Robert René Cavelier, Sieur de La Salle, esploratore del Re Sole

A cura di Pietro Costantini

La Salle con gli indiani
Robert René Cavelier de la Salle è uno dei personaggi più solitari della storia. La sua vita fu una lotta tra volontà e fato. Era un Francese, discendente di una ricca famiglia di Rouen. Mentre era solo un bambino, il suo amore per lo studio, la sua avversione per i divertimenti, la sua seria energia, indussero la sua famiglia a scegliere per lui una carriera nella Chiesa. La sua educazione fu seguita con cura dalla grande “Compagnia di Gesù”, di cui divenne membro.
Ma mentre La Salle era inizialmente attratto dai gesuiti, dalla loro meravigliosa disciplina, dal loro potere concentrato, dalla loro organizzazione ineguagliabile, dalla loro natura forte, mentre si avvicinava alla virilità, si ribellò alla vasta macchina di cui era solo una parte. Si trovò, non al centro, ma alla periferia del potere e li abbandonò. Secondo le leggi dell’ordine, la fortuna lasciatagli da suo padre era diventata proprietà della “Società”. Impoverito, ma ambizioso, La Salle, un giovane di ventitré anni nel 1666, voltò le spalle agli splendori e alle conquiste della Francia nel regno del Grande Re, per cercare fortuna tra i deserti d’America.
Robert René Cavelier, Sieur de La Salle
La sua destinazione era Montreal. Un’associazione di sacerdoti, chiamata “Seminario di San Sulpicio”, era la proprietaria feudale dell’intera regione. I sacerdoti concedevano le loro terre a condizioni facili a chiunque avrebbe formato un insediamento. La Salle ne approfittò per occuparsi subito di un ampio tratto di terra, otto miglia a nord di Montreal, nel luogo chiamato La Chine. La posizione era esposta e pericolosa, ma idonea per il commercio di pellicce. Qui costruì un villaggio con palizzata, spianò la terra all’interno della palizzata e la divise in lotti contenenti un terzo di un acro ciascuno, e fuori della palizzata formò campi di quaranta acri. Questi appezzamenti li affittò per un piccolo canone annuale a degli inquilini. Costruì una casa confortevole per se stesso e un piccolo forte. Il piccolo insediamento di cui era il signore feudale crebbe e fiorì. La sera, La Salle guardava le tranquille acque del lago St. Louis e, mentre la sua immaginazione si soffermava sul mondo solitario che si estendeva verso il tramonto, il grande scopo della sua esplorazione prese forma nella sua mente.
Gli Indiani che venivano a commerciare con lui gli parlavano di un grande fiume che si trovava ad ovest, ma ignoravano la sua posizione. Il sogno dell’epoca, un passaggio verso il Mare del Sud, si realizzava, se questo fiume sfociava nell’Oceano Meridionale o nel Pacifico. Così l’irrequieto La Salle rivendette la sua signoria ai sacerdoti di San Sulpicio, e con i soldi comprò canoe e provviste per una spedizione.
I Sulpiciani erano invidiosi dei loro rivali più famosi, i Gesuiti. Questi ultimi avevano a lungo impedito ad altri ordini religiosi di occuparsi delle opere missionarie tra gli Indiani. Avevano percorso foreste, attraversato fiumi, sopportato fame, freddo e malattie per seguire l’Indiano fino al suo wigwam. Con incredibile tenacia, avevano imparato lingue orribili, vissuto di cibo nauseabondo e affrontato le fiamme della tortura, per raccontare la storia della loro religione. Nessun sacrificio era troppo grande, nessuna impresa troppo pericolosa, nessuna sofferenza troppo grave per dissuaderli dal loro grande obiettivo: la conversione dei selvaggi. Ovunque questi eroici sacerdoti avevano preceduto la marcia della civiltà. Vent’anni prima che il santo Marquette navigasse lungo il Mississippi, uno stabilimento gesuita si trovava già sulle sue rive. Quando gli Uroni, tra i quali lavorarono così a lungo, furono cacciati dalle loro case dall’irresistibile potenza delle Cinque Nazioni, i sacerdoti condivisero le loro sofferenze e l’esilio. Molto prima di qualsiasi altro uomo bianco, avevano attraversato i grandi laghi e srotolato la bandiera della croce sulle loro rive più lontane. Per tutto questo eroismo sprecato le ricompense sembrano abbastanza scarse. Di tanto in tanto un selvaggio, attratto da un po’ di cibo, si lasciava battezzare; ma, come dice un cronista, “un indiano sarebbe stato battezzato dieci volte al giorno per una pinta di brandy”. A volte i sacerdoti si sentivano edificati vedendo un guerriero lanciare un pezzo di tabacco ai piedi della croce come simbolo di culto. “Sono stato ampiamente ricompensato”, dice uno di questi padri, dopo essere stato nutrito dai suoi ospiti per sei giorni con un lichene nauseabondo e bollito e un pezzo di vecchio mocassino, “per tutte le mie sofferenze. Ho salvato oggi dal rogo un bambino morente, al quale sua madre mi ha permesso di amministrare i sacri riti del battesimo, e che ora, grazie a Dio, è al sicuro da quel terribile destino che colpisce coloro che muoiono senza la grazia della nostra santissima Chiesa”.


Vetrata con il sacerdote Jean de Brébeuf, Santuario dei Martiri, Midland, Ontario

I Sulpiciani, invidiosi dei Gesuiti, aiutarono La Salle nei suoi sforzi, e avevano allestito anche una loro spedizione per unirsi a lui, sperando di trovare spazio per il proprio zelo missionario. Questa spedizione a due teste non era adatta alla volontà imperiosa di La Salle. Dopo settimane di viaggio i sacerdoti decisero di dirigere il loro viaggio verso il Lago Superiore. La Salle li avvertì che avrebbero trovato il campo già occupato dai gesuiti.
L’obiettivo di La Salle era l’Ohio, che i suoi amici indiani avevano confuso con il Mississippi. Le due spedizioni si separarono. I sacerdoti attraversarono i grandi laghi e incontrarono molte difficoltà, solo per vedere avverarsi la predizione di La Salle. Una notte una tempesta sul lago spazzò via il loro bagaglio, contenente il loro servizio all’altare. Considerarono questo avvenimento come opera del Diavolo, che voleva impedire loro di avere proseliti. Poco dopo trovarono un idolo di pietra nella foresta, che ispirò il loro più alto risentimento. Arrabbiati e frustrati, attaccarono la cosa con furia, la spezzarono e scaricarono i frammenti nel lago. Questa pia impresa fu, come si diceva, divinamente ricompensata da un orso e un cervo, uccisi lo stesso giorno. Tornarono a Montreal senza aver fatto un convertito o una scoperta. Gli uomini di La Salle lo avevano in maggioranza abbandonato e, tornando al suo vecchio insediamento, lo chiamarono La Chine in derisione della sua idea fantomatica di un passaggio in Cina. Con un compagno, La Salle si spinse verso sud, scoprì il fiume Ohio e lo discese fino alle cascate di Louisville, nel Kentucky. Qui la sua guida lo abbandonò e La Salle tornò da solo a Montreal. L’anno seguente fece un viaggio simile al lago Michigan e scoprì il fiume Illinois.Le informazioni ottenute sul campo da questi viaggi e alcune notizie raccolte dagli Indiani, insieme a vaghe voci tra i gesuiti, crearono gradualmente in La Salle la convinzione che il Mississippi scorresse fino al Golfo del Messico. La sua mente fertile ha tracciò un vasto schema di scoperta e conquista, alla cui realizzazione dedicò il resto della sua vita. La storia non ha paralleli per le sue fatiche di viaggio. La sua idea era quella di esplorare il Mississippi, costruire una catena di forti francesi dai laghi al Golfo, dominare la foce del Mississippi con una fortezza che avrebbe dovuto essere la chiave del continente. Il grande fiume sarebbe stato aperto solo alla marina francese. Il vasto dominio interno del continente sarebbe diventato un nuovo impero da governare per Luigi XIV.


Francobollo dedicato a Cavelier de La Salle

L’Inghilterra sarebbe stata confinata nella striscia di costa marina ad est degli Alleghany; la Spagna alla Florida, al Messico e al Sud America. Il commercio con gli Indiani per pellicce e pelli, aperto attraverso tutto l’interno del continente, dalla linea del Mississippi e dalla catena di forti, avrebbe arricchito la Francia oltre ogni immaginazione; e questo non era che il preludio al grande impero che La Salle prevedeva fosse destinato a fiorire tra gli Alleghany e le Montagne Rocciose, i Laghi e il Golfo. I gesuiti avrebbero avuto un’influenza indiscussa nel freddo Canada. Stava a lui scoprire e controllare la ricca e bella valle del Mississippi.
Nel 1672 il conte di Frontenac divenne governatore della Nuova Francia. Era un uomo audace e ambizioso, con molti punti di somiglianza con La Salle. Quest’ultimo, curando il suo potente sogno nella segretezza della propriamente, vide che il Canada doveva essere la base per la conquista. Da lì doveva partire, da lì ricevere provviste e uomini. Né poteva muoversi senza il permesso del governo. Frontenac divenne l’amico del giovane, ma severo, ed equilibrato avventuriero. Tra loro si formò un piano per costruire un forte nel punto ora occupato da Kingston, vicino all’incrocio tra il lago Ontario e il fiume San Lorenzo. La ragione apparente era la difesa contro gli Irochesi. Ma Frontenac vedeva in esso un monopolio del commercio e La Salle lo considerava il primo anello della catena che doveva legare l’America al trono di Francia. Il luogo scelto era nel territorio degli Irochesi, le temute Cinque Nazioni. Questa lega di Indiani, i Mohawk, gli Oneida, gli Onondaga, i Cayuga e i Seneca, abbracciava le razze più intelligenti, potenti e bellicose del continente. Originariamente occupando quello che ora è lo Stato di New York, avevano esteso le loro conquiste su Pennsylvania, Ohio, Michigan, Indiana e Illinois e gran parte del Canada. A mille miglia dai loro fuochi del consiglio c’erano popoli coraggiosi ma soggiogati, che tenevano le loro terre a disposizione dei loro conquistatori, pagavano un tributo annuale e si prostravano davanti alle ambasciate degli Irochesi, che li chiamavano cane e sputavano in faccia ai loro capi più orgogliosi.
Gli Irochesi odiavano i Francesi, che avevano aiutato i loro vicini canadesi a difendersi dailoro attacchi. Inoltre, gli Inglesi e gli Olandesi fornivano loro armi e li avevano resi una sorta di polizia rispetto alle altre tribù. Molti Indiani della regione del Lago Superiore, con la loro flotta di canoe cariche di pellicce, erano stati travolti dagli Irochesi sulla strada per Montreal, e depredati o costretti a commerciare con gli Inglesi e gli Olandesi.
La Salle fu inviato a Onondaga, dove si trovava la casa del consiglio della confederazione, per invitarli a una conferenza nel luogo di costruzione del forte. Nel giorno stabilito, Frontenac, in armatura scintillante, con una brillante e formidabile forza di soldati francesi, incontrò le schiere riunite degli Irochesi. Per mezzo di minacce alternate a persuasioni e regali, ottenne il loro consenso a costruire il forte, che battezzò in onore di sé stesso. Il passo successivo di La Salle fu quello di erigere un forte alla foce del fiume Niagara. Ma era indispensabile ottenere l’autorizzazione del governo francese. Fort Frontenacera stato costruito senza alcun beneplacito ufficiale. Già forti politici influenti erano all’opera per far ordinare a Luigi XIV di abbatterlo. In primo luogo, vi era il partito politico canadese che aveva sostenuto l’ex governatore, e che divenne il nemico mortale di Frontenac quando soppiantò il suo predecessore. Le animosità politiche dei Francesi erano le più aspre e di vasta portata di qualsiasi popolo, arrivando all’odio più implacabile. Un altro gruppo di nemici formidabili erano i mercanti di Montreal e Quebec. Videro che Frontenac e La Salle, con il loro forte molto più vicino ai laghi, sulla la grande via del traffico indiano, avrebbero avuto praticamente monopolio del commercio di pellicce. L’ultimo, ma non meno importante, dei nemici del governatore e dell’impavido La Salle, erano i gesuiti. La Salle era un cattolico zelante, ma disprezzava i gesuiti. Questi ultimi, che avevano avuto a lungo il monopolio della Nuova Francia, lo stavano già perdendo nel Basso Canada. Guardavano quindi le loro missioni occidentali con la più grande gelosia e si risentivano di ogni movimento che tendeva ad aprire i grandi laghi ai loro rivali.
Il primo attacco di questi pericolosi nemici a La Salle fu un tentativo di assicurare la distruzione di Fort Frontenac. La Salle stava organizzando il ritorno in Francia nell’autunno del 1674, al fine di presentare i suoi progetti al re e respingere questi intrighi, quando la sua ambizione ricevette un potente stimolo dalla notizia che Joliet, nella primavera del 1673, era partito con padre Marquette e cinque barcaioli, per esplorare il Mississippi, e portare il Vangelo alle innumerevoli tribù lungo le sue rive.
Marquette era figlio di un’illustre famiglia della nobiltà francese. Ispirato unicamente dal senso del dovere religioso, aveva detto addio agli splendori del castello baronale in cui era nato, per dimorare tra gli Indiani. Lentamente il piccolo gruppo si fece strada attraverso i laghi, Green Bay e Fox River, e da lì tra i molti passaggi fino al Mississippi. I selvaggi, semplici e inoffensivi, forse attratti più dallo spirito gentile e santo di Marquette che dalle sue spiegazioni dell’espiazione, ricevettero gli stranieri gentilmente, offrirono loro la loro migliore ospitalità e, dopo molte sollecitazioni a rimanere, li aiutarono in tutti i modi.


Padre Marquette discende il Mississippi

Al villaggio degli Illinois i due Francesi disarmati furono accolti con una grande festa. Il primo piatto era un pasto indiano, bollito nel grasso; il loro ospite li nutrì con un cucchiaio. Questo fu seguito da un gran piatto di pesce. L’ospite toglieva con cura le ossa da ogni boccone, lo raffreddava soffiando e lo infilava in bocca con le dita. Questa eccessiva cortesia sembrava distruggere l’appetito dei Francesi, sia per l’imbarazzo che per altre cause, poiché le restanti portate di cane e bisonte arrostiti furono a malapena assaggiate. Giorno dopo giorno i viaggiatori navigavano lungo il fiume maestoso, nel paesaggio sempre più aperto. Il loro occhio ora vagava su praterie sconfinate; ora scrutavano nell’oscurità perenne delle possenti foreste; ora rabbrividivano di allarme per i pericoli immaginari di draghi rossi e verdi e di mostri squamosi, dipinti da qualche artista indiano sullo sfondo scuro delle scogliere a strapiombo; ora lottavano con un pericolo più reale nella possente corrente del fiume Missouri, che scagliava le sue masse di fango e sradicava alberi lontano nelle profondità trasparenti del Mississippi. Man mano che procedevano verso sud il sole diventava più caldo, la vegetazione più densa, i fiori più rigogliosi.
Ogni sera, dopo aver trascinato le canoe a riva, Marquette, con le mani giunte, si inginocchiava davanti al “Padre delle Acque” e versava la sua anima in preghiera all’Infinito. Mentre pregava, un lieve splendore soprannaturale illuminava i suoi lineamenti delicati e accademici. Le parole pronunciate spesso cessavano, ma ancora l’esile figura in abito nero, con le mani alzate, e il viso rivolto verso le glorie cremisi del giorno morente, continuava in ginocchio fino a quando gli eserciti neri della notte oscuravano tutta l’aria. A settecento miglia dalla foce del Mississippi i viaggiatori iniziarono a ripercorrere all’indietro la loro strada solitaria. Dopo settimane di fatica, tornarono alla missione di Green Bay. Qui Marquette, malato ed esausto dalle fatiche della spedizione, fu costretto a fermarsi, mentre Joliet portò a Montreal la notizia della scoperta, e della loro ferma convinzione che il Mississippi sfociasse non nell’Oceano Pacifico, ma nel Golfo del Messico. Marquette, sebbene debole di salute, dopo un lungo riposo, decise di tornare dagli Indiani dell’Illinois, tra i quali aveva promesso di fondare una missione. Prendendo due barcaioli, Pierre e Jaques, iniziò il lento viaggio. Sopraffatto dall’inverno e dalla rinnovata malattia, il padre gentile fu costretto a passare l’inverno in una rozza capanna sulle rive del lago Michigan. Alcuni rami degli alberi formavano il suo letto, un tronco il suo cuscino. Spinto dall’amore e dalla pietà, partì tra il nevischio e la pioggia dell’inizio della primavera verso la sua destinazione. Fu ricevuto dagli Illinois nel loro grande villaggio, vicino al sito dell’attuale città di Utica, nella contea di La Salle, nell’Illinois. Qui, ogni mattina, in un vasto wigwam, raccontava ai suoi uditori, che trattenevano il fiato, la storia della croce.


Joliet e Marquette sbarcano tra gli Illinois – Mosaico presso il Marquette Building di Chicago

Alla fine la sua salute cagionevole lo costrinse a lasciare i suoi addolorati amici Indiani. Lentamente e stancamente, partì con i suoi due fedeli barcaioli nel viaggio di ritorno. Durante il giorno si sdraiò su una nuda asse della canoa, con la faccia rivolta verso i cieli che avrebbe presto abitato. Di notte i suoi due compagni costruivano in fretta e furia un riparo, lo sollevavano delicatamente e lo portavano dalla barca, e poi preparavano il piatto ruvido del pasto indiano, così poco adatto al sofferente. Una sera Marquette indicò una sporgenza solitaria sulla riva del lago: “Quello è il posto per il mio ultimo riposo.” L’accampamento fu allestito prima del solito. Nel buio della notte, con un crocifisso in mano e una preghiera sulle labbra, lo spirito gentile di Marquette espirava al cielo, tra i singhiozzi dei suoi compagni affranti. Lì, nel deserto, lo posero a riposare. Anche se sempre chiamato Padre Marquette, aveva solo trentotto anni.
Da questa figura angelica torniamo bruscamente alla figura di ferro di La Salle. Quando Joliet arrivò a Montreal con la notizia della sua scoperta, La Salle trovò confermate tutte le sue convinzioni sul corso del Mississippi. Salpò subito per la Francia nell’autunno del 1674. La sua instancabile energia e la sua ferra volontà gli assicurarono un’udienza con il grande monarca francese stesso. Con argomentazioni forti e chiare spiegò la necessità della costruzione dei forti. Il suo sforzo ebbe successo. Il re gli concesse il forte e un ampio tratto di terra. Dovette pagare ciò che il forte era costato al re e ricostruirlo in pietra. I suoi amici, ansiosi di condividere la sua prosperità, gli prestarono denaro per pagare il re.
La Salle tornò in Canada con la sua autorizzazione in tasca. Da questo momento fu circondato da nemici che lo seguirono fino alla tomba. I mercanti e i commercianti del Canada si organizzarono in una lega per opporsi a lui. Il paese divenne per lui un nido di calabroni. Ogni arma che la malizia poteva brandire o l’ingegno inventare era impiegata per colpirlo. I gesuiti si procurarono un ordine dalla Francia che proibiva ai suoi commercianti di uscire tra gli Indiani. La Salle formò un insediamento irochese intorno al suo forte, in modo che gli Indiani in seguito venissero da lui a commerciare.
Furono inviati rapporti a suo fratello, l’Abbé Cavelier, un sacerdote sulpiciano, secondo cui La Salle aveva sedotto una giovane ragazza e viveva in grave immoralità. La sua scomunica avrebbe potuto aver luogo, se suo fratello non lo avesse visitato, solo per trovarlo a capo di una famiglia esemplare. Un servo fu assunto per mettere del veleno nel suo cibo. La Salle mangiò dal piatto, e si ritrovò quasi in fin di vita, ma alla fine si riprese. Emissari furono inviati tra i sanguinari Irochesi, a riferire loro che il forte era stato progettato in supporto di una guerra contro di loro. D’altra parte, attraverso molti canali arrivò a La Salle la notizia che gli Irochesi intendevano effettuare un massacro, e Frontenac fu esortato ad allestire una forza e attaccarli. Fu con grande difficoltà che gli Indiani furono calmati.


Il viaggio di Padre Marquette e Joliet

Nonostante queste macchinazioni malvagie, l’inflessibile volontà di La Salle fu vittoriosa. Con l’aiuto degli Indiani, Fort Frontenac fu ricostruito in pietra. All’interno delle sue mura c’erano magazzini, una casa per la truppa, una per gli ufficiali, una fucina, un pozzo, un mulino e una panetteria. Nove piccoli cannoni facevano capolino attraverso le pareti. Una dozzina di soldati formavano la guarnigione, mentre più di una trentina fra operai e conducenti di canoe abitavano nel forte. All’esterno c’erano un insediamento francese, un villaggio irochese, una cappella e la casa del prete, un centinaio di acri di terra disboscata e una mandria di bestiame. Per la navigazione nei laghi furono costruite quattro navi da quaranta tonnellate e una flotta di canoe.
Qui in questa solitudine, a una settimana di viaggio dall’insediamento più vicino, La Salle regnava con un potere assoluto e con le sue ricchezze che aumentavano rapidamente. L’ambizione di La Salle non era il guadagno, ma la gloria. Nell’autunno del 1677 salpò di nuovo per la Francia. I suoi nemici, sempre più numerosi e stizziti, arrivarono prima di lui e lo denunciarono al governo come uno sciocco e un pazzo. Questo fu imbarazzante. Lo schema del piano che stava per proporre era così vasto da ispirare sfiducia nella sua sanità mentale. Nel suo memoriale al re, La Salle riportò le sue scoperte, descrisse la grande valle del Mississippi, predisse il futuro del territorio accennando al suo immenso valore per la Francia, enumerò le enormi difficoltà che avrebbero accompagnato la sua conquista, sottolineò l’ansia degli Inglesi di possederla, delineò il piano per consolidarla con una vasta catena di forti, adombrò ad arte la possibilità di strappare il Messico dalla Spagna, dichiarò che era come base per questa impresa che aveva costruito Fort Frontenac e chiese privilegi simili per un altro forte alla foce del Niagara, la chiave per il lago Erie.Gli statisti di Francia furono per La Salle un pubblico attento. Gli concessero un brevetto reale che gli permise di costruire tutti i forti che credeva necessari alle stesse condizioni di Fort Frontenac, gli diedero il monopolio del commercio di pelli di bisonte e, come contentino per i gesuiti, gli proibirono di commerciare nell’Alto Canada o nei grandi laghi. Questo brevetto non parlava di colonie, Luigi XIV fu sempre contrario alla loro istituzione. Ma un dominio militare sulla natura selvaggia e un percorso per l’invasione del Messico, gli si addicevano bene. Per la realizzazione di questo titanico lavoro a La Salle vennero dati cinque anni di tempo!
La Salle aveva un impellente bisogno di denaro,quindi prese in prestito in grandi somme a interessi rovinosi. Questi creditori vivevano trasformandosi da amici ricchi a nemici nella bancarotta. L’esplorazione dell’America costò fortune indicibili, migliaia di vite vissute eroicamente, secoli di fatiche e di difficoltà non corrisposte. La Salle venne affiancato dal prezioso e fidato Henri de Tonti, figlio di un banchiere italiano, che istituì l’assicurazione “Tontine”. Tonti aveva perso una mano in battaglia edera l’unico di tutti i seguaci di La Salle in cui questi potesse riporre completa fiducia. Al suo arrivo in Canada, anche se si era nel cuore dell’inverno, La Salle portò avanti la sua impresa. Padre Hennepin, un frate ricolletto, e La Motte, un altro alleato, che si era unito a La Salle in Francia, furono inviati con sedici uomini da Fort Frontenac attraverso le onde impetuose del lago Erie come gruppo avanzato. Dopo aver superato le tremende tempeste di dicembre, sbarcarono nella neve alla foce del fiume Niagara e iniziarono a erigere una casa fortificata. Il terreno veniva stato scongelato con acqua calda. Ben pochi progressi erano stati fatti prima che diventasse evidente che doveva essere ottenuto il consenso degli Irochesi.
La Motte non riuscì nell’intento, ma La Salle, che riprovò con rifornimenti e rinforzi, comparve davanti al solenne consiglio delle Cinque Nazioni. Quarantadue capi di rango, schierati in abiti di pelle di scoiattolo nero, lo ascoltarono e ricevettero i suoi regali. “I senatori di Venezia”, scrisse Hennepin, “non sembrano più gravi o parlano con più decisione dei consiglieri degli Irochesi”. L’abilità di La Salle gli ottenne il permesso di erigere un magazzino fortificato alla foce del fiume Niagara e di costruire una nave a monte delle cascate. Questo fu un trionfo sui gesuiti – due dei quali si trovarono nella capitale irochese – che non risparmiavano alcuno sforzo per ostacolare la sua azione.


La Salle ispeziona Fort Frontenac – dipinto di John David Kelly

Ma i nemici di La Salle stavano appena iniziando a mostrare il loro volto. Egli si diresse verso il campo sul fiume Niagara, solo per scoprire che il pilota, a cui aveva affidato la conduzione della sua nave, carica di costosi rifornimenti, strumenti e materiali per costruire la nave sopra le cascate, l’aveva fatta naufragare sulle rocce, e di tutto il suo prezioso carico non erano stati salvati nient’altro che le ancore e i cavi per la nuova nave. Questo disastro fu spaventoso e irreparabile e, come dice Hennepin, “avrebbe fatto rinunciare all’impresa chiunque, tranne La Salle”. Divenne anche evidente che altri del suo gruppo, oltre al pilota, erano stati coinvolti nella congiura contro La Salle. Si trattava di un equipaggio eterogeneo di Francesi, Fiamminghi e Italiani, litigiosi, scontenti e insubordinati.
La Salle, inflessibile e silenzioso, ordinò di avanzare. Formata in un’ unica fila, ogni uomo pesantemente gravato da materiali e rifornimenti per la nuova nave, il sacerdote Hennepin con il suo altare sulla schiena, la processione avanzava a fatica attraverso la neve profonda e su per le ripide alture sopra Lewiston. Sei miglia sopra le cascate, nonostante il terribile freddo, la costruzione della nave era iniziata. Il cibo era scarso. Gli Irochesi agivano in modo sospetto. Uno squaw disse ai Francesi che intendevano bruciare le scorte della nave. Non si poteva nemmeno comprare il mais. Lasciando l’energico Tonti al comando, La Salle tornò alla foce del fiume, delineò le basi per il nuovo forte, e poi partì a piedi, con due compagni, per Fort Frontenac, a duecentocinquanta miglia di distanza, un viaggio reso necessario dalla perdita della sua nave dei rifornimenti. Era un febbraio amaro. Il suo percorso si snodò attraverso il paese degli infidi Irochesi, tra i quali erano infiltrati i gesuiti che brigavano per la sua rovina. Per il cibo aveva un piccolo sacchetto di chicchi di mais aridi. Si era molto lontani dal forte, mentre la borsa stava diventando molto leggera. Le loro razioni furono ridotte della metà. Questo non bastò e vennero nuovamente ridotte della metà. Una notte mangiarono l’ultima manciata. Poi proseguirono senza mangiare. La Salle arrivò al forte per ritrovarsi in rovina. I suoi nemici avevano fatto circolare notizie secondo cui si era impelagato in un’avventura sfrenata. Sebbene la sua proprietà a Fort Frontenac fosse una sicurezza per i suoi creditori canadesi, gli erano state sequestrate tutte le sue proprietà in pellicce, navi e mais, ovunque si trovassero.
Il colpo subito era stato terribile e senza rimedio. Ma La Salle semplicemente si indurì ancor più. Il suo passo era più altezzoso e la sua bocca più severa. Ma non poteva permettere ai suoi nemici di trionfare rinunciando alla sua impresa.
In agosto La Salle riappariva sul fiume Niagara. Era riuscito ad ottenere alcune provviste nonostante la vigilanza dei suoi creditori, e portò altri tre frati. Sebbene odiasse il gesuitismo, era zelante per la fede. Tonti aveva da tempo completato il Griffon, come veniva chiamata la nuova nave. Oscillava dolcemente all’ancora, così vicino alla riva che Hennepin predicava dal suo ponte agli Indiani. Il settimo giorno di agosto del 1679, tra il canto del Te Deum e il rombo del cannone, il Griffon spiegò la sua tela candida e si lanciò nella vastità blu del Lago Erie. I primi giorni furono incantevoli.
L’acqua increspata scintillava alla luce del sole; la riva lontana sembrava una delicata matita blu sull’orizzonte senza nuvole; le murate del Griffon erano adornate con la splendida selvaggina catturata. Su per il fiume Detroit e il lago St. Clair fino al lago Huron, che si estendeva davanti a loro come un mare, i viaggiatori proseguivano la navigazione. Improvvisamente sorse una tempesta terrificante. La nave tremò come una foglia davanti alla furia delle onde. La Salle e la sua compagnia invocarono ad alta voce tutti i santi, alcuni dei quali si presume udirono le loro grida, perché la tempesta passò e la nave trovò rifugio dietro Point St. Ignace. La Salle si soffermò qui alla missione gesuita per trovare i suoi nemici sempre presenti, ancora decisi alla sua distruzione. Si aspettava che la spedizione procedesse da questo punto in canoa, mentre tornava al Griffon con un carico di pellicce per placare i suoi creditori. Apparvero tali segni di slealtà che mandò indietro il Griffon senza di lui. Si rivelò una decisione disastrosa. La flotta di canoe, cariche al massimo, fu presto preda di un’altra tempesta. Con grande difficoltà e pericolo gli esploratori raggiunsero la riva, dove rimasero una settimana, inzuppati da nevischio e pioggia incessanti. Mentre la tempesta infuriava sul lago, La Salle tremava per il Griffon. Sebbene fosse angustiato per la mancanza di cibo, non osò accamparsi vicino agli Indiani, per paura che alcuni dei suoi uomini rubassero i suoi beni e disertassero. Le difficoltà erano intollerabili. Sopra la testa grandi nuvole di pioggia spazzavano il cielo; sotto infuriava un tumulto rabbioso di onde che si agitavano. Di notte le pesanti canoe dovevano essere trascinate dagli uomini esausti e affamati attraverso i flutti e su per le ripide rive.
Una mattina si videro delle impronte nel fango soffice e ci si accorse che mancava un cappotto. La Salle sapeva che il furto doveva essere punito. Un indiano vagabondo fu fatto prigioniero; La Salle andò dal suo popolo e disse loro che sarebbe stato ucciso a meno che il cappotto non fosse stato restituito. Ciò era imbarazzante perché il cappotto era stato tagliato e diviso tra gli Indiani. Si trattava di combattere o fare un compromesso. Si scelse quest’ultimo, con il pagamento del cappotto in mais.
La Griffon
La Salle si diresse verso la foce del fiume St. Joseph. Qui doveva incontrare Tonti, che arrivava da Michillimackinac lungo la sponda orientale del lago. Il luogo era avvolto da una solitudine primordiale. Aspettare Tonti era pericoloso. L’inverno stava per arrivare; gli uomini erano irrequieti; eppure La Salle disse che avrebbe aspettato, anche se fosse stato da solo. Dopo tre settimane fu avvistato Tonti in lontananza. Una delle sue canoe, con pistole, bagagli e provviste, era affondata. Una parte dei suoi uomini aveva disertato. Per molti giorni il loro unico cibo erano state le ghiande. Era giunto il momento per il Griffon di fare il suo viaggio a Niagara e ritorno. Giorno dopo giorno La Salle scrutava l’orizzonte, con occhio ansioso. Non appariva nessuna vela. Ritardare più a lungo era impossibile.
Due uomini furono mandati incontro a Tonti, mentre i restanti, trentatré in tutto, cominciarono a spingere le loro canoe sul fiume San Giuseppe. Cercarono con impazienza il sentiero che portava al grande villaggio degli Illinois,ma non riuscivano a trovarlo da nessuna parte. La Salle scese a terra per cercarlo. La notte arrivò con una fitta nevicata, ma La Salle non tornò. Nel gruppo la tensione era intollerabile. Erano le quattro del mattino dopo quando giunse in vista. Aveva perso la strada. Nella notte aveva visto il bagliore di un fuoco attraverso la foresta. Affrettandosi verso quel punto, trovò non l’ accampamento che cercava, ma una capanna con un fuoco e il corpo di un uomo che era evidentemente fuggito. Chiamando ad alta voce e non ottenendo risposta, La Salle, esausto per il cammino fatto, si sdraiò e dormì vicino al fuoco. Durante la notte la capanna prese fuoco e lui sfuggì per un pelo alle fiamme.
Quando finalmente il sentiero degli Illinois venne trovato, il gruppo si caricò sulle spalle canoe e bagagli per il percorso. Uno degli uomini, infuriato per le difficoltà, alzò la pistola per sparare a La Salle nella la schiena, ma venne bloccato in tempo. Il grande villaggio indiano di cinquecento enormi logge fu raggiunto, ma ogni wigwam era silenzioso e vuoto,le ceneri di ogni falò, fredde. Il popolo era assente per la grande caccia. Si ritrovarono abbondanti riserve di mais, ma sarebbe stata una terribile offesa toccarlo. La Salle sentiva che doveva avere l’amicizia degli Indiani ad ogni costo. Gli emissari gesuiti erano impegnati tra gli Irochesi, incitandoli a fare guerra ai lontani Illinois, sperando in questo modo che La Salle e i suoi compagni potessero essere massacrati, o almeno costretti ad abbandonare la loro impresa.
Una mattina, mentre la piccola flottiglia di canoe andava alla deriva lungo il fiume Illinois, gli Indiani del villaggio deserto arrivarono in vista. Ricevettero gli estranei come amici, fornendo cibo e strofinando i loro piedi con il grasso d’orso. La Salle fece loro un discorso, dicendo che era venuto a proteggerli dagli Irochesi e che intendeva costruire una grande canoa di legno con cui scendere dal Mississippi e portare loro la merce che tanto desideravano.
Si potrebbe pensare che La Salle, in questi posti selvaggi, lontani dalle dimore degli uomini civili, sarebbe stato al sicuro dall’inseguimento dei suoi nemici. Non è così. L’odio, come l’amore, supera la distanza e le difficoltà. Quella stessa notte un emissario gesuita raggiunse il campo indiano. Si tenne un consiglio notturno segreto. Lo straniero avvertì gli Illinois che La Salle era loro nemico, una spia irochese, che sarebbe stata presto seguita dagli stessi Irochesi e dalla loro sete di sangue. Dopo questo discorso scomparve nella foresta. Al mattino La Salle notò il cambiamento nei suoi ospiti. La sfiducia e la diffidenza erano raffigurate su ogni volto dei selvaggi. Riuscendo ad apprendere i fatti da un indiano a cui aveva dato un’accetta, fece allora un discorso audace, controbattendo alla calunnia e sfidando gli Illinois a metterlo faccia a faccia con il suo denigratore. Il discorso ripristinò la fiducia generale. Se l’oratoria è l’arte di persuadere gli uomini e influenzare il pubblico, La Salle era un grande oratore.
Una mattina, La Salle scoprì che sei dei suoi uomini, tra cui due dei suoi migliori costruttori navali, avevano disertato. Ma non era tutto. Una mano infida mise del veleno nel suo cibo. La sua vita rimase in bilico per ore, ma un antidoto preparato dal fedele Tonti fece girare la sorte dalla sua parte. Peggio di tutto, era evidente che il Griffon, il perno di tutta l’impresa, era andato perso e non se ne seppe più nulla. Due uomini mandati a cercare la nave, riferirono di aver fatto il giro dei laghi e di non averla trovata. La Salle in seguito trovò la prova che era stata deliberatamente affondata dal pilota, su richiesta dei suoi nemici. La perdita del Griffon fu il colpo più duro di sempre. Trasportava ancore, cavi e attrezzature per la nuova barca che si sarebbe dovuta costruire sul Mississippi, oltre a costose forniture. La montagna di disastri sarebbe stata sufficiente a spezzare un cuore di pietra.


