Le armi dei trapper

A cura di Gualtiero Fabbri

“Il trapper girava sempre con in mano il suo fucile, stesse seduto sull’uscio di una capanna, o si spostasse di pochi metri, dalla sua tenda al fuoco del vicino, scendesse al ruscello per l’acqua del caffè o per esigenze primarie, il fucile era sempre con lui, l’arma riposava tra le braccia del suo padrone tutte le notti, sia che fosse da solo all’addiaccio nel bosco, o tra amici al sicuro in un campo sorvegliato da sentinelle.
Quando posava le trappole, gli bastava allungare la mano di poco e lo aveva nuovamente a disposizione…” Prinz Maximilian von Wied und Neuwied, da “People of the First Man: Life among the plains Indians” (1833-1834).
E ancora: “Il trapper dava al proprio fucile nomignoli e vezzeggiativi, come se fosse un “essere” piuttosto di una “cosa”, sapeva sfruttarne i pregi e ne conosceva i difetti nascosti; nei bivacchi, inventava storie improbabili e mirabolanti per magnificare l’arma e la sua abilità di tiratore”.
Quindi l’arma del trapper era il fucile… ma quale modello?
Sicuramente non fu il Kentucky che non esisteva ancora; forse fu il Pennsylvania oppure era un’arma di derivazione inglese, mutuata dal Brown Bess, o al contrario di ispirazione francese, un’arma che si richiamava al modello Charleville? Oppure uno Southern o l’Hawken?
Cercheremo di individuare quali fossero i modelli o, meglio, i tipi di fucile usati dai trapper lungo la frontiera nei primi decenni dell’ottocento.

Il fucile del trapper
Era di norma un “Long rifle” a pietra focaia e almeno nel primo quarto del XIX secolo, ci piace pensare ad un trapper armato del mitico Pennsylvania, la “longue carabine” del protagonista del film “l’ultimo dei Mohicani”, anche se ovviamente la realtà era un poco diversa.
Ovviamente, sulla frontiera non vi era una regola generale per armarsi e l’unico imperativo era che l’arma fosse la più affidabile e pratica possibile e il costo, quindi, non rientrava nelle discriminanti per la scelta.


Trapper a cavallo col loro inseparabile fucile

Per l’affidabilità non ci furono problemi, bastava farsi costruire un’arma derivata da un collaudato fucile militare.
Per quello che riguardava la praticità, oltre ad un iniziale ragionamento, sarebbe stato poi l’utilizzo “sul campo” a far prevalere le soluzioni più idonee. Non a caso si citano spesso il fucile Brown Bess e il Charleville, i due fucili che furono protagonisti delle guerre in Europa e nel mondo dalla seconda metà del settecento.
Fin dalla prima colonizzazione, il Nord America fu un affare tra la Francia e l’Inghilterra e ambedue le nazioni portarono le proprie armi sul continente americano e queste lasciarono un segno sulle produzioni che in seguito si svilupparono nel Nuovo Mondo.
Per riconoscere a colpo d’occhio un Brown Bess da un Charleville, ma anche un’arma di derivazione francese da una inglese è sufficiente controllare come è attaccata la canna al legno che la sostiene… Le armi inglesi hanno sotto la canna piastrine saldate con un foro, generalmente quadrato, e la canna è solidale al legno tramite chiavette metalliche.
Le armi francesi invece hanno la canna solidale al legno tramite fascette metalliche che avvolgono canna e legno assieme.
La rivoluzione americana fu combattuta anche con il contributo delle armi francesi e il sistema di attacco francese fu in seguito adottato dagli Stati Uniti per i suoi fucili militari e verrà usato per molti anni a venire. Il sistema inglese fu quello usato nelle armi utilizzate dai cacciatori e mercanti anglo-canadesi del nord-ovest.


