La nascita del mito Western nell’Ottocento: l’esportazione del mito del west – 17

A cura di Noemi Sammarco
Tutte le puntate: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17.


L’ESPORTAZIONE DEL MITO DEL WEST

Il successo del mito western fu talmente grande che contemporaneamente alle dime novel si svilupparono altre forme di intrattenimento che raccontavano la vita dei coraggiosi eroi della frontiera. Le trame delle dime novel ben si prestavano a divenire sceneggiature teatrali, e molti scrittori di dime novel divennero anche autori teatrali. Nella seconda metà del XIX secolo le forme di intrattenimento di massa si moltiplicarono: libri, giornali, spettacoli teatrali e circensi, dime novel, musei e infine cinema. Esse si rivolgevano ad un pubblico in rapida crescita, con un enorme successo.
Nel periodo che seguì la fine della guerra Civile la cultura popolare subì una trasformazione radicale divenendo cultura di massa (1). I fattori che resero possibile questa trasformazione furono molteplici, ma ciò che fu alla base di tutto fu il decollo economico sia agricola che industriale degli Stati Uniti. In particolare notevole fu la crescita massiccia del fenomeno migratorio, che fece triplicare la popolazione americana e raddoppiare la manodopera del settore industriale (2). Questa grande disponibilità di manodopera, unita all’ efficienza produttiva rese possibile accorciare la settimana lavorativa degli americani che a metà del XIX secolo lavoravano per circa sessanta, settanta ore per sei giorni lavorativi. Alla fine della prima guerra mondiale la settimana lavorativa era diventata di quarantotto ore con un crescente equilibrio tra il lavoro e il tempo libero.
Alla grande disponibilità di manodopera si aggiunsero le nuove tecnologie di produzione e distribuzione nel settore della cultura, che attraverso i grandi magazzini, le esposizioni universali, le agenzie pubblicitarie e il sistema d’acquisto rateale, ridisegnarono la cultura americana attorno a valori associati al tempo libero e al divertimento. Avere a disposizione del tempo libero rese la società americana una società di consumatori, di lettori e utenti di svago (3). La capacità del Far West di attirare pubblico fece sì che molti imprenditori decisero di investire su di esso. Dalle storie a puntate, ai romanzi più famosi, dagli spettacoli teatrali a gli show di intrattenimento, spesso il centro narrativo ruotava intorno alle mirabolanti avventure di indiani e cowboy.

Le esposizioni universali

Nella seconda metà dell’Ottocento uno sviluppo economico senza precedenti aveva investito l’Occidente, e tale sviluppo pretendeva adeguate celebrazioni in luoghi adibiti specificatamente ad esporre i frutti del progresso della civiltà occidentale, l’avvento della tecnologia e tutto ciò che era considerato esotico, grottesco o singolare. La prima esposizione universale si tenne nel 1851 a Londra, città che solamente l’anno prima aveva raggiunto la soglia del milione di abitanti, ed era la culla della rivoluzione industriale. L’esposizione universale fu promossa dal principe Alberto che scrisse

I prodotti di ogni parte del mondo sono messi a nostra disposizione e noi dobbiamo solo scegliere quello meno caro e che serve meglio ai nostri fini. (4)

e da altri membri della Royal Society of Arts al fine di celebrare le moderne tecniche industriali e la cultura. Venne inaugurata dalla Regina Vittoria. Vi parteciparono 25 paesi e i visitatori furono 6 milioni. L’Esposizione si tenne al Crystal Palace, costruito ad hoc per l’occasione. Era una struttura in vetro e ferro, priva di pilastri, con un’ampia superficie di 84.000 mq.


L’esposizione universale a Londra nel 1851

Se Londra tenne la prima esposizione universale, si deve però a Parigi la fama della manifestazione (5).
Nel 1889 la città francese ospitò l’esposizione universale e per questa occasione costruì la Torre Eiffel. Accolta da proteste e timori, definita anche “mostruosa”, la Torre Eiffel divenne subito un elemento imprescindibile del paesaggio parigino. L’Esposizione del 1889, organizzata con grande sfarzo dai francesi per celebrare il centenario della Rivoluzione, diede molto spazio alle arti, alla musica, ai costumi dei paesi lontani: ai piedi della torre furono ricostruiti templi egizi, mercati arabi, teatri del lontano Oriente. Un altro elemento di fascino dell’esposizione era la galleria delle macchine: il luogo, visitabile, dove si trovavano i generatori di energia dell’esposizione stessa (6).