La festa al villaggio degli Illinois – dipinto di George Catlin

La Salle si arrese? No! Si fece beffe della disperazione e, invece di cedere, costruì un forte permanente, che chiamò Fort Crévecoeur, o “Cuore spezzato”, con grande ironia per le sue disgrazie. Iniziò anche la grande impresa di costruire una nave da quaranta tonnellate per il fiume Mississippi. Gli alberi dovevano essere abbattuti e faticosamente segati a mano per ottenere le assi. Eppure in sei settimane lo scafo fu completato da uomini che non erano falegnami. La Salle indusse padre Hennepin a rinunciare alla sua predicazione e a rendere un servizio, con riluttanza, esplorando il fiume Illinois fino alla sua foce. Hennepin, che era un grande vanaglorioso ma un lavoratore scarso, cercò di sottrarsi all’impresa, ma alla fine, con due compagni e una canoa ben piena di accette, perle e altri regali per gli Indiani, forniti a spese di La Salle, iniziò il suo viaggio.
Discese l’Illinois fino alla foce, poi passò sul Mississippi, fu fatto prigioniero dai Sioux, e dopo molte avventure tornò a Montreal, e da lì in Europa. Pubblicò subito un resoconto dei suoi viaggi, senza alcuna pretesa di aver scoperto la foce del Mississippi. Quindici anni dopo, quando La Salle era morto da tempo, Hennepin rivaleggiava con il capitano John Smith pubblicando una nuova storia dei suoi viaggi, in cui affermava di aver attraversato l’intero Mississippi, e quindi anticipò La Salle nel suo lavoro principale. Le falsità e le esagerazioni del libro sono state da tempo smascherate.


Padre Louis Hennepin scopre le cascate di Sant’Antonio

L’esplorazione di La Salle non poté avanzare oltre fino a quando i preziosi materiali per la nuova nave, persi con il Griffon, non poterono essere sostituiti. La spedizione stava divorando sé stessa con le spese. La Salle decise di farsi strada a piedi attraverso le vaste e cupe terre selvagge che si frapponevano tra lui e Montreal, in un ultimo sforzo per rimediare alla perdita. Era uguale a una delle fatiche di Ercole – un viaggio di milleduecento miglia, attraverso un paese che era il perpetuo campo di battaglia di selvaggi ostili e crudeli, senza cibo, dormendo sulla nuda terra, vegliando di notte e marciando di giorno, portando un pesante carico di coperte, pistole, munizioni, accette, bollitori e un sacco di mais rinsecchito. A volte facendosi largo attraverso boschi, a volte arrampicandosi su rocce ricoperte di ghiaccio e neve, con vestiti costantemente bagnati dal guado di una dozzina di fiumi al giorno, e attraversando per ore le paludi con l’acqua alla vita o addirittura al collo, esposti continuamente all’attacco di bestie fameliche, e a mille altre difficoltà, fatiche e pericoli.
In tutto il viaggio non c’era un bagliore di luce da una finestra di una capanna per accogliere i viaggiatori stanchi al calar della notte, non il volto di un uomo bianco per rallegrarli tra le spaventose e cupe solitudini di foreste senza fine. I compagni di La Salle erano un cacciatore Mohegan, che lo aveva seguito con incessante fedeltà, e quattro Francesi. Due di questi ultimi lasciarono il gruppo nel punto più vicino a Michillimackinac. Le terribili condizioni del viaggio avevano compromesso la salute dei componenti la spedizione. Il Mohegan e un Francese si ammalarono e sputarono sangue. A questo punto solo La Salle e un uomo erano in salute, e dovevano anche sostenere il peso aggiuntivo dei malati Dopo sessantacinque giorni di sofferenze senza precedenti, i bastioni di pietra di Fort Frontenac apparvero davanti ai loro occhi stanchi. La volontà invincibile e la struttura di ferro di La Salle, che era stato allevato in un lusso delicato, uno studioso la cui carriera era stata programmata per essere quella di un gentile parroco di qualche gregge rurale in Francia, aveva raggiunto l’impossibile.
Tuttavia, l’intraprendenza, l’energia e il carattere nobile dell’uomo avevano colpito il governatore che era desideroso di continuare l’esplorazione fino alla foce del Mississippi che La Salle aveva iniziato. Era sua grande ambizione srotolare la bandiera della Francia, e lì, in nome del suo re, prendere possesso della valle più maestosa di questo globo.
Venne presto preparata un’altra piccola flotta di canoe, caricata con articoli, per l’uso quotidiano e il commercio. Le canoe, otto o dieci in numero, erano grandi e forti. La spedizione era composta da cinquantaquattro persone, ventitré Francesi e trentuno Indiani. Degli Indiani, dieci erano donne e tre erano bambini. Ma padre Zenobe, che accompagnava la spedizione, menziona che gli Indiani insistevano nel prendere le donne, come servitrici, per cucinare il loro cibo e per eseguire compiti di fatica nei numerosi accampamenti. Alcune di queste donne avevano figli che non potevano lasciarsi alle spalle.
Fu davvero uno spettacolo imponente, quando, a un’ora antelucana di una mattina d’estate tranquilla e afosa, questa flotta di canoe decorate si spinse fuori dal piccolo porto del forte, sulla superficie specchiata del lago Ontario. Era, in misura considerevole, una spedizione nazionale. Gli stendardi della Francia svolazzavano nella leggera brezza su tutti i merli del forte. Le foreste e le colline risuonavano del fragore del saluto dei suoi pesanti cannoni. Centinaia di Indiani affollavano la riva per assistere alla partenza. I Francesi restituirono il saluto con una scarica dei loro moschetti e con tre applausi. Le canoe scomparvero rapidamente dietro un promontorio, mentre i viaggiatori, con le loro pagaie, avanzavano verso una delle spedizioni più straordinarie mai intraprese dall’uomo.
Il viaggio lungo la sponda meridionale del lago si rivelò molto tempestoso. Più volte la burrasca e le onde impetuose li spinsero a riva. Per gli Indiani, e per i barcaioli canadesi in generale, non c’erano difficoltà in questo. Era la vita abituale di questi uomini; e per gli Indiani, la vita a cui erano stati abituati fin dall’infanzia, e l’unica vita che avessero mai conosciuto. In effetti l’equipaggio in genere non aveva più pensieri di ieri o di domani dei pochi cani che li accompagnavano. Il peso della responsabilità ricadeva solo sulle menti di La Salle e dei suoi compagni ecclesiastici, gentiluomini e altamente istruiti.
Quando prendevano terra, per accamparsi di notte, o costretti a ripararsi dalla tempesta, tiravano facilmente le loro canoe verso la riva; le rivoltavano per proteggere il carico dalla pioggia, entravano nella fitta foresta primordiale, che da tempo immemorabile orlava le rive del lago, e lì rapidamente trovavano un riparo. Stendevano a terra le stuoie e accendevano i fuochi da campo, il cui brillante chiarore animava la scena. Cucinavano cene di pane di mais e bistecche di cervo, che la salute e la fame rendevano lussuose. Cantavano canzoni, raccontavano storie, scherzavano e si divertivano. Questo era il lato piacevole di una tale vita. Ma è evidente che questa vita errante, senza dimora, aveva anche il suo lato oscuro, determinato dalle asperità del percorso e dalle condizioni metereologiche.
La Salle aveva lasciato Fort Frontenac il 23 luglio 1680, circa due mesi prima dell’abbandono di Crèvecœur da parte del Tonti. In conseguenza della serie di tempeste, impiegò quasi tre settimane nel raggiungere l’estremità occidentale del lago Ontario. Le canoe e le merci dovevano essere trasportate intorno alle cascate, fino alla stazione chiamata Fort Conti, che era stata installata alla foce del fiume Niagara e che non venne raggiunta fino a circa la metà di agosto. Fort Conti era diventata una vera e propria località di incontro per il commercio delle vicine tribù indiane. Qui La Salle intendeva depositare scorte fresche di mais. La stagione era stata sfavorevole. Il piccolo raccolto ricavato annualmente dagli Indiani era ancora più scarso del solito, offrendo solo una scarsa scorta per l’inverno. Gli Indiani non erano disposti a vendere. Passarono molti giorni, e poco mais era stato fornito. La Salle aveva una bella scorta di brandy francese. Si offrì di scambiare il brandy con il mais. I poveri Indiani, che si sarebbero tolti i vestiti di dosso per liquori inebrianti, portarono il mais così abbondantemente, che le canoe furono immediatamente riempite. In un giorno furono caricati sessanta sacchi. Il 28 agosto 1680, i viaggiatori si imbarcarono nelle loro canoe e, sotto cieli soleggiati e con una distesa d’acqua liscia davanti a loro, pagaiarono gioiosamente lungo le rive settentrionali del lago Erie, risalirono il fiume Detroit, attraversarono il lago St. Clair, passarono attraverso lo stretto di St. Clair e costeggiarono le rive orientali e settentrionali del lago Huron, una distanza di due o trecento miglia, fino a raggiungere la stazione di Mackinac, l’ultima parte di settembre.


Il viaggio di La Salle sui Grandi Laghi

Il viaggio sul fiume Niagara aveva occupato quasi un mese. Quando la piccola flotta di canoe di betulla entrò nel porto di Mackinac, il tenente Tonti aveva appena abbandonato la sua fatiscente canoa di betulla sul fiume Illinois e, con i suoi pochi compagni, stava lottando a piedi attraverso la natura selvaggia a ovest del lago Michigan, cercando un rifugio.
La Salle, completamente ignaro dei disastri che avevano colpito la sua guarnigione a Crèvecœur, rientrò il 4 ottobre. Seguendo lo stesso corso che aveva seguito in precedenza, remò lungo la costa orientale del lago Michigan, fino al fiume St. Joseph. Alla foce del quale fiume, in precedenza, aveva eretto Fort Miami, sul territorio abitato dagli indiani Miami. Fu un lungo viaggio, con molti ostacoli determinati dalle tempeste autunnali, che sembravano spazzare incessantemente quel lago desolato e senza porto.
Dopo un tempestoso viaggio di un mese, La Salle raggiunse Fort Miami il 3 novembre. Undici mesi prima, il 3 dicembre 1679, aveva lasciato quella stazione, sulla sua rotta verso il fiume Illinois. Le Clercq dice che nel forte erano stati lasciati quattro uomini, ma non è probabile che un presidio così piccolo fosse stato lasciato in una posizione così esposta. Ma sia quel che sia, La Salle trovò il villaggio di Miami in cenere, e tutti coloro che vi abitavano erano dispersi. Anche il suo forte di tronchi era in totale rovina.
Il fiume St. Joseph ha le sorgenti nell’ Indiana. Per quasi cento miglia prima di svuotare le sue acque nel lago Michigan, scorre in un corso di stretti avvolgimenti, quasi direttamente verso sud. Discendendo questo corso d’acqua, con un viaggio in canoa di tre o quattro giorni, arrivarono a un portage, lungo cinque o sei miglia, con il quale potevano raggiungere il fiume Kankakee.Questo era un importante affluente del fiume Illinois. Era da questo torrente che La Salle e il suo gruppo, più di un anno prima, avevano proseguito il loro viaggio verso il lago Peoria. Era allora, per gran parte della sua lunghezza, piuttosto un triste ruscello, che si snodava lentamente attraverso paludi fiancheggiate da ontani. Rapidamente pagaiarono, giorno dopo giorno, attraverso un paese di silenzio e solitudine, fino a quando entrarono nelle acque più ampie e profonde del fiume Illinois.
Eppure, mentre scendevano questo bellissimo corso d’acqua, che si presentava con molti luoghi adatti per le abitazioni, non passavano davanti a villaggi indiani, nessun wigwam solitario, nessun segno di vita umana. Arrivarono al luogo in cui si trovava in precedenza il villaggio indiano nella sua pittoresca bellezza, con sei o ottomila abitanti che sciamavano intorno, nei vari costumi, e impegnati negli impieghi diversificati della vita selvaggia. Nulla era rimasto se non rovine fumanti e raccolti calpestati. Né il lupo né l’orso avrebbero potuto essere più spietati, o avrebbero potuto lasciare dietro di sé devastazioni così terribili. La dispersione della guarnigione, e la distruzione di tutte le opere iniziate e dei magazzini depositati a Crèvecœur, fu un altro colpo per La Salle, che apparentemente frustrava tutti i suoi piani. Ma quest’uomo straordinario, invincibile dai rovesci della fortuna, presentava ai suoi compagni solo un aspetto sorridente, e si rivolgeva loro solo con parole allegre. Avendo perso tutto ciò che si aspettava di trovare a Crèvecœur, divenne necessario per lui tornare a Mackinac. Ciò richiedeva un viaggio per fiume, foresta, prateria e lago, di quasi cinquecento miglia.
Immediatamente radunò tutto il suo gruppo nelle canoe, e iniziò la laboriosa salita del torrente che aveva appena disceso così piacevolmente, sostenuto dall’aiuto della corrente. Quando raggiunsero la foce del Kankakee, invece di seguire quel torrente, attraversarono il paese da un portage direttamente a nord, fino a raggiungere il fiume Chicago. Qui misero di nuovo in acqua le loro canoe e seguirono i tornanti del torrente fino a quando non arrivarono al suo ingresso nel lago Michigan, dove ora si trova Chicago.In questo porto La Salle trovò gruppi di molte tribù devastate dalla guerra, in condizioni pietose per la fame. Lo informarono che i terribili Irochesi delle Cinque Nazioni selvagge unite, e il cui potere centrale era nel vasto territorio a sud del lago Ontario, avevano invaso la valle dell’Illinois in numero schiacciante. Molti dei loro guerrieri erano dotati di armi acquistate dai Francesi. Le tribù deboli erano fuggite terrorizzate davanti a loro. Le bande feroci vagavano in tutte le direzioni. Di giorno e di notte risuonava l’orribile guerra: whoop! I villaggi furono bruciati, donne e bambini furono massacrati, molti furono catturati e rapiti e migliaia di fuggitivi, in lutto per la guerra, colpiti dalla sciagura, erano fuggiti ad ovest del Mississippi per cercare protezione presso tribù amiche in quei regni apparentemente sconfinati.
Intorno alle incantevoli rive del lago Peoria prima c’erano stati diciassette fiorenti villaggi indiani. Furono tutti distrutti, in scene terribili di conflagrazione e massacro. I sopravvissuti fuggirono oltre il Mississippi, a seicento miglia dalle loro case desolate. E anche in queste regioni i feroci Irochesi li inseguivano, assetati di sangue e cuoio capelluto.
La Salle era cristiano. Era interessato al benessere religioso dei poveri Indiani, come unico strumento con cui potevano assicurarsi case piacevoli sulla terra e case felici in cielo. Era d’accordo con i missionari, che se volevano stabilire missioni da quelle parti, con qualche speranza di vedere il cristianesimo fare progressi tra i Nativi, dovevano assicurare loro l’immunità dagli orrori della guerra. Questo poteva essere fatto solo unendo le tribù rimanenti in una ferma alleanza per una difesa comune.
La Salle raggiunse la foce del fiume Chicago probabilmente nel gennaio 1681. Il lago, per una certa distanza dalla riva, era ghiacciato. Feroci tempeste invernali spazzavano le cupe praterie e ammucchiavano la neve ovunque. Era quasi impossibile viaggiare, sia via terra che via acqua.
La Salle e il suo gruppo allestirono un accampamento sulle rive del fiume Chicago, per aspettare qualche settimana, il tempo che fase più severa dell’inverno fosse passata. Allo stesso tempo, anche se non ne era a conoscenza, i pochi membri rimasti della guarnigione che aveva lasciato a Crèvecœur stavano cercando riparo da queste gelide tempeste circa un centinaio di miglia a nord, nei wigwams degli amichevoli Pottawattomi.


Guerrieri Irochesi

La Salle e i suoi compagni ecclesiastici occuparono queste poche settimane di attesa nel cercare colloqui con i capi delle varie tribù vicine, nel tentativo di unirli in una forte confederazione. Assicurò loro che se fossero stati fedeli, i Francesi sarebbero diventati loro alleati e avrebbero inviato loro aiuti efficaci. Fu solo il 22 maggio che fu in grado di lanciare le sue canoe sul lago, atteso da un viaggio di circa duecentosessanta miglia.
Verso la metà di giugno la flotta di canoe raggiunse il porto di Michilimackinac. Qui La Salle incontrò il tenente Tonti, padre Membré e i loro associati. Il buon Padre Membré scrive:
“Vi lascio concepire la nostra gioia reciproca, anche se è stata smorzata dalla narrazione che ci ha fatto di tutte le sue disgrazie;anche noi lo abbiamo fatto partecipe delle nostre tragiche avventure. Anche se La Salle ha riferito a noi tutte le sue calamità, tuttavia non ho mai notato in lui la minima alterazione. Ha sempre mantenuto la sua ordinaria freddezza e il suo possesso di sé. Qualsiasi altra persona avrebbe abbandonato l’impresa. Ma La Salle, per una fermezza d’animo e una costanza quasi ineguagliabile, fu più risoluto che mai a compiere la sua scoperta. Siamo quindi partiti, per tornare a Fort Frontenac con tutto il suo gruppo, per adottare nuove misure, per riprendere e completare il nostro corso, con l’aiuto del cielo, in cui abbiamo riposto tutta la nostra fiducia”.
Non abbiamo un resoconto dettagliato del lungo viaggio di ritorno a Frontenac, o del viaggio di ritorno alla foce del fiume Chicago. Nelle magre narrazioni che ci sono giunte, ci sono lievi discrepanze che è impossibile conciliare. Entrando nel lago Michigan alla sua estremità settentrionale attraverso lo stretto di Mackinac, pagaiarono lungo la costa orientale, passarono la foce del fiume St. Joseph, seguirono la curvatura meridionale del lago e raggiunsero la foce del fiume Chicago il 4 gennaio 1682. L’inverno in quella regione fu breve, ma molto severo. Il fiume Chicago presentava una solida superficie di ghiaccio.
Furono costruite slitte, su cui furono posizionate le canoe, e vennero trascinate dagli uomini sul ghiaccio del fiume. Questo viaggio in pieno inverno, su una distesa desolata e spesso senza alberi, fu lento e faticoso. Raggiunto il punto in cui iniziava il portage, trascinarono le loro slitte, cariche di canoe, bagagli e provviste, attraverso il portage fino al fiume Illinois. Raggiunsero questo punto il 29 del mese, dopo aver trascorso ventitré giorni nell’estenuante viaggio. Erano, a quel punto, secondo la stima di padre Membré, a duecentoquaranta miglia dalla foce dell’Illinois, il punto d’ entrata nel Mississippi. Trascinando le slitte sul ghiaccio, giorno dopo giorno seguivano il torrente solitario e silenzioso, le cui rive la guerra aveva desolato. Superarono i siti fumanti di molti ex villaggi, dove l’occhio incontrava solo scene malinconiche di devastazione. Raggiunsero Crèvecœur verso il 1° febbraio. Sembrerebbe che La Salle, nella sua precedente visita, avesse riparato le rovine, in modo da fornire una casa temporanea per il suo gruppo al suo arrivo. Trovò tutte le cose come le aveva lasciate.
Il fiume sotto Crèvecœur era libero dal ghiaccio. Dopo aver riposato per circa una settimana, al calore dei fuochi nelle loro capanne di tronchi, i componenti la spedizione lanciarono le canoe nel fiume Illinois e il 6 febbraio raggiunsero la foce del fiume. Trovarono il Mississippi in piena, coperto di vaste masse di ghiaccio, che si riversavano dalle lontane regioni del nord. Questo li trattenne fino al 13 del mese. Si accamparono nello stesso punto in cui si era fermato padre Hennepin. Un breve viaggio di un giorno li portò alla foce del turbolento Missouri.Qui sbarcarono in un villaggio indiano, dove sembra fossero accolti molto gentilmente. Si ricorderà che La Salle era ancora intenzionato a trovare qualche breve passaggio attraverso il continente, di cui non sapeva nulla, verso l’Oceano Pacifico. Era molto eccitato dalle strane notizie che sentiva dagli Indiani di qui. Gli assicurarono che risalendo il fiume dieci o dodici giorni sarebbe arrivato a una catena di montagne da dove il fiume nasceva; che numerosi e popolosi villaggi indiani erano sparsi lungo le rive del fiume; che salendo su una delle cime di montagna, avrebbe avuto una vista sul vasto e sconfinato mare dove navigavano grandi navi. Non possiamo ora dire se questa fosse la mera invenzione di qualche selvaggio fantasioso, o se tale fosse l’opinione generale della tribù. Il giorno dopo, dopo una navigazione di una trentina di miglia, raggiunsero un altro villaggio indiano sulla riva del fiume. Anche qui sbarcarono pacificamente e riscaldarono i cuori dei Nativi con alcuni regali che per loro erano di inestimabile valore. Viaggiarono lentamente. Non potevano, nelle loro canoe affollate, trasportare una grande quantità di provviste. Di conseguenza avevano la necessità di fare frequenti soste per catturare pesci o per cacciare la selvaggina. Non molto tempo dopo questa visita di La Salle, in questo piccolo villaggio venne stabilita una missione, che fu chiamata Marou. Si dice che la maggior parte degli Indiani si convertì al cristianesimo.


Si trascinano le canoe sul ghiaccio

Continuando il loro viaggio per centoventi miglia lungo il fiume, arrivarono alla foce dell’Ohio. Qui fecero un’altra sosta per procurarsi scorte fresche. Gli Indiani, amichevoli, li informarono che non potevano trovare un accampamento adatto per una distanza di quasi centocinquanta miglia, le rive erano molto basse e gravate da giunchi e fitte boscaglie.
I viaggiatori rimasero alla foce dell’Ohio dieci giorni, inviando gruppi in varie direzioni. Uno dei Francesi, Peter Prudhomme, allontanatosi dai suoi compagni, non tornò. C’erano molti timori che fosse stato catturato dagli Indiani, poiché alcuni del gruppo avevano visto nuove tracce indiane. La Salle non era disposto ad abbandonare l’uomo. Preparò alcuni trinceramenti per la protezione della sua compagnia, e spedì diversi uomini ben armati, con guide indiane, per seguire le tracce dei selvaggi, per il recupero del prigioniero nel caso l’uomo fosse stato preso da loro. Per quattro giorni La Salle rimase nell’ accampamento alla foce dell’Ohio.
Il 1° marzo il distaccamento inviato all’inseguimento dell’esploratore perduto, ritornò. Non avevano visto né sentito nulla di Prudhomme. Tuttavia erano stati visti cinque Indiani, due dei quali furono catturati e portati nel campo. Non sapevano nulla dell’uomo perduto. Avendo ricevuto un trattamento amichevole, sembravano piuttosto ansiosi che La Salle visitasse il loro villaggio, assicurando La Salle che esso era lontano un giorno e mezzo di viaggio dal punto in cui si trovavano allora. Questi Indiani appartenevano alla tribù Chickasaw, che in seguito divenne piuttosto importante nella storia della valle del Mississippi.Con gli Indiani un giorno di viaggio era di circa trenta miglia. La Salle e Padre Membré si misero in viaggio per visitare il villaggio, guidati dagli Indiani,ma, dopo aver viaggiato giorno e mezzo attraverso un paese caratterizzato da foreste, praterie e montagne, si convinsero che gli Indiani li stessero ingannando e li accusarono di questo. Gli Indiani confessarono l’inganno, si scusarono e confessarono che il loro villaggio era ancora a distanza di tre giorni di viaggio. Senza alcuna apparente riluttanza riaccompagnarono La Salle e Membré al campo. La Salle mandò quindi uno degli Indiani al villaggio dei Chickasaw, con diversi regali, e per invitare i capi a incontrarlo, alcune centinaia di miglia più in basso, mentre scendeva il fiume con le canoe. L’altro Indiano acconsentì a rimanere e ad accompagnare il suo gruppo lungo il fiume.
Proprio mentre i viaggiatori si stavano imbarcando, l’uomo scomparso apparve. Si era perso nella foresta e per nove giorni aveva vagato nell’inutile ricerca dei suoi compagni. Fortunatamente, il tempo era mite, la selvaggina abbondante e, poiché aveva la sua pistola con sé, non aveva avuto problemi di cibo.
Rallegrati dal ritorno del disperso, gli uomini entrarono gioiosamente nelle canoe e, sotto un cielo senza nuvole, si spinsero nella rapida corrente, per essere trascinati attraverso regni completamente sconosciuti, e verso un punto che non sapevano dove fosse.
Era uno spettacolo singolare e bellissimo, che veniva presentato da questa flotta di grandi canoe di betulla, otto o dieci in numero, piene di Indiani e Francesi in costume indiano, che scivolavano lungo la rapida corrente del fiume. Le pagaie brillavano con i raggi riflessi del sole. Tutti erano in salute. Non si sentiva fatica. Nuove scene di meravigliosa desolazione, o bellezza, o grandezza, si aprivano continuamente davanti a loro. Erano ben nutriti. La mente era tenuta in uno stato di deliziosa eccitazione. I Francesi sono proverbialmente bonari e allegri, quindi l’accampamento di ogni notte presentava una scena di festa, falò e gioia giocosa. Erano davvero giorni di sole, e questa era la poesia del viaggiare.
Arrivò il 3 marzo 1682. Avevano disceso il fiume, avevano calcolato, per circa centoventi miglia sotto la foce dell’Ohio. Si stavano avvicinando, anche se non lo sapevano, a un grande villaggio degli Indiani dell’Arkansas, situato sulle rive occidentali del Mississippi. Era nascosto loro da un bluff e da una svolta nel torrente. Un Indiano, alla vedetta sul promontorio, vide la formidabile flotta, lontana dal fiume, e, supponendo che fosse piena di guerrieri di una tribù ostile sul sentiero di guerra, diede l’allarme. L’intero villaggio fu immediatamente gettato in uno stato di grande eccitazione. Le donne e i bambini fuggirono nella foresta. I guerrieri afferrarono le armi e si radunarono per la battaglia. Mentre la flotta si avvicinava, con tutti i componenti inconsapevoli dell’agitazione che avevano suscitato, i viaggiatori, non vedendo un solo Indiano, furono sorpresi di sentire, dall’altra parte del bluff, le urla di quelli che apparentemente erano centinaia di selvaggi. I loro penetranti urli di guerra erano mescolati con le forti percussioni di una specie di tamburo che suonava incessantemente.


Il territorio abitato dai Chickasaw

Allarmato da queste dimostrazioni ostili, La Salle guidò le sue canoe dall’altra parte del fiume, che qui aveva circa un miglio di larghezza. Prese terra in vista diretta del villaggio. Non sapeva che centinaia di guerrieri avrebbero attraversato il fiume nelle loro canoe, per fare un assalto impetuoso contro di lui.
Dopo essersi ripreso dalla sorpresa, egli poi, disarmato, avanzò fino al bordo dell’acqua, e con segni amichevoli si sforzò di invitare alcuni dei capi a venirgli incontro.
Molti dei capi entrarono in una grande barca, chiamata periagua (da cui il nostro “piroga”). Era fatta del tronco di un albero immenso, scavato, intagliato e decorato con immenso lavoro. Una tale canoa di legno era in grado di contenere un gran numero di guerrieri. I capi attraversarono il fiume fino a quando non arrivarono a un quarto di miglio dalla riva, e poi si fermarono e invitarono gli estranei a venire loro incontro.
La Salle mandò un Francese(deduciamo dalla narrazione che deve essere stato Padre Membré) in canoa, ad incontrarli. Due dei suoi Indiani pagaiarono fino a quando non arrivarono accanto alla periagua dei Nativi. Padre Membré, pur con tutta la familiarità che aveva con diversi dialetti indiani, non sapeva parlare la loro lingua. Egli tuttavia offrì loro il calumet della pace, che subito conquistò la loro fiducia; e non trovò difficoltà a comunicare con loro con i segni. Invitò i capi ad accompagnarlo di nuovo all’accampamento. Erano sei in numero e,tenendolo con loro nel grande periagua, pagaiarono rapidamente a riva, seguiti dalla canoa di Membré, con i due barcaioli indiani.
Senza alcuna esitazione, i sei capi indiani intrapresero un colloquio con La Salle. Apparvero franchi, poco sospettosi e cordiali, e furono resi molto felici da diversi regali che La Salle mise nelle loro mani. Invitarono l’intero gruppo ad attraversare il fiume fino al loro villaggio. Le canoe furono messe in acqua e tutte attraversarono il torrente, guidate dai capi tribù nella loro barca di legno. L’intera popolazione maschile adulta del villaggio affollava le rive per riceverli con ogni dimostrazione di amicizia. Ma le donne e i bambini si tenevano cautamente lontani, intimiditi dall’ aspetto imponente delle otto o dieci grandi canoe di betulla, da cui più di cinquanta persone sbarcavano sulla spiaggia, quasi tutte armate di fucili, non per la guerra, ma per la caccia e la protezione personale. I nativi si affollavano intorno agli stranieri, li conducevano fino ai loro wigwam, che erano situati su una pianura ricca e ben coltivata che si estendeva sulla riva del fiume. Gli ospiti furono trattati con la più grande profusione di ospitalità. Questi Indiani avevano raggiunto un grado molto considerevole di civiltà. Avevano un gran numero di schiavi, che avevano catturato dalle tribù con cui erano in guerra. I campi fertili intorno erano abbastanza ben coltivati con mais, fagioli, meloni e una varietà di frutti. Le pesche erano abbondanti. Grandi stormi di tacchini e altri uccelli domestici affollavano gli spiazzi. Erano una razza molto bella; e si osservò che, mentre gli Indiani del nord erano generalmente lunatici e taciturni, questi selvaggi, sotto cieli più soleggiati, erano franchi, generosi e allegri.
Per diversi giorni La Salle e il suo gruppo rimasero con i gli ospitali e amichevoli Indiani dell’Arkansas. Il 14 marzo 1682, La Salle prese possesso del paese in nome del re di Francia. Allestì la cerimonia con tutta la pompa che poteva. Un’immensa croce fu innalzata nel centro del paese; il Dio cristiano venne celebrato con inni, preghiere e imponenti riti religiosi. Migliaia di selvaggi si radunarono intorno, guardando con gioia la scena così nuova per loro. Non avevano idea del suo significato. Supponevano che fosse un festival che si teneva per il loro intrattenimento, poiché si esibirono in una danza di guerra per compiacere i loro ospiti.