Un Pennsylvania Rifle

Tra le mani dei cacciatori della Hudson Bay c’era spesso un robusto fucile, mutuato dal Brown Bess, con una canna, abbastanza corta per l’epoca, di una novantina di centimetri in calibro 52; molti cacciatori canadesi trovarono però conveniente usare armi a canna liscia, abbinati alla canna accorciata che trovavano più pratici e veloci da caricare in movimento e ne avevano tanti, come vedremo in seguito.
La “culla” delle armi americane fu lo Stato della Pennsylvania, dove armaioli di origine centro-europea dettero inizio alla fabbricazione di armi che si rifacevano ai loro Jaeger e da queste produzioni nacquero i lunghi e leggeri fucili detti Pennsylvania (oppure, in seguito, Kentucky).
Questi fucili erano armi eccellenti, costruiti accuratamente, abbelliti con incisioni e riporti in metallo e osso, dotati di smaglianti “patchbox”; la lucidatura del legno di acero, con le sue striature e la curiosa piega a “gobba” del calcio li rendeva immediatamente riconoscibili e anche in questi, come nelle armi inglesi, la canna era solidale al legno tramite chiavistelli passanti.


Brown Bess

Certamente vi furono cacciatori e commercianti che si inoltrarono nell’ovest più profondo fidandosi del loro preciso e micidiale fucile Pennsyilvania, ma questa era un’arma più idonea alla “rappresentanza” che alla fatica, da utilizzare nelle fiere per il “tiro al tacchino” piuttosto che nei trekking sulle Rocky Mountains… E ben presto le esigenze dei trappers dettero vita ad un fucile più adatto alle loro necessità.
L’arma più comune tra le mani dei trapper americani, dalla fine del XVII fino agli inizi del 1830, fu quindi un fucile che aveva grosso modo lo stesso calibro ‘45 di un Pennsylvania, era dotato ovviamente di sistema di accensione a pietra, aveva mediamente una canna rigata di un metro, un poco più corta del “cugino”, non aveva più intarsi o inserti luccicanti che potessero rivelare la sua presenza nella boscaglia, aveva un calcio più massiccio e resistente, era quasi sempre privo di Patchbox e se lo aveva era di normale acciaio. Questo era l’American Rifle, o Common Rifle, o meglio “Mountain Rifle” o “Plain Rifle”, chiamato scherzosamente dagli utilizzatori “Shoutern Poor Boy” o Tennessee Rifle, tanti nomi per confermarci che in definitiva non ne aveva nessuno, ovvero non esisteva un modello od una marca precisa a cui fare riferimento.


Uno dei primi “Pennsylvania” fabbricati a Lancaster

Se per la paternità di un fucile inglese si fosse azzardato il nome Barnett di Birmingham, c’era una forte possibilità di azzeccarci essendo stato il maggior fornitore di armi per i cacciatori della colonia canadese e dei “Northwest Trade Guns”.
Dare la paternità ad un Plain Rifle diventa problematico; vi era una miriade di costruttori e forse quello che diventerà in seguito più famoso sarà Henry Deringer per le sue pistole, oppure la bottega dei fratelli Hawken.
Il fucile del trapper un nome lo aveva, ma non era quello del modello o della fabbrica… era un nome proprio datogli dal padrone come fosse un cavallo o un cane fedele.
Il nome serviva al trapper nei racconti attorno al fuoco per magnificare la sua mira eccezionale. Naturalmente, poi, l’arma era certamente dotata di poteri soprannaturali, grazie ai quali erano stati eseguiti tiri che sfidavano ogni legge della fisica.
Ecco alcuni esempi:

  • Fetchem, era il fucile di Bill Williams (forse era una storpiatura di “fetch hem”, prendere, agguantare, essi);
  • Bullthrower, il fucile di John Hatcher (lanciatore di bufali);
  • Old Straightener, il fucile di Rufus Sage (vecchio raddrizzatore);
  • Knock Him Stiff, il fucile di Zenas Leonard (colpiscilo a morte, molto poetico);
  • Old Bill, il fucile di William Ashley, un Super-Hawken calibro .68 con una canna lunga più di un metro;
  • Ginger, il fucile di Moses “Black” Harris.

Sicuramente il trapper possedeva anche altri tipi di armi da fuoco e sulla cavalcatura trovavano solitamente posto un paio di pistole tenute in fondine chiuse e attaccate alla sella.


Un Plain Rifle

I fucili erano normalmente più di uno e quando non c’erano problemi di trasporto il trapper si portava dietro anche un fucile a canna liscia, in grado di sparare a pallini, che tornava utile per il pranzo. Questa seconda arma poteva essere accompagnata anche da qualche altro fucile simile da usare come merce di scambio e questi erano i famosi “Trade Musket”.

