Intervista a May I. Cherry
A cura di Domenico Rizzi
Mariangela Cerrino
Esplorando il panorama delle “Ombre rosa” di casa nostra, ci si imbatte in una scrittrice che in passato ha dato un notevole contributo alla narrativa western, al tempo in cui il genere era dominio incontrastato degli uomini e le donne che se ne occupavano costituivano una vera rarità.
Esordì nel lontano 1966 con un romanzo intitolato “Blue River”, quand’era ancora adolescente, adottando uno pseudonimo che suonava molto americano: May I. Cherry. Il romanzo venne pubblicato, come tutti gli altri che seguirono, da una grande casa editrice italiana. L’anno successivo ne fece seguire addirittura altri due, “L’ultimo cielo” e “L’anima selvaggia”, confermandosi come autrice creativa e appassionata della Frontiera. In un mercato ristretto e tutt’altro che facile, per questo genere, come quello italiano, May continuò imperterrita per vent’anni, sfornando un’opera dopo l’altra, sempre rigorosamente di stampo western.
Poi, la scrittrice torinese, votata alla narrativa, ampliò decisamente il proprio campo d’azione, passando alla science fiction ed alla fantasy e addentrandosi nel mistero degli Etruschi. Da quel momento si riappropriò del suo vero nome, Mariangela Cerrino, pubblicando libri importanti per la grossa editoria, ma gli appassionati del genere western rimangono legati ai suoi bellissimi romanzi ambientati nella Vecchia Frontiera ed ai 18 suggestivi titoli che ne sintetizzano le storie.
Cortesemente, May Cherry – preferiamo chiamarla ancora così – ci ha concesso una lunga intervista relativa al periodo in cui la sua fantasia trasvolò dalle nebbie della pianura piemontese alle sconfinate foreste del Nord America, popolate di Indiani e di intrepidi frontiersmen, per alimentare i sogni degli amanti dell’avventura.
Domanda: Signora Cerrino, da dove le proviene la passione per il western? Quali furono gli autori che la affascinarono maggiormente e a che età cominciò a scrivere?
Risposta: La passione per il western certamente è nata in ambito famigliare. Mio padre era un appassionato e aveva tutta la raccolta dei mitici Sonzogno con la “copertina rossa”, che gli amanti del genere non possono non conoscere. Ho cominciato a leggerli quando non avevo più di otto anni (a sette anni avevo già letto “I Tre Moschettieri”). Sono stata una lettrice molto precoce. Inoltre quello era anche un tempo di grandi film western, che certamente hanno avuto una grande importanza nel mio immaginario. Il mio primo romanzo l’ho scritto a quattordici anni, ed era proprio “Blue River”.
D: Quanti romanzi western ha scritto nella sua carriera?
R: Diciotto, molti dei quali presentati in due volumi, e poi ci sono state numerose ristampe.
D: Quale, fra questi romanzi le è più caro?
R: Tutto il ciclo di Elijah McGowen, il mio personaggio preferito, e poi gli ultimi due (che in realtà sono le due parti di un solo romanzo): “I fiumi del Vento” e “La Luce sulle montagne”. Sono una vera saga di “chiusura”. Iniziano nel 1848, con la corsa all’oro e la penetrazione delle grandi montagne dell’ovest, e terminano nel 1905, con la scoperta dei pozzi di petrolio. Un sogno che si chiude e che si consegna al ricordo.
D: A quali autori (esempio: Zane Grey, Owen Wister, Max Brand, ecc.) o autrici americane (Dorothy M. Johnson, Mary O’Hara, Laura Ingalls, ecc.) si è eventualmente ispirata?
R: Certamente Zane Grey è stato importante nel mio esordio. Ma anche James Curwood, perché ho sempre amato più la “frontiera dell’est” che quella dell’ovest; le grandi foreste, i laghi e il periodo precedente alla rivoluzione americana mi hanno sempre affascinata. (“Tanimari” è ambientato in questo periodo).
D: Parliamo di successo letterario, che in Italia è una cosa difficile da ottenere, dati i limiti del nostro mercato. I suoi libri furono diffusi solo a livello nazionale o anche all’estero? In USA, per esempio?