La Salle pianta la croce fra gli Indiani

Quando la croce fu innalzata, Padre Membré fece qualche tentativo di insegnare loro il significato di questo emblema della via della salvezza attraverso la fede in un Salvatore espiatorio. Scrive:”Durante questo periodo mostrarono di apprezzare ciò che dicevo alzando gli occhi al cielo e inginocchiandosi come per adorare. Li abbiamo anche visti strofinarsi le mani sui loro corpi, dopo averli strofinati sulla croce. In fin dei conti, al nostro ritorno dal mare, scoprimmo che avevano circondato la croce con una palizzata”.
Il 17 del mese, gli esploratori ripartirono e continuarono il loro viaggio lungo il fiume per circa diciotto miglia, finché arrivarono in altri due villaggi delle tribù dell’Arkansas. Qui furono nuovamente accolti con la massima ospitalità. Continuando il loro viaggio sotto cieli senza nuvole e su un torrente trasparente per quattro giorni, arrivarono a un lago piuttosto grande formato da un’espansione del fiume. Questo specchio d’acqua sembrava essere orlato di villaggi. Ce n’erano quaranta sul lato est del lago, e trentaquattro sul lato ovest. Tutti erano situati in una posizione pittoresca e, in lontananza, presentavano un aspetto di grande bellezza.
Le case erano ben costruite, di argilla mista a paglia cotta al sole. I tetti erano costruiti con legno e avevano molti comodi articoli di mobilio per la casa. La corteccia di un albero forniva fibre bianche molto fini, che intrecciavano in coperte e altri articoli di abbigliamento.
Il capo supremo era un sovrano assoluto, avendo la proprietà e la vita dei suoi sudditi interamente a sua disposizione. Lo assisteva un seguito di schiavi. Era lussuosamente vestito, nutrito e alloggiato. Il villaggio del capo era a poca distanza dalle rive del lago. La Salle era piuttosto malato e incapace di salire a palazzo per rendere omaggio al monarca. Si accampò sulle rive del torrente, e sotto l’ombra di un riparo cercò riposo su una stuoia. Egli, tuttavia, inviò il tenente Tonti e padre Membré con regali al capo. In cambio, diversi uomini furono inviati a La Salle, munificamente carichi di provviste e altri doni. Poco dopo, il capo stesso apparve in abiti regali. Prima venne un maestro di cerimonie, con sei aiutanti, per rimuovere ogni ostacolo dalla strada e per rendere il percorso completamente liscio per i piedi reali. Scelsero un punto in cui il monarca doveva dare udienza ai suoi ospiti. Il terreno venne accuratamente levigato e tappezzato con bellissime stuoie.
Il grande capo fece presto la sua apparizione. Era riccamente vestito con abiti bianchi. Due “ufficiali” lo precedevano, portando pennacchi di piume splendidamente colorate. Fu seguito da un altro funzionario, con due grandi lastre di rame, completamente lucidate. Il re aveva il portamento di un gentiluomo. Era grave, dignitoso e cortese. Essendo sempre stato abituato al comando assoluto, aveva quella peculiare aria di possesso di sé e di autorità che sembra essere l’eredità di coloro che possono vantare una lunga linea di illustri antenati.
Era il 22 marzo 1682. La scena che si presentava era nel massimo grado pittoresca e bella. Il lago che si espandeva a perdita d’occhio brillava alla luce del sole, placido come uno specchio. I villaggi degli Indiani, raggruppati così fittamente lungo le rive, erano composti da abitazioni consistenti, i cui tetti di canne curve, di paglia con spesse stuoie, erano arrotondati in graziose cupole. Lo splendore barbaro assunto dal monarca, il gruppo di avventurieri francesi, con i loro compagni indiani, radunati nelle vicinanze, le migliaia di Indiani della tribù Taensa (una tribù di lingua Muskogee, oggi scomparsa), uomini, donne e bambini, in piedi a una distanza rispettosa, che guardavano in silenzio la scena, la piccola flotta di canoe sulla spiaggia e l’accampamento francese frettolosamente montato – tutto dava un’immagine di pace e bellezza, che la matita dell’artista più abile potrebbe invano tentare di ritrarre. Sembrava davvero che là fosse rappresentato un mondo felice ideale, in cui gli uomini potessero vivere insieme nella comprensione e con lo scambio delle simpatie più gentili. Anche se all’inizio della primavera, il fogliame sotto quei cieli soleggiati era in pieno rigoglio e i fiori in pieno splendore.
Il colloquio tra il monarca e La Salle fu molto cordiale, se pur condotto principalmente tramite segni. Furono scambiati sorrisi e regali. Per quattro giorni i viaggiatori rimasero ospiti di queste persone amichevoli. Vagavano per i loro villaggi, entravano nelle loro dimore e banchettavano abbondantemente. I Nativi sembravano molto amabili, abbastanza intelligenti, e sembravano giunti ad un grado di civiltà più elevato delle nazioni o tribù più a nord. Padre Membré era molto contento del loro candore e della comprensione con cui pensava che apprendessero le sue istruzioni. Essi accettarono prontamente il suo insegnamento di Dio; e apparentemente comprendevano, senza alcuna difficoltà, il piano di salvezza attraverso un Salvatore che espiava per tutti.


La Salle nel villaggio dei Taensa

Il 26 marzo, La Salle e i suoi compagni, ristorati da questa visita amichevole, ripresero il loro viaggio lungo il fiume. Scesero molto rapidamente, con l’aiuto della corrente e delle pagaie. Dopo aver navigato per una quarantina di miglia, videro in lontananza sotto di loro, una grande barca di legno contenente un certo numero di Indiani. I selvaggi sembravano allarmati quando videro la flotta di canoe che scendeva così rapidamente su di loro. Raddoppiarono la forza sulle loro pagaie e si diressero alla riva orientale La Salle, con la sua solita cautela, prese terra sulla riva opposta. Le due parti si guardarono l’una con l’altra attraverso il fiume, in quel punto largo un miglio. La Salle mandò il tenente Tonti, in canoa con diversi Indiani, a portare ai dirimpettai il calumet della pace. Mentre gli Indiani agitavano le loro pagaie, si alzò in piedi sulla canoa, agitando verso i barcaioli un emblema piumato come simbolo di amicizia. Mentre il tenente Tonti stava attraversando il fiume, un gran numero di Indiani fu visto correre, da varie direzioni, e affollare le rive. Giunto a pochi metri dalla riva, si fermò, presentando ancora il calumet, che tutte le tribù sembravano riconoscere e rispettare.
Ogni sospetto era stato dissipato. Gli Indiani si unirono ai Francesi sulla riva occidentale ele due parti si fusero. Gli Indiani erano pescatori della tribù Natchez. Avevano un grande villaggio a circa nove miglia nell’entroterra, a est del fiume. Senza alcuna esitazione La Salle, Padre Membré, e pochi altri, accettarono l’invito ad accompagnarli al loro villaggio. Ci sono alcuni uomini così franchi, geniali, di buon cuore che conquistano l’affetto a prima vista. La Salle era un uomo del genere. Padre Membré dà spesso testimonianza di queste peculiari caratteristiche. In questa occasione scrive:”Abbiamo dormito nei wigwam di questi selvaggi. Ci hanno dato il benvenuto gentile come potevamo desiderare. Il Cavaliere La Salle, la cui stessa aria, modi coinvolgenti e mente accattivante, comandavano ovunque rispetto e amore, impressionavano così tanto i cuori di questi Indiani che non sapevano come trattarci abbastanza bene. Ci avrebbero volentieri tenuti con loro in modo permanente”.
Per tre giorni La Salle e i suoi compagni usufruirono dell’ospitalità di questi amichevoli Nativi. Una trentina di miglia sotto gli indiani Natchez, c’era un’altra potente tribù chiamata Koroas. Erano amici e alleati dei Natchez. Un corriere fu inviato per informare il capo dei Koroas dell’arrivo degli illustri stranieri e per invitarlo a venire a partecipare dando loro un’adeguata accoglienza. Egli si affrettò a Natchez con un imponente seguito dei suoi uomini più importanti. Ancora una volta fu eretta una croce, mentre tutti gli Indiani guardavano con ammirazione lo sfarzo religioso e civile di cui era investita la cerimonia. Una targa era attaccata alla croce, sulla quale erano incise le armi di Luigi XIV. Gli Indiani furono deliziati dallo spettacolo, anche se non riuscivano a comprendere il significato del rito come presa di possesso del loro paese in nome del re di Francia.
René Cavelier de La Salle discende il Mississippi – dipinto di Henri Gaston Garien
La Salle e i suoi compagni tornarono alle loro canoe. L’indiano Chickasaw che li aveva accompagnati dal loro accampamento vicino alla foce dell’Ohio, e che avevano chiamato Camp Prudhomme, dall’uomo che si era perso e poi era stato ritrovato lì, rimase nel villaggio degli indiani Natchez. Un viaggio di pochi giorni lo avrebbe portato alla sua tribù.
Il capo dei Koroas, dopo aver invitato La Salle a visitare il suo villaggio, si imbarcò con il suo seguito nelle barche di legno indiane, poi discese il fiume in compagnia dei Francesi nelle loro canoe di betulla. Un viaggio di circa quattro ore li trasportò fino al villaggio, che si chiamava Akoroa. Era splendidamente situato su una sporgenza, che dominando una prateria ampia ed estremamente fertile, con grandi campi di mais, le cui foglie simili a lance stavano già ondeggiando nella leggera brezza. Gli Indiani amavano le cerimonie. Tennero un concilio, presentarono il calumet, fumarono la pipa della fraternità, fecero discorsi solo parzialmente compresi e scambiarono regali. Dopo una breve sosta, il viaggio fu nuovamente ripreso. Il capo fornì ai Francesi un pilota, dicendo loro che sarebbe stato comunque necessario un viaggio di dieci giorni per raggiungere il mare, e che il fiume si divideva in diversi canali o corsi d’acqua indipendenti mentre si avvicinava al Golfo. Poiché gli Indiani consideravano la percorrenza di trenta o quaranta miglia un buon viaggio di un giorno sul fiume, si stimava che ci fosse ancora un viaggio tra le tre e le quattrocento miglia davanti a loro. Furono anche informati che c’erano numerose tribù sul fiume inferiore, ma che erano generalmente ben disposte.
Il 2 aprile, quando le canoe ebbero disceso il fiume per circa diciotto miglia sotto Akoroa, trovarono che il fiume si ramificava in due bracci o canali, con in mezzo un’isola, che stimarono essere lunga centottanta miglia. Avevano avuto indicazioni di prendere il canale a sinistra. Ma a causa di una fitta nebbia fluviale e non lo videro. La canoa di La Salle era avanti, mentre la canoa che doveva fare da guida era rimasta molto indietro. Anche se gli occhi acuti della guida indiana trafiggevano la nebbia ed egli faceva tutto ciò che era in suo potere con i segni per mostrare loro che si sbagliavano, l’intera flotta seguì il suo capo e fu trascinata nel canale sulla destra. Il motivo per cui erano stati avvertiti di prendere il ramo di sinistra, era che le otto o dieci tribù sulle rive occidentali erano amichevoli e non avrebbero dato problemi, mentre quelle sul ramo orientale erano bellicose e li avrebbero probabilmente attaccati. Ben presto sperimentarono la saggezza dei consigli che erano stati dati loro.
Dopo aver disceso il fiume per circa centoventi miglia, videro un certo numero di Indiani che stavano pescando sulla riva del fiume. Nel momento in cui i selvaggi videro la flotta di canoe si diedero alla fuga. Immediatamente la foresta si riempì del clamore di orribili grida di guerra, del battere dei tamburi e di tutti gli altri segnali di ostilità. Il ramo del fiume che stavano scendendo, era qui compresso in uno stretto canale. Una fitta foresta circondava entrambe le sponde. Era evidente che c’erano villaggi popolosi nelle vicinanze, perché i guerrieri si vedevano radunarsi rapidamente, mentre correvano da un albero all’altro per ottenere buone posizioni per sopraffare le canoe con le loro frecce.
Le braccia muscolose degli Indiani lanciavano una freccia con quasi la velocità e la precisione di un proiettile di fucile. Questi dardi appuntiti si facevano strada attraverso la corteccia di betulla delle canoe come se fossero solo fogli di carta marrone. Questo potente attacco era sufficientemente minaccioso da allarmare il cuore più coraggioso. La Salle ordinò a tutte le barche di fermarsi. Poi mandò una canoa in avanti, con quattro Francesi, per presentare il calaumet della pace. Gli uomini avevano ricevuto l’ordine di non sparare sui selvaggi per nessun motivo. Non appena la canoa arrivò a un tiro di freccia, gli Indiani, nonostante l’esibizione del calumet, lasciarono partire una pioggia di frecce. Fortunatamente, quasi tutti i tiri erano corti e nessuno venne colpito. Con la massima precipitazione, i Francesi pagaiarono di nuovo verso i loro compagni. La Salle inviò quindi un’altra canoa, con quattro indiani, che portava il calumet. Avanzarono con grande cautela e incontrarono la stessa accoglienza ostile.
Allora La Salle ordinò alle canoe di avvicinarsi il più possibile alla riva opposta, forzando la voga per allontanarsi dal punto del pericolo e ordinando di non sparare contro gli Indiani. Non aveva alcun desiderio di impegnarsi in una battaglia in cui non c’era nulla da guadagnare. I suoi tiratori scelti avrebbero potuto molto facilmente far sì che molti di quei guerrieri selvaggi mordessero la polvere, e quindi lutti e lamenti avrebbero colpito molti wigwam. Ma questo non sarebbe servito a nulla. Non avrebbe sottomesso i selvaggi, ma li avrebbe solo esasperati. Si ricordò anche che doveva tornare, e che se gli Indiani non avessero ricevuto alcun danno dalle sue mani, non sarebbe stato suscitato il loro spirito di vendetta, e sarebbe stato molto meno difficile stabilire relazioni amichevoli con loro. Anche se i selvaggi urlavano, correvano freneticamente lungo la riva, e lanciavano le loro frecce con la massima forza, le canoe, trascinate dalla rapida corrente e dalla forza delle pagaie, passarono tutte in sicurezza. In seguito La Salle apprese che questa tribù inospitale si chiamava Quinnipissa.


La Salle incontra i Koroas

Le canoe della spedizione avevano remato lungo il torrente ma,dopo circa sei miglia, arrivarono ad altre e ancora più deplorevoli prove della disumanità dell’uomo verso l’uomo. Trovarono sulle rive i resti fumanti di un grande villaggio, che era stato recentemente saccheggiato e bruciato. Era evidente che gli abitanti avevano subito massacri indiscriminati, ad eccezione di coloro che erano stati portati via in schiavitù, o per contribuire ai festeggiamenti dei vincitori, nella sopportazione di torture demoniache. Il terreno era coperto da corpi di uomini, donne e bambini, in tutte le odiose fasi del decadimento. I viaggiatori vagarono attraverso queste scene terribili per un’ora, senza incontrare alcun essere vivente, e poi si affrettarono per la loro strada. Questo villaggio, come si accertò successivamente, si chiamava Tangibao. Il gruppo continuò a scendere il fiume per altri quattro giorni, senza incontrare alcun incidente di rilievo. La giornata di navigazione era in media di circa trenta miglia. Era sempre necessario prendere terra per l’accampamento notturno. Avevano percorso circa centoventi miglia dai Quinnipissa quando arrivarono al delta del Mississippi. Qui il maestoso fiume si divideva in tre rami. A questo punto scesero a terra e si accamparono in mezzo a una fitta e quasi tropicale foresta, sulla riva, leggermente rialzati sopra la superficie dell’acqua.
Al mattino La Salle divise la sua flotta in tre gruppi, ognuno dei quali doveva discendere ciascuno dei tre rami del fiume. Egli prese quello all’estrema destra, o ramo occidentale. Il tenente Tonti, con padre Membré, prese il centro. Il ramo orientale, a sinistra, fu assegnato al signor Dautray. Giunti al mare, le canoe a destra e a sinistra dovevano girare verso il centro fino a incontrare il gruppo del tenente Tonti, il cui percorso verso il mare, si supponeva, sarebbe stato un po’ più breve di quello di uno degli altri due.
Tutti trovarono l’acqua profonda e salmastra e la corrente molto lenta. Dopo aver navigato per poche miglia l’acqua divenne salata e ben presto i loro occhi furono allietati dalla vista del mare aperto. Il tempo estivo era mite e sereno. La regione, a perdita d’occhio, era bassa e paludosa, senza punti di riferimento. Le flotte erano, tuttavia, tutte riunite in sicurezza. La Salle dopo aver ascoltato il rapporto che riguardava i canali centrale e orientale, decise di tornare da ovest, da dove era disceso. Risalirono da questo ramo, prima di poter trovare un terreno asciutto e solido, adatto a fornire una base solida per piantare la croce di Cristo e le armi della Francia.


Le tribù indiane del Sud-Est. I Koroa erano una tribù del ceppo Tunica, i Quinnipissa vennero assorbiti dagli Houma a partire dal 1698

Il nove aprile vennero tutti riuniti su un crinale leggermente rialzato, per la celebrazione di questa importantissima cerimonia. In primo luogo, sollevarono una massiccia colonna, ai piedi della quale seppellirono una lastra di piombo, recante un’iscrizione in latino, secondo la seguente dicitura:
“Luigi il Grande regna. Robert, Cavalier, con Lord Tonti, ambasciatore, Zenobia Membré, ecclesiastico, e venti Francesi, navigò per la prima volta in questo fiume dal paese dell’Illinois, e passò attraverso questa foce il nove aprile, milleseicentottantadue.”
I nomi di tutti i Francesi del gruppo erano riportati su questa targa. La Salle fece poi un discorso, che era stato accuratamente preparato, e che sembra essere stato registrato in quel momento. Esso era, in sostanza, il seguente:
“Nel nome di Luigi il Grande, e in virtù dell’incarico che tengo in mano, prendo possesso di questo paese della Louisiana, dei suoi mari, porti, porti, baie e stretti adiacenti; e anche di tutte le nazioni, persone, province, città, paesi, villaggi, miniere, minerali, pesca, torrenti e fiumi, compresi nella misura della suddetta Louisiana, dalla foce del grande fiume chiamato Ohio, e questo con il consenso delle persone che vi abitano, con le quali abbiamo stretto alleanza; e anche dei fiumi che vi si scaricano, dalle sorgenti del Mississippi alla sua foce nel mare; sulla rassicurazione di tutte queste nazioni che siamo i primi Europei che sono discesi o ascesi al suddetto Mississippi. Con la presente protesto contro tutti coloro che in futuro potranno impegnarsi ad invadere uno qualsiasi di questi Paesi, a danno del diritto di Sua Maestà, acquisito con il consenso di tutte le nazioni qui richiamate. Di questo prendo testimonianza tutti coloro che mi ascoltano e chiedono un atto del Notaio come richiesto dalla legge”.A questo punto l’intera assemblea rispose con grida di Vive le Roi e con un saluto di armi da fuoco.
Lo sbarco di La Salle
Conclusa così la cerimonia civile, la transazione doveva ora essere ratificata con riti religiosi. A lato della colonna era stata eretta una massiccia croce. Il devoto La Salle, che era un uomo sinceramente religioso, prese posizione ai piedi della croce e disse:
“Sua Maestà, Luigi XIV, il figlio maggiore della Chiesa, non annetterà nessun paese alla sua corona senza fare della sua principale cura stabilire la religione cristiana in essa. Il suo simbolo deve ora essere riconosciuto”. Furono poi cantati diversi inni cristiani. Le sublimi note del Te Deum risuonavano attraverso gli archi della foresta; e altre cerimonie della Chiesa cattolica furono eseguite con tutta la pompa che le circostanze avrebbero permesso.
Così la grande conquista fu compiuta. Secondo la legge delle nazioni allora esistente, l’intera valle del Mississippi fu annessa alla Francia, e fu davvero una magnifica acquisizione. Si stima che il regno di Francia comprendesse un’estensione di quasi trecentomila miglia quadrate. Si ritiene che la valle del Mississippi si estenda su una regione di un milione di miglia quadrate. Così il pioniere, La Salle, conferì alla Francia un territorio più di tre volte più grande del regno di Francia stesso.


Una rappresentazione celebrativa di La Salle che avanza nel Delta

Non c’era selvaggina da catturare nelle vaste paludi alla foce del fiume. Le provviste dei viaggiatori erano quasi esaurite. Essi, tuttavia, riuscirono a trovare un campo indiano abbandonato, dove c’era una piccola quantità di strisce di carne di qualche animale, essiccate al sole. Mentre mangiavano avidamente, gli Indiani che li accompagnavano li informarono che si trattava di carne umana. Inutile dire che non poterono più mangiare; anche se i selvaggi, che la divorarono con molto gusto, dichiararono che era estremamente delicata e saporita.
Il 10 aprile, il giorno successivo alla cerimonia di annessione, iniziarono la loro faticosa risalita del fiume per il viaggio di ritorno. Si incontravano spesso enormi alligatori, che prendevano il sole sui banchi di sabbia. I tiratori scelti impararono presto dove il proiettile avrebbe colpito un punto vulnerabile. Per diversi giorni vissero principalmente di patate selvatiche e della carne degli alligatori. Il paese era così paludoso e delimitato da canne quasi impenetrabili, che non potevano cacciare senza doversi allontanare di molto e tornare con lunghi ritardi. Alla fine raggiunsero le rovine annerite e i morti ammuffiti di Tangibao. La desolazione rimase completa. Nessuno era tornato al villaggio.
Era una questione della massima importanza che si trovassero in un deposito di mais. Il procurarsi l’alimentazione con la caccia era così aleatorio, che potevano rimanere molti giorni senza cibo, e quindi perire. Ma una pinta di mais, pestato nel mortaio e cotto nella cenere, può offrire a un uomo affamato una cena molto nutriente. E così questo pane diede di che sopravvivere al gruppo in viaggio.
Il tredicesimo giorno, mentre stavano lentamente pagaiando contro corrente, videro, lontano verso nord, un grande fumo, proveniente apparentemente da un fuoco indiano. Evidentemente non era lontano dalla regione in cui gli indiani Quinnipissa li avevano attaccati così ferocemente, solo pochi giorni prima. Molta era l’apprensione per il timore di venire nuovamente attaccati. L’avanzata contro la rapida corrente era necessariamente molto lenta. Gli Indiani avevano grandi barche di legno, che potevano riempire di guerrieri e stando a monte sul fiume rispetto a loro, potevano tagliare loro completamente la ritirata.
La Salle mandò una delle canoe in avanti in ricognizione. Mentre i suoi barcaioli indiani pagaiavano con cautela sotto il fitto fogliame delle rive, videro quattro donne. In quelle circostanze pericolose, si pensava che fosse meglio catturarle, se possibile, e tenerle in ostaggio per assicurarsi contro aggressioni da parte della tribù. Gli uomini sbarcarono e veloci corridori catturarono le donne e le riportarono alla flotta di canoe. Si apprese poi che gli indiani Quinnipissa, una nazione particolarmente bellicosa e feroce, avevano un grande villaggio poco lontano lungo il fiume. Nei pressi di questo villaggio era necessario passare. Non c’era dubbio che i selvaggi li avrebbero ferocemente assaliti. Poiché probabilmente potevano lanciare all’attacco molte centinaia di guerrieri e potevano effettuare l’assalto non solo dalle loro capienti piroghe, ma anche dal riparo degli alberi sulla riva, la situazione dei Francesi sembrava piuttosto disperata.
La Salle, in questa emergenza, accostò le sue canoe sulla riva, un po’sotto il villaggio, sulla riva opposta. Sperava, con l’aiuto dei suoi prigionieri, di avere qualche comunicazione con il nemico. Ma gli Indiani avevano già saputo del suo approccio. Ancora una volta le orecchie furono colpite dall’orribile clamore della grida di guerra e del rullo dei tamburi.
Era il primo pomeriggio di una giornata di caldo quasi tropicale, e tutte le voci della natura sembravano invitare l’uomo ad amare e aiutare il fratello. Ben presto si vide una flotta di enormi barche, che scendevano il fiume; ogni barca era affollata di venti o trenta guerrieri, dipintie ornati di piume, armati di archi e frecce, lance e mazze. Urlavano come demoni, come se si aspettassero di risvegliare con il frastuono il loro coraggio fino al punto più alto.
Lo stesso La Salle, con due o tre compagni scelti, si spinse fuori in canoa e avanzò per incontrarli. Sebbene sul fondo della canoa ci fossero uno o due cannoni da utilizzare in caso di assoluta necessità, apparivano completamente disarmati: una singola canoa avanzava per incontrare una flotta. La Salle si alzò e sventolò il calumet, il sacro emblema della pace e dell’amicizia. I selvaggi, assetati di sangue, non prestarono attenzione a questo appello. Raddoppiarono le loro urla e lanciarono una raffica di frecce verso quell’unica canoa con i suoi tre o quattro occupanti disarmati. Con nuovo vigore gli Indiani manovravano le loro pagaie, essendo ora sicuri della cattura degli estranei.


La Salle legge il proclama di rivendicazione della valle del Mississippi, Louisiana, per il re Luigi XIV

Era giunto il momento di un’azione pronta e decisa. I moschetti erano caricati. Una delle barche, più grande e riccamente ornata delle altre, portava evidentemente il capo. Era un uomo di corporatura erculea, vestito con il più splendido degli abiti indiani. Mentre si alzava in piedi sulla sua barca, dando ordini, rappresentò un bersaglio, anche se a grande distanza, a cui un tiratore scelto poteva dirigere la sua mira infallibile. La Salle ordinò a uno dei suoi tiratori di colpirlo. Dopo un attimo di pausa, ci fu un lampo, un leggero sbuffo di fumo, e il proiettile invisibile trafisse il cuore del capo. Il sangue sgorgò in un torrente e il guerriero cadde morto sul fondo della barca.
I guerrieri erano sconvolti, terrorizzati. Mai prima d’ora avevano sentito lo sparo di un fucile. Non sapevano cosa aveva colpito il loro capo. Nessun proiettile era stato visto. I selvaggi erano molto superstiziosi. Pensavano che questa dovesse essere un’opera di stregoneria e di essere stati attaccati da spiriti maligni, il cui potere era invincibile. Avevano visto risplendere il lampo e la nuvola che si alzava e svaniva. Avevano sentito il tuono. Il loro capo era stato colpito a morte da qualche fulmine al doppio della distanza a cui qualsiasi freccia poteva essere lanciata. Era una follia lottare contro un tale nemico. L’istante successivo chiunque poteva essere colpito. Furono presi dal panico. Immediatamente, dirigendo la prua delle loro barche lungo il fiume, fuggirono con la massima precipitazione.
La Salle tornò dai suoi compagni, consapevole di essersi assicurato solo una tregua. Aveva ancora da passare davanti al villaggio; e la corrente era così forte che si sarebbe dovuti passare molto lentamente. Era probabile che gli Indiani si sarebbero ripresi dalla sorpresa e che alcuni dei più audaci avrebbero di nuovo assalito le barche, al riparo dietro rocce e alberi. Le fragili canoe avrebbero potuto essere facilmente trafitte dalle frecce e dalle lance e gli occupanti gettati in acqua. I selvaggi si sarebbero presto abituati alla presenza delle pistole. Scoprendo che le rocce e gli alberi li proteggevano dal proiettile invisibile, avrebbero ripreso coraggio; e così un attacco generale e prolungato, condotto lungo il fiume, avrebbe causato la completa distruzione dei viaggiatori.
Era ancora necessaria la massima saggezza, per salvare la spedizione da questi pericoli. La Salle consegnò a una delle donne ricchi regali di asce, coltelli e perline, e la mandò dall’altra parte del fiume con una delle sue canoe. Con dei segni le disse di informare la sua tribù che desiderava amicizia con il suo popolo; che se esso fosse stato amichevole e gli avesse portato una scorta di mais, avrebbe liberato gli altri tre prigionieri e pagato per il grano, in articoli che sarebbero stati di grande valore per gli Indiani.
La mattina dopo un gran numero di guerrieri indiani furono visti avvicinarsi all’accampamento, dove i Francesi avevano alzato difese che avrebbero permesso loro di vendere caro la vita, se i selvaggi fossero stati determinati alla loro distruzione. La Salle, tanto audace quanto umano, avanzò da solo per incontrarli, presentando il calumet. Gli Indiani assunsero un atteggiamento amichevole, stipularono un trattato di pace e invitarono La Salle, con il suo gruppo, a visitare il loro villaggio. Gli portarono anche una considerevole riserva di mais. Sebbene i loro modi fossero tali da indurre La Salle a dubitare molto della loro sincerità, accettò l’invito, prima esigendo ostaggi che rimanessero nel suo accampamento fino al suo ritorno. Portò con sé padre Membré, suo compagno inseparabile in tali occasioni. Il mite missionario scrive:
«Siamo andati al villaggio dove questi Indiani ci avevano preparato una festa alla loro maniera. Avevano avvisato i loro alleati e vicini; così che quando siamo andati a goderci il banchetto, in una grande piazza, abbiamo visto arrivare una massa confusa di selvaggi armati, uno dopo l’altro. Siamo stati comunque accolti dai capi; ma, avendo motivo di sospetto, ognuno teneva pronto il suo fucile, e gli Indiani, vedendolo, non ci attaccavano».


Flotta di canoe indiane

Verso sera, La Salle e il suo compagno tornarono al campo, ancora preoccupati che gli Indiani meditassero il tradimento. Rilasciarono le tre donne, rendendole molto felici con ricchi regali. Per tutta la notte venne esercitata un’attenta sorveglianza. Prima dell’alba del mattino successivo le sentinelle riferirono di aver sentito un rumore, come se una moltitudine di uomini si stesse radunando furtivamente in un denso boschetto di canne, a breve distanza dall’accampamento. A tutti fu immediatamente ordinato di prendere le armi.
Era una mattina cupa, molto buia, con vento lamentoso e nuvole che si addensavano e pioggia che cadeva. Gli uomini avevano appena occupato le loro postazioni, dietro i ripari che erano stati precedentemente preparati, quando lo stridulo grido di guerra scoppiò da apparentemente centinaia di labbra selvagge; e dall’oscurità impenetrabile una pioggia di frecce venne a sfrecciare nell’aria. Caddero tutte innocue dentro e intorno al punto in cui gli uomini si trovavano, dietro i loro bastioni, con i moschetti caricati e innescati.
Anche se i selvaggi continuavano a gridare incessantemente e lanciavano le loro frecce quasi a caso nello stretto recinto, erano così nascosti dall’oscurità e dallo spesso canneto, che non se ne vedeva nessuno. I Francesi mantennero un silenzio perfetto. Non venne pronunciata una sola parola e non venne sparato un colpo di moschetto. Era molto importante che ogni proiettile sparato compisse la sua missione e lasciasse un guerriero morto nel suo sangue. Agli Indiani doveva essere insegnato che ogni lampo e sparo era il sicuro precursore della morte o della grave ferita di uno dei loro guerrieri.
All’alba,con la luce crescente, i selvaggi apparvero alla vista, mentre si spostavano da un punto all’altro. Non ci fu uno sparo casuale da parte delle armi da fuoco. Gli obiettivi vennero centrati con precisione. I selvaggi erano molto cauti nell’esporsi. I Francesi erano perfettamente protetti dalle frecce dal bastione dei tronchi. Per due ore infuriò questa strana battaglia: venti Francesi contro centinaia di selvaggi. Dieci Indiani erano stati uccisi a colpi d’arma da fuoco. Molti altri erano stati terribilmente feriti con le ossa frantumate. È probabile che ogni proiettile abbia colpito nel segno. Le frecce indiane non avevano colpito nessuno.
Mentre il sole sorgeva, rivelando il fuoco mortale delle armi dei Francesi e la totale impotenza delle armi degli Indiani, questi caddero nuovo nel panico e fuggirono precipitosamente. La Salle, con quasi tutte le sue forze, li inseguì fino al villaggio, dove, con le asce, demolì rapidamente tutte le loro barche, in modo da non poter essere inseguito e poter continuare il suo viaggio. I suoi uomini lo esortarono a bruciare il villaggio dei suoi infidi nemici. Ma lui rifiutò, dicendo che non avrebbe inflitto loro alcun danno più grande di quanto fosse assolutamente necessario per autodifesa. Alla fine di questo giorno di battaglia e sangue, venne un’altra notte, di oscurità e pioggia. Avvolti dalle tenebre della notte, i Francesi si imbarcarono. Passarono silenziosamente davanti al villaggio. Non un selvaggio “aprì la bocca o sbirciò”.