L’esposizione universale a Parigi nel 1889

Tra le principali attrazioni dell’esposizione universale di Parigi vi fu Buffalo Bill e il suo “Wild West Show”, che per l’occasione aveva reclutato anche la tiratrice Annie Oakley. Buffalo Bill divenne l’idolo della città, il beniamino delle nobildonne dell’aristocrazia francese e l’americano più idolatrato di Parigi. Buffalo Bill ricoprì il ruolo di un autentico ambasciatore culturale, facendo conoscere al pubblico francese il Far West, o almeno l’immagine spettacolarizzata del Far West (7).
Allo spettacolo inaugurale del Wild West Show le tribune furono prese d’assalto e tra il pubblico vi erano anche personaggi eminenti come l’ex regina Isabella II di Spagna, principi, conti, generali e importanti politici tra cui il presidente della Terza Repubblica Sadi Carnot.


Il Wild West Show di Buffalo Bill a Parigi

Buffalo Bill e gli indiani attrassero il pubblico, ma ciò che più di tutto stupì il pubblico fu la comparsa di Annie Oakley. Fece il suo ingresso con il costume di pelle di montone a frange, stivali e cappello da cowgirl e si accostò ad un tavolino pieno di armi, in seguito Annie raccontò:

All’inizio rimasero seduti, freddi come iceberg, non ci furono applausi, solo un’ aria di sufficienza del tipo, fammi un po’ vedere quel che sei capace di fare. (8)

Annie iniziò a colpire oggetti volanti con assoluta precisione e il pubblico non poteva credere ai propri occhi. Alla fine del numero la folla si alzò in piedi osannante, lanciando sul palcoscenico fazzoletti e parasoli. Annie raccontò:

Gli iceberg erano pronti a tifare per me per tutto il mio soggiorno di sei mesi a Parigi. Corsi in camerino tra gli applausi, mi cambiai e saltai su Billy, il mio cavallino selvaggio, e rientrai a rotta di collo nell’arena. (9)

Ammaliati dallo spettacolo i francesi comprarono ricordini, iniziarono ad andare in giro con cappelli da cowboy e stelle americane, e furono perfino disposti ad assaggiare i pop-corn, una concessione non da poco visto che i francesi affermavano che il mais fosse cibo adatto solo ai maiali. Le tende degli indiani e quelle dei cowboy divennero delle attrazioni per i cittadini parigini. Nella tenda di Annie Oakley, un cowboy fungeva da sentinella e manteneva l’ordine. Era lei la star dello show. I francesi non si capacitavano di come una donna così giovane fosse in grado di sparare meglio di molti uomini dalla grande esperienza. Il successo dello show a Parigi fu enorme.


Il poster che annuncia la presenza di Annie Oakley

Nel 1876, per festeggiare il centenario dell’indipendenza dall’Inghilterra, le esposizioni universali arrivarono anche in America. Il governo degli Stati Uniti organizzarono a Philadelphia la Centennial International Exposition. Nei quarant’anni che seguirono esposizioni vennero organizzate in ogni parte del paese: nel 1884 a New Orleans, Louisiana New Orleans Universal Expositon and World’s Fair, World’s Industrial and Cotton Centennial Exhibition, nel 1893 a Chicago, Illinois, World Columbian Exposition, nel 1895 ad Atlanta, Georgia, Cotton States and International Exposition, nel 1897 a Nashville, la Tennessee Centennial and International Exposition, nel 1899 a Omaha, Nebraska, la Greater America Exposition, nel 1901 a Buffalo, New York, la Pan-American Exposition, nel 1904 a St. Louis, Missouri, la Louisiana Purchase Exposition, nel 1905 a Portland, Oregon, la Lewis & Clark Centennial Exposition, nel 1907 -ad Hampton Roads, la Jamestown Exposition, nel 1909 a Seattle, Washington la Alaska-Yukon-Pacific Exposition. Visitate da quasi cento milioni di persone. Le esposizioni universali ebbero un ruolo rilevante nel processo di nazionalizzazione, perché mostravano e promettevano un futuro di progresso materiale e configuravano il raggiungimento di una utopia tecnologica su base razziale. Le esposizioni contribuirono a conferire maggiore legittimità alla cultura di massa e contribuirono al trionfo dello stile di vita americano (10).