R: Solo a livello nazionale. Sono tradotta in Germania e Spagna, ma non con i miei romanzi western.
D: Max Brand sosteneva che ciascuna trama può avere moltissime
sfaccettature e diramazioni e costituire quindi lo spunto per altri libri. Mi descriva lo schema di base su cui si fondano i suoi western, per esempio “I fiumi del vento” o “Blue River”.
R: Ogni romanzo si presta ad aperture verso nuove storie. A spin-off, come si dice oggi in gergo televisivo. Lo schema di “I fiumi del vento” e di “La luce sulle montagne?” La storia della vita di due uomini che doveva accompagnare passo passo quella di una nazione che stava nascendo e crescendo. Quindi la base è la storia, quella vera, su cui si tesse la trama. Ho sempre usato questo schema: la storia del luogo e del momento come canovaccio su cui intrecciare le vicende private.
D: Come sono i suoi personaggi? Eroi classici senza macchia e senza paura, oppure soggetti vissuti, con esperienze negative e passato da dimenticare?
R: Sono sempre personaggi complessi, assolutamente reali, con tutte le luci e le ombre dell’esistenza. Non ricordo di aver mai usato un “eroe” senza macchia e senza paura. Forse sono stata più benevola con le donne, lo confesso.
D: Che ruolo hanno le donne nei suoi libri?
R: Importante, ma sempre subordinato alla necessità della vicenda narrata, anche se ci sono alcuni personaggi femminili che hanno “rubato la scena”, come la Catherine di Tanimari.
D: Il suo primo romanzo, mi risulta, fu proprio “Blue River”, che lei
scrisse a soli 14 anni e pubblicò a 17 con la Sonzogno. L’ambientazione mi pare quella della Vecchia Frontiera, ma l’ispirazione, sostiene qualche critico, proviene soprattutto da Zane Grey. C’è qualcosa anche di Cooper?
R: Sì, “Blue River” era proprio un atto d’amore (vero amore) verso Zane Grey e i suoi personaggi, come solo può compierlo una ragazzina di quattordici anni. Già con “L’Ultimo cielo”, uscito nel febbraio 1967, non c’era più nulla di quella “dolce infatuazione”.
D: Ad un certo punto della sua vita, lei abbandonò il genere western, per passare ad altre esperienze. Oggi, che non si chiama più May I. Cherry, ha ancora qualche tentazione di tornare a scrivere dei western?
R: E’ passato molto tempo e, è il caso di dirlo, molti sono stati i sentieri… Non credo che scriverei ancora dei western, ma di certo potrei scrivere ancora di quella prima frontiera… magari intorno al 1600, sui Grandi Laghi. Chissà.
Intanto, non è escluso che proprio “I fiumi del Vento” e “La luce sulle montagne”, in un solo volume com’è giusto che sia, possano essere riproposti in un tempo non troppo lungo. Ma non sarebbe riproporre un western, bensì un romanzo storico a tutti gli effetti. Nella pagina May I. Cherry del mio sito è possibile trovare tutti i romanzi dedicati all’epopea americana, con una breve traccia della vicenda e le copertine: Link al sito.
Ovviamente ci auguriamo un suo ritorno al western, sempre in cerca di autori creativi che mantengano viva la sua intramontabile epopea.
Romanzi di ambientazione storico-western
(pubblicati come May I. Cherry):
Blue River, 1966
L’ultimo cielo, 1967
L’anima Selvaggia, 1967
Lettie Huddlestone, 1968
Rio Colorado, 1968
Il Sentiero della vendetta, 1968
Adios, Amigo, 1969
Dalla parte dove soffia il vento, 1969
La terra del signore, 1970
La ragazza di Quanah, 1970
Malpaso, 1972
La fortuna di Charity Hoss, 1972
La pista dimenticata, 1973
Tanimari 1982
Gloria del mattino, 1983
L’ultimo sentiero, 1983
I fiumi del vento, 1985
La luce sulle montagne, 1986