Arcieri indiani – dipinto di Michael Gentry

La tempesta era finita e quando il sole di un’altra bella mattina splendette su di loro, i viaggiatori erano ben oltre la portata dei loro nemici. Padre Membré elevò grazie a Dio che li aveva portati, illesi, attraverso un pericolo così grande, e li aveva trattenuti dall’esercizio di qualsiasi vendetta non cristiana. Era la mattina del 19 aprile.
Per dodici giorni continuarono a risalire la corrente del torrente, remando faticosamente verso nord. Ansiosi di tornare in Québec il più presto possibile con le notizie del loro glorioso successo, non si fermarono presso i numerosi villaggi che erano sparsi lungo le rive. Spesso vedevano assembramenti di Indiani, che sembravano assumere un atteggiamento ostile. Tuttavia nessun attacco venne portato contro di loro. Scendendo il fiume, all’andata, avevano una buona scorta di mais e ne avevano lasciato una discreta quantità in un luogo nascosto. Lo trovarono, al ritorno, in buone condizioni, e fornì loro una scorta molto opportuna. Furono sorpresi di vedere quanto velocemente il mais nei campi maturasse. Erano passati vicino a campi il 29 marzo, quando le tenere foglie stavano appena spuntando da terra. E ora, in meno di quattro settimane, il mais era adatto per essere arrostito. Venne detto loro che, in cinquanta giorni dalla semina, spesso maturava. Venne fatta una breve sosta nel villaggio degli amichevoli indiani Taensa, dove furono di nuovo intrattenuti molto ospitalmente. Il 1° maggio ripresero il loro viaggio lento e laborioso e raggiunsero gli Indiani dell’Arkansas verso il 15 del mese. Il 16 La Salle prese due canoe leggere, spinte da robusti vogatori indiani, e avanzò in anticipo rispetto al resto del gruppo. Diede indicazioni affinché le altre canoe seguissero il più velocemente possibile.
Ma La Salle cadde presto ammalato lungo la strada. Una canoa di betulla, in cui si è esposti ai raggi del sole di mezzogiorno, alle rugiade fredde del mattino e della sera, alle piogge persistenti e alle giornate tristi di nuvole e umidità, presenta solo poche comodità per un uomo in malattia e sofferenza. Egli, tuttavia, riuscì, dopo un faticoso viaggio di circa dieci giorni, a raggiungere il suo vecchio accampamento, che aveva chiamato Prudhomme, a sud della foce del fiume Ohio.Qui la sua malattia divenne così allarmante che non si poté proseguire. Il suo gruppo prese terra, tirò le canoe sull’erba della prateria, allestì l’accampamento in modo da renderlo una protezione efficace dal sole e dalla pioggia, stese le stuoie sul terreno e fornì il massimo dei conforti possibili all’uomo malato, che si temeva sarebbe presto morto. In questi casi un campo veniva generalmente costruito sotto forma di capannone, con la parte anteriore completamente aperta. L’accampamento si trovava sul lato orientale del fiume, di fronte al maestoso ruscello e agli splendori del sole al tramonto. La Salle non aveva un medico, nessuna medicina, nessuna cura adatta, nessun cibo delicato per soddisfare uno scarso appetito. Poteva solo sdraiarsi pazientemente sul suo tappetino e attendere l’evolversi della malattia, che fosse per la vita o per la morte. Il silenzio e la solitudine del fiume, della prateria e della foresta lo circondavano. Strane devono essere state le sue riflessioni in quelle ore solenni, quando stava anticipando il rapido avvicinarsi della morte, sulle rive di quel fiume che la sua impresa aveva fatto esplorare dalle sue sorgenti alla sua foce. Mentre nel languore e nella sofferenza si sdraiava sul suo giaciglio, tutta la bellezza e la fioritura di maggio si diffondevano intorno a lui. Gli Indiani si muovevano in silenzio, raramente scambiando una parola l’uno con l’altro. Portavano la selvaggina, cucinavano e alimentavano continuamente il fuoco, che era tenuto costantemente acceso nel campo.
Passarono così due giorni e due notti, quando, il 2 giugno, furono avvistate le canoe rimanenti della flotta che si avvicinavano all’accampamento. Presto gli uomini sbarcarono; e l’intero gruppo, oltre cinquanta persone, presentò una nuova scena di trambusto e attività. La Salle stava male, nel languore sempre crescente di qualcosa che sembrava febbre tifoide. Era chiaro che dovevano passare molti giorni prima che potesse lasciare quel luogo, ed era probabile, a suo giudizio come a quello di tutti i suoi compagni, che sarebbe sprofondato in quell’ultimo sonno da cui non c’è un risveglio.
In queste ore difficili, la sua serenità e la sua fiducia in Dio non lo abbandonarono. Chiamò il tenente Tonti e gli ordinò di prendere diverse canoe, con la maggior parte della compagnia, e farsi strada, il più vigorosamente possibile, lungo il fiume trecento miglia fino alla foce del fiume Illinois.


Mappa delle esplorazioni di La Salle con la probabile posizione di Ft. Prudhomme

Poi, risalendo quello, e il suo ramo superiore, il Kaskaskias, doveva attraversare un affluente del St. Joseph’s, e pagaiare giù per quei torrenti fino a Fort Miami, dove il St. Joseph sfocia nel lago Michigan. Da qui in riva al lago doveva dirigersi verso Mackinac. Ciò richiedeva un viaggio di oltre mille miglia. Tonti fu fornito di documenti indirizzati al conte Frontenac, governatore del Canada, che fornivano un resoconto dettagliato delle esplorazioni e delle scoperte che La Salle aveva realizzato con tanto successo. Padre Membré, con molti altri del gruppo, rimase con il malato.
Per più di un mese La Salle fu preda di una febbre bruciante, fino ad arrivare sull’orlo della tomba. La febbre poi lo lasciò. Per qualche tempo vi fu il dubbio che non gli fosse rimasta abbastanza forza per riprendersi. Ma lentamente recuperò e guarì. Dopo una degenza di quaranta giorni, venne posto con cautela sulle stuoie poste sul fondo di una canoa e, a brevi tappe, si riprese il viaggio. Il gruppo lasciò Fort Prudhomme e, seguendo la stessa pista che aveva seguito Tonti, si diresse verso Fort Miami, alla foce del fiume St. Joseph. Era la fine di settembre. Lo scenario proposto dalla grandiosità della foresta e dai fiori della prateria, era vario e incantevole. La selvaggina era abbondante. Lungo la strada erano sparsi villaggi ospitali, dove i viaggiatori venivano invariabilmente accolti con gentilezza veramente fraterna.
Il movimento della canoa, mentre gli Indiani pagaiavano sulla superficie limpida del torrente, era riposante e gradito al paziente convalescente. Nel fresco delle belle mattine potevano scivolare lungo il torrente per qualche lega, poi ripararsi dai raggi del sole di mezzogiorno in qualche ombroso boschetto e, nel fresco delle serene serate, riprendere il viaggio fino a quando il crepuscolo sempre più profondo consigliava di montare l’accampamento notturno.
Così piacevolmente in viaggio, La Salle riacquistò rapidamente forza; e quando raggiunse Fort Miami era quasi tornato al suo consueto vigore. Trovò l’abitato di Fort Miami abbastanza rinnovato dal tenente Tonti, e alcuni uomini lasciarono la guarnigione per riceverlo al suo arrivo. Era sorto anche un bel gruppo di wigwam indiani, dando al luogo un aspetto molto animato.
Padre Membré, nel descrivere lo scenario attraverso il quale passarono, in questa risalita del Mississippi e dell’Illinois, scrive:
«Le rive del Mississippi, per venti o trenta leghe dalla sua foce, sono coperte da una densa crescita di canne, tranne che in quindici o venti luoghi dove ci sono colline molto belle e ampi e comodi approdi. Dietro questa frangia di terra paludosa si vede il paese più bello del mondo.
I nostri cacciatori, sia francesi che indiani, ne sono rimasti entusiasti. Per un’estensione di seicento miglia di lunghezza, e altrettanto in larghezza, ci è stato detto che ci sono vasti campi di terra eccellente, diversificati con piacevoli colline, boschi elevati, boschetti attraverso i quali si può cavalcare a lungo, così chiari e senza ostacoli sono i sentieri. Queste piccole foreste costeggiano anche i fiumi che intersecano il paese in vari luoghi e che abbondano di pesci. I coccodrilli sono pericolosi qui; tanto che, in alcuni luoghi, nessuno si azzarderebbe a esporsi, o addirittura a mettere la mano fuori dalla sua canoa. Gli Indiani ci hanno detto che questi animali spesso trascinavano nel fiume la loro gente, quando potevano afferrare qualcuno.
I campi sono pieni di tutti i tipi di selvaggina, bovini selvatici, cervi, orsi, tacchini, pernici, pappagalli, quaglie, beccacce e piccioni selvatici. Ci sono anche castori, lontre e martore. I bovini di questo paese superano i nostri in termini di dimensioni. La loro testa è mostruosa e il loro aspetto è spaventoso, a causa dei lunghi peli neri da cui sono circondati e che pendono sotto il mento, che sono fini ma di qualità inferiore alla lana. Gli Indiani indossano le loro pelli, che vestono molto ordinatamente. Ci hanno assicurato che, nell’entroterra, verso ovest, ci sono animali su cui gli uomini cavalcano e che trasportano carichi molto pesanti. Li descrissero
come cavalli e mostrarono due piedi, che in realtà erano zoccoli di cavalli.
Abbiamo osservato legno adatto ad ogni utilizzo. C’erano i cedri più belli del mondo. C’era un tipo di albero che perdeva un’abbondanza di gomma, piacevole da bruciare come le migliori pastiglie francesi. Abbiamo anche visto cicute fini e altri grandi alberi con corteccia bianca. Gli alberi di cotone-legno erano molto grandi. Da questi, gli Indiani scavarono canoe lunghe quaranta o cinquanta piedi. A volte c’erano flotte di centocinquanta canoe nei loro villaggi. Abbiamo visto ogni tipo di albero adatto alla costruzione navale. C’è anche molta canapa per il cordone e il catrame potrebbe essere fatto in abbondanza. Le praterie si vedono dappertutto. A volte sono cinquanta o sessanta miglia di lunghezza sul fronte del fiume, e molte leghe in profondità. Sono molto ricche e fertili, senza una pietra o un albero per ostruire l’aratro. Queste praterie sono in grado di sostenere una popolazione immensa. I fagioli crescono selvatici e i loro gambi durano diversi anni, dando i loro frutti. Le viti di fagioli sono più spesse del braccio di un uomo e corrono verso la cima degli alberi più alti.
Henri de Tonty, ossia Enrico Tonti
I peschi sono abbondanti e portano frutti pari ai migliori che si possono trovare in Francia. Spesso sono così carichi, nei giardini degli Indiani, che si devono sostenere i rami. Ci sono intere foreste di gelsi, la cui frutta matura abbiamo iniziato a mangiare nel mese di maggio. Si trovano in grande varietà le prugne, molte delle quali non sono conosciute in Europa.Viti e melograni sono comuni. In un anno si possono ottenere tre o quattro raccolti di mais.
Le tribù indiane, sebbene selvagge, sembrano generalmente amabili, affabili e compiacenti. Non hanno una vera idea della religione con un culto regolare. Le tribù separate da non più di trenta miglia, parlano una lingua diversa. Eppure riescono a capirsi. C’è sempre qualche interprete di una nazione che risiede in un’altra, quando sono alleati, che agisce come una sorta di console. Sono molto diversi dai nostri Indiani canadesi, nelle case, vestiti, modi, inclinazioni e costumi. Hanno grandi piazze pubbliche, giochi, assemblee. Sembrano allegri e pieni di vivacità. I loro capi hanno un’autorità assoluta. Nessuno oserebbe passare tra il capo e la torcia di canna che brucia nella sua loggia, che viene portata davanti a lui quando esce. Tutti fanno un circolo intorno a lui con qualche cerimonia. I capi hanno servitori e ufficiali, che li seguono e li aspettano ovunque. I capi distribuiscono i loro favori a volontà. Non abbiamo visto nessuno che conoscesse l’uso delle armi da fuoco. Non avevano articoli in ferro o acciaio, usavano solo coltelli e accette di pietra.»
Questa spedizione giunse a termine senza la perdita di una sola vita, da parte dei viaggiatori. Nessuno venne nemmeno ferito. Padre Membré attribuisce questo, accanto alla bontà di Dio, al tatto e alla saggezza manifestati da La Salle. Quanto ai frutti missionari di questa impresa, il devoto ecclesiastico scrive:
«Non dirò nulla qui delle conversioni. Gli apostoli non dovevano che entrare in un paese, perché si vedessero le conversioni. Io non sono che un miserabile peccatore, infinitamente privo dei meriti degli apostoli. Dobbiamo riconoscere che queste vie miracolose della grazia non sono collegate all’esercizio del nostro ministero. Dio impiega una via ordinaria e comune, in seguito alla quale mi sono accontentato di annunciare, come meglio potevo, le principali verità del cristianesimo alle nazioni che ho incontrato. La lingua degli Illinois mi è servita per circa trecento miglia lungo il fiume. Ho fatto capire il resto con i gesti, e qualche termine nel loro dialetto che ho raccolto qua e là. Ma non posso dire che i miei deboli sforzi abbiano prodotto frutti certi. Riguardo a queste persone, forse qualcuno, per un effetto segreto della grazia, ne ha tratto profitto, Dio solo lo sa. Tutto quello che abbiamo fatto è stato vedere lo stato di queste tribù e aprire la strada al Vangelo e ai missionari”.
Il diario di padre Membré termina bruscamente con l’arrivo della spedizione a Fort Miami. Non abbiamo un resoconto dettagliato delle avventure di La Salle nei successivi otto o dieci mesi. Apprendiamo incidentalmente che padre Membré fu inviato in Québec, e da lì in Francia, per trasmettere alla corte le notizie della grande scoperta e dell’annessione di regni veramente grandiosi al regno di Luigi XIV. L’8 ottobre, Padre Membré lasciò Fort Miami per il Quebec. Da qui salpò con il governatore Frontenac per la Francia, dove arrivò prima della fine dell’anno. La Salle rimase con gli indiani Miami e Illinois, probabilmente recuperando le sue fortune dovute ad un vasto traffico di pellicce, di cui aveva, all’epoca, un monopolio conferitogli dal re.
Alla fine, nell’autunno del 1683, tornò in Quebec e salpò per la Francia, sbarcando a La Rochelle il 13 dicembre. Nessun uomo può, in questo mondo, ottenere grandi risultati senza esporsi ad attacchi maligni. Acerrimi nemici assalirono La Salle con velenosa ostilità. La loro ostilità era eccitata dal monopolio del commercio di pellicce, di cui godeva su tutte le vaste regioni che aveva esplorato. Accuse atroci contro di lui vennero trasmesse al governo, denunciandolo come un ladro e negando le scoperte che professava di aver fatto. Ma il governatore Frontenac e padre Membré erano entrambi a Versailles, e la causa di La Salle non fu gravemente ferita da queste accuse maligne. Fu preoccupazione del cavaliere, in questo suo soggiorno in Francia, organizzare una colonia per formare un insediamento nel paradiso terrestre che pensava di aver scoperto sulle rive del Mississippi. Progettò di organizzare una spedizione di tale portata che gli avrebbe permesso di stabilire diversi insediamenti permanenti, e anche di esplorare più ampiamente il paese appena scoperto.
Il re e la corte ascoltarono con entusiasmo i suoi piani, che promettevano di giovare notevolmente alla gloria della Francia. La fama di La Salle, la grandezza dell’impresa, e la naturale curiosità di visitare paesaggi così pieni di novità e meraviglie, indussero diversi gentiluomini di distinzione e intelligenza a imbarcarsi nell’impresa. Tra loro c’era un fratello minore di La Salle, con un ecclesiastico chiamato M. Cavalier, e anche un nipote. Il re conferì una nuova commissione a La Salle, investendolo di poteri quasi da viceré. Tutta la valle del Mississippi, dal lago Michigan al Golfo, fu chiamata Louisiana, in onore dell’allora re regnante. L’influenza di La Salle abbracciava l’intera regione. Sette missionari accompagnarono la spedizione, sotto la supervisione generale di padre Membré, le cui virtù e l’eminente qualifica per la spedizione furono tutte riconosciute allo stesso modo.
Quattro navi furono equipaggiate per la spedizione. La prima, chiamata Joli, era una nave da guerra armata di trentasei cannoni. La seconda era una fregata chiamata Belle. Il re fece dono di questa nave a La Salle. L’aveva fornita con un equipaggiamento molto completo e con un armamento di sei cannoni. La terza, chiamata Aimable, era una nave mercantile di circa trecento tonnellate. Era completamente carica di tutti quegli strumenti e beni che si riteneva sarebbero stati più utili nella creazione di una colonia. La quarta era uno yacht leggero e a vela veloce, chiamato San Francesco, di sole trenta tonnellate. Questa nave era anche carica di munizioni, rifornimenti e merci per il traffico con gli Indiani.


Luigi XIV, il Re Sole, e la sua corte

L’intero numero di imbarcati, tra cui cento soldati e sette o otto famiglie con donne e bambini, ammontava a duecentottanta. Venne prestata attenzione alla selezione di buoni meccanici per i vari mestieri. Ma, sfortunatamente, soldati e marinai erano ingaggiati senza apparentemente alcun riferimento ai loro precedenti e al carattere. Così alcuni dei peggiori vagabondi della terra si radunarono nei porti marittimi della Francia per colonizzare il Nuovo Mondo.
Il capitano Beaujeu, un marinaio normanno di grande valore e di vasta esperienza, era comandante della nave da guerra e, come tale, era assegnato alla direzione generale e alla supervisione delle navi. Era un uomo orgoglioso, abituato all’autorità, e considerava La Salle e il suo gruppo come passeggeri che stava trasportando a destinazione e che, mentre erano a bordo delle sue navi, dovevano essere asserviti alla sua volontà.
D’altra parte, La Salle considerava Beaujeu come uno dei suoi ufficiali, che doveva essere implicitamente obbediente alle sue indicazioni. Non gli venne mai in mente l’idea che Beaujeu dovesse essere preso in considerazione, o addirittura consultato, per quanto riguardava una qualsiasi delle sue misure, più di quanto potesse ritenere opportuno consultare qualsiasi altro dei suoi subordinati. Con punti di vista così diversi, lo scoppio di dissapori era inevitabile. Beaujeu è rappresentato come un uomo pieno di presunzione, di mente ristretta e molto irritabile. La Salle era riservato, autosufficiente, conservava i propri consigli. A malapena i due uomini si erano incontrati, prima di ritrovarsi antagonisti.
Prima che le navi salpassero, Beaujeu scrisse al ministro del re come segue:
«Mi ha ordinato, signore, di permettere a questa impresa ogni aiuto in mio potere. Lo farò. Ma permettetemi di dire che mi prendo grande merito per aver acconsentito a obbedire agli ordini di La Salle. Credo che sia un uomo degno, ma non ha mai servito in guerra se non contro i selvaggi, e non ha alcun grado militare. Io, al contrario, sono stato tredici anni capitano di una nave, e ho servito trent’anni via mare e via terra.
Mi dice che, in caso di sua morte, il comando si riversa sul Cavaliere de Tonti. Questo è certamente difficile da sopportare per me. Anche se ora non conosco il paese, devo essere uno studente ben scarso per non ottenere una conoscenza adeguata di esso in un mese dopo il mio arrivo. Vi prego quindi di darmi una parte del comando, in modo che nessuna operazione militare possa essere intrapresa senza consultarmi. Se dovessimo essere attaccati dagli Spagnoli, sono persuaso che gli uomini che non hanno mai comandato in guerra non potrebbero resistere loro, come invece potrebbe fare un altro, che era stato istruito dall’esperienza.»
Tre settimane dopo, scrisse: «Il Joli è preparato per il mare. Spero di navigare lungo il fiume domani. Resta a M. La Salle salpare quando è pronto. Non mi ha detto nulla dei suoi disegni. Poiché cambia costantemente i suoi piani, non so se le disposizioni saranno sufficienti per l’impresa. È così geloso e così timoroso che qualcuno possa penetrare nei suoi segreti, che mi sono astenuto dal fargli qualsiasi domanda.
Vi ho già informato di quanto fosse sgradevole per me essere sotto gli ordini di M. de la Salle, che non ha un grado militare. Gli obbedirò comunque, senza ripugnanza, se mi manderà ordini in tal senso. Ma prego che possano essere tali da non poter imputare alcuna colpa a me se non riesce a eseguire ciò che ha intrapreso. Sono indotto a dirlo perché ha lasciato intendere che era nei miei progetti ostacolare i suoi piani. Vorrei che mi informaste su ciò che deve essere fatto nei confronti dei soldati. Egli afferma che, al nostro arrivo, debbano essere messi sotto la sua responsabilità. Le mie istruzioni non autorizzano questa funzione. Devo permettermi tutti gli aiuti in mio potere, senza mettere in pericolo la sicurezza delle navi.»
Il ministero non prestò attenzione a queste lamentele. Probabilmente decise di lasciare ai comandanti il compito di risolvere tali questioni tra di loro.
Le quattro navi salparono da La Rochelle il 24 luglio 1684. Avevano percorso circa centocinquanta miglia quando una violenta tempesta le travolse. La Joli perse il suo albero di bompresso. Di conseguenza il piccolo squadrone tornò a Rochefort. Dopo aver riparato i danni, la flotta salpò di nuovo, il 1° agosto.


Il porto di La Rochelle nel ‘600

La Salle e il suo seguito,se così possiamo parlare dei suoi compagni scelti, erano a bordo della Joli, che comandava il capitano Beaujeu. L’8 agosto la flotta passò Capo Finisterre, l’estrema punta nord-occidentale della Spagna. Il 20 raggiunsero l’isola di Madeira. Il capitano Beaujeu desiderava prendere terra qui, per accogliere una nuova scorta di provviste. La Salle rispose, con enfasi: «No! Abbiamo un’ampia scorta di cibo e acqua. Ancorare lì ci causerà un ritardo di sei o otto giorni. Rivelerà la nostra impresa agli Spagnoli. Non era intenzione del re che dovessimo toccare a quel punto».Beaujeu fu costretto a sottomettersi. Ma era molto arrabbiato e scontroso. Anche i suoi sottufficiali e marinai erano arrabbiati. Furono scambiate parole taglienti e la lite divenne più aspra. Il 24 raggiunsero la zona d’influenza degli alisei, che soffiano continuamente da est a ovest. Il 6 settembre raggiunsero il Tropico del Cancro. Nell’attraversare questa linea aveva preso piede da tempo l’usanza di eseguire a bordo un rito chiamato “battesimo”per tutti coloro che attraversavano per la prima volta la linea del Tropico. La procedura veniva inflitta a tutti allo stesso modo, senza alcun riguardo per La posizione o il rango. Ma, dando ai marinai una ricca mancia, ci si poteva assicurare un po’più di moderazione nello svolgimento della “cerimonia”.
Un marinaio molto robusto, generalmente l’uomo più forzuto dell’equipaggio, vestito grottescamente per rappresentare Padre Nettuno, si avvicinava alla prua della nave tenendo stretta la sua vittima. In primo luogo la catechizzava sull’importanza dell’attraversamento della linea; poi la faceva giurare che non avrebbe mai permesso a nessuno, quando era presente, di passare i tropici senza sottoporlo al battesimo. Dopo di che gettava diversi secchi di acqua salata sulla sua testa. Questa era la forma più mite di esecuzione del rito. Se il soggetto del battesimo, per qualsiasi motivo, non era simpatico ai marinai, il suo trattamento era molto più severo. Qualcuno fu unto, catramato e infilato in un cerchio di ferro.
A bordo di questa flotta di navi, i passeggeri, tra cui un centinaio di soldati ben armati, superavano di gran lunga il numero di marinai. La Salle, apprendendo che i marinai stavano facendo grandi preparativi per questo battesimo, decise che non si sarebbe sottomesso a una tale indegnità e che i suoi compagni e seguaci non dovevano esservi sottoposti. Emanò quindi ordini che vietavano la cerimonia. Questo esasperò i marinai. Beaujeu sostenne apertamente la loro causa. I marinai furono costretti a sottomettersi. L’antagonismo tra i due comandanti era esasperato.
L’11 settembre raggiunsero la latitudine di San Domingo. Ne seguì presto una calma piatta. Le navi galleggiavano come su un mare di vetro. Uno dei soldati era morto. Dopo aver eseguito i riti religiosi, il suo corpo fu consegnato al suo sepolcro oceanico. La calma venne seguita da una tempesta che durò tutta la notte. A poco a poco la burrasca si è attenuò, mail cambiamento del clima aveva causato molte malattie. A bordo della Joli cinquanta persone erano in infermeria, tra cui La Salle ed entrambi i chirurghi. Il 20, le grandi montagne di Sant’Elena apparvero alla vista e la maestosa baia di Samana si aprì davanti alle navi.
Fu necessaria ancora una navigazione di cinque giorni prima che raggiungessero il Port de Paix, all’estremità nord-occidentale dell’isola. Qui c’era un porto molto bello, e qui il governatore francese della vicina isola di Tortue aveva la sua residenza. La Salle aveva lettere per questo governatore, M. de Cussy, che gli ordinavano di rifornire la flotta di tutto ciò di cui poteva aver bisogno e che era in suo potere dare. Per qualche inspiegabile ragione Beaujeu rifiutò di obbedire a questi ordini. Nella notte navigò direttamente dal Port de Paix e, doppiando Capo San Nicola, a cento miglia di distanza all’estremità occidentale dell’isola, girò intorno alla costa meridionale, e il 27 gettò l’ancora in un piccolo porto chiamato Petit Guave. Il viaggio fino ad ora, da La Rochelle, aveva occupato cinquantotto giorni.
Questo inspiegabile cambio di luogo per l’appuntamento delle navi sparse causò molto imbarazzo. Non sappiamo quali fossero le rimostranze di La Salle, o quale fosse la difesa di Beaujeu. La Joli aveva appena gettato l’ancora in questa baia remota e silenziosa, quando una grande barca a vela, contenente venti uomini, che avevano visto la nave, entrò nel porto e informò La Salle che al Port de Paix c’era non solo il governatore Cussy, ma anche il marchese di Laurent, che era governatore generale di tutte le isole francesi dell’India occidentale. Ciò aumentò notevolmente il dispiacere di La Salle perché un incontro con loro avrebbe notevolmente facilitato le sue operazioni.


Le navi del secondo viaggio di La Salle: al centro la “Joli”, a sinistra la “Belle” e sullo sfondo la “Aimable”

Le cerimonie religiose erano, in misura notevole, mescolate con tutte queste esplorazioni. Il giorno dopo che la Joli ebbe gettato l’ancora, tutti gli occupanti della nave furono radunati per il culto divino, allo scopo di rendere grazie a Dio per la riuscita del viaggio. La Salle, essendo convalescente, scese a terra con l’equipaggio di una barca per avere un po’ di sollievo e per inviare informazioni al governatore, del suo arrivo a Port de Paix. In questo messaggio esprimeva un intenso rammarico per non essere stato in grado di fermarsi a Port de Paix, e supplicava il governatore, se fosse stato in suo potere, di visitare la sua nave a Guave.
In conseguenza del numero di malati a bordo, questi furono tutti sbarcati, vennero allestiti dei rifugi per loro e vennero rifocillati con verdure fresche e frutta; respirare all’aria aperta sarebbe stato un toccasana per loro. La Salle era ancora molto debole. Una febbre lenta lo stava consumando. La condotta di Beaujeu gli causò il più grande imbarazzo. Dovremmo dedurre dalla narrazione di M. Joutel che non c’era alcun insediamento europeo sul posto, e solo pochissimi abitanti nativi, anche se tutti i Nativi erano amichevoli.
In pochi giorni due delle navi che erano state separate dalla Joli dalla tempesta, entrarono nella baia, avendo probabilmente appreso dai Nativi, mentre costeggiavano la riva, dove si trovava la nave. L’intera parte orientale dell’isola era allora detenuta dalla Spagna. Mentre le tre navi navigavano, due grandi barche, piene di Spagnoli armati, provenienti dalla riva, sequestrarono la più piccola delle navi – la San Francesco – e la portarono via come bottino, con tutto il suo equipaggio. Questa fu una perdita molto pesante, in quanto privava la spedizione dei rifornimenti di cui aveva molto bisogno. Il dispiacere di La Salle fu accresciuto dalla riflessione che se Beaujeu avesse obbedito agli ordini ed fosse entrato a Port de Paix, la flotta si sarebbe incontrata lì in perfetta sicurezza. Il governatore espresse a gran voce la sua indignazione per la condotta del capitano Beaujeu.
Lo stato d’animo del capitano può essere dedotto dai seguenti estratti di una lettera al ministro francese, scritta in quel luogo:
«Se non fosse per la malattia del cavaliere La Salle, non avrei occasione di scriverti, poiché sono incaricato solo della navigazione e lui del progetto. Siamo arrivati qui quasi tutti malati. La Salle è stata attaccato da una violenta febbre, che colpisce non più il suo corpo che la sua mente. Suo fratello mi chiese di occuparmi dei suoi affari. Mi sono scusato perché so che una volta recuperata la salute non avrebbe approvato ciò che avevo fatto. Si dice che gli Spagnoli abbiano, in questi mari, sei navi da guerra, ognuna con sessanta cannoni. E’ vero che se il Cavaliere della Salle non dovesse riprendersi, perseguirò misure diverse da quelle che ha adottato, che non approvo. Non riesco a capire come un uomo debba sognare di insediarsi in un paese circondato da Spagnoli e Indiani, con una compagnia di operai e donne, senza soldati. Se mi permettete di esprimere la mia opinione, il Cavaliere della Salle avrebbe dovuto accontentarsi della scoperta del suo fiume, senza tentare di condurre tre navi e truppe attraverso l’oceano in mari a lui completamente sconosciuti. È un uomo di grande cultura, che ha letto molto e ha una certa conoscenza della navigazione. Ma c’è una grande differenza tra teoria e pratica. La capacità di trasportare canoe attraverso laghi e fiumi è molto diversa da quella necessaria per condurre navi e truppe su mari remoti.»


