Maga Circe o allo stesso Ciclope, entrambi sovvertitori del tradizionale vincolo dell’ospitalità (xenia), considerato sacro dai Greci.
Anche nell’Asino d’oro di Apuleio (secondo secolo d.C.), il protagonista Lucio soggiorna, insieme a un altro viandante, in una locanda gestita da due streghe, Meroe e Pantia. Nottetempo, le due terribili donne irrompono nella stanza e sgozzano l’amico, immergendogli una spada nel collo fino all’elsa e poi strappandogli il cuore, che viene poi sostituito con una spugna. Nel racconto fantastico, il compagno di Lucio – antenato dei più recenti e popolari “morti-viventi” – si risveglia il giorno dopo e continua il viaggio, ma morirà al momento del pranzo.
La letteratura fantastica abbonda di situazioni di questo tipo: si pensi, ad esempio, all’ambigua ospitalità che il Conte Dracula riserva a Jonathan Archer nel capolavoro di Bram Stocker, oppure agli angoscianti corridoi dell’Overlook Hotel di Stephen King e Stanley Kubrick.
Talvolta la realtà storica riesce anche a superare la fantasia, e non soltanto nel West, ma anche in luoghi molto più vicini a noi. Chi cammina lungo la Via degli Dei, un sentiero che congiunge Bologna a Firenze attraverso l’Appenino e i dolci colli di Siena, si trova ad attraversare un luogo denominato “Passo dell’Osteria Bruciata”. Qui, nascosti dalla verzura, ci sono i miseri resti di un edificio che viene nominato già nelle cronache cinquecentesche. La leggenda vuole che, in tempi medievali, i ruderi fossero un’osteria, abitata da una famiglia di osti che non soltanto uccidevano e derubavano i loro malcapitati avventori, ma ne imbandivano addirittura le carni come vivande per i clienti successivi! A quanto si racconta, a smascherarli fu un frate che, resosi conto della natura sospetta del “manzo” che gli era stato servito, avrebbe avvisato le guardie, causando così la cattura degli assassini e l’incendio di quel luogo maledetto.
Anche la Casa delle Anime a Voltri, in Liguria, racconta una storia simile, di locandieri e briganti che, nottetempo, si insinuavano nelle camere degli ospiti attraverso passaggi segreti per derubarli e ucciderli. Il luogo, rimasto disabitato per molti anni, sarebbe poi stato occupato ai tempi della Seconda Guerra Mondiale da una famiglia di sfollati a causa dei bombardamenti, che sarebbe stata testimone di apparizioni e rumori inquietanti e inspiegabili. In anni più recenti, la “Ca’ de Anime” è diventata una mecca per detective del paranormale, acchiappafantasmi o aspiranti tali, che sostengono sia luogo di un’intensa attività spiritica.
La prossima volta che soggiornate in un hotel, vi consigliamo di ispezionare bene la vostra camera…
Per approfondire
A pensione completa dai Bender:
http://www.leatherockhotel.com/BloodyBenders.htm
https://mentalfloss.com/article/53672/bloody-benders-americas-first-serial-killers
https://chroniclingamerica.loc.gov/lccn/sn82015484/1873-05-22/ed-1/seq-2/
Eterno riposo al Murder Hotel
https://allthatsinteresting.com/hh-holmes-hotel