Addio a Portis, autore de Il Grinta

A cura di Domenico Rizzi

Charles Portis e Il Grinta
Forse gli eroi solitari non se ne vanno sempre da soli. Dopo la recentissima scomparsa di Kirk Douglas, un altro grande del western ha abbandonato il campo.
Si tratta di Charles McColl Portis, noto semplicemente come Charles Portis, uno scrittore che gli appassionati del genere dovrebbero conoscere soprattutto per il romanzo “True Grit”, scritto nel 1968, pubblicato inizialmente a puntate sul Saturday Evening Post e tradotto per la prima volta in Italia con il titolo “Un vero uomo per Mattie Ross”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1969.
Il volume è stato ristampato nel 2011 come “Il Grinta” da Neri Pozza Editore-Giano, Vicenza. Anche il cinema ha ricavato dal libro di Portis due opere di notevole pregio: “Il Grinta”, diretto da Henry Hathaway nel 1968 e l’omonimo film per la regia dei fratelli Joel e Ethan Coen nel 2010.
Portis, affetto da Alzheimer, era coetaneo di un’altra grande firma del genere western: Cormac Mc Carthy (“Meridiano di sangue”, “Cavalli selvaggi”, “Oltre il confine” e “Città della pianura”). Il decesso è avvenuto a 86 anni il 17 febbraio 2020 nella casa di riposo che lo ospitava a Little Rock, in Arkansas, la terra natìa alla quale era rimasto sempre affettivamente legato. Il celebre scrittore era nato il 28 dicembre 1933 in una cittadina del medesimo Stato il cui nome – El Dorado – sembrava preludere al suo futuro successo nella letteratura western.
Arruolato nell’esercito americano durante la Guerra di Corea e promosso al grado di sergente, dopo il congedo si iscrisse all’università di Fayetteville (Arkansas) dove nel 1958 conseguì la laurea in giornalismo. Avrebbe lavorato in seguito per alcune testate importanti, fra cui il New York Herald Tribune, una collaborazione durata 4 anni. Come autore non è stato mai troppo prolifico, tanto che i suoi romanzi di rilievo risultano soltanto 5, realizzati fra il 1965 e il 1991.
La copertina del libro di Portis
Uomo del profondo Sud, ambienta il suo “True Grit” proprio nell’Arkansas e in Oklahoma – all’epoca della narrazione chiamata ancora Territorio Indiano – lasciando emergere in qualche battuta la sua velata avversione verso i Texani: “Voi siete del Texas e ignorate le nostre abitudini, ma la brava gente dell’Arkansas non la fa passare tanto liscia agli uomini che maltrattano donne e bambini” (Mattie Ross al ranger LaBoeuf, op. cit., p. 71); “Era un demonio vanitoso e arrogante” (Mattie Ross sempre a proposito di LaBoeuf, op. cit., p. 75) e ancora: “Posso battervi quando voglio. Ho ancora da conoscerlo un Texano che io non riesca a battere. Contrariatemi LaBoeuf e vi sembrerà di essere stato investito da un treno merci. Rimpiangerete di non essere stato ad Alamo con Travis” (Reuben Cogburn a LaBoeuf, op. cit., p. 93-94).
Il libro è interessante e piacevole nelle descrizioni e nei dialoghi, ricco di mordente e di battute talvolta un po’ feroci nei riguardi di qualche personaggio. Tratteggia assai bene l’ambiente, l’epoca in cui si svolge e i suoi protagonisti, alcuni dei quali – il giudice Isaac Parker e gli ex fuorilegge Frank James e Cole Younger – sono figure storiche. Ad essi Portis non risparmia critiche, con la sola eccezione del bandito Younger, che non ha perso le maniere galanti nonostante la lunga detenzione in carcere dopo la distruzione della banda di Jesse James. I suoi pareri, espressi per bocca di Mattie Ross, sottintendono talvolta un giudizio più severo che la ragazza non si sente di esternare appieno, come nel caso del magistrato: “…quelli di Washington dissero che il giudice era troppo duro e arbitrario e troppo prolisso nelle sue arringhe alla giuria e chiamarono il suo tribunale ‘il macello di Parker’…” (p. 37)
Scritto in prima persona, come narrazione dell’adolescente Mattie in cerca dell’assassino di suo padre, il romanzo esordisce nella maniera migliore: “La gente non vuol credere che una ragazzetta di quattordici anni abbia potuto lasciare la sua casa e partirsene di pieno inverno per vendicare il sangue di suo padre, ma a quei tempi non sembrava tanto strano…” (Portis, op. cit., p. 7). Dopo avere contattato lo sceriffo federale Reuben “Rooster” Cogburn, un tipo con un occhio solo, dedito all’alcool detto “Il Grinta” per la sua durezza, inizia una serrata caccia all’uomo, alla quale parteciperà anche il ranger LaBoeuf, antipatico tanto a Mattie, quanto al burbero tutore della legge. La protagonista, fin troppo vivace e caparbia tanto da attirarsi la minaccia di punizioni corporali da parte dell’ agente texano (“Poche ore fa ti avrei volentieri rubato un bacio, sebbene tu sia molto giovane, per di più malata e bruttina, ma adesso ho una gran voglia di rifilarti cinque o sei belle frustate con la mia cintura” (p. 71) persegue il suo scopo con tenacia, fino a vederlo raggiunto, ma la sorte le riserverà un’amara sorpresa, facendola precipitare in una cavità del terreno piena di serpenti a sonagli. La conseguenza sarà tragica: “La mia mano si gonfiò e diventò nera, e poi anche il polso. Il terzo giorno il dottor Medill mi diede una robusta dose di morfina e mi amputò il braccio sopra il gomito con una piccola sega chirurgica.” (p. 211). Mattie sopravvive, mutilata e rassegnata, fors’anche per sua scelta, a rimanere zitella: “Alla gente piace chiacchierare…Dicono che io non amo altro che il danaro e la Chiesa presbiteriana e che è per questo che non mi sono mai sposata” ma più probabilmente perché “Una donna intelligente che ha la lingua tagliente, un braccio di meno e una madre invalida da accudire è alquanto svantaggiata.” (p. 218)
L’ultima ipotesi circa il suo ostinato nubilato è legata all’affetto profondo per Cogburn, che negli anni della maturità Mattie cerca insistentemente girando per vari luoghi, fino ad incappare in Frank James e Coleman Younger, ormai ridotti a comparse in un piccolo circo, patetica imitazione del Wild West Show di Buffalo Bill Cody. Younger, da poco rimesso in libertà vigilata dopo una lunga detenzione, le dà la conferma che il “Grinta” è morto a causa di un’”asma notturna” che si accentuava nella stagione calda, mentre il loro spettacolo si teneva a Jonesboro, in Arkansas. Lo stesso ex fuorilegge della banda di Jesse James – educato e gentile com’era sempre stato realmente nei riguardi delle donne, al contrario di Frank James, che non si alza in piedi in presenza di Mattie, viene da lei definito un “cialtrone” o uno “zoticone” – ipotizza che il duro Cogburn potesse avere avuto circa 68 anni al momento della morte.

