Carlisle Indian School: “Uccidi l’indiano, salva l’uomo”

A cura di Sergio Mura

Studenti indiani a Carlisle, prima e dopo l’ingresso
Erano trascorsi appena due anni dalla terribile tragedia di Wounded Knee (dicembre 1890) quando il capitano Richard Henry Pratt, fondatore della Carlisle Indian Industrial School della Pennsylvania, fu invitato a partecipare alla diciannovesima conferenza nazionale della “Carità e della correzione”.
Questa conferenza, dal nome certamente altisonante, si teneva quell’anno a Denver. Lì il capitano parlò tenendo in mano un foglietto di carta su cui aveva annotato un breve intervento.
” Un grande generale – disse – ha sostenuto che l’unico indiano buono è quello morto e che la scelta finale della distruzione dell’uomo rosso è stata la scusa per numerosi massacri. In un certo senso mi trovo d’accordo con l’idea di fondo, ma solo con quella.
Con il fatto, cioè, che tutti gli indiani esistenti dovrebbero essere morti. Uccidi l’indiano che è in loro e salva l’uomo.”
R. H. Pratt
Pratt sostenne anche l’idea che gli indiani aveva avuto l’opportunità di occupare uno spazio enormemente superiore a quanto avessero diritto a mantenerne e che l’unico modo per assimilarli all’uomo bianco sarebbe stata la diffusione della cultura dei bianchi tra loro, partendo dalle giovani generazioni.
“La Carlisle Indian School – proseguì Pratt – è una parte del progetto del nostro governo. Con le sue attività ha portato nelle tribù il germe del tradimento dei valori della cultura indiana e seminato lo spirito di lealtà nei confronti della nostra nazione. Allo stesso tempo, abbiamo provato a far sì che anche gli indiani possano fruire delle moltissime opportunità di crescita che ogni altro cittadino può cogliere ovunque. A Carlisle si insegna ai giovani indiani la lealtà per ciò che rappresenta il simbolo a stelle e strisce e poi si favorisce il ritorno di questi ragazzini “convertiti” tra la propria gente, affinchè il cambiamento diventi sempre più rapido e travolgente. In cambio, noi che siamo convinti che ogni uomo, bianco o rosso, abbia diritto alle stesse opportunità gli garantiamo che se si sceglierà di vivere del sudore della propria fronte, non mancheranno le occasioni per aiutare la propria gente molto più che centinaia di altri indiani che preferiscono persistere sulla strada del loro vecchio modello culturale.”
L’ingresso a Carlisle
Queste erano le parole con cui – basandosi sul comun sentire del tempo – un uomo bianco spiegava le buone intenzioni che sottostavano alle attività della Carlisle Indian School.
Accadeva, però, che quelle parole non rendessero per nulla giustizia dell’incubo che si trovavano a vivere le migliaia di bambini e ragazzini che venivano strappati alle loro famiglie e alla loro tribù per finire in un contesto assai prossimo alla segregazione.
Per carità, c’erano ampie eccezioni e anche questo concetto non fatica a trovare posto nella nostra testa. In fondo, tra il 1879 ed il 1918 oltre 12 mila bambini indiani furono obbligati a frequentare i corsi della Carlisle School ed è normale che in mezzo ad una massa così grande di esseri umani qualcuno si sia persino trovato bene.
Nel 1881, Maggie Stands Looking, una Lakota figlia di American Horse, scrisse a suo padre una letterina in cui diceva che “i miei cugini, i miei fratelli ed io stiamo tutti molto bene qui alla Carlisle Indian School […] il capitano Pratt è tanto gentile con noi.”
Un’altra eccezione dal sapore leggendario fu Jim Thorpe, un indiano Sac e Fox che si seppe distinguere all’interno della scuola e che divenne un atleta famosissimo, al punto da essere ricordato tra i migliori del XX secolo.


Una classe al lavoro

Eppure, non bastano certo alcune felici casualità a rendere più digeribile una realtà tragica che affondava le radici sulla difficile condizione degli indiani delle pianure alla fine delle guerre indiane. Appena l’8% degli studenti riusciva a concludere positivamente il corso di studi conseguendo un diploma; almeno il 20% riusciva a scappare e a fare ritorno tra la propria gente; quasi 200 ragazzini persero la vita all’interno della scuola.
Non stupisce, dunque, che in tempi recenti la Carlisle School sia stata confrontata a campi di concentramento o a centri di lavaggio del cervello.
Questa era la triste realtà che vivevano i bambini indiani quando venivano portati via a forza dal loro ambiente e rinchiusi in un ambiente freddo e ostile in cui tutto mirava a privarli della loro cultura e della loro stessa lingua.
Le punizioni, il divieto di esprimersi in modi e parole indiani, l’adozione di costumi e vestiti tipici dei bianchi hanno un solo possibile nome: assimilazione forzata.
E’ chiaro che gli occhi di un uomo dei nostri giorni vedono e giudicano secondo parametri completamente differenti da quelli che muovevano le azioni di molte persone di buona volontà nel XIX secolo. Sotto questo ombrello di razionalità è possibile arrivare a definire la Carlisle come un tentativo che avrebbe voluto essere nobile, ma che è fallito sotto ogni punto di vista.