1899, Omaha (Nebraska), Greater America Exposition

Nelle esposizioni universali grande interesse suscitava tutto ciò che era esotico e raccontava di viaggi e terre lontane, nonchè degli individui che le abitavano. Nell’Esposizione per il centenario dell’indipendenza a Filadelfia, per la prima volta l’esotico e il diverso era compreso entro i confini della nazione che ospitava la fiera. L’ interesse per gli indiani d’America era tale che metà del padiglione federale era dedicato ai nativi. Nel padiglione furono esposti manufatti, fotografie e manichinari a grandezza naturale allo scopo di illustrare gli indumenti e i modi di vita dei nativi (11). Ancora più imponente fu l’Esposizione Universale Colombiana del 1893 a Chicago, che doveva superare ogni esposizione precedente:

Oscurando gli ultimi spettacoli offerti da Parigi nel 1878 e nel 1889, avrebbe dimostrato definitivamente il passaggio della leadership mondiale dal Vecchio al Nuovo mondo e avrebbe simboleggiato la realizzazione della missione e del sogno di Colombo. (12)

All’interno dell’esposizione in alcuni padiglioni furono ricostruiti ambienti ed abitazioni dei nativi provenienti da ogni parte degli Stati Uniti. Furono mostrate ai visitatori le cerimonie e la quotidianità delle varie tribù. Venne anche organizzato un congresso di antropologia, nel quale fecero la loro comparsa i primi studi scientifici sui nativi (13).
Contemporaneamente il giovane storico Turner presentava ai colleghi il suo saggio sul Significato della frontiera nella storia americana, di cui abbiamo parlato diffusamente nel primo capitolo. Inoltre, ai margini del terreno espositivo, Buffalo Bill eresse le tende del suo Wild West Show, in cui l’essenza del discorso Turneriano veniva spettacolarizzata all’eccesso. Nella successiva esposizione universale del 1904 a St. Louis venne esposto al pubblico l’ex ribelle Apache Geronimo, e “esemplari” rappresentanti una cinquantina di tribù differenti. Le tende e le capanne dei nativi erano collocate nella “riserva etnologica”.
Il mondo nativo veniva presentato per mostrare l’alterità e la distanza dal mondo civile. Lo stesso atto di esporre persone, simboli e culture mostra uno squilibrio nei rapporti di potere. Come afferma Burton Benedict chi è oggetto dell’esibizione non sceglie nè i modi, né i simboli con cui rappresentare se stesso e il proprio mondo. L’intento celebrativo aveva sempre per oggetto la superiorità dell’uomo bianco (14).
Per gli europei gli antichi usi e costumi presenti sul loro territorio rappresentavano la loro storia, nel quale si riconoscevano. Al contrario negli Stati Uniti gli usi e costumi che stavano scomparendo non era il loro passato, ma il passato di “altri”. Quegli “altri” erano le popolazioni indigene che gli americani avevano espropriato delle loro terre e annientato. Nell’ ideale americano il loro passato non erano i nativi, ma i cowboy mostrati dallo show di Buffalo Bill.

CONTINUA

NOTE

  1. R. W. Rydell, R. Kroes, Il west selvaggio, L’Europa e l’americanizzazione del mondo: Buffalo Bill Show, Donzelli editore, Roma, 2006, pp. 32- 33.
  2. R. W. Rydell, R. Kroes, Il west selvaggio, L’Europa e l’americanizzazione del mondo: Buffalo Bill Show, p.16.
  3. Jesus Timoteo Alvarez, Il potere diluito. Chi governa la società di massa, Rubbetino editore, 2007.
  4. D. Pittèri, L’intensità e la distrazione: industrie, creatività e tattiche nella comunicazione, Franco Angeli, Milano, 2006, p.30
  5. Cit in A. Briggs, A Social History of England, Penguin books, Harmondsworth, 1985, p. 189.
  6. Luca Massidda, Atlante delle grandi esposizioni universali, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 16.
  7. http://www.treccani.it/enciclopedia/esposizioni-universali_
  8. Jill Jonnes, Storia della Tour Eiffel, Donzelli Editore, Roma, 2009, p.300
  9. Cit in: Jill Jonnes, Storia della Tour Eiffel, p.134.
  10. Cit in: Jill Jonnes, Storia della Tour Eiffel, p. 135.
  11. R. W. Rydell, J. E. Findling, K.D. Pelle, Fair America: World’s Fairs in the United States, Smithsonian Institution press, Washington D.C., 2000, cap.1.
  12. .A. Trennert, Popular Imagery and the American Indian: A Centennial View, in “New Mexico Historical Review”, vol LI, n.3. luglio 1976, pp.215-232.
  13. R. Badger, The Great American Fair: The world’s Columbian Exposition and American Culture, Nelson Hall, Chicago, 1979,p.21
  14. B. Cartosio, Da New York a Santa Fe, Giunti editore, Firenze, 1999, p.200

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