Barboncito, capo, guerriero e oratore del popolo Navajo

A cura di Marco Aurilio

Un bel ritratto di Barboncito, tratto dalla sua foto originale
Barboncito nacque nel 1820, per il clan Ma’iides-gizhnii,(che accolse indiani del Pueblo di Jemez dopo la loro rivolta nel 1680) nel cuore del territorio navajo, il Canyon De Chelly. Della sua vita prima della guerra navajo del 1864 si sa poco. Ebbe due mogli e vari figli; Delgadito (Cachos Nez), El Sordo e Josè Pelon i soli fratelli noti. In gioventù si distinse come guerriero mentre in età più avanzata per la sua capacitò di leadership, la ricerca della pace e la conoscenza di canti e cerimonie tradizionali.
Nel 1846 aveva già un ruolo importante nella tribù dato che fu uno dei segnatari del trattato Doniphan. Alcuni anni dopo nel 1853 viveva ad Encino Gordo tra il Canyon de Chelly ed il fiume San Juan e fu probabilmente tra i capi ricevuti dal Governatore Meriwether nello stesso anno. Nonostante il nome Barbon, Barboncito, El Barbon o con altre varianti appaiano molto spesso in documenti riguardanti la storia navajo, Henry Linn Dodge lo citò anche con il nome di “Fairweather”, agli inizi degli anni cinquanta. Quando nel 1858 scoppiò una disputa a causa di alcuni capi di bestiame con i militari di Fort Defiance, si recò a Santa Fè per ottenere un risarcimento in nome dell’amico Manuelito, ma fallì nel suo intento. Seguirono momenti di tensione che portarono ad una campagna militare guidata dal Colonnello Dixon S. Miles. Barboncito però intercettò i militari all’ingresso del Canyon de Chelly e riuscì a negoziare una tregua. Nel frattempo tra il suo popolo era ormai noto come Hastiin Daghaì Yazhi (“Uomo con i baffi” o “Uomo dalla piccola barba” appunto), ma in questo periodo di scontri era più frequentemente chiamato Haskee Yich’i Dahilwo (“Ansioso di correre contro i nemici” o “Arrabbiato corre contro i nemici”). In questi anni i Navajos razziavano in lungo e in largo nel Nuovo Messico, ma nel contempo subivano spedizioni di schiavisti neomessicani. Nel 1860 “Ansioso di correre contro i nemici” al fianco di Manuelito ed Herrero Grande attaccarono l’odiato Fort Defiance, non riuscendo però a sopraffare i meglio armati difensori. Durante l’anno, gli scontri tra Navajos e gruppi di milizie neomessicane continuarono incessantemente.


Un canyon

Nel mese di Luglio in uno di questi scontri Barboncito rimase ferito. L’anno dopo fu firmato il trattato di Fort Flauntleroy nel quale compiono i nomi Barboncito e Barbon, ma gli anni che seguirono furono ugualmente turbolenti.