Immaginaria ricostruzione di un arrembaggio

Dopo una breve sosta in questo porto solitario, la flotta, ora composta da tre sole navi, spiegò di nuovo le vele. Fu concordato di dirigere la rotta verso Capo Sant’Antonio, a circa novecento miglia di distanza, all’estremo punto occidentale dell’isola di Cuba. Se le navi fossero state separate da una tempesta, dovevano incontrarsi in quel luogo.
Poiché l’Aimable, un mercantile pesantemente carico, era il veliero più lento, fu deciso che avrebbe dovuto prendere il comando, mentre gli altri due lo avrebbero seguito. La Salle, con suo fratello, padre Membré, e alcuni altri, trasferirono i loro alloggi dalla Joli all’Aimable. Questo movimento fu probabilmente influenzato anche dal desiderio di La Salle di sfuggire alla compagnia non congeniale del capitano Beaujeu. Era il 25 novembre 1684 quando il viaggio fu ripreso. Due giorni di navigazione portarono la flotta in vista dell’isola di Cuba. Le navi costeggiavano la sua sponda meridionale, restando in vista delle imponenti montagne e del suo fogliame lussureggiante, ma avendo l’incantevole scenario occasionalmente velato da fitte nebbie. Il 1° dicembre venne avvistata, lontano verso sud, la grande isola di Cayman. Il 4 dicembre si gettava l’ancora in una baia riparata della bellissima Isola dei Pini, a poche miglia a sud della costa cubana.
La Salle, con i suoi compagni, prese una barca e andò a riva. Mentre si avvicinavano alla spiaggia sabbiosa, videro un immenso coccodrillo, apparentemente addormentato, che si godeva il bagliore di un sole tropicale. I barcaioli si avvicinarono il più silenziosamente possibile. La Salle prese deliberatamente la mira e sparò. Fortunatamente il proiettile colpi un punto vulnerabile. Il mostro, dopo alcune convulsioni, era morto. I marinai, desiderosi di un assaggio di carne fresca, accesero un fuoco e arrostirono la carne, che trovarono tenera e appetibile. Non c’erano abitanti in quel punto. Il gruppo si separò in frazioni più piccole e vagò in tutte le direzioni, attirato dalla bellezza della regione e banchettando con i ricchi frutti tropicali che crescevano in abbondanza. Quando stavano per rientrare, due dei marinai risultarono dispersi. Diversi colpi di pistola furono sparati come segnali per gli uomini perduti, ma invano. La barca tornò alla nave. La mattina dopo, all’alba, un gruppo di trenta uomini su una barca fu inviato a cercare i dispersi. Alla fine furono trovati, spaventati, dopo che avevano trascorso una notte molto scomoda. La bellezza di quest’isola affascinava tutti coloro che la vedevano. Erano prodighi di lodi per la sua rigogliosità, i suoi frutti, la selvaggina e gli uccelli dal piumaggio brillante.
Ancora una volta la flotta levò l’ancora e, il giorno 11, raggiunse Capo Corrientes, uno dei punti sud-occidentali più importanti di Cuba. Anche qui si imbatterono in una baia solitaria, che, nel comprendere frutti di ogni tipo,alture drappeggiate di viti e uccelli variopinti, si presentava come un Eden. Si fermarono solo un giorno. Poi, approfittando di una brezza fresca e di giusta direzione, passarono dal Mar dei Caraibi nel Golfo del Messico.Avevano proceduto per una quindicina di miglia quando il vento cambiò e divenne avverso. Per due giorni si fecero strada lentamente lottando contro di esso.
Il capitano Beaujeu prese una barca, e salì a bordo dell’Aimable, insistendo affinché le navi tornassero a Capo Antoine, e si fermassero all’ancora fino a quando il vento non si fosse dimostrato favorevole. La Salle non considerava questa misura giudiziosa. Ma, stanco della contesa e poiché cercava di essere d’accordo con Beaujeu ogni volta che poteva, diede con riluttanza il suo consenso. Si avvicinarono di nuovo a terra, gettarono l’ancora, rimasero due giorni in una calma piatta, quando improvvisamente si alzò una tempesta tropicale, che era quasi un tornado. La Belle fu staccata dalla sua ancora, e fu spinta violentemente contro l’Aimable, portando via il suo bompresso e danneggiando gravemente gran parte del suo sartiame. La Aimable sarebbe stata affondata se non avesse staccato l’ancora e non fosse fuggita. L’ancora andò perduta. Il 18, il vento divenne propizio. Dopo aver riparato i danni per quanto era in loro potere, i componenti la spedizione fecero ripartire la flotta. Erano le dieci del mattino di una giornata molto gradevole. Dirigendo la rotta verso nord-ovest con una leggera brezza e occasionali calme, navigarono nove giorni senza vedere terra o incontrare alcun evento importante. Il 28 fu avvistata la terra,a solo poche miglia di distanza. Era evidentemente il continente del Nord America, e consisteva in una lunga distesa di terra bassa, orlata da una fitta foresta, ed elevata solo pochi metri sopra il livello del Golfo. Una spedizione di ricognizione venne rapidamente equipaggiata e La Salle, con alcuni dei suoi compagni scelti e l’equipaggio di una barca, tutti ben armati, si recò a riva. Un’altra barca, anch’essa equipaggiata in modo simile, fu presto preparata e seguì la prima. La Belle intanto pattugliava sotto costa il più vicino possibile alla riva.
Il gruppo di La Salle raggiunse presto la riva e sbarcò su una prateria molto bella. Ma non c’era tempo per l’esplorazione. Il vento stava rinforzando in un modo tale che c’era l’effettivo pericolo che la loro barca sarebbe stata sommersa. Furono costretti frettolosamente a rientrare e tornare alla nave. Lentamente le navi costeggiavano la riva poco invitante, cercando invano qualsiasi insenatura o bocca di fiume.


Pirati a Petit Goave vicino ad Haiti. Molti degli uomini di La Salle disertarono per unirsi alla flotta pirata – illustrazione di Charles Shaw

Il 2 gennaio 1685, una fitta nebbia copriva il mare e la terra, avvolgendo anche le navi: nessun oggetto poteva essere visto alla distanza di pochi metri. La Salle ordinò di sparare occasionali colpi di cannone da bordo dell’Aimable, per far sapere alle altre due navi dove si trovava. Poiché c’era appena un soffio di vento, non c’era pericolo che la flotta potesse disperdersi. Tuttavia, quando il giorno dopo la nebbia fu sparita, la Joli non era in vista. Verso sera, tuttavia, la nave riapparve. Dopo pochi giorni venne scoperta un’insenatura, che La Salle esaminò attentamente dalla sommità dell’albero di maestra. La giudicò essere la baia di Appalachicola, allora chiamata Espiritu Santo, sulla costa della Florida. Si spinsero quindi verso ovest, sperando di raggiungere presto il Mississippi.
Per assicurarsi di non passare la foce del fiume senza vederla (alla foce il Mississippi scorreva attraverso un terreno molto basso e paludoso e non era evidenziato da nessun punto di riferimento) La Salle avrebbe voluto inviare un gruppo di trenta uomini a terra perché percorressero la costa. Ma il vento si alzò e le onde si abbattevano così violentemente sulle rive fangose, che non fu possibile effettuare uno sbarco. Lentamente la flotta continuò a muoversi fino al giorno 13, quando si ritenne necessario sbarcare per prendere acqua. Uno scalogno fu mandato a terra, con cinque o sei marinai, ben armati. Non c’era nessuna insenatura e nessun torrente per avere almeno una protezione, e le onde rotolavano ancora pesantemente. Sebbene la fitta foresta fosse avvolta dall’ oscurità, si aprì davanti a loro un piccolo prato di pochi acri, verde e senza alberi. La barca si diresse verso quel punto. Quando venne sparato un colpo di pistola verso terra, una torma di circa una dozzina di selvaggi, uomini alti e coraggiosi, completamente nudi, emerse dalla foresta e scese in riva al mare. Il mare era tanto agitato che c’era pericolo che la barca sarebbe stata sommersa nel tentativo di prendere il largo. I marinai gettarono quindi l’ancora, per considerare cosa doveva essere fatto.

Quando i selvaggi videro che erano fermi, fecero segni amichevoli, invitando gli estranei a sbarcare. Uscirono sulla battigia e li chiamarono. Apparentemente la barca non poteva passare in sicurezza nella risacca. C’era una grande quantità di legni che costeggiavano la riva. Molti dei selvaggi scelsero un grande tronco liscio e lo spinsero in mare. Disponendosi su ciascun lato, si aggrapparono al tronco con un braccio, mentre, con l’altro, pagaiavano. Senza alcuna esitazione, disarmati e indifesi, si arrampicarono poi sulla barca. Quando cinque furono dentro, i marinai fecero cenno agli altri di andare su un’altra barca che si stava avvicinando e che trasportava La Salle. Gli Indiani sembravano non nutrire il minimo sospetto di pericolo. La Salle era felice di riceverli, in quanto sperava che potessero dargli qualche informazione riguardo al fiume che cercava. Ma tutti i suoi sforzi furono vani. Sebbene parlasse diverse lingue indiane, non riusciva a farsi capire. Gli Indiani vennero tutti portati a bordo della nave. Con molta curiosità ne esaminarono le meraviglie. Venne dato loro da mangiare e sembrarono abbastanza a loro agio nel fumare la pipa di tabacco profumato. Evidentemente non avevano mai visto prima le pecore, i suini e il pollame. Ma quando fu mostrata loro la pelle di una mucca, che era stata uccisa di recente, sembrarono molto felici e indicarono che avevano già visto tali animali prima, senza dubbio riferendosi ai bisonti. Dopo aver ricevuto molti regali, furono imbarcati su una scialuppa che li portò vicino alla riva in modo che potessero prendere terra agevolmente. I selvaggi si legarono i loro regali sulle teste e, lasciandosi dolcemente cadere nell’acqua, nuotarono verso la terra. La Salle aveva trovato impossibile capire i loro segni. Ma le sue apprensioni erano in qualche modo mitigate dal pensiero che essi avrebbero potuto tentare di indicargli che aveva già superato la bocca del Mississippi.
Quella sera il vento si alzò fresco e favorevole. Alzando le ancore e tenendosi vicino alla riva, con frequenti scandagli, si spinsero verso sud-ovest. Il giorno dopo arrivò una calma piatta. Ogni nave galleggiava sul mare fermo, “come una nave dipinta su un oceano dipinto”. Così si muovevano, giorno dopo giorno, incontrando di volta in volta la bonaccia, increspature sulla distesa piatta, brezze fresche, che creavano onde spumose sull’oceano, e tempeste che minacciavano di strappare gli alberi dagli scafi.
Il 14 gennaio tentarono di nuovo di effettuare un accosto a riva con le barche,ma la risacca li respinse. Videro, tuttavia, su una bellissima prateria, che si estendeva con la sua erba ondeggiante e splendidi fiori a perdita d’occhio, vaste mandrie di cavalli selvatici e bisonti. Tutti a bordo delle navi erano molto eccitati da questo spettacolo. Erano ansiosi di raggiungere terra, per poter godere del piacere di un accampamento e dell’eccitazione della caccia. La terra che avevano raggiunto si trovava più a sud di quel che avevano pensato, ad una latitudine notevolmente inferiore a quella della foce del Mississippi, che La Salle aveva riscontrato alla sua prima visita. L’intero aspetto del paese sembrava cambiato. C’erano immense praterie senza alberi che si aprivano continuamente davanti a loro, affollate di selvaggina, e soprattutto di immense mandrie di cavalli e bisonti. Alla fine arrivarono apparentemente alla foce di un piccolo fiume. Una barca venne inviata a riva, con l’ordine di accendere un fuoco, come segnale, se avessero trovato un buon posto per l’approdo. La Salle stava sul ponte dell’Aimable, a guardare con impazienza. Presto vide il fumo che si elevava attraverso l’aria limpida della prateria. Proprio mentre La Salle stava entrando nella sua barca per raggiungere la riva, il vento rinfrescò e provocò tali onde dal mare aperto che la barca, che era già per sbarcare, fu costretta precipitosamente a tornare. La mattina dopo il vento si calmò e La Salle decise di sbarcare con un folto gruppo di uomini per fare un’esplorazione approfondita della regione, in modo da poter, attraverso l’osservazione o la comunicazione con gli abitanti che avrebbe potuto scoprire, sapere dove si trovava. Aveva molte apprensioni sul fatto che avesse superato la foce del Mississippi e che fosse lontano a ovest, verso la costa del Messico.
I litigi tra La Salle e Beaujeu continuavano ancora. Il cavaliere temeva che il capitano progettasse di abbandonarlo e tornare in Francia. Si formarono due fazioni e la disputa a bordo delle navi fu aspra. La Salle era convinto di aver superato il Mississippi,altri sostenevano di non averlo raggiunto. In realtà erano oltre la Matagorda Bay, nella parte sud-occidentale del Texas, e si trovavano a un centinaio di miglia dal Rio Grande.


Indiani Karankawa – Illustrazione di Berlandier

Una fitta nebbia impediva lo sbarco dell’equipaggio della barca. La Salle insisteva per sbarcare, le navi costeggiarono lentamente, una distanza di circa trenta miglia, fino a quando arrivarono a un’insenatura, che la nebbia aveva impedito loro di vedere prima, e che si rivelò essere la baia di Matagorda.
La spedizione era ora in guai seri. Le provviste erano quasi esaurite e finora non s’era visto alcun insediamento, sulla costa americana, da cui poter ottenere rifornimenti. Una grande spedizione sbarcò all’ingresso occidentale della baia. Installarono un campo e, mentre alcuni armati esploravano la prateria, altri seguivano il torrente in cerca di carne e pesce. Venne costituita un’ampia scorta di selvaggina di grande varietà, e anche di pesce in abbondanza. Tutti coloro che potevano essere dispensati dal lavoro sulle navi si affrettarono verso la riva. Il tempo era delizioso; lo scenario incantevole; e tutta la compagnia della nave, dopo tanto tempo trascorso come in prigionia sulle navi affollate, si sentiva di ottimo umore.
“A disagio giace la testa che indossa una corona.” La Salle, sentendo acutamente la sua responsabilità per il successo della spedizione, fu pesantemente oppresso dalle preoccupazioni. Una delle barche fu mandata su per la baia, per sette o otto miglia, alla ricerca di un fiume o di un ruscello; ma la ricerca fu vana. Si trovarono alcune sorgenti di acqua tollerabilmente buona, da cui si poterono rifornire i barili vuoti. Si incontrarono in grande abbondanza anatre e altri uccelli acquatici .
Le navi erano tutte ancorate nella baia, vicino alla riva e, per diversi giorni, in questa regione soleggiata, sotto cieli senza nuvole, i viaggiatori godevano di tutti i piaceri di una gita da picnic. La Salle aveva sempre più prove che Beaujeu intendeva abbandonarlo. Il capitano era infatti ansioso di procurarsi rifornimenti per un lungo viaggio. La Salle desiderava fermarsi solo per ottenere provviste per quindici giorni. Era convinto che non ci sarebbe voluto più tempo per tornare al punto in cui ora credeva che si trovasse la foce del Mississippi.In questa emergenza decise di far costeggiare le navi vicino alla riva, mentre inviava un gruppo scelto di centotrenta uomini, a marciare via terra. Questo gruppo iniziò il suo viaggio in una nebbia così densa che quelli nella parte posteriore della colonna non potevano vedere quelli davanti. M. Joutel, lo storico della spedizione dal momento in cui salpò dalla Francia fino alla sua chiusura, guidava questo gruppo.
La marcia era iniziata il 5 febbraio del 1685. Ogni uomo portava il suo zaino sulle spalle. Si tennero il più vicino possibile al mare. La prima notte si accamparono su una leggera prominenza, dove fu allestito un grande fuoco per segnalare alle navi la loro posizione. Per una settimana viaggiarono così, attraverso paludi, praterie e foreste, preparando ogni notte i fuochi di segnalazione. Durante tutto questo tempo non furono in vista delle navi. Il 13 arrivarono sulle rive di un ampio torrente (o bayou), che non avevano mezzi per attraversare. I falegnami furono immediatamente messi al lavoro per costruire una barca. Il giorno dopo, mentre erano così impegnati, la Joli e la Belle apparvero alla vista. Il breve crepuscolo dei tropici stava passando nella notte. Fu costruito un fuoco di segnalazione che fu visto da quelli sulle navi. La mattina dopo, apparve l’Aimable a navigazione lenta, che portava La Salle e i suoi compagni. La Salle sbarcò e visitò l’accampamento. Dopo aver attraversato il torrente, decise di far attraccare le tre navi. Quindi inviò una barca per esplorare l’entroterra, sperando che il torrente potesse rivelarsi la foce di qualche fiume. Il canale venne accuratamente controllato per l’ingresso delle navi, venne scelto l’ancoraggio sicuro ed emanati ordini per i tre legni di entrare con la successiva alta marea. La Salle avrebbe dato il segnale dalla riva, quando dovevano muoversi. Il capitano Beaujeu rispose insolentemente: “Posso gestire la mia nave senza alcuna istruzione da monsieur La Salle”.
Quando questo messaggio arrivò, un gruppo della compagnia della nave, che era stato dislocato a una certa distanza dal campo, entrò di corsa nel campo, dicendo che un esercito di selvaggi si stava avvicinando. La Salle chiamò immediatamente tutte le forze alle armi, affinché si potesse essere preparati a qualsiasi emergenza. Sebbene sinceramente desideroso di pace, riteneva tuttavia importante mostrare un fronte deciso. Con un imponente schieramento militare, con i moschetti carichi, e il rullio dei tamburi, guidò il suo gruppo di circa centocinquanta uomini, per incontrare gli Indiani. Entrambe le parti si fermarono e si affrontarono, senza sapere se l’altra desiderasse la pace o la guerra. La Salle ordinò a dieci dei suoi uomini di deporre le armi e avanzare verso gli Indiani, facendo segni amichevoli e sforzandosi di invitare una parte disarmata ad incontrarli. Tutto il gruppo dei Nativi gettò subito le armi, costituite da archi e giavellotti, e corse avanti gioiosamente, abbracciando gli Europei, secondo la loro usanza, strofinando le mani prima sul seno e sulle braccia, e poi sui seni e sulle braccia dei loro amici appena trovati.
Sei o sette accompagnarono un gruppo di Francesi al loro accampamento. La Salle, con gli altri, accettò un invito a visitare il villaggio indiano, che rappresentavano come distante circa cinque miglia. Proprio mentre stavano iniziando a camminare, La Salle volse gli occhi verso la baia, accorgendosi, con sua grande costernazione, che la nave deposito Aimable, che era stata lasciata sotto la cura del capitano Beaujeu, invece di seguire il canale prestabilito, non stava prestando loro alcuna attenzione. Era molto allarmato; ma non c’era nulla che potesse fare per fronteggiare un eventuale pericolo.
Egli quindi, sebbene in grande turbamento, seguì i selvaggi fino al loro villaggio. Consisteva di una cinquantina di wigwam, eretti su una piccola altura, leggermente elevata sopra la prateria pianeggiante. Le capanne erano costruite con stuoie o con le pelli annerite del bisonte. Proprio mentre stavano entrando nel villaggio, una delle navi sparò un colpo di cannone. Gli Indiani ne furono terrorizzati e si gettarono subito a terra, seppellendo i loro volti nell’erba. Ma La Salle li rassicurò, affermando che era solo un segnale per lui che una delle sue navi era venuta ad ancorare.


La Salle a contatto con gli Indiani (ricostruzione)

Sebbene La Salle fosse molto vigile per prevenire qualsiasi tradimento, l’ospitalità manifestata dagli Indiani sembrava sincera e cordiale. Gli Indiani li rifocillarono abbondantemente con bistecche di bisonte fresche e un piatto composto da sottili fette di carne essiccate al sole e affumicate. Il loro villaggio era vicino al torrente, e La Salle contava quaranta grandi barche, fatte di tronchi scavati, come aveva visto sul Mississippi.
Al ritorno al campo, La Salle vide avverarsi le sue peggiori paure. L’Aimable era arenata, e in circostanze che resero quasi certo che si fosse trattato di un atto di tradimento del capitano Beaujeu. La Salle aveva segnato il canale con dei pali, aveva inviato alla nave un pilota, che Beaujeu si era rifiutato di ricevere, e aveva stazionato un uomo alla testa d’albero, che aveva urlato fortemente per avvertimento, ma il cui grido era stato completamente ignorato.
“Coloro che hanno assistito alla manovra”, scrive Joutel, “erano convinti, da prove irrefutabili, che la nave fosse naufragata per proposito, il che era uno dei crimini più neri e detestabili che possono entrare nel cuore umano”.Una delle scialuppe era stata distrutta. La nave venne portata sulla riva con la massima marea. Tutti gli sforzi per farla galleggiare di nuovo furono inutili. L’Aimable portava tutte le munizioni, gli strumenti meccanici e gli utensili agricoli e domestici. Ma La Salle, sempre superiore ai colpi della sfortuna, conservava ancora la sua fermezza. Diligentemente si impegnò a svuotare i magazzini dalla nave naufragata.
Con l’unica scialuppa rimasta, La Salle riuscì, quel pomeriggio, a rimuovere dalla nave le munizioni, una parte considerevole degli attrezzi meccanici, gli utensili agricoli e domestici e alcuni barili di provviste, facendo sistemare tutto in un accampamento sulla riva. Durante la notte si alzò una tempesta. La nave andò in pezzi. Al mattino la baia era coperta di barili, casse, balle e altri detriti del relitto. Mentre le cose stavano in questo stato deplorevole, i “selvaggi”, circa centoventi in numero, fecero un’altra visita al campo. Le coste erano disseminate di articoli di inestimabile valore per questi poveri Indiani. Le sentinelle erano di stanza per prevenire qualsiasi rapina; ma gli Indiani non manifestarono alcuna disposizione a perpetrare atti di violenza. La Salle rimpiangeva la mancanza di più barche. Gli Indiani ne avevano alcune, che erano state scavate da immensi tronchi di alberi, di forma aggraziata e con il legno scolpito riccamente, in grado di trasportare venti o trenta uomini. Poiché tutto il lavoro su queste barche era stato eseguito con accette di pietra, per costruirle era occorsa un’enorme quantità di lavoro ed erano ritenute molto preziose. La Salle mandò due uomini fidati nel villaggio degli Indiani, per acquistare, se si poteva, due delle barche. Quando essi entrarono nei wigwam, scoprirono che una balla di coperte, che era andata alla deriva lungo la baia, era stata raccolta dagli indiani e divisa tra loro. Non avevano fatto alcun tentativo di occultamento. Non avendo una visione chiara dei diritti di proprietà, non avevano pensato di aver fatto qualcosa di sbagliato nel prendere merci che avevano trovato alla deriva nell’acqua. Gli ufficiali tornarono a La Salle facendo rapporto dell’accaduto.
Avendo grande penuria di tutto a causa del naufragio, La Salle era convinto che fosse necessario economizzare nelle spese, per quanto possibile. Decise quindi di inviare alcuni uomini dagli Indiani, per cercare di ottenere due barche in cambio delle coperte e di pochi altri oggetti che avevano raccolto. M. Hamel, uno degli ufficiali di Beaujeu, si offrì volontario per andare in questa missione, con l’equipaggio di una barca, con la scialuppa della Joli. Era un giovane impetuoso, con più coraggio che prudenza. Supponendo che gli Indiani avessero rubato le coperte, e che se fossero stati picchiati sarebbero stati costretti a consegnare due delle loro barche, avanzò, al suo sbarco, con uno schieramento militare così minaccioso da spaventare gli Indiani. La maggior parte di loro fuggì nei boschi. Hamel entrò nelle logge deserte, raccolse tutte le coperte che riuscì a trovare, rubò un certo numero di pelli di cervo molto ben conciate, e poi, afferrando due delle migliori barche, mise uomini a bordo di ciascuna e iniziò il ritorno alla nave.
Hamel era piuttosto euforico per la sua impresa e, pensando che fosse un risultato eroico. Mentre pagaiavano lentamente lungo la baia, il vento si alzò forte in direzione contraria. La notte arrivò fredda e buia. Divenne necessario scendere a terra e aspettare la mattina. Venne allestito un grande fuoco. Gli uomini di Hamel, avvolti in coperte, si gettarono sull’erba, con i piedi verso i carboni ardenti, e presto tutti si addormentarono. Le sentinelle erano state poste di stanza a breve distanza dal fuoco, ma dormivano anche loro.
Gli Indiani tornarono ai loro wigwam, trovando che i loro averi erano spariti e due delle loro migliori barche rubate. Quando arrivò la notte, videro in lontananza la luce di un fuoco da campo e capirono bene cosa significasse. Con passo silenzioso e voglia di vendetta, si inoltrarono attraverso la foresta versoi loro nemici addormentati. Ad un dato segnale, la foresta risuonò con il terribile grido di guerra, e una pioggia di frecce cadde sui dormienti. Due restarono uccisi sul colpo; due furono stati gravemente feriti, mentre gli altri fuggirono terrorizzati.
Gli Indiani, consapevoli del terribile potere del moschetto dell’uomo bianco, non aspettarono una battaglia. Dopo aver compiuto questo atto di vendetta, improvvisamente scomparvero. Uno degli uomini, M. Moranget, nipote di La Salle, riuscì a raggiungere l’accampamento dei suoi amici, anche se semi-svenuto e sanguinante. Una freccia gli aveva inflitto una ferita terribile, quasi tagliandogli la spalla. Un altro aveva uno squarcio profondo lungo il petto.


L’area di MatagordaBay vista dal satellite

La Salle inviò immediatamente un gruppo armato sul posto. Era estremamente dispiaciuto dal crudele errore perpetrato dal suo inviato. Sebbene non potesse incolpare gli Indiani, sapeva benissimo che, avendo così suscitato la loro vendetta, avrebbe condannato tutti al massacro indiscriminato. Era quindi necessario per lui intraprendere un’azione più decisiva per autodifesa. I morti furono sepolti. Un uomo, ferito gravemente, venne riportato al campo. Gli altri tornarono illesi. Tutto questo disastro ebbe luogo nella notte del 5 marzo 1685.
Queste calamità furono una vera sciagura per La Salle. Beaujeu ne approfittò e non perse occasione di addurle come prova che La Salle era assolutamente incompetente a condurre un’impresa come quella in cui era impegnato. Un certo numero di uomini, che in precedenza erano stati amici di La Salle, si schierò dalla parte di Beaujeu, che ora proclamava apertamente la sua intenzione di abbandonare l’impresa e tornare in Francia. Comunque continuò a fare tutto ciò che era in suo potere per intralciare le operazioni di La Salle.
C’erano diversi pezzi di artiglieria a bordo della Belle. Ma quasi tutte le palle di cannone erano nella stiva del Joli. Beaujeu, alla vigilia della sua partenza, si rifiutò di rinunciarvi, dicendo che era scomodo per lui scaricarle. Il 14 marzo, il capitano Beaujeu allargò le vele della Joli, e scomparve oltre l’orizzonte del mare, diretto verso la Francia. Portava con sé sessanta o settanta uomini della compagnia e molte attrezzature che erano ritenute essenziali per la creazione di una colonia. A La Salle rimanevano circa duecento uomini, accampati sulle rive di un’insenatura sconosciuta, e con un’unica piccola nave, la Belle, ancorata nella baia. Per aggravare maggiormente la sua situazione, gli Indiani erano giustamente esasperati per il trattamento ricevuto.
La prima cosa da fare era costruire un forte per la difesa. Pensando che non fosse impossibile che l’ampio torrente in cui era entrato potesse rivelarsi una delle foci del Mississippi, decise di intraprendere un giro esplorativo lungo il fiume per una certa distanza nell’interno. Cinque barche, contenenti un gruppo ben armato di una cinquantina di persone, si imbarcarono in questa impresa. Lo stesso La Salle prese il comando. Circa centoquaranta persone furono lasciate nel forte, sotto il controllo di M. Joutel. Coloro che erano rimasti di guarnigione, dovevano impiegare il loro tempo nel rafforzamento del forte e nella costruzione di una grande barca di tipo europeo.
Gli Indiani venivano spesso intorno all’accampamento di notte, abbaiando come cani e ululando come lupi. Non si avventurarono in alcun attacco. In un’occasione, tuttavia, alcuni uomini erano al lavoro a poca distanza dall’accampamento, quando videro avvicinarsi una grande banda di selvaggi. Gli operai fuggirono al forte, lasciando tutti i loro strumenti dietro di loro. I selvaggi li raccolsero e si ritirarono. All’inizio di aprile, la guarnigione fu allarmata dalla vista di una vela lontana. Si temeva che fosse una nave da guerra degli Spagnoli ostili, venuta a distruggerli. La nave, tuttavia, passò, senza apparentemente vedere l’accampamento. Seguirono diversi tragici incidenti. Un uomo venne morso da un serpente a sonagli. Dopo aver sofferto una terribile agonia, morì. Un altro, che stava pescando, fu spazzato via dalla corrente ed annegò. Fortunatamente furono trovati giacimenti di sale eccellente, formati dall’evaporazione dell’acqua salata nei bacini del terreno. Bisogna dire che i Nativi manifestavano voglia di pace. Spesso si avvicinavano al forte e facevano segni indicativi del loro desiderio che le relazioni amichevoli potessero essere ripristinate. Ma La Salle, temendo il tradimento e non avendo piena fiducia nella prudenza di coloro che si era lasciato alle spalle, ordinò che nessun rapporto dovesse essere aperto con i selvaggi fino al suo ritorno.


I Karankawa sul sentiero di guerra

All’inizio di maggio, un gran gruppo di Indiani apparve vicino al forte. Tre di loro, deponendo le armi, si fecero avanti e fecero segni che desideravano un incontro. M. Joutel, invece di mandare tre uomini disarmati ad incontrarli, li invitò a entrare nel forte. Sebbene si ponessero così interamente in suo potere, essi, senza la minima esitazione, entrarono nel recinto. Si sedettero tranquillamente e, con dei segni, fecero capire che i cacciatori del forte erano passati spesso vicino a loro, tanto che avrebbero potuto facilmente ucciderli,ma si erano astenuti dal fare loro qualsiasi danno. M. Moranget, che era stato ferito così gravemente, esortò a punirli terribilmente, per vendicarsi dell’attacco al campo. Ma questa truce proposta venne respinta da M. Joutel. La sua condotta fu imperdonabile. Offrì loro un’accoglienza molto scortese e presto ordinò loro di andarsene. Avevano appena lasciato il cancello d’ingresso, quando Joutel ordinò a diversi moschetti di sparare dei colpi, come di avvertimento. Gli Indiani pensarono di essere sotto tiro, colpiti a tradimento, e fuggirono precipitosamente. Joutel ordinò quindi che fossero sparati diversi colpi di cannone verso il punto dove il grande gruppo di Indiani era pacificamente riunito. Gli Indiani si dispersero rapidamente. E questa fu la risposta all’appello degli Indiani per l’amicizia. Così follemente la guarnigione stabilì ostilità aperte tra le due parti, quando era evidente che gli Indiani desideravano l’amicizia.
La Salle, risalendo il fiume, trovò una regione di praterie, molto più ricca e bella di quella occupata dall’accampamento alla foce del torrente. Inviò indietro due barche, con l’indicazione che una trentina degli uomini più abili dovessero rimanere a presidiare il forte, mentre il resto, comprese tutte le donne e i bambini, doveva imbarcarsi, sotto M. Moranget, per raggiungere la nuova posizione. All’inizio di luglio un altro messaggero venne con le istruzioni per tutta la guarnigione rimanente di imbarcarsi, con tutti i rifornimenti che potevano portare, nella Belle, e risalire il fiume molte leghe, per unirsi ai loro compagni nel nuovo insediamento e per seppellire, in un attento occultamento, tutti i beni che non potevano essere rimossi. Ma la situazione generale peggiorava sempre più. Il sole cocente dell’estate martellava senza pietà. Molti erano malati e tutti erano scontenti e scoraggiati. Il legno per costruire le capanne doveva essere trascinato a mano per tre miglia. Non c’era voglia per il lavoro. Anche La Salle perse la speranza e non mostrava più la sua consueta energia e sagacia. Coloro che si erano professati buoni falegnami, si rivelarono totalmente ignoranti della materia. Il cibo divenne scarso. In poche settimane morirono più di trenta persone e tutti si auguravano di tornare in Francia.
La Salle non poteva affidare responsabilità pesanti a nessuno. Fu costretto a sovrintendere a tutto, e persino a dedicarsi ai minimi dettagli.
La Salle chiamò questo fiume La Vache, o Riviere aux Beufs (oggi Garcitas Creek), in conseguenza del vasto numero di mandrie di bisonti che vide pascolare sulle rive. Il luogo scelto per il villaggio o l’accampamento, a giudicare dalla descrizione di M. Joutel, doveva essere incantevole. C’era una distesa elevata, liscia e fertile, sollevata di molti piedi sopra il livello del torrente. Una prateria ondulata, ricoperta di erba verde e fiori, si estendeva lontano per leghe verso nord e ovest, delimitata, in lontananza, da colline coperte di foreste. Il fiume scorreva placido verso est, entrando nella lunga e ampia baia a sud. Nulla poteva superare la bellezza della prateria, che mostrava la più ricca fioritura di fiori di ogni varietà di tinta.
Venne scavato un deposito sotterraneo, in modo che le munizioni e altri oggetti di valore potessero essere conservati al sicuro e protetti contro il fuoco. La Salle, con pochi compagni, fece diverse escursioni di quindici o venti miglia nei dintorni, sperando di trovare il Mississippi, o alcuni Indiani che potessero dargli informazioni sul luogo dove si trovava. Non ottenendo nessuna indicazione, decise di fare un’esplorazione più ampia.
La dotazione dell’insediamento ora consisteva in solo duecento moschetti, duecento spade, cento fusti di polvere, tremila libbre di proiettili, trecento libbre di piombo, diverse barre di acciaio e di ferro da chiodi e una scorta di attrezzi agricoli e meccanici. Non avevano aratri, cavalli o buoi. Senza questi, l’agricoltura avrebbe potuto svilupparsi solo su scala molto limitata. Avevano anche venti barili di farina, due botti di vino, qualche litro di brandy, uno o due suini e un gallo e una gallina. Il gruppo esplorativo di cinquanta persone partì in due gruppi, in ottobre, dalla baia, che era stata chiamata St. Louis. M. Joutel fu lasciato al comando dell’insediamento, con le più severe ingiunzioni di non avere rapporti sessuali con gli Indiani. Un gruppo risalì il fiume in barca. L’altro seguì sulla riva. Avendo risalito il fiume molte leghe, ed essendo pienamente convinti che non fosse un ramo del Mississippi, trascinarono le barche sulla riva orientale, e tutti iniziarono la marcia, sopra le praterie sconfinate, con zaini sulla schiena, verso il sole nascente.


