I difficili rapporti tra bianchi e Cheyenne

A cura di Alessandro Giannubilo


Verso la metà del 1800 il progresso spingeva i bianchi verso ovest con una velocità e una voracità mai viste prima. Le città nascevano improvvisamente e rapidamente lungo le piste di transito, sia come punti di riferimento per i coloni che si stabilivano in quelle terre pianeggianti e coltivabili, sia come punti di smistamento della ferrovia. Infatti, è proprio in questo periodo che si dà inizio alla costruzione della ferrovia transcontinentale da parte della Union Pacific e della Central Pacific (1862-1869).
Questo è anche il periodo delle scoperte e delle grandi innovazioni.
Solo nel settore bellico, tanto per dire, appaiono i primi fucili a ripetizione Henry (1860) e quelli Winchester (1866) e persino la tremenda mitragliatrice Gatling (1861), tutte armi che rendevano l’Esercito degli Stati Uniti uno dei più temibili avversari dell’epoca, specialmente per le nazioni indiane.


Gli indiani osservano il treno in lontananza

Un ostacolo che rallentava il realizzarsi del “sogno americano” erano proprio i nativi, gli indiani d’America che venivano combattuti e confinati in tristi riserve in cui si finiva rapidamente per perdere radici, tradizioni e cultura di popoli interi.
In quell’epoca così frenetica e a suo modo tecnologica, non c’era tempo né spazio per la vita libera a contatto con la natura, per la caccia e i racconti intorno al fuoco, per la guerra a fine di conquista di onori… tutti valori che i bianchi non comprendevano e che, anzi, vedevano come inutili e persino pericolosi fronzoli.
Il popolo dei Cheyenne fu al centro di alcune delle guerre indiane più sanguinose, poiché i loro territori erano attraversati dal flusso dei coloni.
L’esercito degli Stati Uniti cercò inutilmente di convincere gli indiani a spostarsi in riserve. Un modo per avere i nativi sotto controllo e per risolvere la questione indiana in modo pacifico.
Quella dei Cheyenne, però, era una tribù nomade con uno spirito di libertà molto forte, per loro essere confinati in un unico luogo non era accettabile.


Il famosissimo capo Naso Aquilino (a destra)

Alcuni capi iniziavano a comprendere la forza degli stranieri dal volto pallido e volevano la pace con “i bianchi”, mentre altri, più orgogliosi e tenaci, saldamente attaccati al proprio stile di vita, si ribellavano. Questa insofferenza innescava scaramucce e battaglie. Ne seguì una indiscriminata caccia ai Cheyenne che portò all’episodio più triste della storia di quei tempi, il massacro di Sand Creek (1864).
Il villaggio era situato in una riserva assegnata da un trattato stipulato appena qualche mese prima. Si narra che nell’accampamento sventolasse la bandiera americana come segno di pace. Purtroppo, però, i soldati ignorando questo simbolo di pace, eseguirono gli ordini senza alcuna pietà, uccidendo tutti gli indiani del villaggio. All’alba un numero di soldati tre volte superiore attaccò il villaggio, fu un agguato in piena regola, tutti gli indiani, di cui la maggior parte dei quali erano donne e bambini inermi, furono trucidati. I cadaveri di uomini e donne furono mutilati e questi trofei vennero poi mostrati in città come prova della vittoria nei confronti dei “selvaggi”.
Lo scalpo soprattutto era il trofeo più ambito.


Il massacro sul fiume Sand Creek – clicca per INGRANDIRE

Quando le voci sulle atrocità della battaglia raggiunsero il Congresso, con profonda indignazione venne aperta un’indagine che purtroppo, non portò ad alcun risultato concreto. Dopo questo ed altri episodi cruenti, i capi indiani capirono che combattere i bianchi non era conveniente per il loro popolo, anzi solo sotterrando l’ascia di guerra e impegnandosi in una pace incondizionata era possibile garantirne la sopravvivenza. I pochi capi Cheyenne che volevano la pace mantennero una pacifica esistenza con i bianchi. Cercarono, tuttavia, di proteggere per quanto possibile la cultura Cheyenne, trasmettendo le tradizioni del popolo alle nuove generazioni, che già si integravano nel mondo dei bianchi frequentando scuole fuori dalla riserva.
Ormai il “popolo rosso” lasciava il presente per entrare nei libri di storia.

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