IL FURTO DEI MULI, L’ASSEDIO DI FORTRESS ROCK E LA FUGA DALLA RISERVA

James H. Carleton, nominato comandante militare del Nuovo Messico, dopo aver costretto alla resa gli Apache Mescaleros diresse la sua attenzione agli ancora liberi Navajos. Si sarebbe servito, come aveva fatto per i Mescaleros, di Kit Carson per raggiungere il suo obiettivo… quello di spostare tutti i Navajos in una riserva sul fiume Pecos, Bosque Redondo. Il 14 Aprile 1863 Barboncito ed il fratello Delgadito lo incontrarono a Santa fè ed alla sua richiesta di trasferimento opposero un secco rifiuto; fu guerra. Nell’estate del 1863 la prima campagna militare non portò a grandi successi. Manuelito aveva portato la sua banda ad ovest verso il Gran Canyon, Delgadito e Barboncito si muovevano tra il Canyon de Chelly, la Sierra Escudilla ed i monti Datil. Nel mese di Settembre gli Hopi affermarono di aver attaccato i Navajos che si nascondevano nei pressi del Rio Quemado e di aver ucciso Barboncito, si trattava ovviamente di uno scambio di identità. Nel mese seguente un fratello del capo, El Surdo, si presentò a Fort Wingate offrendo collaborazione nel fermare i Navajos ritenuti responsabili delle razzie sul territorio neomessicano, ma il suo aiuto non fu preso in considerazione. El Surdo verrà ucciso poco tempo dopo in uno scontro con le truppe sul Rio Quemado. Nel mese di Novembre solo 200 indiani erano stati trasferiti a Bosque Redondo così Carleton decise di inviare Carson nel Canyon De Chelly. Per questa spedizione l’esercito aveva preparato un gran numero di muli destinati al trasporto di razioni e munizioni, ma non aveva fatto i conti con l’astuto Barboncito. Il 13 Dicembre, a sud delle Black Rocks vicino Fort Canby, piombò all’improvviso con i suoi guerrieri tra gli animali dell’esercito disperdendoli. Carson, sconcertato dall’ audacia della sua azione, fu costretto a tornare indietro ed a rimandare l’invasione; il 6 Gennaio 1864 muoverà nuovamente contro i Navajos del Canyon de Chelly. Nel mese di Febbraio Delgadito si arrese. Fu in questi freddi mesi invernali che si svolse quello che i Navajos ricordano come l’assedio di Fortress Rock (Tsee’Laa), una roccia di arenaria alta più di 200 metri. I Navajos usando dei lunghi pali di pino come scale e grazie a strategici appigli posizionati nelle pareti riuscivano a salire e scendere da quell’inespugnabile rifugio. Barboncito condusse la sua banda composta da circa 300 persone sulla cima di Tsee’Laa con ingenti scorte di cibo e fece ritirare i pali usati come scale. I militari di Carson si accamparono nei pressi di una sorgente presente alla base di Fortress Rock, per tenerla sotto controllo e costringere gli indiani ad arrendersi per via della fame e della sete. Dopo due settimane l’acqua iniziò a scarseggiare tra gli assediati. Sotto la guida di Barboncito i guerrieri organizzarono una catena umana sul ripido fianco della montagna. L’ultimo uomo della catena, una volta giunto a terra, silenziosamente riempì vari otri di acqua, che uno alla volta furono fatti recapitare in cima. Le sentinelle di Carson non si accorsero di nulla e dopo vari giorni di assedio furono proprio i soldati a doversi ritirare per mancanza di viveri, sotto gli sguardi ironici dei Navajos. Sempre nel Febbraio del 1864 un uomo nei rapporti militari chiamato “Barbon n. 2” insieme ad Herrero Grande visitò Fort Canby e decise di arrendersi. Non si sa con certezza se fosse proprio Barboncito, dato che in altri documenti compaiono nomi come “Barbon n. 1” e ”Barbon n. 2 o Kla” (in un rapporto di Maggio 1864 invece vengono indicati “El Barbon n. 1” ed “El Barbon n. 2” figli del “vecchio Barboncito o Kla”). I nomi di suoi due figli noti con certezza sono Ticobasha e Punquia Tonca. Nell’estate seguente il Capitano Thompson durante un altro scouting del Canyon de Chelly incontrò il capo che lo informò della sua volontà di arrendersi.


Ticobasha, figlio di Barboncito

La presenza di Barboncito a Bosque Redondo, sicuramente infuse coraggio a tutti i prigionieri, ma la nostalgia per il suo territorio lo spinse non molto tempo dopo a fuggire. La notte del 14 Giugno 1865 Barboncito e Ganado Blanco fuggirono con ben 500 persone, cercando rifugio sulla Sierra Escudilla. Nel Novembre 1866 però si consegnò di nuovo a Fort Wingate e raggiunse il suo popolo prigioniero sul fiume Pecos. Nella tradizione orale dei Navajos in quell’anno di libertà Barboncito e Manuelito respinsero un numeroso gruppo di invasori Utes nel Canyon del Muerto.

