Along the River
A cura di Giampaolo Galli
Along the River
Una battuta di caccia, un cinico avvocato che indaga su un efferato caso di omicidio, e uno sceriffo che scopre di avere un figlio assassino.
Sono questi gli elementi principali da cui si sviluppa la trama di Lungo il fiume, il racconto da cui è stato tratto il cortometraggio Along the River con Franco Nero, per la regia di Daniele Nicolosi, e che questa settimana ha conquistato un ambito riconoscimento come premio speciale per opere straniere agli American Movie Awards, uno dei festival più importanti per il cinema indipendente. In origine, avevano partecipato a questa rassegna nomi come Steven Spielberg, Michael Cimino, Clint Eastwood, Meryl Streep, Burt Reynods, Henry Fonda, e molti altri.
La consegna ufficiale del trofeo in cristallo avverrà il 22 maggio a Las Vegas, Nevada.
Quando scrissi questa breve storia quattro anni fa, non potevo certo immaginare che avrebbe fatto tanta strada, fino ad approdare oltreoceano e conquistare i critici cinematografici americani.
Il racconto era stato selezionato e pubblicato on line in un’antologia edita da Farwest.it, e per me fu come lanciare la classica bottiglia nel grande oceano di internet e sperare che qualcuno prima o poi la raccogliesse per leggervi il messaggio contenuto all’interno.
Giampaolo Galli con il mitico Franco Nero
Con mia grande sorpresa andò proprio così, e una sera ricevetti la telefonata di Daniele Nicolosi, che allora ancora non conoscevo, il quale dopo aver letto il mio racconto, mi propose di lavorarci assieme per trarne una sceneggiatura.
Pur rispettando l’impianto narrativo originale e le tematiche affrontate, la storia venne cambiata radicalmente nel finale, per esigenze logistiche e di copione. Il risultato fu un cortometraggio di circa 27 minuti, titoli compresi, un piccolo gioiello realizzato in grande economia di budget e con tempi davvero ristretti.
Along the River è un western crepuscolare, ambientato nel nord del New Mexico nel 1905, un’epoca in cui il mondo del west si stava ormai sgretolando davanti all’incalzare del ventesimo secolo e dei radicali cambiamenti della nuova società industriale.
Il confronto tra lo sceriffo Frank De Ville ed il suo antagonista, l’avvocato Timothy Suffolk, simboleggia ed enfatizza questo scontro tra vecchio e nuovo. Al mito della frontiera americana, inteso come limite geografico oltre il quale iniziano le terre selvagge, si sostituisce la frontiera temporale tra ‘800 e ‘900, e la difficile convivenza tra i valori della tradizione e la modernità. Nel farlo, il racconto e la sua trasposizione cinematografica sfiorano questioni ancora irrisolte quali la violenza sulle donne, la corruzione e la distruzione ambientale.
In estrema sintesi, Along the River è una favola nera, che pur indossando i panni logori di un west ormai agli sgoccioli, riflette i mali tipici del nostro tempo, devastando anche i rapporti famigliari più intimi.
Oggi risulta estremamente difficile per chiunque scrivere racconti o romanzi tipicamente western, e personalmente considero la fase classica del genere ormai conclusa, così come lo è stato un certo tipo di cinema, che negli anni ’60 e ’70 ha dato il meglio della sua produzione, negli Stati Uniti come qui in Italia. Nonostante ciò, sono altrettanto convinto che il west americano abbia ancora molto da dire, sia in chiave moderna che storica, e gli esempi, letterari e cinematografici, sono sotto gli occhi di tutti. Basti pensare al recente successo di The Revenant, o all’ultimo romanzo di Philips Meyer, Il figlio, acclamato dalla critica americana come una delle migliori opere letterarie degli ultimi anni.
Nella stesura del racconto originario, come in tutti gli altri miei scritti, mi hanno aiutato molto le esperienze di viaggio negli Stati Uniti, spesso vissute negli stessi luoghi nei quali ho ambientato le mie storie. La descrizione della natura maestosa e selvaggia del west americano costituisce per me una condizione imprescindibile all’interno della quale costruire e sviluppare la trama del racconto. Se ancora oggi le mesas e i pinnacoli della Monument Valley rappresentano l’icona del cinema western, lo dobbiamo al talento visionario e all’intuito di registi come John Ford che hanno trasformato un semplice elemento paesaggistico nel simbolo intramontabile di un mito.
Nei miei quattro racconti, pubblicati in altrettante antologie da Farwest.it, ho voluto dar voce a personaggi minori e controversi, molto lontani dagli stereotipi della tradizione western più classica, nella quale la distinzione tra bene e male è spesso netta e troppo scontata. Credo che anche questo sia stato uno degli aspetti che abbia colpito in modo favorevole il regista Daniele Nicolosi, particolarmente attento nel cogliere le situazioni e le dinamiche border line, soprattutto in ambito famigliare.
Sono ormai trascorsi più di quattro anni dal giorno in cui mi misi a scrivere questa storia, ed oggi è arrivato un riconoscimento che è andato ben al di là di qualsiasi aspettativa.
La lista di persone che hanno contribuito a questo successo è davvero lunga, così come è stata interminabile la sequenza di delusioni, ritardi, problemi finanziari e porte in faccia che hanno accompagnato la realizzazione dell’opera cinematografica.
Il film ha ottenuto un importante riconoscimento negli USA
Molto spesso, davanti al concretizzarsi di un importante risultato, tendiamo a vedere solo la parte superiore dell’iceberg e non consideriamo la montagna di ostacoli e frustrazioni che la sorregge, e che rimane inesorabilmente sotto il pelo dell’acqua, ma forse è giusto che sia così, perché il frutto da gustare ha un sapore ancora più dolce.