Il Trade Musket
“L’acqua di fuoco” e la “canna tonante” erano il genere di articoli più richiesti nel commercio delle pellicce al tempo dei trappers.
Riguardo alla prima merce il problema fu risolto trasportando barilotti di alcool puro nei luoghi di scambio e fabbricando il whisky sul posto.
Per il secondo articolo si provvide con la vendita di particolari armi che rispondevano a tre principi generali: il basso costo, una buona affidabilità meccanica (data dall’assenza di tutto ciò che non fosse essenziale al puro funzionamento e dalla riparabilità con un semplice cambio di pezzi), e una modesta capacità offensiva.
Il “trade musket”, pure nella sua varietà e diversità di tipi, era quindi un’arma che rispondeva a precise specifiche, fabbricata agli inizi quasi esclusivamente in Inghilterra e in Belgio e in un secondo tempo anche negli Stati Uniti da aziende americane.


Hawken Rifle

La sua distribuzione ai nativi americani fu avviata dagli inglesi e dai francesi fin dal loro arrivo sul continente, sia per motivi di scambio che per armare i nativi alleati contro gli avversari. Il commercio si intensificò poi al tempo della guerra di indipendenza e non fu mai praticamente interrotto. Questo tipo di arma si distribuiva ancora nella seconda metà dell’ottocento durante i “Trattati” e anche agli indiani “buoni” delle riserve.
I primi “trade musket” erano ovviamente ad avancarica ed a pietra focaia e anche dopo l’affermazione dell’accensione “a capsula”, per lungo tempo, i nativi continuarono a preferire quelli a pietra per motivi logistici di approvvigionamento del materiale di sparo.
Chiaramente essendo fabbricati da molte ditte non era un modello unico di arma, ma aveva delle peculiarità comuni a tutti:

  • erano di qualità e di materiale abbastanza scadente, non erano molto rifinite e non avevano abbellimenti, tranne uno;
  • erano armi a canna liscia, sprovviste di patch box, che è il ripostiglio ricavato sul lato destro della cassa, dove prendono posto le “pezze” per avvolgere la palla, e accessori vari;
  • mancava anche lo “stecher”, un accessorio che facilitava lo scatto del grilletto e quindi permette tiri più accurati e precisi, semplificando la piastra e riducendo al minimo i rischi di un malfunzionamento;
  • il calcio non aveva la classica “curva” all’americana, ma era simile al moschetto inglese;
  • il ponticello del grilletto era solitamente sovradimensionato per agevolare l’utilizzo dell’arma con i guanti;
  • quasi sempre i fornimenti e le montature erano in ottone;
  • una caratteristica comune a quasi tutti era la figura in rilievo di un drago (o forse un serpente, a seconda dell’abilità dell’artista) messa sul lato sinistro della cassa e che agli inizi dell’ottocento era presente in alcuni esemplari di fucile forse come marchio di fabbrica; il “drago” incontrò subito il favore della clientela indiana e se nel 1805 la presenza del drago era casuale, pochi anni dopo nessun nativo avrebbe mai comprato un “trade musket” sprovvisto di questa “medicina”.

Attorno agli anni venti dell’ottocento un nativo pagava per queste armi fino ad undici pelli di castoro; una pelle valeva, a quel tempo, circa sei dollari, mentre un trade musket “Best quality” al mercante ne costava 4,5.


Esempio di “serpente” o “drago” sul “trade musket”