UN COYOTE NEL CENTRO ED UN BERSAGLIO IN FIAMME

Il destino dei Navajos era ancora incerto, il Generale Sherman voleva trasferirli ad est nel cosi detto “Territorio Indiano” l’Oklahoma. In questi anni molte volte l’uomo che ora i Navajos chiamavano “l’Oratore” si confrontò con i militari. Ad Aprile 1868 si recò a Washington per parlare con il Presidente Johnson ma il colloquio decisivo per stabilire il destino dei Navajos era fissato il 28 Maggio 1868 a Bosque Redondo. Barboncito leader riconosciuto, aveva ora la responsabilità di parlare per il suo popolo, nel tentativo di convincere Sherman ad acconsentire alla formazione di una riserva nel loro territorio ancestrale. Nei giorni prima dell’arrivo della commissione Barboncito sfidò i militari in una gara di tiro con l’arco; si sarebbero affrontati uno dei suoi guerrieri ed uno degli scout Ute dei soldati. I militari scommisero sullo scout Ute, Barboncito scelse Inoetenito (K’aa K’ehi, “Uomo a cui piace colpire con le frecce”) del Clan navajo “Folded arm people”. I soldati posizionarono un bersaglio di pelle, di 6 pollici di grandezza, tra i rami di un albero in un piccolo bosco. L’Ute scagliò per primo la freccia, mancando il centro del bersaglio di un pollice. Poi toccò ad Inoetenito che colpì perfettamente il centro. Sempre nei giorni precedenti l’arrivo della commissione presieduta dal Generale Sherman, Barboncito tenne una cerimonia del coyote. Una volta catturato un esemplare, i Navajos formarono un cerchio con il coyote nel centro e Barboncito diresse la cerimonia, al termine della quale si avvicinò all’animale e gli mise in bocca una particolare perla a forma di conchiglia. Il coyote possedeva ora una potente “medicina “ed avrebbe predetto la direzione in cui i Navajos si sarebbero diretti. L’ animale corse verso ovest, la direzione della terra natia, gli indiani si spostarono e lo lasciarono passare, libero. Agli occhi dei Navajos fu, dopo la vittoria di Inoetenito, un nuovo segno di buona sorte. Arrivato il giorno del colloquio, Barboncito prese il suo pugnale lo mise in uno stivale e si recò da Sherman, accompagnato da Manuelito, Delgadito, Herrero Grande, Torivio e Armijo. Quando venne informato dell’intenzione di mandarli in Oklahoma, estrasse il pugnale lo porse verso il Generale e gli disse:”Se decidete di mandare la mia gente lontano dalla loro terra, prima prendete questo coltello e uccidetemi”; il colloquio continuò il giorno seguente e “l’Oratore” ottenne la sua grande vittoria: i Navajos avrebbero avuto la riserva nel loro territorio, tra le quattro montagne sacre. Il lunedì 1 Giugno 1868 alle ore 9.00, il trattato fu firmato ed i Navajos intrapresero il viaggio di ritorno. Quando si trovarono nelle prossimità del Pueblo di Acoma, ormai vicino casa, Barboncito mandò indietro alcuni guerrieri tra cui Inoetenito, con l’ordine di colpire con una freccia incendiaria il bersaglio di pelle nel bosco in cui era avvenuta la gara con l’arco, come simbolo della loro vittoria. Dopo il ritorno nei loro territorio, Barboncito fu aiutato da Manuelito e Ganado Mucho nel guidare il suo popolo verso nuove abitudini e modi di vivere. Ma durante gli anni della prigionia non tutti i Navajos si erano arresi. Tra i 1000 ed i 2000 avevano trovato rifugio nelle remote aree nord e nord-ovest del loro territorio. Questi indiani continuarono anche dopo lo stabilimento dell’attuale riserva, a razziare gli insediamenti di coloni e mormoni in Utah. Nel tentativo di bloccare queste razzie il Capitano T.C. Bennet (“Grande pancia” per i Navajos) nel Novembre 1870 mediò tra il leader mormone Jacob Hamblin ed i capi indiani, ovviamente guidati da Barboncito, che non potè assicurare la cessazione dei raids ma garantì il massimo impegno nel cercare di fermare le bande settentrionali più ribelli. Il mese dopo però la sua salute peggiorò improvvisamente. Si ritirò allora nel suo amato Canyon de Chelly ed il 16 Marzo 1871, dopo tante battaglie fisiche e verbali Barboncito morì. L’importanza dell’ ”Uomo con i Baffi”, “Ansioso di correre contro il nemico”, “l’Oratore” nello sviluppo pacifico della storia dei Navajos fu impareggiabile. Senza il suo impegno e le sue capacità persuasive forse ai Navajos non sarebbe stato accordato “il privilegio” di tornare nei loro territori e la loro storia avrebbe preso una piega meno pacifica segnata da una possibile ripresa delle ostilità.

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