Illustrazione di Fort St. Louis – Charles Shaw

Dopo molto tempo videro in lontananza un villaggio indiano, costituito da un gruppo di trenta o quaranta wigwam. Era deliziosamente situato. Gli Indiani, nel costruire i loro villaggi, hanno sempre avuto un acuto senso della bellezza del paesaggio. È difficile spiegare il fatto che, sotto la guida di La Salle, ci sarebbe dovuta essere una battaglia. Ma era così. Non abbiamo alcuna spiegazione delle circostanze. Dopo un breve conflitto, i selvaggi fuggirono, molti feriti e probabilmente alcuni uccisi, perché erano abituati a portare con sé i loro morti in ritirata. La Salle e il suo gruppo entrarono nel villaggio abbandonato. Trovarono, rannicchiata in uno dei wigwam, una donna che era stata colpita da un proiettile al collo e che stava morendo. Una ragazza era con lei. Subito dopo, La Salle inviò un gruppo di sei uomini per esplorare un ruscello. Dopo una giornata faticosa il gruppo si accampò per la notte. Accesero il fuoco, cucinarono la cena e, senza stabilire alcun turno di guardia, si avvolsero nelle loro coperte per dormire. Il giorno dopo non tornarono. La Salle, in ansia,si mise alla loro ricerca. I cadaveri dei sei furono trovati trafitti dalle frecce, scalpati e per metà divorati dai lupi. I dettagli di questa tragedia notturna non si conobbero mai. Rattristato da questa calamità, ma cercando di mantenere uno spirito allegro, il gruppo continuò a farsi strada. Dopo molti giorni di marcia arrivarono ad un altro grande fiume, che si rivelò essere quello che ora è conosciuto come il Colorado, che sfocia nella baia di Matagorda, più di quattrocento miglia a ovest delle foci del Mississippi.
Mentre stavano viaggiando, uno degli uomini, con i piedi pieni di vesciche, si fermò per aggiustare le scarpe. Quando riprese la marcia, scoprì che i suoi compagni erano fuori vista e non poteva raggiungerli. L’erba della prateria era più alta delle teste degli uomini, e c’erano molte tracce attraverso di essa che erano chiamate le strade dei bisonti. Era impossibile per lui dire quale strada avessero preso gli uomini. Era irrimediabilmente perso. Seguire uno di quei tracciati avrebbe potuto condurlo sempre più lontano dai suoi compagni, dove sarebbe morto miseramente. Arrivò la notte. aveva sparato con la sua pistola più volte, ma non aveva ottenuto risposta. Si gettò sull’erba,ma non riuscì a dormire. Per tutto il giorno successivo e la notte successiva, rimase sul posto, sperando che i suoi compagni potessero tornare a cercarlo. Ma non vide nessuno. Era stato rimproverato il giorno precedente per la sua cattiva condotta, e si supponeva che avesse disertato. Quasi disperato ripercorse i suoi passi, viaggiando per lo più di notte, per paura di incontrare i selvaggi. Dopo un mese di fatica e sofferenza, lacero ed emaciato, una notte raggiunse l’insediamento.
Passarono molte settimane e non si seppe alcuna notizia del gruppo in esplorazione. Una mattina di marzo, M. Joutel si trovava a lavorare sul tetto di una capanna, quando vide, lontano nella prateria, otto uomini che si avvicinavano. Prese immediatamente un gruppo ben armato e avanzò per incontrarli. Si rivelarono essere una parte del gruppo di esploratori. Dissero che gli altri stavano tornando per un’altra strada. Erano tutti in condizioni deplorevoli. I loro vestiti erano a brandelli. La maggior parte di loro erano senza cappello. Le loro camicie erano completamente consumate. Tutti si rallegrarono di vedere di nuovo La Salle. Ma non avevano notizie da dare circa il fiume a lungo cercato. La situazione in cui i coloni si trovavano ora, con il loro numero notevolmente diminuito, era spaventosa. Erano completamente persi nel deserto sconfinato di questo nuovo mondo. Tutte le comunicazioni con i loro amici in Francia erano interrotte. Non c’era speranza che una nave francese li avrebbe mai cercati; o che potesse trovarli, anche se le ricerca fosse stata intrapresa. Gli Indiani erano ostili. La morte avrebbe gradualmente diminuito il loro numero, e infine il resto sarebbe stato sterminato o portato in cattività dai selvaggi.
Altro colpo all’afflizione di La Salle fu che la Belle, l’unica nave rimastagli, andò distrutta e completamente perduta nell’arenarsi sulla costa. Molti dei marinai finirono annegati; e le provviste di inestimabile valore furono distrutte. Padre Le Clercq, nel descrivere questo evento catastrofico, scrive:”Lasciamo al lettore immaginare il dolore e l’afflizione provata dal Cavaliere La Salle, in un incidente che ha completamente rovinato tutte le sue misure. Il suo grande coraggio non avrebbe nemmeno potuto sostenerlo, se Dio non avesse aiutato la sua virtù con l’aiuto di una grazia straordinaria”. Fino alla perdita della Belle, La Salle era stato sostenuto dalla speranza che, come ultima risorsa, il resto della sua compagnia potesse trovare la strada per tornare a San Domingo, e da lì in Francia. Questa speranza era ormai spenta.


I marinai abbandonano il relitto della “Belle” – Charles Shaw

In queste circostanze La Salle decise di intraprendere un altro giro esplorativo. Dopo aver rinfrancato se stesso e i suoi uomini, e ottenuto nuovi capi di abbigliamento, principalmente distribuendo le vesti dei morti tra i vivi, all’inizio di maggio del 1686, la spedizione ripartì. Coloro che rimasero indietro si dedicarono al rafforzamento delle fortificazioni, nel coltivare senza successo il terreno, perché la maggior parte dei semi non sarebbe germogliata, e nella caccia alla scarsa selvaggina. Ebbero diversi incontri ostili con gli Indiani, in cui questi risultavano invariabilmente perdenti, in conseguenza della superiorità delle armi degli Europei. Ma non c’era armonia nell’insediamento. Il malcontento contro La Salle lievitava, mentre alcuni lo difendevano. Le parti antagoniste erano quasi pronte a sguainare le loro spade l’una contro l’altra.
Sebbene La Salle si trovasse ora a più di quattrocento miglia a ovest del fiume Mississippi, aveva ancora l’impressione di essere ad est di quel punto. Perciò, nella sua cieca ricerca, diresse i suoi passi verso il sole al tramonto. Padre Douay, che accompagnava questa spedizione, diede un resoconto dettagliato delle sue avventure. Dopo le cerimonie religiose nella cappella del forte, la spedizione, composta da venti persone, partì, il 22 aprile 1686. Per il viaggio presero quattro chili di polvere, quattro chili di piombo, due asce, due dozzine di coltelli, due bollitori e alcuni punteruoli e perline.
Il terzo giorno di viaggio entrarono in una delle praterie più belle che avessero mai visto. Con loro stupore scorsero, in pianura, un gran numero di persone, alcune a piedi e altre a cavallo. Molti di questi sconosciuti arrivarono galoppando verso di loro, con stivali e speroni, seduti in sella. Erano Indiani che avevano a lungo tenuto relazioni molto strette con gli Spagnoli. Porsero ai Francesi un serio invito a visitarli nel loro villaggio, che era a una ventina di miglia di distanza. Ma poiché questo li avrebbe portati fuori dal loro percorso, l’invito venne declinato. Continuando il loro viaggio, si accamparono di notte, facendo attenzione a costruire intorno a loro trinceramenti che li avrebbero protetti dagli attacchi. I due giorni successivi continuarono il loro viaggio attraverso la prateria, fino a raggiungere un fiume, che La Salle chiamò Robek. La quantità di bestie selvatiche viste era prodigiosa. Molte delle mandrie avevano migliaia di capi. La carne veniva tagliata a fette sottilissime e poi asciugata sotto il sole cocente, sopra il fumo di un fuoco fumante. Così si rifornirono di cibo nutriente per quattro o cinque giorni.
Attraversando il Robek in una zattera costruita frettolosamente, dopo aver marciato per circa cinque miglia, arrivarono a un altro fiume molto bello, più largo e più profondo della Senna a Parigi. Era costeggiato da una magnifica foresta, senza sottobosco, presentandosi alla vista come un Eden mai toccato dalla mano dell’uomo. Molti alberi erano carichi di frutta.
Anche questo fiume, che La Salle chiamò La Maligne, venne attraversato su una zattera. Oltrepassata la foresta, entrarono in un’altra vasta prateria. Continuando il loro viaggio attraverso un paese che descrissero come pieno di incantesimi, con pianure fiorite costeggiate di viti, alberi da frutto e boschetti, arrivarono a un fiume che chiamarono Hiens, da uno del loro gruppo, un tedesco, che, nel tentativo di guadarlo, restò sprofondato nel fango. Due uomini nuotarono con le asce sulla schiena. Poi abbatterono gli alberi più grandi, su ciascun lato, in modo che i loro rami si incontrassero nel mezzo. Con questo ponte il gruppo attraversò il fiume. Più di trenta volte, durante questo viaggio, fecero ricorso a questa misura per attraversare i corsi d’acqua.
“Dopo diversi giorni di marcia – scrive padre Douay – in un paese piuttosto bello, siamo entrati in un territorio delizioso, dove abbiamo trovato una tribù numerosa, che ci ha accolto con tutta l’amicizia possibile; anche le donne che vengono ad abbracciare i nostri uomini. Ci hanno fatto sedere su stuoie ben fatte, all’estremità superiore del wigwam, vicino ai capi, che ci hanno presentato il calumet, adornato con piume di ogni tonalità, che dovevamo fumare a turno. ” Gli Indiani li rifocillavano abbondantemente, con il meglio della loro cucina e presentarono loro alcune pelli di bisonte ottimamente conciate, per farne mocassini. La Salle diede loro, in cambio, alcune perline, di cui sembrarono essere molto felici. Padre Douay scrive:”Durante il nostro soggiorno, il cavaliere La Salle li conquistò così con le sue maniere, e insinuò così tanto della gloria del nostro re, dicendo loro che era più grande e più alto del sole, che erano tutti rapiti dallo stupore.”


La Salle parte da St. Louis – Charles Shaw

Continuando il loro viaggio, attraversarono diversi fiumi, fino a quando arrivarono in un grande villaggio indiano di trecento logge. Proprio mentre si stavano avvicinando al villaggio si imbatterono in un branco di cervi e spararono a uno. Gli Indiani, che udirono il colpo di moschetto e videro il cervo cadere morto, furono terrorizzati. In massa fuggirono nella foresta vicina. La Salle, per evitare sorprese, entrò nel villaggio in schieramento militare. Entrando nella loggia più grande, che si rivelò essere quella del capo, trovarono una donna molto anziana, la moglie del capo, che, per le sue infermità, non era stata in grado di allontanarsi. La Salle trattò la donna terrorizzata con la massima gentilezza, e con segni le assicurò che non intendeva nuocerle. Tre figli adulti del capo, che stavano osservando attentamente l’andamento degli eventi, non vedendo alcuna indicazione di ostilità, tornarono cautamente. La Salle andò loro incontro con segni amichevoli e accettò il calumet presentato. I giovani capi allora chiamarono il loro popolo in lontananza, e tutti tornarono. La serata passò in feste, balli e banchetti. Eppure La Salle non si azzardò a dormire nei wigwams, dove il suo gruppo sarebbe stato interamente in potere di coloro che avrebbero potuto rivelarsi infidi. Tornò ad accamparsi in un denso canneto, dove nessun nemico poteva avvicinarsi senza dare segni della sua presenza. Nella notte, alcuni pensarono di aver sentito dei passi che si avvicinavano. Ma La Salle attribuì giustamente il fatto ai nervi tesi dei suoi uomini e infatti l’allarme era senza dubbio infondato. La mattina dopo ci fu una ripetizione di tutti i segni di amicizia che si erano manifestati la sera prima.
Continuando il loro percorso per circa trenta miglia, arrivarono in un altro villaggio indiano. I selvaggi sembravano non avere alcun sospetto nei confronti degli estranei. Un gruppo, vedendoli avvicinarsi in lontananza, uscì per incontrarli come se fossero vecchi amici. Sembravano essere uomini dal comportamento cortese e lucido e invitarono gli estranei a visitare il loro villaggio. Questi Indiani avevano sentito parlare degli Spagnoli e delle atrocità di cui erano colpevoli più a ovest. Si dimostrarono piuttosto felici quando venne loro detto che i Francesi erano in guerra con gli Spagnoli ed anche desiderosi di radunare un esercito e marciare con i Francesi per attaccarli. La Salle entrò in una cordiale amicizia con questi indiani, che furono chiamati i Kironas. Promise che alla fine, se fosse stato in suo potere, sarebbe tornato con truppe più numerose.
Sembrerebbe che La Salle fosse ormai convinto che non avrebbe trovato il Mississippi viaggiando più a ovest, poiché girò i suoi passi verso nord-est. C’era un grande fiume vicino al villaggio, attraverso il quale gli ospitali Indiani li trasportarono nelle loro barche. Mentre attraversavano una bellissima prateria, il loro compagno indiano, il cui nome era Nika, gridò improvvisamente: “Sono morto! Sono morto”. Un serpente velenoso lo aveva morso e l’arto cominciò immediatamente a pulsare e gonfiarsi. Con un intervento chirurgico improvvisato, i Francesi, con i loro coltelli da tasca, tagliano la carne intorno. Profondi squarci furono tagliati vicino alla ferita sperando che il veleno sarebbe uscito con il libero scorrere del sangue. Applicarono anche impacchi di erbe, che era stato detto loro che erano utili in questi casi. Dopo molte sofferenze, che l’indiano sopportò con meraviglioso stoicismo, si riprese dalla pericolosa ferita.
Proseguendo, giorno dopo giorno, alla fine raggiunsero un ampio fiume, la cui corrente era così rapida che videro, subito, che sarebbe stato molto difficile effettuare un attraversamento. Questo fiume era probabilmente il Colorado, molte miglia sopra il punto in cui lo avevano toccato in una delle loro precedenti escursioni. Costruirono una zattera, mala maggior parte degli uomini aveva paura di tentare di attraversarlo. La Salle, con suo fratello e uno o due altri, andò avanti. Non appena si spinsero nel mezzo del torrente, l’acqua che scorreva rapidamente li afferrò, fece roteare la zattera che venne presa in un gorgo e in pochi istanti scomparve.


Francesi che danzano con Indiani

“È stato un momento – scrive padre Douay – di estrema angoscia per tutti noi. Disperavamo di vedere mai più il nostro angelo custode, il Chevalier de La Salle”. Passarono diverse ore. Gli uomini rimasti sulla riva erano in totale sconcerto. Non sapevano cosa fare. “La giornata fu trascorsa”, è scritto, “in lacrime e piangendo”.Poco prima del calar della notte, con loro grande gioia, videro La Salle e il suo gruppo sul lato opposto del fiume. Successivamente sembrò che la zattera avesse colpito un grande albero, che era stato strappato dalle rive, ed era quasi fermo in mezzo al torrente; le sue radici, pesanti di terra e pietra, si trascinavano sul fondo. Afferrando i rami si trascinarono fuori dalla corrente, e afferrando i rami di altri alberi, a strapiombo sull’acqua, riuscirono a guadagnare la riva orientale, diverse miglia sotto il punto in cui avevano costruito la zattera. Uno degli uomini fu spazzato via dalla zattera e riuscì a nuotare fino a riva.
Il gruppo era ora diviso, con il torrente spumeggiante e apparentemente invalicabile che correva tra di loro. Da entrambe le parti la notte fu trascorsa in grande ansia. Molti furono i piani suggeriti e abbandonati, per prendere una decisione. Al mattino La Salle, dall’altra parte del fiume, gridò loro che dovevano costruire due zattere leggere, con delle canne dal buon galleggiamento, e attraversare il fiume, promettendo che avrebbe mandato diversi forti nuotatori nel fiume per aiutarli. Si riuscì a costruire una zattera. Con paura e tremore cinque uomini si avventurarono su di essa. La zattera era così leggera che a malapena ne sosteneva il peso. Con l’aiuto di lunghi pali riuscirono a raggiungere il centro del torrente. Poi due uomini dal lato opposto si lanciarono a nuoto, e con il loro aiuto, con una vigorosa pagaiata, raggiunsero in sicurezza la terra, dopo essere andati alla deriva lungo il torrente. I più spaventati vennero lasciati indietro. Non osavano azzardare il passaggio. La Salle, vedendo la loro esitazione, ordinò ai suoi uomini di prendere tutto il materiale e continuare la marcia, lasciandoli indietro. Il pericolo incombente di essere abbandonati a morte quasi sicura li convinse a gridare dall’altra parte del fiume, implorando di essere aspettati. Con l’energia della disperazione, costruirono vigorosamente la loro zattera, e a mezzogiorno tutti furono felicemente riuniti per andare avanti.
Per due giorni si mossero lentamente e faticosamente, aprendosi la strada attraverso un’immensa foresta di canne. Il terzo giorno si verificò un incidente che illustra in modo particolare la sagacia e la resistenza degli Indiani. La loro guida indiana, Nika, che, come abbiamo detto, accompagnava La Salle fin dal Canada, aveva lasciato il gruppo il giorno prima di raggiungere il fiume, in cerca di selvaggina. Da allora non avevano più saputo nulla di lui. Venne cercato invano e la spedizione non poteva ritardare la sua marcia per aspettare il suo ritorno.
La sera del quarto giorno, mentre gli uomini erano riuniti attorno al fuoco non aspettandosi di rivedere Nika, questi entrò tranquillamente nel campo come se nulla di insolito fosse accaduto. Aveva sulle spalle una grande quantità di pezzi di carne di cervo dei più pregiati, che aveva essiccato al sole, e quasi tutto un cervo che aveva appena ucciso. Probabilmente aveva nuotato nel ruscello, facendo galleggiare il cervo su un tronco al suo fianco. E aveva fatto tutto questo, nonostante la ferita del morso di un serpente e tutto il cruento intervento chirurgico a cui si era sottoposto. La Salle era così felice di rivedere il suo fedele servitore e amico, che ordinò che venissero sparati diversi colpi di pistola in segno di saluto per il suo ritorno.
“Marciando ancora verso est”, scrive padre Douay, “siamo entrati in paesi ancora più belli di quelli che avevamo già visto in precedenza. Qui abbiamo trovato tribù native che non avevano nulla di barbaro in loro se non il nome. Tra gli altri abbiamo incontrato un Indiano molto onesto di ritorno dalla caccia con sua moglie e la sua famiglia. Donòal Cavaliere della Salle uno dei suoi cavalli e un po’ di carne. Ha anche invitato tutta il nostro gruppo nella sua loggia. Per indurci a fargli visita, ha lasciato la moglie, i figli e la selvaggina con noi come promesse, e ha galoppato verso il suo villaggio per annunciare la nostra venuta e per assicurarci un cordiale benvenuto”.Nika, e un altro degli assistenti di La Salle lo accompagnarono. Il villaggio era a una certa distanza, così che passarono due giorni prima del loro ritorno. L’ospitale Indiano tornò con due cavalli carichi di provviste. Diversi capi e guerrieri tornarono con lui a cavallo. Erano tutti ben vestiti e persino splendidamente, in pelli di cervo morbidamente abbronzate, con frange di gusto e con copricapi di pennacchi ondeggianti. Nella sua bellezza pittoresca il loro abbigliamento avrebbe potuto essere paragonabile agli abiti di corte della maggior parte delle monarchie europee.
Il capo più importante avanzò, portando vistosamente il calumet piumato della pace. La Salle venne avanti lentamente e le due parti si incontrarono a circa nove miglia dal villaggio. Dopo cordiali saluti, il gruppo unito continuò la sua marcia. A poca distanza dal gruppo di abitazioni native, una enorme massa di persone si affollava per incontrare gli estranei. I giovani uomini erano schierati in modo imponente in schieramento militare. Ma l’accoglienza fu così cordiale, e le indicazioni di sincerità così indiscutibili, che nessuno ebbe la minima paura di un tradimento.


Attraversamento delle rapide

La Salle e il suo gruppo rimasero tre giorni, godendosi il buon umore di questo popolo davvero ospitale. Il comandante, molto prudente, si accampò a tre o quattro miglia al di fuori del villaggio. Non aveva paura dei Nativi, piuttosto non aveva piena fiducia nei suoi uomini. Qualsiasi scorrettezza dei membri della sua spedizione nei confronti delle donne del villaggio, avrebbe potuto improvvisamente trasformare le loro relazioni amichevoli in aspra ostilità. A quanto pare c’erano molte famiglie cordiali. Le giovani fanciulle erano generalmente di lineamenti piacevoli e aggraziate nella forma. La Salle acquistò diversi cavalli, che si rivelarono di inestimabile valore per lui. La regione che gli esploratori avevano raggiunto era probabilmente non lontana dalla Contea di Austin, nell’attuale Stato del Texas. Era un paese più civilizzato e più densamente abitato di qualsiasi altro paese che avessero attraversato fino ad allora, in qualsiasi parte del continente. Per una distanza di sessanta miglia trovarono una serie continua di villaggi, a pochi chilometri di distanza uno dall’altro, tutti prosperi, armoniosi e felici. Le loro logge erano grandi e comode, spesso alte quaranta o cinquanta piedi, con tetti a cupola, a forma di alveari. Erano costruite piantando alberelli molto alti nel terreno, posti in cerchio. Le loro cime erano piegate verso il basso e legate insieme. L’intera struttura era molto ordinata e ricoperta di paglia con la lunga erba della prateria. I letti, costituiti da stuoie morbide, erano disposti intorno alle pareti della loggia, sollevati a circa tre piedi da terra. Il fuoco, a quella calda latitudine raramente necessario se non per cucinare, era nel mezzo. Ogni loggia di solito ospitava due famiglie.
Questi Indiani erano chiamati la nazione Cenis (Caddo). Era molto evidente che avevano avuto qualche rapporto con gli Spagnoli. La Salle trovò tra loro monete d’argento, cucchiai d’argento e vari tipi di vestiti europei. I cavalli erano abbondanti. Un cavallo veniva scambiato per un’ascia. La Salle poteva conversare con loro solo con i segni. Dissero che nessuno Spagnolo li aveva mai visitati, anche se c’era un loro insediamento a circa sei giorni di viaggio verso ovest. Molti dei loro uomini più intelligenti disegnarono una mappa del paese su alcune cortecce. Delinearono anche un grande fiume a molti giorni di viaggio verso est, che La Salle non aveva dubbi fosse il Mississippi.
“Il Cavaliere La Salle”, scrive padre Douay, “che comprendeva perfettamente l’arte di conquistare gli Indiani di tutte le nazioni, li riempiva di ammirazione per il suo mondo. Disse loro che il capo dei Francesi era il più grande capo del mondo; che era tanto al di sopra degli Spagnoli quanto il sole è sopra la terra. Ai suoi racconti delle vittorie del monarca scoppiavano in esclamazioni di stupore. Li ho trovati molto docili e trattabili. Comprendevano abbastanza bene ciò che dicevamo loro della verità di un Dio”
Dopo il piacere di questa deliziosa visita, gli esploratori continuarono il viaggio. Dopo aver percorso una trentina di miglia, quattro degli uomini, durante una sosta notturna, disertarono per andare ad affrontare il loro destino in una vita con gli Indiani. Erano avventurieri senza casa e senzatetto, senza motivi che li legassero alle preoccupazioni, alle fatiche e alle restrizioni della vita civile. Non sorprende che fossero rimasti affascinati dalla facilità, dall’abbondanza e dalla libertà della vita nel wigwam. Probabilmente si incorporarono nelle tribù, presero mogli indiane e non se ne seppe più parlare
In questo accampamento La Salle e suo nipote, M. Moranget, furono entrambi attaccati da una febbre violenta. Avevano frequenti ricadute, così che passarono due mesi ammalati prima che la marcia potesse essere ripresa. Durante questo lungo ritardo non soffrirono per la mancanza di cibo, perché c’era abbondanza di selvaggina,coni grande varietà di animali. La loro polvere, tuttavia, cominciò a scarseggiare. Secondo la loro stima, erano a circa quattrocentocinquanta miglia, in linea retta, dal loro insediamento di Saint Louis. Venne deciso di affrettarsi a tornare indietro. I cavalli, che trovavano abbondante pascolo nelle ricche praterie, rendevano loro un buon servizio, portando i malati sulle loro groppe e i bagagli di tutti.
Arrivarono a un fiume che era necessario attraversare con una zattera. In effetti ogni pochi chilometri incontravano un corso d’acqua. Generalmente nuotavano i loro cavalli. In questo caso, La Salle, con uno o due dei suoi uomini, era su una leggera zattera di canne. Improvvisamente un enorme coccodrillo, lungo venti piedi, sollevò la testa fuori dall’acqua, e con uno scatto delle sue orribili mascelle afferrò uno degli uomini per la vita e lo attirò sotto. Mentre il mostro affondava, la vittima emise un breve urlo agghiacciante, poi una leggera sfumatura cremisi spuntò sulle onde e si vide un piccolo vortice circolare che segnava il punto in cui l’enorme bestia era scesa.
Il 17 ottobre questo gruppo stanco e decimato raggiunse il campo, dopo un’assenza di sei mesi. Dei venti che se ne erano andati, solo otto tornarono. L’incontro fu di gioia e di tristezza. Entrambe le parti avevano narrazioni da fare sul disastro. Nel commentare questa impresa, Padre Douay scrive:
“Sarebbe difficile trovare nella storia, un coraggio più intrepido o più invincibile di quello del Chevalier de La Salle. Nelle avversità non fu mai abbattuto. Ha sempre sperato, con l’aiuto del cielo, di avere successo nelle sue imprese, nonostante tutti gli ostacoli che si frapponevano contro di esse”.
La Salle era ormai pienamente convinto di essere a ovest del fiume Mississippi. Decise di intraprendere un viaggio attraverso il paese verso il Canada, una distanza probabilmente non inferiore a duemila miglia. Il suo progetto era quello di inviare notizie in Francia delle sue disavventure, e quindi di assicurarsi aiuti da inviare da lì alla sua colonia sofferente e in decadenza. Seguendo il cammino verso nord-est, era sicuro di trovare il Mississippi, sul quale si sarebbe sentito abbastanza sicuro di arrivare a casa. Seguendo quel fiume e l’Illinois, poteva facilmente passare ai laghi, e poi raggiungere il Canada attraverso regioni con cui aveva abbastanza familiarità. Più di due mesi furono spesi per rafforzare le difese dell’insediamento e per depositare riserve di provviste per coloro che dovevano essere lasciati indietro.
A mezzanotte del 7 gennaio 1687, tutta la compagnia si riunì nella piccola cappella per una solenne funzione religiosa, per implorare la benedizione di Dio sull’impresa. La scena fu molto toccante. Quasi tutti erano in lacrime. C’erano solo poche possibilità che quelli che poi si dicevano addio si sarebbero mai incontrati di nuovo. La Salle scelse venti uomini per accompagnarlo. Tra questi, c’erano suo fratello, il suo sempre fedele assistente indiano, M. Douay, alla cui penna siamo debitori per il resoconto dell’ultima spedizione, e M. Joutel, che teneva un diario quotidiano degli eventi di questo viaggio. M. Douay scrisse anche un resoconto piuttosto minuto della spedizione. Non abbiamo motivo di dubitare dell’accuratezza di entrambi. C’erano solo venti Francesi lasciati indietro, tra cui sette donne e bambini. La Salle fece loro un discorso di commiato. Padre Douay scrive:”Ha fatto un discorso pieno di eloquenza, con quel modo coinvolgente così naturale per lui. L’intera colonia era presente e tutti si commuovevano fino alle lacrime. Erano ugualmente persuasi della necessità del suo viaggio e della rettitudine delle sue intenzioni”.


La spedizione spagnola De Leon ritrova i resti di Fort St. Louis nel 1689

La dotazione lasciata ai coloni era composta da settanta maiali, grandi e piccoli, venti galline e galli, alcuni barili di mais, che veniva accuratamente conservato per i malati, una notevole quantità di polvere e piombo e otto cannoni, ma senza munizioni. L’eroico e devoto Padre Membré rimase come guida spirituale e M. Barbier fu lasciato come comandante effettivo. La Salle elaborò istruzioni molto minute per l’amministrazione degli affari durante la sua assenza.
“Ci siamo separati”, scrive M. Joutel, “in un modo così tenero, così doloroso, che sembrerebbe che avessimo un presagio segreto che non dovremmo mai più vederci. Padre Membré ne fu profondamente colpito. Mi ha detto che mai prima d’ora aveva sperimentato una separazione così dolorosa”.
Era il 12 gennaio 1689, quando questa spedizione partì per il suo lungo viaggio. Portava con sé i cinque cavalli, caricati con pacchi di cibo e cose di cui avrebbero avuto bisogno per l’accampamento notturno. Il secondo giorno del loro viaggio arrivarono in una pianura larga circa sei miglia, che sembrava essere coperta di bisonti, cervi, stormi di tacchini selvatici e ogni varietà di selvaggina. Oltre la pianura c’era una splendida distesa di alberi. Entrando nel boschetto, scoprirono che era attraversato da un piccolo fiume. Nascosti da questi alberi, riuscirono a sparare a cinque bisonti che erano venuti al fiume per bere. Attraversarono il fiume su una zattera e si accamparono un miglio e mezzo più in là, sotto una pioggia battente. Le pelli e la carne di questi animali erano impacchettate sui cavalli. Le pelli, facilmente conciabili, erano di immenso valore per i loro incontri successivi.
La mattina dopo, il 14, il sole sorse in un cielo senza nuvole. La prateria sembrava sparsa per leghe davanti a loro, coperta da mandrie di bisonti e cervi, mentre immensi stormi di tacchini e altri uccelli della prateria si alzavano davanti a loro. Verso mezzogiorno videro, in lontananza, un immenso branco di bisonti correre sulla pianura come impazzito. Ipotizzarono che alcuni cacciatori indiani li stessero inseguendo. La loro congettura si rivelò corretta. Presto videro un Indiano, in piena corsa e molto curvo per cercare di non farsi scorgere, che inseguiva la mandria. Frettolosamente il carico fu gettato da uno dei cavalli, un uomo lo montò, e galoppando sulla pianura presto superò l’indiano e lo costrinse a dirigersi verso il gruppo dei viaggiatori. Quando il povero Nativo si vide circondato da un gruppo di uomini bianchi, ne rimase terrorizzato. E aveva motivo di spaventarsi. I soci di La Salle lo volevano uccidere, per vendicarsi dell’omicidio dei loro compagni da parte di una sconosciuta banda indiana. Il leader della spedizione, sempre umano e magnanimo, trovò necessario presentare ai suoi impulsivi seguaci spericolati alcuni motivi che consigliavano la clemenza. Disse loro:”Siamo solo pochi in numero. Abbiamo davanti a noi un viaggio di centinaia di chilometri attraverso una regione affollata di tribù indiane. Se risvegliamo la vendetta dei selvaggi, saremo tutti tagliati fuori. Trattiamoli con gentilezza, e così ci assicureremo in cambio un trattamento gentile”.
I sorrisi cordiali e i segni amichevoli di quest’uomo veramente buono dissiparono presto la grande apprensione dello straniero. Fu acceso un fuoco. Dopo aver abbondantemente nutrito il loro ospite affamato, e aver fumato con lui la pipa dell’amicizia, La Salle, assicurandogli del suo desiderio di non fare del male a nessuno, lo congedò con regali che al selvaggio dovevano sembrare quasi doni celesti. Eppure il cauto Indiano, abituato al tradimento, era evidentemente incerto sul destino che lo attendeva. Mentre si ritirava, gettava sguardi ansiosi intorno, fino a quando non ebbe raggiunto la distanza di alcune decine di metri, dopo di che prese il volo, con quasi la rapidità di un cervo.
I viaggiatori continuarono il loro percorso e, dopo un’ora o due, superarono un altro cacciatore indiano. Lo catturarono e gli elargirono gli stessi atti di gentilezza. Mentre la sera si avvicinava, videro una grande banda di Indiani in lontananza. Il loro atteggiamento era un po’ minaccioso. Quando videro il piccolo gruppo di estranei, si separarono in due parti e avanzarono a destra e a sinistra, come per circondarli. Quando le due bande furono all’interno della distanza di tiro dei moschetti, La Salle ordinò di fermarsi. Anche i selvaggi si fermarono. Per alcuni istanti si guardarono attentamente l’un l’altro, senza che venisse fatto alcun movimento da nessuna delle due parti.