L’arma veniva poi “personalizzata” dal nativo che gli applicava borchie, chiodi e monete, lo incideva e pitturava, spesso gli tagliava un pezzo di canna, perché così lunga la trovava scomoda, oppure perché aveva bisogno di un pezzo di ferro… Gli indiani si prendevano “cura” della loro arma a cui facevano di tutto, tranne che pulirla!
Preso atto del sistematico taglio della canna, i vari fabbricanti iniziarono a loro volta a produrre armi con canne più corte, mediamente sui 75-80 cm. Il fatto che esistesse, di queste armi una “best quality” fa pensare che vi potesse essere anche una “poor quality” con un suo grado di finitura tutto da immaginare!
I trade guns non furono prerogativa dei soli nativi, ma anche dei mountain men che li usavano per procurarsi la piccola selvaggina, magari caricandoli a palla in sostituzione del fucile a canna rigata, ovviamente con la limitata portata a sua disposizione.
Questo fucile, che per semplicità chiamiamo “Trade Musket”, veniva identificato con alcuni nomi diversi che volevano dire tutto e nulla: NorthWest Trade Gun, Hudson Bay Gun, Mackinaw Gun, Indian Trade Gun…
Un indiano con un fucile
Il termine generico per indicare un’arma ad avancarica a canna liscia era “scattergun”.
Per quello che riguarda i fabbricanti, si dice che fossero sopratutto inglesi e belgi, ma c’erano anche gli immancabili armaioli della Pennsylvania. Sui nomi dei fabbricanti nessuno si sbilancia e salta fuori solamente il già citato “John Barnett of London”.
I fabbricanti americani di queste armi dalla fattura andante erano gli stessi che fabbricavano i pregiati Hawken e Pennsylvania e che non volendo rovinarsi la reputazione evitavano di vantarne la paternità; spesso come marchi di fabbrica usavano l’immagine di un animale – che per i nativi era di più facile comprensione – come la volpe, animale astuto, il cui simbolo era uno di quelli ambiti. Tra i produttori americani si citano Leman, Deringer, Tryon che sono nomi famosi nel campo delle armi pregiate.
Identificare i fabbricanti belgi di armi è cosa ardua. Oltre a copiare i simboli di quelli degli altri paesi, i belgi imponevano l’ovale con la sigla ELG comune a tutte le armi della loro nazione, per poi aggiungere un paio di iniziali all’interno dell’arma per identificare il fabbricante.
Vi era anche tra i “Trade” la produzione di alcuni fucili di fattura più ricercata (forse i “best trade” che abbiamo nominato) e che erano presumibilmente destinati a capi o personalità native importanti. Questi fucili avevano generalmente la canna ottagonale e in alcuni era presente un’ovale con l’immagine di un “capo indiano”.
Il “trade musket”, che fu presente sulla frontiera sicuramente per un centinaio di anni (1775-1875) è stata l’arma americana più longeva e più diffusa ed in assoluto è stata l’arma più usata nella storia del Far west.


Il fucile dei trapper tra i Mandan

Quando Toro Seduto rientrò negli Stati Uniti dal Canada, il 19 luglio del 1881, era ancora armato con un “Trade Musket” a pietra focaia e così anche molti dei suoi.

Il successivo fucile dei Trapper
Nella seconda metà degli anni ’20 dell’ottocento, quando i Pennsylvania a pietra focaia stavano cambiando nome per diventare dei “Kentucky”, cominciarono a vedersi le prime armi a percussione di capsula. I primi brevetti riguardanti le capsule risalgono al 1820 e il primo che registrò uno di questi in America fu Joshua Shaw, nel 1822.
Come tutte le novità, l’accensione a capsula ebbe estimatori e detrattori. Questo sistema piacque molto agli amanti del progresso perché rendeva lo sparo più immediato e quindi l’arma era più precisa. Inoltre, con il nuovo sistema le false accensioni erano ridotte praticamente a zero. Un altro indubbio vantaggio dell’accensione a capsula era che l’arma poteva sparare con qualche cautela anche in caso di pioggia.
La vecchia accensione pietra di selce – che il nuovo sistema andava a sostituire – anche con il bel tempo aveva una percentuale di fallimenti che arrivava al 20-30% del totale dei tentativi e la pietra era poi soggetta ad un naturale logorio, il suo “filo” andava spesso ravvivato e comunque con una buona pietra si potevano sparare mediamente tra 50 e 70 colpi, poi occorreva sostituirla; anche la “martellina” da cui la pietra ricavava le scintille, si usurava, ed andava poi “risuolata”.