Gruppo di studenti in divisa all’interno della Carlisle

E il velo di nobiltà di cui si sarebbe voluta ammantare la Carlisle School era legato ai suoi promotori. Ad esempio, quant’era nobile l’intenzione di Richard Henry Pratt?
L’uomo era nato nello stato di New York ed aveva prestato sevizio nei ranghi dell’esercito statunitense in un periodo molto intenso e drammatico nelle relazioni con gli indiani. Tra il 1867 ed il 1875 era stato ufficiale di cavalleria ed aveva avuto una parte nelle campagne del Washita e del Red River.
Da militare Pratt ebbe l’occasione per sperimentare le sue idee. Accadde nel 1875 quando fu necessario scortare 72 prigionieri Kiowa, Comanche e Cheyenne fino a Fort Marion. In quell’occasione Pratt chiese ed ottenne il permesso di provare ad istruire una parte di quegli indiani. Gli fece insegnare a leggere, scrivere e a praticare un po’ di esercizio militare. Poi ottenne di farli uscire da Fort Marion (nel 1878) e farli ritornare tra la loro gente.


La banda della scuola schierata nel cortile

Altri indiani furono successivamente inviati a studiare in Virginia presso una scuola riservata a studenti di colore. In generale l’esperimento sembrò dare qualche soddisfazione a Pratt che ottenne, nel 1889, anche il permesso di costruire una nuova scuola, la Carlisle, nel posto in cui, in Pennsylvania, sorgevano alcune baracche di proprietà dell’esercito. Sempre nel 1879, in settembre, lo stesso Pratt si prese la briga di girare le riserve Sioux, riuscendo ad ottenere l’affidamento temporaneo di ben 82 bimbi e tra questi un pronipote di Nuvola Rossa e tre figli di Cavallo Americano. Altri bambini furono reclutati da due ex-allievi di Fort Marion presso le riserve del Territorio Indiano (poi diventato Oklahoma).


Il piazzale delle parate e, sullo sfondo, la scuola

Il primo impatto con la scuola non doveva essere lieve, visto che gli studenti venivano vestiti come militari e costretti a marciare e imparare una disciplina che era in tutto simile a quella dei soldati. Non era consentito tenere i capelli lunghi (nonostante il taglio provocasse disagi agli indiani), né calzare mocassini. C’era una sola occasione in cui ai ragazzini era consentito vestirsi ed atteggiarsi ad indiani, era nel giorno del Ringraziamento in cui si svolgevano giochi e feste in cui alcuni si vestivano, appunto, da indiani, altri da pellegrini.


Un gruppo di bimbe appena arrivate alla Carlisle

A nessuno era consentito usare il proprio linguaggio, né praticare la propria religione nativa. In breve, ad ogni indiano veniva insegnato che la “via indiana” era una “cosa cattiva”.
Per metà del tempo i giovanissimi allievi dovevano dedicarsi all’apprendimento della lettura e della scrittura, mentre nell’altra metà dovevano apprendere tecniche lavorative tipiche dei bianchi.


Ragazzi che apprendono i rudimenti del lavoro dei bianchi

Le bambine imparavano a cucinare, stirare, lavare i panni. I bambini imparavano i mestieri del carpentiere, del fabbro e dell’allevatore.
A moltissimi piccoli indiani era impossibile far ritorno tra la propria famiglia anche nel periodo estivo. Proprio allora venivano inviati a svolgere lavori pratici presso industriali, ranchers e commercianti bianchi che così beneficiavano di manodopera a basso costo.
Sull’esempio della Carlisle sorsero altre scuole destinate a “formare” gli indiani, ma lo stile era sempre il solito.
Il punto di svolta arrivò quando Pratt si mise contro persino il sistema delle riserve, colpevole – secondo lui – di non modellare gli indiani secondo lo stile dei bianchi. Eppure le scuole erano sorte anche all’interno delle riserve indiane e non obbligavano i piccoli a staccarsi dalla loro famiglia.
Questo conflitto costò a Pratt il lavoro. Lasciò la Carlisle Indian School il 30 giugno 1904 e la scuola continuò la propria attività fino al 1918. Le altre scuole continuarono nella loro missione di “civilizzazione dell’indiano” fino al 1930.

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