La Salle impegnato in scambi con gli Indiani

Poi La Salle, abbassando le armi, avanzò lentamente verso il gruppo dove sembrava essere il capo, facendo segni perché quello gli venisse incontro. Il capo era un uomo alto di potente corporatura e riccamente adornato. Si fece avanti con cautela, mentre il resto del suo gruppo seguiva lentamente a poca distanza dietro. Non appena si vide che i due capi si incontrarono cordialmente, tutti si riunirono di corsa nello scambio di convenevoli e ogni segno di saluto amichevole. Si accesero i fuochi, il cibo venne cotto, le pipe furono fumate. Ci furono un banchetto, balli e grida. I selvaggi erano evidentemente felici dell’ accoglienza dei Francesi. Esaminarono i loro regali con stupore. Con gioia non finta appresero che La Salle intendeva tornare e stabilirsi nel loro paese; e che avrebbe portato una parte abbondante dei suoi tesori, che avrebbe scambiato con loro gli articoli di cui avevano bisogno. Era ormai l’ora del crepuscolo.
Le due parti si separarono, ognuna andando per la sua strada. Circa un miglio e mezzo in dopo, c’era un bellissimo boschetto, con un ruscello che scorreva. La Salle si accampò lì. Con la sua consueta prudenza controllò il luogo e stabilì sentinelle come se fosse nel paese nemico.
Avevano appena allestito l’accampamento, quando videro sei selvaggi avvicinarsi in fila indiana. Si fecero avanti senza alcuna esitazione, come se fossero in visita a vecchi amici. Con i segni dissero di aver sentito parlare del trattamento gentile che i loro amici avevano incontrato, e che erano fratelli, non nemici. Dopo una breve e piacevole visita si ritirarono e lasciarono il campo indisturbati.
Al mattino, di buon’ora, la marcia venne ripresa. C’era davanti a loro un ruscello troppo profondo per essere guadato. Non volendo perdere tempo nella costruzione di una zattera, seguirono la riva occidentale del torrente per diverse miglia. Il percorso passava attraverso un’incantevole regione di praterie e boschetti simili a parchi. Il fiume era orlato da alberi di ogni varietà, senza alcun sottobosco. C’erano molte piccole insenature da attraversare, che frastagliavano il torrente principale. L’acqua era pura, dolce e limpida come il cristallo. Di tanto in tanto incontravano dei folti canneti, attraverso i quali si tagliavano la strada con le asce. Il loro appetito era nutrito dall’abbondanza di selvaggina.
Il giorno dopo, il 19, fecero solo un breve spostamento, e dovettero fare una grande fatica nel guadare i ruscelli e farsi strada attraverso i canneti. Si imbatterono in alcune capanne degli Indiani deserte. Durante il lento avanzare della giornata, l’abile cacciatore indiano Nika, la loro guida, uccise otto bisonti. Presero i tagli più teneri e attraversarono il fiume da un guado. Dopo aver percorso alcune leghe, arrivarono ad un altro fiume, che scorreva attraverso una pianura bassa, ma leggermente elevata sopra il torrente. Arrivò una fitta nebbia, accompagnata dalla una pioggia. Qui si accamparono nei boschi che costeggiavano il fiume. Passarono una notte senza conforto e la tempesta impedì la ripresa del viaggio per tutto il giorno dopo.
Il giorno seguente la pioggia cessò, ma la nebbia continuò a insistere. Il loro percorso conduceva attraverso un terreno paludoso completamente inzuppato di pioggia, così che spesso affondavano nel fango fino alle ginocchia. I loro piedi erano calzati con mocassini fatti con la pelle dei bisonti. Questi, essendo alternativamente bagnati e asciutti, divennero rigidi e i piedi si riempirono di vesciche. Fortunatamente capitarono su una delle “strade” fatte dai bisonti, quando a migliaia procedevano uno dopo l’altro, schiacciando le canne sul percorso. Questi animali erano, per istinto, buoni ingegneri e invariabilmente selezionavano le rotte più favorevoli. Comunque i viaggiatori erano spesso costretti a guadare paludi profonde, e le loro fatiche erano a volte molto pesanti. La notte seguente, fortunatamente, si imbatterono in una cresta, dove poterono allestire un accampamento asciutto. Fecero un fuoco scoppiettante, cucinarono una cena salata, curarono i loro piedi pieni di vesciche e durante alcune ore di sonno ristoratore dimenticarono le loro fatiche. Quando si svegliarono la mattina dopo continuarono a insistere, entrando in un’altra vasta prateria coperta di mandrie di bisonti. Di notte si accampavano sulle rive di un fiume troppo profondo per essere guadato. Il 21 salirono sulle rive del torrente, sperando di trovare un punto poco profondo dove poter attraversare. Trovarono invece un luogo in cui il fiume scorreva attraverso un canale stretto e profondo, con grandi alberi su ciascun lato. Abbatterono due di questi alberi, in modo che i loro rami si incontrassero nel mezzo, attraversarono su questo ponte facendo passare i cavalli a nuoto.


La Salle avanza sotto la pioggia

Sull’altra sponda, si apriva davanti a loro un bel paesaggio di prateria ondulata. Mentre gli uomini si preparavano ad accamparsi al riparo di un boschetto, sentirono delle voci e presto videro una quindicina di Indiani avvicinarsi. I selvaggi non manifestarono alcun allarme, ma in segno di pace misero da parte i loro archi e frecce, ed entrarono nel campo. Mangiarono, fumarono, scambiarono regali e andarono per la loro strada rallegrandosi, promettendo di visitare di nuovo il campo. I cavalli, così come gli uomini, erano esausti. Rimasero quindi accampati piacevolmente per un giorno di riposo. Durante il giorno arrivò una banda di ventidue Indiani. Avevano scudi impermeabili alle frecce, fatti della pelle dei bisonti. Erano in guerra con un’altra tribù. Dissero che c’erano altri uomini bianchi, a distanza di dieci giorni di viaggio a ovest, senza dubbio riferendosi agli Spagnoli. L’incontro fu reciprocamente soddisfacente e La Salle ottenne alcune importanti informazioni in riferimento alla continuazione del viaggio.
Poi proseguirono, giorno dopo giorno, con sole e tempesta alternati, attraverso paludi e foreste, praterie e fiumi, senza incontrare avvenimenti di grande importanza, fino al 1° febbraio. Quel giorno scoprirono, a distanza, un villaggio indiano. La Salle, lasciando M. Joutel a capo del campo, prese suo fratello e sette uomini, e partì per una ricognizione. Arrivarono in un villaggio di venticinque wigwams, situato in una posizione molto piacevole. Ogni wigwam conteneva quattro o cinque uomini, oltre a un certo numero di donne e bambini. Gli Indiani accolsero i nuovi venuti in modo molto ospitale, li condussero alla dimora del loro capo e li fecero sedere su stuoie di pelli di bisonte. Una grande folla si radunò all’interno e intorno alla loggia. Il capo, dopo averli nutriti abbondantemente con bistecche di bisonte, li informò che stava aspettando il loro arrivo:altri Indiani gli avevano detto che erano in viaggio, su un percorso che li avrebbe portati vicino al suo villaggio. Regnava una perfetta armonia. Furono scambiati dei regali. Gli Indiani erano ansiosi di dare una veste di bisonte ben conciata per un coltello o qualsiasi gingillo fosse nelle mani degli uomini bianchi. Ma La Salle non aveva mezzi per trasportare le vesti, che si sarebbero rivelate così preziose nei mercati europei. Continuarono il loro viaggio, spesso incontrando gli Indiani, che erano sempre amichevoli. A volte una banda li accompagnava durante la marcia di un’intera giornata. Con l’aiuto degli Indiani, fu costruito il telaio molto leggero di una canoa, che era facilmente imballato e trasportato. Stendendo su di esso la pelle di un bisonte, da cui erano stati rimossi i peli, furono dotati di una barca molto leggera, con cui attraversare i fiumi, mentre i cavalli potevano facilmente nuotare nei ruscelli.
Il 10 febbraio i Francesi si trovarono davanti a una vasta pianura che era stata spazzata dalle fiamme. Pensando che non avrebbero potuto trovare la selvaggina, prima di inoltrarvisi si fermarono per due giorni, per procurarsi carne a sufficienza. Riprendendo il loro viaggio, presto superarono la regione inospitale ed entrarono di nuovo in una zona di fioritura e verdure. La sera del 15, si accamparono ai bordi di un ruscello, dove trovarono tracce che indicavano che una banda di Indiani era recentemente passata in quel luogo.
La mattina dopo La Salle prese suo fratello e sette uomini, e seguì un sentiero indiano ben battuto alla ricerca di un villaggio. Dopo un breve percorso, si imbatterono in un gruppo di cinquanta o sessanta logge. L’accoglienza fu, come al solito, cordiale all’estremo. Gli uomini di spicco del villaggio erano cortesi e intelligenti in riferimento alle questioni relative al proprio paese. Diedero i nomi di venti tribù o nazioni, attraverso i cui territori La Salle era già passato partendo dal suo insediamento di St. Louis. Il 17, uno dei cavalli cadde e si slogò la spalla, così che dovette essere lasciato indietro. Per diversi giorni il viaggio ebbe uno svolgimento monotono. I Francesi facevano circa venti o venticinque miglia al giorno. Venivano continuamente incontrati cacciatori indiani e i villaggi indiani accoglievano essenzialmente con gli stessi riti di amicizia e ospitalità. Da alcuni di questi Indiani ebbero notizie di quei Francesi che avevano disertato. Vivevano in modo molto amichevole tra gli indiani. Il 1° marzo arrivarono in un’immensa palude, parzialmente sommersa dall’acqua. L’intricato passaggio attraverso di essa era molto difficile da trovare e richiedeva i servizi di una guida. Molti degli Indiani si offrirono volontari e con grande perizia li condussero sani e salvi.
Il passaggio del pantano causò un ritardo di quattro o cinque giorni, in quanto non poté essere subito intrapreso a causa una pioggia torrenziale che cominciò subito a cadere. Il 15 uscirono da questa regione cupa ed entrarono in un paese che, per contrasto, apparve loro straordinariamente bello. Qui si accamparono per un breve riposo. Nika disse che aveva ucciso due bisonti e chiedeva che gli fossero mandati un paio di cavalli per caricare la carne. Fu inviato un gruppo di cinque persone, guidato da M. Moranget, che era un uomo avventato e irritabile. Tre uomini, che avevano accompagnato il cacciatore, stavano tagliando e asciugando la carne, per trasportarla al campo. Allo stesso tempo stavano cucinando per se stessi alcuni dei pezzi più scelti. Quando Moranget raggiunse il luogo pensò che gli uomini stessero banchettando, piuttosto che scuoiare la carne;allora li rimproverò, con i suoi abituali toni severi. Moranget accompagnò le sue rampogne con azioni ancora più irritanti. Prese da loro i deliziosi bocconcini che cucinavano. Quattro uomini, poiché un altro si era unito a loro, molto infuriati, abbandonarono con stizza il loro lavoro, e ritirandosi a breve distanza pensarono di vendicarsi uccidendo Moranget, e anche uccidendo Nika e un altro uomo che era il valletto di La Salle. Entrambi questi uomini erano amici e sostenitori di Moranget.
Tribù indiane del Texas nel 1500
I quattro cenarono insieme agli altri e aspettarono fino a notte. Era la notte del 17 marzo. Anche se in quel clima umido il tempo era sereno e mite, un fuoco scoppiettante risultava molto gradito, per la protezione dal freddo dell’aria notturna. Con il crepuscolo che si dissolveva le stelle brillavano su di loro e, circondati dal silenzio e dalla solennità della prateria e della foresta, presto apparentemente furono tutti addormentati.
Uno degli assassini, Liotot, si alzò cautamente e, con un’accetta in mano, strisciando verso Moranget, con un colpo disperato spalancò il cranio dal cranio al mento. L’azione fu estremamente efficace. Gli altri due furono uccisi allo stesso modo. Gli altri tre cospiratori si alzarono, con le pistole armate e innescate, per abbattere la prima delle vittime che avesse provato a fare resistenza. C’è una leggera discrepanza nei dettagli di questi omicidi. Si dice che Moranget, dopo aver ricevuto il primo colpo, fece un movimento convulso, come per alzarsi; ma che il valletto e l’indiano non si erano mossi. Da un crimine ne scaturisce sempre un altro. I cospiratori, dopo aver perpetrato questi omicidi, ora si consultarono insieme su ciò che si sarebbe dovuto fare. Moranget era il nipote di La Salle. Il valletto e l’Indiano erano suoi devoti amici. La loro morte non poteva essere tenuta nascosta. Era certo che La Salle non avrebbe permesso che non venisse vendicata. Anche se la punizione avrebbe potuto essere rinviata fino a quando non fossero emersi dal loro lungo e pericoloso viaggio attraverso il deserto, non c’era dubbio che non appena avessero raggiunto un posto militare francese sarebbero morti tutti sul patibolo. Decisero di tornare al campo, arruolare qualche altri dalla loro parte, uccidere La Salle e altri dei suoi amici di spicco, quando non sospettavano il pericolo, e quindi associare tutti gli altri alla propria criminalità, impedendo efficacemente a qualsiasi testimone di sollevarsi contro di loro. Probabilmente torturati in una certa misura dal rimorso, e trepidanti in vista dell’attuazione della seconda parte del loro criminoso piano, rimasero dove si trovavano per due giorni, il 18 e il 19, apparentemente impegnati a scuoiare la carne. La Salle, non sapendo come spiegare questa lunga assenza, era a disagio. Decise di andare lui stesso ad accertarne la causa, portando con sé alcuni altri. Ai suoi amici espresse gravi apprensioni per il fatto che fosse accaduta una grande disgrazia. M. Joutel fu lasciato a capo del campo, e La Salle, con Padre Douay e un altro compagno, partì alla ricerca dei dispersi.
Padre Douay dà il seguente resoconto della tragica scena che seguì:
«Per tutto il tempo La Salle parlò con me di questioni di pietà, grazia e predestinazione. Si faceva carico di tutti i suoi obblighi verso Dio, per averlo salvato da così tanti pericoli durante gli ultimi vent’anni nei quali aveva attraversato l’America. Mi sembrava particolarmente pervaso da un senso di gratitudine per la gentilezza di Dio verso di lui. All’improvviso lo vidi immerso in una profonda malinconia, di cui lui stesso non si rendeva conto. Era così turbato che non sembrava più sé stesso. Poiché questo era uno stato d’animo insolito per lui, cercai di svegliarlo dal suo letargo. Due leghe dopo trovammo il cadavere insanguinato del suo valletto. Nello stesso tempo La Salle vide alcuni dei suoi uomini sulla riva del fiume. Si avvicinò a loro, chiedendo che ne fosse stato di suo nipote. Risposero in modo incoerente, indicando un punto in cui dicevano che dovevamo trovarlo. Procedemmo per alcuni passi lungo la riva, fino al punto fatale dove si trovavano due dei suoi assassini, nascosti nell’erba, uno per lato, con le pistole cariche. Uno mancò Monsieur de la Salle. L’altro, sparando contemporaneamente, lo colpì alla testa. Morì un’ora dopo. Era il 19 marzo 1687.
Una raffigurazione dell’assassinio di La Salle
Io mi aspettavo lo stesso destino. Ma questo pericolo non occupava i miei pensieri, incentrati sul dolore per uno spettacolo così crudele. Lo vidi cadere, a un passo da me, con il volto pieno di sangue. Si era confessato e aveva celebrato le sue devozioni poco prima che partissimo. Durante i suoi ultimi momenti manifestò lo spirito di un buon cristiano, specialmente nell’atto di perdonare i suoi assassini.
Così morì il nostro saggio comandante, costante nelle avversità, intrepido, generoso, coinvolgente, abile, abile, capace di tutto. Egli, che per vent’anni aveva ammorbidito il temperamento feroce di innumerevoli tribù selvagge, fu massacrato dalle mani dei suoi stessi collaboratori, che aveva caricato di carezze. Morì nel fiore degli anni, in mezzo alle sue imprese, senza averne visto il successo. Non potevo lasciare il punto in cui era caduto, senza averlo seppellito come potevo. Dopo di che piantai una croce sulla sua tomba.»
In riferimento alla sepoltura, Joutel dà un resoconto leggermente diverso. Dice: «Il colpo che ha ucciso La Salle è stato il segnale per i complici dell’assassino di correre sul posto. Con barbara crudeltà lo spogliarono dei suoi vestiti, persino della sua camicia. Il povero cadavere è stato trattato con ogni indegnità. Il cadavere fu lasciato, completamente nudo, alla voracità delle bestie feroci.» Entrambi questi resoconti possono essere essenzialmente veri. Le barbarie praticate dagli assassini possono aver preceduto o seguito la frettolosa sepoltura di Douay. Padre Douay, nel suo racconto, continua:
«Occupato da questi pensieri, che La Salle ci aveva mille volte suggerito, mentre raccontavo gli eventi delle nuove scoperte, adoravo incessantemente i disegni imperscrutabili di Dio in questa condotta della sua Provvidenza, incerto ancora quale destino ci riservasse, mentre i nostri disperati compagni complottavano niente di meno che la nostra distruzione. Finalmente entrammo nel luogo in cui si trovava l’accampamento di Monsieur Cavalier. Gli assassini entrarono nella capanna senza cerimonie e sequestrarono tutto ciò che c’era. Ero arrivato un attimo prima di loro. Non avevo bisogno di parlare; poiché non appena Cavalier vide il mio volto, tutto bagnato di lacrime, esclamò ad alta voce:
“Ah, il mio povero fratello è morto”.
“Questo santo ecclesiastico, la cui virtù è stata così spesso provata nelle fatiche apostoliche del Canada, cadde subito in ginocchio. Io stesso, e alcuni altri, abbiamo fatto lo stesso, per prepararci a morire la stessa morte. Ma gli assassini, toccati da un certo sentimento di compassione alla vista del venerabile vecchio, e forse già mezzo pentiti per gli omicidi che avevano commesso, decisero di risparmiarci, a condizione che non dovessimo mai tornare in Francia. Ma poiché erano ancora indecisi, e molti di loro desideravano tornare a casa in Francia, li sentivamo spesso dirsi l’un l’altro, che dovevano liberarsi di noi; che altrimenti li avremmo accusarti davanti ai tribunali, una volta rientrati nel regno. Il capo di questi disperati, un miserabile di nome Duhaut, assunse subito il comando supremo. Il gruppo consisteva di diciassette uomini. I timidi, tremando per la loro vita, fingevano intera devozione alla causa degli assassini. Duhaut comandava con pugno di ferro. Era evidente che la minima indicazione di uno spirito insubordinato, lo avrebbe portato alla morte istantanea. Alcuni degli uomini migliori erano del parere di organizzare una cospirazione per assassinare gli assassini. Ma il sacerdote Cavalier diceva continuamente di no, ripetendo le parole: “La vendetta è mia. Io ripagherò, dice il Signore”.»
È impossibile determinare il punto preciso in cui avvenne l’omicidio di La Salle e dei suoi compagni. Sappiamo che si trattava di un viaggio di diversi giorni a ovest degli indiani Cenis, il cui territorio si estendeva lungo le rive del fiume Trinity, che sfocia nella baia di Galveston. Si ipotizza quindi che debba essere stato vicino a uno dei torrenti che sfociano nel Brazos, nel cuore del Texas, probabilmente non lontano da dove si trova ora Washington.
La mattina del 21 si presentava come una giornata di oscurità, vento e pioggia. La natura, nelle sue cupe manifestazioni tempestose, sembrava in sintonia con la tristezza che probabilmente opprimeva i cuori di tutti. In silenzio lavorarono, inzuppati dalla pioggia che cadeva, fino a mezzogiorno, quando la tempesta divenne così forte che furono costretti a fermarsi. Allestirono l’accampamento in un burrone profondo e buio. Gli assassini non potevano riposare. Vivevano nella continua paura che gli amici di La Salle si alzassero e li uccidessero. Padre Douay, M. Joutel e il fratello di La Salle, il Cavaliere, sapevano benissimo che gli assassini avevano il più forte interesse possibile a uccidere anche loro. Se questi viaggiatori avessero potuto continuare il loro cammino in amicizia e armonia, gli ostacoli materiali avrebbero potuto essere tutti agevolmente superati. Ma adesso, per loro, non c’erano più cieli soleggiati, non c’erano più praterie fiorite, non più raduni gioiosi e banchetti intorno al fuoco da campo. Viaggiando attraverso un paese cupo, e con un tempo oscuro, arrivarono, il 24, sulle rive di un fiume. La maggior parte del gruppo lo attraversò a nuoto. Padre Douay, M. Joutel e Cavalier non sapevano nuotare. Arrivarono alcuni Indiani amichevoli e, nuotando al loro fianco, li aiutarono. Un viaggio di altri quattro giorni li portò in un grande villaggio degli indiani Cenis, su un ruscello che chiamarono con lo stesso nome.
La regione era bellissima. Non c’erano foreste, ma pianure estese e ben irrigate, intervallate da boschetti di una grande varietà di alberi maestosi. Si incontravano spesso con gli Indiani, dai quali ricevevano sempre un trattamento gentile. Con la maggior parte degli uomini accampati a poche miglia dal villaggio, M. Joutel fu inviato, con altri tre, ad acquistare dai Nativi, se possibile, del mais. Uno degli uomini così mandati in avanti era Hiens, uno dei cospiratori con Duhaut. M. Joutel era infastidito nell’accompagnare un assassino in questa missione, ma non se la sentiva di fare alcuna rimostranza. Duhaut stava attentamente e continuamente in guardia sotto tutti gli aspetti. Gli inviati avevano alcune accette e coltelli, con istruzioni per acquistare mais e, se possibile, un cavallo. Non erano andati molto lontano prima di vedere tre guerrieri avvicinarsi a cavallo. Uno aveva un cappello e un mantello, che probabilmente aveva ottenuto in qualche modo dagli Spagnoli. Gli altri due erano completamente nudi. I tre avevano borse laterali strettamente intrecciate di fibre di canna e piene di farina di mais pestata o macinata molto finemente. Erano stati mandati avanti dal loro capo, con il pasto come regalo, e per invitare gli estranei a visitare il suo villaggio. Gli Indiani ricevettero alcuni coltelli e perline in cambio del loro dono e, dopo aver fumato insieme, tutto il gruppo partì per il villaggio.
Guerriero Caddo – dipinto di George Catlin
I viaggiatori erano ancora a una certa distanza dal villaggio, quando cadde la notte. I cavalli erano stanchi e affamati. Si accamparono quindi in un ricco prato, vicino a un ruscello gorgogliante. Due degli Indiani tornarono al loro villaggio, mentre un altro rimase con gli estranei. La mattina dopo andarono avanti e furono condotti dal loro compagno indiano alla cabina del capo. Vennero accolti con un’etichetta cortese molto insolita. A circa un terzo di miglio dal villaggio c’era una loggia molto grande, che potremmo chiamare la casa di città, o il municipio. Era stato costruito come luogo di tutti i loro grandi raduni pubblici. Il pavimento era molto ben rifinito con stuoie finemente intrecciate. Una processione molto imponente fu formata per scortare gli estranei dalla loggia del capo a questa casa del consiglio. Primi nella processione, arrivarono tutti gli uomini del villaggio venerabili per carattere ed età. Erano riccamente vestiti, con abiti pittoreschi molto raffinati, di pelle di cervo morbidamente conciata. Queste vesti, leggins e sciarpe erano di diversi colori, di tonalità brillante, ed erano abbondantemente decorate con frange e ricamate con conchiglie. Sulle loro teste indossavano pennacchi di piume colorate, che ondeggiavano con grazia nella leggera brezza. Nelle loro mani tenevano giavellotti, o archi, con faretre colme di frecce sospese sulle spalle.Su ogni lato degli anziani, che erano dodici in numero, c’erano file di guerrieri, disposti come a loro protezione. Erano tutti giovani uomini di figura ammirevole, dipinti e vestiti, e armati come se fossero sul sentiero di guerra. La processione si formò così davanti alla capanna del capo, e l’intera popolazione del villaggio, molte centinaia di persone, uomini, donne e bambini, si dispose intorno per assistere allo spettacolo. M. Joutel e i suoi assistenti, guidati dal capo, furono guidati all’esterno per essere ricevuti dagli anziani e condotti alla casa del consiglio.
Questi uomini venerabili li salutarono con molte formalità. Ognuno alzò la mano destra alla testa, e poi eseguì una particolare serie di movimenti con le braccia. Poi abbracciarono ciascuno, gettando delicatamente le braccia intorno al collo. Questa cerimonia fu seguita dalla presentazione della pipa dell’amicizia, dalla ognuno tirò solo pochi sbuffi.
Il corteo avanzò verso la casa del consiglio. Gli ospiti erano seduti su sedili di pelliccia al centro. Gli anziani, silenziosamente e con molta dignità nei movimenti, presero posto intorno a loro. Una grande moltitudine affollava gli spazi vuoti. Venne allestito un banchetto con le vivande più scelte degli Indiani: farina di mais bollita, torte cotte nella cenere e succulente bistecche di cervo. Vennero scambiati regali e vennero fatti discorsi amichevoli, principalmente con segni.
M. Joutel informò gli Indiani che era suo grande desiderio ottenere mais per il loro lungo viaggio. Essi risposero che la loro scorta era scarsa, ma che in un villaggio vicino, alla distanza di poche leghe, c’era abbondanza di granturco. Assicurarono anche la loro disponibilità ad accompagnare i loro ospiti in questo villaggio.
Dal villaggio partì un grande gruppo di persone. Il sentiero conduceva lungo le rive di uno dei rami del Brazos. La regione era deliziosa, il terreno fertile, e una popolazione piuttosto densa benedetta dall’abbondanza, popolava l’incantevole valle. Sarebbe potuto essere quasi un Eden, se non fosse stato per la malvagità dell’uomo. Questa potente tribù, i Cenis, era in guerra con un’altra tribù, chiamata Cannohantimos. Spesso la valle veniva spazzata da un’irruzione di feroci guerrieri, con tomahawk scintillanti, frecce avvelenate e urla demoniache. Seguivano lotta, sangue e grida di agonia. Ma i nostri viaggiatori attraversarono questa valle in una serena e fiorita mattina di primavera, quando c’era una pausa nella tempesta della guerra. Grandi capanne a cupola e campi coltivati si incontravano lungo tutto il percorso. Molte di queste abitazioni avevano un diametro di sessanta piedi. Offrivano una protezione perfetta dal vento e dalla pioggia, erano ben ricoperte e davano spesso un ampio alloggio per quattro o cinque famiglie. Un fuoco centrale, a cui non si permetteva mai di spegnersi, era comune a tutti. Non c’erano partizioni. Ogni famiglia occupava una certa porzione dello spazio e dormiva su letti comodi, sollevati di un piede o due dal pavimento. Erano un popolo molto amabile nel comportamento sociale e la vita si svolgeva in comune in termini quasi fraterni. Nel coltivare i campi lavoravano insieme. Spesso un centinaio di uomini e donne si radunavano per coltivare il campo di un uomo. Trascorrevano sei o sette ore a scavare attentamente il campo con forchette di legno e a piantare semi di mais, fagioli, meloni e altre verdure. Avrebbero poi usufruito di una festa, offerta da colui per conto del quale stavano lavorando. Ci sarebbero stati giochi e danze. Gli uomini scavavano il terreno, mentre le donne piantavano e coprivano i semi. Questi figli della prateria probabilmente trovavano, in questi lavori eseguiti in comune, molto più divertimento di quello che il contadino solitario può trovare nelle fatiche del suo campo. M. Joutel dice che, per quanto avesse potuto apprendere, non sembravano avere alcuna idea precisa di Dio. Avevano certe nozioni oscure di qualche essere o esseri al di sopra di loro, ma a quanto pare non consideravano che questi esseri avessero un interesse speciale per la vita che si svolgeva qui sotto. Sul tema della religione difficilmente si poteva dire che avessero un’idea precisa. Non avevano templi, né sacerdoti, né culto. Le loro menti erano in uno stato di vacuità. Però avevano certe cerimonie, il cui significato non sapevano spiegare, se non dicendo che tale era la loro usanza, che i loro padri lo facevano. Si ricordi che questo è il resoconto che viene dato sugli indiani Cenis. Ci sono cronache ben autenticate di alcuni Indiani, che avevano l’abitudine di pregare quotidianamente.