Un Assiniboine con il lungo fucile

I trapper e i mountain-men, solitamente molto esigenti per quello che riguardava la propria arma, furono restii a recepire la novità.
Il nuovo sistema imponeva di approvvigionarsi di capsule del tipo adeguato all’arma e la perdita o l’esaurimento di queste rendeva l’arma inutilizzabile, così come anche il loro deterioramento se, ad esempio, si bagnavano. Il maneggio delle capsule andava fatto con cautela; se la capsula sfuggiva dalle dita era poi irrecuperabile, specie in un prato o nel sottobosco e l’operazione non si poteva eseguire con i guanti, per cui nel freddo invernale e con le dita intirizzite, il loro inserimento sul luminello diventava problematico.
Con un’arma a pietra focaia invece, se si aveva polvere per la carica, ovviamente la si aveva anche per l’accensione e anche il più maldestro con qualche tentativo riusciva a fabbricare una “pietra” se non decente almeno funzionante; e se la polvere si bagnava, bastava aspettare che si asciugasse per poterla riutilizzare.
Innegabilmente, i vantaggi della “percussione di capsula” erano troppo importanti e pian piano anche i rudi montanari si adeguarono al nuovo sistema e già agli inizi degli anni ’30 i commercianti includevano tra la merce buoni quantitativi di inneschi a capsula.
Per certo, il trapper Nathaniel Wyeth, già nel 1831, era armato con un fucile a percussione e dal suo diario risulta che nel 1834, durante la sosta invernale, i suoi uomini convertirono tre fucili da pietra focaia a fucili a percussione, anche se non spiega come fu eseguita questa conversione, un’operazione per la quale occorrono attrezzi (trapano, filettatrice, mantice) che difficilmente erano in dotazione alle spedizioni di caccia, a meno che le armi non fossero state preparate in precedenza da un armaiolo e in seguito solamente assemblate.


Alcuni trapper armati di Kentucky

Dopo il 1830, quindi, l’arma più diffusa tra i mountain men fu un fucile, ancora simile ai vecchi Pennsylvania (ora anche chiamati Kentucky), ma con il sistema di accensione a percussione, sia che esso fosse stato convertito dalla pietra focaia oppure fabbricato “ex novo”.
Gli “scattergun” a canna liscia, così come i “trade gun” restarono invece, generalmente, con il vecchio sistema a pietra focaia.

Lo Hawken Rifle
Poco alla volta, poi, dalle mani dei trapper sparirono i lunghi fucili e il loro posto fu preso da un’altra generazione di armi che avevano alcune caratteristiche che richiamavano i primi fucili costruiti dagli armaioli tedeschi trapiantati in Pennsylvania, ossia la canna più corta che nei Pennsylvania, un grosso calibro; il legno, in queste armi, di regola si fermava a metà della canna; c’era lo “stecher”, per tiri accurati, e alcuni come “tacca di mira” usavano una diottra che consentiva una migliore precisione.
Il loro nome presso gli utilizzatori restò invariato: Shoutern, o Plain Rifle, oppure Mountain Rifle. La loro maggior potenza introdusse anche il nome di Buffalo Rifle.
I relativamente pochi che riuscirono a comprarsi una delle armi fabbricate in modo superbo da Jacob e Samuel Hawken a St. Louis chiamarono orgogliosamente la propria arma con il nome del costruttore.


Uno Hawken Rifle insieme ad altri oggetti del trapper

Ai giorni nostri tutti i fucili di questo tipo sono conosciuti con il nome di Hawken.
La bottega di Jacob Hawken fu attiva a St Louis dal 1815; nel 1822 si associò alla ditta anche il fratello di Jacob, Samuel, ed assieme produssero armi di ogni tipo, comprese le conversioni e le semplici riparazioni, fino al 1849.
In seguito il marchio Hawken fu usato da J. P. Gemmer, un loro ex impiegato, nella costruzione di fucili simili ai loro fino al 1861.
E’ stato stimato che i fratelli Hawken abbiano fabbricato circa 200 Plain Rifle all’anno, per un totale di fucili a percussione di circa 4.000 “pezzi”.
Secondo noi, l’Hawken, pur rimanendo un’arma simbolo dei trapper, ha solamente sfiorato il periodo di gloria dei trapper stessi… E’ un’arma postuma all’avventura dei cacciatori di castori sulle Montagne Rocciose e lo si troverà più facilmente in mano agli ex mountaneers, riconvertiti in esploratori dell’esercito, o in guide nelle spedizioni o a capo delle carovane dei pionieri e nelle mani dei volontari e tiratori scelti fino al termine della Civil War.

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