Scena di villaggio Caddo

Il villaggio venne raggiunto in prima serata. I messaggeri li avevano preceduti per annunciare la loro venuta. Gli uomini più eminenti del villaggio uscirono e li condussero in una loggia, che era stata preparata per il loro ricevimento. Dopo la cena e la fumata della pipa dell’amicizia, gli ospiti furono stati lasciati al riposo di cui avevano tanto bisogno. La capanna loro assegnata era una delle più grandi del luogo. Era appartenuta a un capo che era morto di recente. Un bel fuoco scoppiettava nel centro. Nella loggia c’erano diverse donne, che si occupavano di vari compiti domestici. Gli ospiti dormivano profondamente. La mattina seguente era il 1° aprile 1687. I capi del villaggio chiamarono di nuovo gli estranei con molta cortesia e contegno, e portarono loro un’abbondante colazione. Vennero scambiati regali e un cavallo molto bello fu acquistato per un’accetta. La giornata trascorse nell’acquisto di mais, che veniva posto in borse laterali, da portare sul dorso dei cavalli. In questo villaggio vennero trovati tre Francesi che, un anno prima, avevano disertato da La Salle. Con i volti dipinti e nell’abito dei selvaggi, nessuno poteva distinguerli dagli altri della tribù. A prima vista sembra quasi incredibile, ma in un anno avevano quasi completamente dimenticato la loro lingua madre.
M. Joutel mandò i suoi compagni al campo con il mais che era già stato acquistato, mentre lui rimaneva per ottenerne di più. Da solo nella loggia, lontano nel deserto, compagno di assassini e con un destino molto incerto davanti a lui, non riusciva a dormire. A mezzanotte, mentre era sdraiato sulla sua stuoia, assorto nei pensieri, vide, alla luce del fuoco, un Indiano entrare nella cabina, con un arco e due frecce in mano. Si sedette vicino a dove apparentemente dormiva M. Joutel.M. Joutel gli parlò. L’Indiano non rispose, ma si alzò e si spostò vicino al fuoco. M. Joutel, essendo ormai sveglio completamente, lo seguì, per entrare, se possibile, in conversazione. Fissando seriamente gli occhi sull’indiano taciturno, vide, con sua sorpresa, che era uno dei disertori francesi che aveva precedentemente conosciuto molto bene. Il suo nome era Grollet. Questi informò M. Joutel che aveva un compagno di nome Ruter, che non osava venire con lui, per paura di essere punito da La Salle, della cui morte non avevano sentito parlare. Scrive M. Joutel:«Avevano in così poco tempo così interamente contratto le abitudini dei selvaggi, da diventare essi stessi selvaggi. Erano nudi e i loro volti e corpi erano coperti da figure dipinte. Ognuno di loro aveva preso diverse mogli. Avevano accompagnato i guerrieri della tribù in battaglia; e con le loro armi avevano ucciso molti nemici, il che aveva dato loro grande fama. Avendo finito tutta la polvere e i proiettili, le loro pistole erano diventate inutili. Avevano quindi preso archi e frecce ed erano diventati abbastanza abili nel loro uso. Per quanto riguarda la religione, non ne hanno mai avuta. La vita che stavano praticando ora era di loro gusto».
Il terzo Francese del villaggio sembrò molto commosso quando seppe della morte di La Salle e degli altri. Dopo essere stato interrogato se avesse mai sentito gli Indiani parlare del Mississippi, disse che non aveva mai sentito quel nome, ma che li aveva spesso sentiti parlare di un fiume molto grande, circa cinque giorni di viaggio a nord-est di loro, e sulle cui rive c’erano molte tribù indiane. I due giorni successivi M. Joutel continuò ad acquistare mais. Non poteva essere acquistato in grandi quantità, ma molte famiglie ne avevano delle riserve accantonate. L’8 aprile Joutel tornò al campo, con tre cavalli carichi di mais. Durante questo periodo l’assassino, Duhaut, aveva avuto molte ore per riflettere. Arrivare in un posto militare o commerciale francese, accompagnato dai testimoni del suo crimine, significava morte certa. Tentare di uccidere tutti coloro che non erano implicati nell’omicidio, sarebbe stata un’impresa impossibile; tanto più che ora erano in guardia, e gli assassini avevano iniziato a litigare tra di loro.
Duhaut concepì un piano per tornare indietro, con i suoi sodali, all’insediamento che avevano lasciato nella baia di St. Louis,dove progettava di costruire una nave e di salpare per le isole delle Indie Occidentali. Le persone che Duhaut temeva molto erano Padre Douay, M. Joutel, il fratello di La Salle, M. Chevalier, e un giovane che era chiamato Young Chevalier. Il capobanda degli assassini adottò ora la politica di separare questi uomini dal resto della compagnia, in modo da poter parlare liberamente dei suoi piani con i suoi soci. Anche M. Joutel e i suoi associati riuscirono a parlare liberamente fra loro. Duhaut cercò di costringere Joutel e gli altri a tornare con lui a St. Louis. Ma quelli rifiutarono assolutamente. Comprendendo che non poteva costringerli, visto che erano decisi a continuare il loro viaggio verso gli insediamenti francesi, e che così avrebbero potuto inviare una nave armata per catturare gli assassini, decise di continuare in loro compagnia. Probabilmente sperava che si sarebbe verificata qualche opportunità in cui avrebbe potuto separarli dal gruppo. C’erano cinque uomini che avevano partecipato attivamente all’assassinio. Duhaut, l’istigatore, Hiens, che era il secondo più importante nel complotto, e altri tre, che erano piuttosto i loro strumenti, Liotot, Tessier e Larchevèque. La rabbia di Hiens si era accesa solo contro Moranget. Si incaricò di uccidere i due compagni di Moranget, affinché non testimoniassero contro gli assassini. Nascose i loro corpi, facendo intendere che si erano allontanati e si erano persi, o che erano stati catturati dagli Indiani. Liotot fu incaricato di colpire Moranget e i suoi compagni con l’accetta, mentre gli altri erano pronti, con le loro pistole, ad aiutarlo, se fosse stato necessario. Il successivo omicidio di La Salle era contrario ai desideri di Hiens. Duhaut e Larchevèquenon lo ascoltarono. Entrambi avevano sparato quasi nello stesso momento. Il proiettile di Larchevèque, intenzionalmente o per caso, aveva mancato il bersaglio. Il proiettile di Duhaut, invece, aveva perforato il cervello.
Non c’era simpatia tra Hiens e Duhaut. Quando quest’ultimo assunse così arrogantemente il comando, Hiens divenne molto irrequieto e si mise ad aspettare l’opportunità di detronizzarlo. Tremando di fronte al pericolo di avvicinarsi agli insediamenti francesi, e non avendo alcuna disposizione a immergere ancor più le mani nel sangue di uomini innocenti, la cui condotta aveva solo guadagnato la sua considerazione, egli era estremamente ansioso di tornare nella baia di St. Louis. Avendo appreso che Duhaut aveva cambiato il suo piano e aveva deciso di continuare sul Mississippi, prese da parte uno o due dei suoi compagni e li impressionò profondamente, instillando in loro un senso di pericolo per ciò cui sarebbero andati incontro. Hiens cospirò così per uccidere Duhaut e il suo più risoluto sostenitore Liotot. Hiens stipulò quindi in un’alleanza segreta con gli Indiani, promettendo che se lo avessero aiutato nei suoi piani, avrebbe fermato la marcia del gruppo verso il Mississippi, e con molti altri si sarebbe unito a loro, con i loro onnipotenti moschetti, in una spedizione ostile che stavano per fare contro una tribù vicina. Arruolò anche i disertori francesi che erano già diventati selvaggi.


Villaggio di Indiani Caddo

Così determinato, e con ventidue selvaggi ben armati nel suo gruppo, Hiens cercò Duhaut. In poche parole gli si rivolse così:
«Voi avete deciso di andare negli insediamenti francesi. E’ un pericolo che noi non vogliamo incontrare. Vi chiedo quindi di dividere con noi tutte le armi, le munizioni e i beni che abbiamo. Dopo potrete seguire il vostro corso e noi perseguiremo il nostro». Senza aspettare alcuna risposta, tirò fuori una pistola e sparò a Duhaut al cuore. L’uomo barcollò all’indietro di qualche passo e cadde morto. Nello stesso momento uno dei complici di Hiens, Ruter, con il suo moschetto, abbatté Liotot, infliggendogli una ferita mortale. Mentre l’uomo stava lottando nell’ agonia della morte, Ruter avanzò e scacciò un colpo di pistola nel corpo che si contorceva. Douay scrive: «I suoi capelli, e poi la sua camicia e i suoi vestiti presero fuoco, e lo avvolsero in fiamme, e in questo tormento scomparve». Era intenzione di Hiens uccidere anche Larchevèque, ma quegli, terrorizzato, fuggì di corsa.
Fu scavata una piccolo fossa e i due cadaveri furono gettati dentro e coperti. M. Joutel era presente e assistette a questa terribile scena. Scrive: “Quegli omicidi sono avvenuti davanti ai miei occhi. Ero terribilmente agitato e, supponendo che la mia morte sarebbe seguita immediatamente, istintivamente afferrai il mio moschetto per autodifesa. Ma Hiens gridò: “‘Non hai nulla da temere. Non vogliamo farti del male. Vendichiamo solo la morte del nostro patrono La Salle. Avrei potuto impedire la sua morte, avrei certamente dovuto farlo”».Gli Indiani rimasero stupiti da questa scena. Non erano affatto preparati a questo. Ma Hiens spiegò loro che tutto era stato fatto per vendicare gli omicidi che quelli avevano commesso; e che poiché Duhaut e Liotot avevano deciso di portare con sé tutte le pistole e le munizioni, era necessario ucciderli affinché Hiens e i suoi associati potessero unirsi agli Indiani nella loro spedizione di guerra. Questa affermazione sembrò dare piena soddisfazione ai guerrieri. Hiens era ora il capo della spedizione, che era in rapida diminuzione numerica. Informò i suoi compagni che avrebbe dovuto prenderne molti con sé, con le pistole e le munizioni, per accompagnare gli Indiani nella loro spedizione militare. Nel frattempo, fino al suo ritorno, gli altri dovevano rimanere nel campo degli Indiani amici. Quindi erano praticamente prigionieri: i mezzi per continuare il viaggio erano stati loro tolti Hiens esigette la promessa che coloro che si era lasciato alle spalle non avrebbero lasciato il villaggio fino al suo ritorno Probabilmente Hiens intendeva che non dovessero mai tornare in Francia.
All’inizio di maggio, il gruppo di guerra iniziò la marcia. Hiens accompagnò i guerrieri, con quattro del suo gruppo e due dei disertori francesi. Questo forniva ai guerrieri sette Francesi ben armati di polvere e pallottole. Mentre dovevano incontrare nemici che portavano solo archi e frecce, gli alleati francesi divennero un’immensa arma in più per la forza della spedizione. Ognuno di loro aveva un cavallo. Passarono due settimane. Quelli che erano rimasti si erano accampati a poca distanza fuori dal villaggio. Erano spesso visitati dagli Indiani, uomini e dalle donne, che manifestavano sempre i sentimenti più amichevoli. Potevano conversare solo con i segni, e il loro tentativo di comunicazione delle idee non era molto soddisfacente.
Il 18 del mese una grande folla si precipitò fuori dall’accampamento. Gli uomini e le donne erano tutti dipinti e decorati. I loro volti sorridenti, le canzoni e le danze indicavano chiaramente che avevano ricevuto notizie di una grande vittoria. Per diverse ore si assistette a una scena molto pittoresca di festa, fumo e allegria. Nel bel mezzo di queste feste, arrivò un messaggero, affermando che l’esercito vittorioso stava tornando e che avevano ucciso più di quaranta dei loro nemici. Il giorno dopo i guerrieri tornarono.
Essi fecero resoconti molto brillanti delle imprese dei Francesi con i loro moschetti. Avevano trovato il nemico preparato in schieramento di battaglia in un fitto boschetto. Avvicinandosi a tiro di moschetto, ma non di freccia, i Francesi, con mira precisa, avevano abbattuto quarantotto nemici. I restanti, terrorizzati, erano fuggiti inseguiti dal grido di guerra Cenis. Erano stati presi un gran numero di donne e bambini come prigionieri, la maggior parte dei quali erano stati immediatamente uccisi e scalpati. Avevano portato al villaggio due ragazze mature per sottoporle a feroci torture. Una di loro era stato crudelmente scalpata. Svenuta e sanguinante non poté sopportare a lungo la tortura. Un Indiano, prendendo in prestito una pistola da un Francese, le sparò deliberatamente alla testa, dicendo: «Portate questo messaggio alla vostra nazione. Dite loro che per molto tempo li serviremo tutti allo stesso modo». L’altra fanciulla era riservata per tutti gli orrori di torture demoniache da parte delle donne e delle ragazze. Queste erano disposte in cerchio. La povera ragazza fu condotta in mezzo a loro. Erano tutte armate di bastoni appuntiti. Poi, con orribili urla, si gettarono tumultuosamente su di lei, come segugi su una lepre. Presto cadde a terra sotto i loro colpi. Infilarono i loro bastoni appuntiti nel suo corpo. Con le braccia sinuose queste donne selvagge la picchiarono in faccia, sopra la testa, dappertutto, fino a quando il suo corpo non presentò che una massa di sangue maciullata. Mentre giaceva a terra a malapena respirando, un Indiano si fece avanti, e con un colpo di mazza le schiacciò la testa.


Mazza da guerra Caddo

Il giorno dopo ci fu un’altra grande festa. Grande onore fu conferito ai Francesi che erano stati artefici della vittoria. I guerrieri indiani avevano fatto poco più che uccidere le donne e i bambini che avevano fatto prigionieri, e scalpare tutti gli uccisi. Dopo diversi discorsi fatti dai loro oratori, si formò una processione. Ogni guerriero aveva un arco e due frecce in mano, ed era accompagnato da una delle sue mogli, che, come una serva o meglio come lo scudiero dei cavalieri di un tempo, agitava tra le mani gli scalpi cruenti, trofei delle conquiste del marito. L’intera giornata trascorse in feste e giochi vari.
Il giorno dopo Hiensebbe un incontro amichevole con M. Joutel e i suoi amici, per raggiungere un accordo sulle loro future operazioni. «Non sono disposto – disse – a tornare negli insediamenti francesi. Mi costerebbe inevitabilmente la testa. Ma sono disposto a dividere equamente tutte le nostre proprietà tra le nostre due parti. Coloro che lo desiderano possono accompagnare Joutel; altri possono rimanere con me».La divisione era compiuta. M. Joutel, Padre Douay, M. Cavalier, e suo nipote, il giovane Cavalier, e altri tre, De Marle, Tessier e Barthelmy, componevano il gruppo che doveva tornare agli insediamenti francesi. Così la spedizione di venti persone che aveva lasciato la baia di St. Louis si era ridotta a sette. Avevano tre cavalli, trenta accette, cinque dozzine di coltelli, trenta chili di polvere e trenta chili di proiettili. Tre Indiani si offrirono volontari come guide per una parte del percorso. Quando il capo Cenis scoprì che M. Joutel stava per intraprendere un viaggio così lungo e pericoloso, con una compagnia così piccola, rimase stupito e fece tutto ciò che era in suo potere per dissuaderlo da una tale impresa. «Se rimarrai con noi – disse – ti daremo capanne e mogli, e cibo in abbondanza. I pericoli davanti a voi sono spaventosi, non solo per gli Indiani ostili, i cui territori dovete attraversare, ma per le innumerevoli difficoltà dovute agli ampi fiumi e alle profonde paludi che dovrete incontrare».
M. Joutel e i suoi compagni si mantennero fermi nel loro proposito. Con molta riluttanza il capo acconsentì che le tre guide indiane li accompagnassero, per un certo periodo. Era circa il 25 maggio, quando ripresero la marcia dal villaggio del Cenis. Il secondo giorno arrivarono a un ampio fiume, che attraversarono su una zattera, facendo nuotare i cavalli. Il paese era abbastanza densamente popolato. Ogni giorno passavano per le capanne e i villaggi degli Indiani, ma non incontravano opposizione. Abbiamo resoconti minuti del buon accoglimento loro riservato in molti di questi villaggi. Tutti sono essenzialmente uguali a quelli che abbiamo già narrato. Giorno dopo giorno, con soste occasionali a causa delle piogge, i viaggiatori continuarono, per tutto il mese di maggio e fino alla metà di giugno. Il loro percorso era generalmente in direzione nord-est, e li condusse attraverso un aspro paese di foreste, burroni e fiumi. Il territorio medio di ogni tribù indiana era di circa venti miglia quadrate. Si trovavano sempre Indiani amichevoli disposti a guidarli da una tappa all’altra della loro strada.
L’ultima parte di giugno, mentre il gruppo di Joutel si avvicinava a un villaggio, un gran numero di uomini uscì per salutarli e per fare da scorta. Gli Indiani insistettero per portare i Francesi nel villaggio sulle loro spalle, dicendo che era la loro usanza inderogabile nell’accoglienza degli ospiti. Furono costretti ad acconsentire. Sette selvaggi si chinarono e ognuno ricevette uno degli ospiti sulle sue spalle. Altri guidavano i cavalli. M. Joutel era un uomo molto alto e molto pesante. Portava anche un moschetto, due pistole, un po’ di polvere e piombo e diversi capi di abbigliamento. Il selvaggio che si impegnò a trasportarlo, era un uomo piccolo di statura, così che i piedi di M. Joutel quasi toccavano terra. Mentre l’Indiano vacillava sotto il suo fardello, altri due selvaggi vennero in suo aiuto, sostenendo Joutel per le gambe. I Francesi, la cui vivacità sembrava non abbandonarli mai, trovavano molto difficile trattenere le loro risate di fronte allo spettacolo ridicolo che si stava verificando. Erano a tre quarti di miglio dal villaggio. I “portatori”, abbastanza esausti, consegnarono i loro fardelli nella loggia del capo. Gli Indiani indossavano solo pochi vestiti; alcuni di loro nessuno del tutto. Portavano acqua, dicendo che era loro abitudine lavare i loro ospiti, ma poiché vedevano che i Francesi erano gravati da tanti indumenti, gli fecero lavare solo il viso. Dopo questa cerimonia, furono posti su una piattaforma alta circa quattro piedi e fatti segno a lunghi discorsi di benvenuto. Come al solito c’era il fumo, i banchetti e lo scambio di regali. Iniziarono anche un traffico di grande successo con gli Indiani per l’acquisto di mais. Questi Indiani non avevano mai sentito lo sparo di una pistola. Erano stupiti di fronte al potere mortale del proiettile invisibile; e implorarono gli stranieri di rimanere con loro e di aiutarli in una spedizione di guerra. Joutel informò gli Indiani che lui e i suoi dovevano affrettarsi sulla loro strada, ma che speravano, prima o poi, di tornare e portare con sé pistole, polvere, accette, coltelli e altri oggetti da scambiare con le loro pellicce. Questo soddisfece molto gli Indiani.
Il volume tratto dal giornale di Henri Joutel
Un triste incidente si verificò in questo villaggio. M. Marle andò nel fiume a fare il bagno. Accidentalmente si spinse troppo avanti e finì annegato. I selvaggi manifestarono la più profonda solidarietà per l’occasione. Si precipitarono sul posto in gran numero, si tuffarono nell’acqua, recuperarono il corpo senza vita e con lamenti luttuosi lo riportarono al villaggio. Osservavano con intenso interesse i riti di sepoltura cristiana. La tomba dello sfortunato era in un bellissimo boschetto, sulle rive del fiume. I suoi compagni in lutto sollevarono sul posto una croce. «È nostro dovere testimoniare – scrive M. Joutel – la gentilezza di questo popolo affettuoso. La loro umanità, manifestata in questo triste incidente, è stata davvero notevole. La loro simpatia per il nostro dolore era più grande di quanto avremmo potuto sperimentare in qualsiasi parte d’Europa».Vi erano quattro villaggi molto popolosi in questa zona, situati l’uno vicino all’altro. Gli abitanti sembravano uniti nell’alleanza più fraterna. Eppure queste persone, che potevano essere così gentili, tenere e comprensive nel ricevere i loro amici, potevano essere spietate come demoni nel torturare i loro nemici.
Il 30 giugno i viaggiatori ripresero la loro marcia. Nelle vicinanze c’era un ampio fiume da attraversare. Avevano trascorso diversi giorni in questo villaggio, ricevendo atti di cortesia e ospitalità dalla gente. Sia gli uomini che le donne gareggiavano in attenzioni, come non ci si poteva aspettare dai selvaggi.
Nelle vicinanze c’era da attraversare un fiume ampio e profondo. Il capo e una grande scorta dei Nativi li accompagnarono al fiume e li traghettarono con le loro canoe, portando i cavalli a nuoto. M. Chevalier, nel congedarsi dai suoi amici, diede loro alcuni ricchi regali, senza dimenticare di rendere felici le donne nel dono di alcune splendide perline. Diversi Indiani guidarono il gruppo verso la tribù successiva, ad una distanza di circa trenta miglia. Anche qui furono accolti nella loggia del capo con un’ospitalità eccezionale. Dopo essere stati gratificati da numerosi cerimoniali di saluto, vennero loro fornite alcune guide per accompagnarli alla tribù successiva. Così continuarono, giorno dopo giorno, con piccolo intoppi occasionali. Il loro percorso si snodava attraverso un paese rigoglioso, ricco di cervi, tacchini e galli della prateria. Entrarono in un villaggio dopo l’altro, incontrando tribù dopo tribù. Ma ovunque incontravano invariabilmente la stessa ospitalità. In un’occasione un gruppo di cantanti entrò nella loro cabina e li intrattenne con una serenata di musica lamentosa. Allo stesso tempo uno dei loro dignitari incoronò M. Chevalier con un bellissimo copricapo di pennacchi colorati. La cerimonia, in questa occasione, fu molto elaborata, e vi presero parte attiva sia le donne che gli uomini. Due ragazze, straordinariamente aggraziate, furono portate, evidentemente senza alcuna intenzionale immodestia, in un contatto così affettuoso con M. Chevalier, da confonderlo visibilmente. Era abbastanza evidente che gli Indiani non si aspettavano che i loro ricchi ospiti avrebbero ricevuto queste attenzioni ricambiando abbondantemente. Sembra che si considerassero già ricompensati da un dono di un’accetta, quattro coltelli e alcune perline. Consideravano i Francesi come esseri superiori, ed erano rimasti stupiti e intimoriti dal rumore delle pistole e dalla traiettoria mortale del proiettile. Supplicarono gli stranieri di rimanere con loro, offrendo loro capanne, cibo e mogli.
Raggiunsero un paese collinare, con burroni e foreste, e sentieri indiani che conducevano in molte direzioni. Le guide erano veramente necessarie; e le guide erano sempre in azione. La sera del 24 luglio, arrivarono sulle rive di un fiume di insolita profondità e ampiezza. Con loro sorpresa e gioia videro, sulla riva opposta, una grande croce vicino a una spaziosa capanna di tronchi, proprio come i Francesi erano abituati a fare nelle loro stazioni. «Nessuno – scrive M. Joutel -può immaginare la gioia con cui questo spettacolo ha ispirato i nostri cuori. Ci siamo gettati in ginocchio e con gli occhi pieni di lacrime abbiamo ringraziato Dio per averci guidato in modo così sicuro. Non avevamo dubbi sul fatto che quelli sulla sponda opposta fossero Francesi, e la croce dimostrò che erano compagni cristiani».
Gli occupanti della capanna di tronchi videro gli estranei. Probabilmente i loro abiti indicavano che non erano Indiani. Spararono due salve di moschetto come saluto, che venne prontamente restituito. Immediatamente dalla riva opposta si staccarono diverse canoe, con gli Indiani ai remi; i viaggiatori videro nelle imbarcazioni due uomini in abito europeo. Erano due Francesi, M. Charpentier e M. Launay, entrambi di Rouen. La loro stazione si trovava sulla riva settentrionale del fiume Arkansas, non lontano dal suo ingresso nel Mississippi. Il tenente Tonti aveva stabilito il posto, per poter ricevere notizie dalla spedizione di La Salle. In questo incontro si mescolarono gioia e dolore. I viaggiatori sentivano che ora erano al sicuro e che il ritorno a casa e agli affetti era ormai sicuro. Ma tutti piansero per la morte di La Salle, perché era venerato e amato da tutti coloro che lo conoscevano. C’era un gran numero di Indiani alla stazione. Scaricarono i cavalli, portarono i bagagli e uomini e donne si affollarono intorno ai nuovi venuti. Dopo poco tempo gli Indiani uscirono tutti dalla loggia, e gli uomini bianchi tennero una conferenza insieme, narrando eventi passati. Il tenente Tonti aveva stazionato sei uomini in quel posto. Dovevano rimanere lì fino a quando non avrebbero ricevuto notizie dello sbarco di La Salle alla foce del Mississippi. Mentre i mesi passavano senza avere notizie della sua spedizione, quattro del gruppo erano andati a Fort St. Louis sul fiume Illinois, lasciando solo due uomini nella postazione. Fu deciso che era meglio nascondere la morte di La Salle fino a quando non potesse essere comunicata da suo fratello, Chevalier, alla corte in Francia. Nel frattempo si doveva lasciare l’impressione che stesse ancora sovrintendendo agli affari dell’insediamento nella baia di St. Louis.
A poca distanza dalla capanna di tronchi dei francesi c’era un gruppo di wigwam indiani. Il capo arrivò presto e invitò gli estranei appena arrivati a cenare con lui e i suoi capi. Si tenne una grande festa. Alla fine dell’intrattenimento M. Cavalier si rivolse a loro, in sostanza come segue: «Abbiamo accompagnato il Cavaliere La Salle dalla Francia, per stabilire un insediamento alla foce del fiume Mississippi. Abbiamo lasciato la nostra colonia sulle rive del Golfo del Messico e siamo in viaggio verso il Canada. Siamo passati attraverso i territori di moltissime tribù, che ci hanno trattato tutti nel modo più gentile. È nostra intenzione tornare dal Canada alla foce del fiume, con una grande scorta di merci. La gente, attraverso i cui paesi siamo passati, ci ha fornito guide. Ti chiediamo lo stesso favore, con canoe per risalire il fiume e con una scorta di cibo. Le guide saranno ben ricompensate e ti pagheremo per tutte le provviste che ci fornirai».


Erezione di una croce nei pressi di un villaggio indiano da parte dei Francesi

Tutto questo venne ben compreso, per mezzo un interprete. Il capo espresse la sua sorpresa per il fatto che fossero potuti passare attraverso così tante tribù senza essere stati uccisi o derubati. Disse che avrebbe immediatamente inviato corrieri negli altri villaggi della sua tribù, per informarli dei desideri dei Francesi e per decidere cosa si poteva fare per aiutarli nel loro proposito. M. Joutel fornisce un resoconto molto preciso della situazione e della struttura di questo villaggio. Era situato su una pianura sopraelevata che dominava una vista completa sul fiume e sulla zona adiacente. I wigwams erano costruiti solidamente, presentando interni molto confortevoli. La regione intorno era una vasta prateria affollata di bisonti, cervi, antilopi e una grande varietà di uccelli acquatici. Gli alberi da frutto e le viti erano abbondanti ed erano carichi dei loro appetitosi fardelli. Campi estesi ondeggiavano lussureggianti con il mais dorato. Dal fiume si pescavano pesci di tutti i tipi.
È davvero un resoconto molto positivo che la penna dello storico dà di questa terra che pareva benedetta. La tribù di quella zona era chiamata Arkansas. Occupavano quattro grandi villaggi. Due di questi villaggi erano sul fiume Arkansas e due sul Mississippi. Questi Indiani fecero tutto ciò che era in loro potere per testimoniare il piacere con cui ricevevano gli estranei. Alcune delle loro cerimonie erano così noiose che gli ospiti le avrebbero volentieri evitate. Una delegazione dei capi, provenienti dagli altri villaggi, fu presto riunita. Si tenne una riunione molto formale. Fu deciso che i quattro villaggi avrebbero dovuto fornire una grande barca e un uomo per ogni villaggio per aiutare la navigazione sul fiume, e anche la necessaria scorta di cibo. Uno del gruppo di M. Cavalier, M. Barthelmy, che era un giovane di Parigi, stanco del lungo viaggio che aveva compiuto, e affascinato dal carattere amichevole dei Nativi e dalla regione simile all’Eden che avevano trovato, decise di rimanere lì. Vennero lasciati anche i cavalli. Avevano, come giudicavano, un viaggio di milleduecento miglia dalla foce dell’Arkansas alla foce dell’Illinois. Avevano viaggiato, secondo le loro stime, settecentocinquanta miglia dal loro insediamento sul Golfo. Il gruppo dei Francesi si era ora ridotto a cinque persone. La barca su cui si imbarcarono era lunga quaranta piedi. Quindici Indiani, uomini e donne, entrarono con loro nella barca, per accompagnarli in una parte del percorso. Le tortuosità del fiume erano tali che era richiesto un viaggio di diverse leghe per raggiungere la sua foce. Sembrerebbe, dalla narrazione, che raggiunsero un villaggio alla foce del fiume il 29. Qui scambiarono la loro grande e pesante piroga per due canoe leggere, con cui salire contro la rapida corrente del Mississippi.Il giorno dopo percorsero ventiquattro miglia e raggiunsero Cappa, l’ultimo villaggio degli Arkansas sul Mississippi. Qui il capo li trattenne un giorno, affinché gli Indiani potessero godere di qualche ora di festa alla loro maniera. Il 2 agosto ripartirono, nove in numero, cinque Francesi e quattro Indiani. La rapidità della corrente era tale che erano spesso costretti ad attraversare il fiume per approfittare della forza dei vortici. A volte, in alcuni punti del fiume, il flusso era così rapido che erano costretti a prendere terra e portare le canoe e tutti i loro bagagli sulle spalle per superare il punto critico.


Cavelier de La Salle

La prima notte si accamparono su un’isola per maggior sicurezza. Gli Indiani in quella zona avevano una cattiva reputazione. Le difficoltà di questo viaggio furono molto grandi. Era necessario che ognuno adoperasse la pagaia con la massima energia. Avevano spesso paludi da guadare, fitte foreste da attraversare e pianure desertiche da attraversare sotto i raggi di un sole cocente. Giorni e notti si succedevano per gli stanchi viaggiatori. A lungo abituati a ogni varietà di vita selvaggia, ormai non c’era nessuna novità che potesse affascinarli. Il 19 agosto raggiunsero la foce dell’Ohio. Occasionalmente scendevano a terra per sparare a un bisonte o a un cervo o a un tacchino. I loro assistenti indiani ora manifestavano una disposizione a lasciarli, il che causò ai Francesi un grande allarme. Se gli Indiani di nascosto, di notte, avessero preso le canoe e disceso la rapida corrente del torrente, l’inseguimento sarebbe stato impossibile, e i viaggiatori sarebbero stati lasciati sulle rive del fiume in condizioni davvero critiche. Ciò rendeva loro necessario mantenere una guardia costante, con le armi in mano. In questo stato di ansia continuarono il loro faticoso viaggio fino al 30 agosto, quando raggiunsero la foce del fiume Missouri. Il 2 agosto passarono il famoso dipinto sulle rocce a cui abbiamo accennato in precedenza. Il 3 settembre lasciarono finalmente il Mississippi ed entrarono nella corrente più placida dell’Illinois. [NOTA: : M. Douay dice, il 5 settembre. Queste lievi discrepanze nelle date sono molto frequenti.]
Giudicarono che vi fossero centottanta miglia dall’Ohio all’Illinois. Su questo fiume trovarono un grande cambiamento nello scenario. Intorno avevano la verdura più ricca e la fioritura dell’estate. Prati, praterie e boschetti affollati di selvaggina, rallegravano costantemente l’occhio. Poiché ora erano in favore di corrente, il dolce scorrere del fiume li sollevò notevolmente dalla fatica della pagaia. Giorno dopo giorno risalivano l’affascinante corso d’acqua. Notte dopo notte preparavano l’accampamento in incantevoli boschetti, sotto cieli sereni, e banchettando con la selvaggina più scelta. Spesso venivano nei villaggi e negli accampamenti degli Indiani dell’Illinois, con i quali si sentivano completamente a casa.
L’11 settembre un Indiano solitario scese sulla riva del fiume e li salutò. Capirono la sua lingua e lo informarono che erano venuti da M. de la Salle e che erano diretti alla stazione, più a monte del fiume. L’Indiano corse di nuovo all’accampamento con la notizia. Tutta una moltitudine scese di corsa verso il fiume, con grida gioiose; e diverse salve di moschetto furono sparate in segno di saluto. Il saluto venne restituito dalle barche. Questa era una banda della numerosa tribù di Indiani dell’Illinois della regione di Kaskaskia.
Il forte francese sul fiume Illinois, come abbiamo detto, si chiamava St. Louis. Gli Indiani dissero che il tenente Tonti non era allora al forte, ma che aveva accompagnato un gruppo di loro guerrieri in una spedizione contro gli Irochesi. Esortarono i viaggiatori a sbarcare e a portare con sé del cibo. Ma i Francesi rifiutarono. Essendo ora così vicini a quella che consideravano la fine del loro viaggio, erano ansiosi di andare avanti sulla loro strada.
Alle due del pomeriggio di domenica 14 settembre 1687, i viaggiatori stanchi e logorati raggiunsero la postazione commerciale e militare di St. Louis. Rispetto agli umili wigwam degli Indiani, il forte assumeva proporzioni maestose, eretto su un’altura che dominava una vasta veduta della regione circostante. Un gruppo di Indiani era riunito sulla riva. Quando furono informati che gli stranieri provenivano dall’insediamento di La Salle, corsero di nuovo al forte con la gioiosa notizia. Immediatamente fu visto un Francese, che correva verso il fiume, seguito da un tumultuoso gruppo di indiani. M. Joutel scrive: “Siamo tornati insieme al forte, dove abbiamo trovato tre Francesi. Ci hanno chiesto del Chevalier de la Salle. Li informammo che ci aveva accompagnato per una parte del cammino, e che lo avevamo lasciato a circa centoventi miglia a sud della grande nazione del Cenis; e che allora era in buona salute. In quell’affermazione non c’era nulla di falso; perché M. Cavalier ed io, che abbiamo detto questo, non eravamo presenti alla sua morte. Ci aveva lasciato in buona salute. Ho già parlato delle ragioni che ci hanno indotto a nascondere la sua morte fino al nostro arrivo in Francia”.
Entrando nel forte, per prima cosa si recarono alla cappella, per la recita delle preghiere e del Te Deum,per rendere grazie a Dio, che la aveva condotti in modo così sicuro sulla loro lunga e pericolosa via.


Ventaglio in carta del 18° secolo raffigurante la spedizione di La Salle in Texas

La Salle era universalmente amato e venerato. Il suo portamento nobile, la sua familiarità con le lingue indiane, la sua autorità derivata dal re, le sue estese esplorazioni e pericolose avventure, e il suo spirito puro e sinceramente devoto, lo fecero considerare universalmente il grande uomo dei pionieri in questo nuovo mondo.
Tale fu la meravigliosa avventura di La Salle. Sarebbe difficile trovare, nella storia, qualcuno che abbia mostrato in misura superiore le nobili qualità di energia, coraggio e perseveranza, combinate con le virtù più gentili della tenerezza, dell’umanità e dell’amabilità. Le avversità sembravano non avere il potere di scoraggiarlo. Il suo carattere era puro, e non abbiamo motivo di dubitare che fosse nel cuore un cristiano sincero.
Nella storia delle esplorazioni del Nuovo Mondo quello di Cavelier de La Salle è un nome che a buon diritto può stare alla pari di Colombo e Lewis e Clark.

[Fine de Le avventure del cavaliere De La Salle e dei suoi compagni di John Stevens Cabot Abbott] – M. Douay, alla cui penna siamo debitori per il resoconto dell’ultima spedizione, e M. Joutel, che teneva un diario quotidiano.

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