E’ l’anno 1903. Il West della storia è ormai alle spalle, quello della leggenda spopola in America ed Europa grazie alle infaticabili tournèe di Buffalo Bill; appaiono sugli schermi “L’assalto al treno” di Edwin S. Porter e “Kit Carson” di Wallace McCutcheon, inizio dell’interminabile avventura di un genere fra i più amati dal pubblico mondiale.
Il cuore di Mattie, anziché inacidirsi con il tempo, sembra essersi addolcito. Quando rammenta LaBoeuf, l’odioso ranger che la voleva prendere a cinghiate, del quale non ha più notizie da anni, non mostra alcun risentimento, perché “il tempo ormai fugge per tutti noi.” (p. 219). Parlando di Cogburn e delle sue successive vicissitudini – la rinuncia all’incarico di sceriffo federale, il fallito progetto di trasformarsi in allevatore di bestiame, la partecipazione alla Guerra della Johnson County nel Wyoming nel 1890, prima di approdare allo spettacolo circense di James e Younger – si nota in lei una sottile nostalgia ed un velato rimpianto, che ella tenta di celare bruscamente. “Non ho mai avuto il tempo di sposarmi, ma sono fatti miei se sono o non sono sposata.” (p. 218). Che un’adolescente si invaghisca di un uomo maturo non deve fare specie; che una quattordicenne desiderasse addirittura sposarlo, nonostante l’uomo avesse quasi trent’anni più di lei, neppure. Nella storia del West vi sono tantissimi esempi di donne che contrassero matrimonio in età adolescenziale, da Sarah Katherine King, sposatasi a 13 anni con il guerrigliero William Quantrill, a Lillian Smith, famosa tiratrice del Wild West Show di Cody, andata in moglie a James Willoughby (“Jim Kid”) non ancora quindicenne.
Portis trasferisce questa mancata eventualità nei ricordi della ragazza fattasi ormai donna, lasciando intendere che probabilmente la sua infatuazione fosse dovuta all’ammirazione per il carattere dell’uomo e alla gratitudine verso di lui, che oltre a vendicare suo padre, l’aveva salvata dal micidiale morso dei serpenti a sonagli. Non a caso il titolo italiano della prima traduzione del romanzo è stato allusivamente: “Un vero uomo per Mattie Ross”. Uno psicologo moderno identificherebbe Cogburn con la figura del padre, che Mattie ha perduto in modo cruento quand’era poco più che bambina.
Come si è anticipato, il cinema riuscì a realizzare due capolavori dal romanzo dello scrittore.
Il primo, diretto da Hathaway, ebbe come protagonisti assoluti l’ormai affermatissimo John Wayne (il “Grinta”) e Kim Darby (Mattie) ed incassò oltre 31 milioni di dollari, fruttando al granitico attore un Oscar alla carriera e un Golden Globe, mentre il compositore Elmer Bernstein ricevette entrambe le nomination per la colonna sonora. Il remake, realizzato dai fratelli Coen con lo stesso titolo nel 2010 venne interpretato da Jeff Bridges e dalla giovanissima Hailee Steinfeld. A fronte di un formidabile incasso di oltre 252 milioni di dollari e di ben 10 candidature all’Oscar, comprese quelle di Bridges e della Steinfeld, non ottenne alcuna statuetta e questa ha il sapore di una delle tante discriminazioni patite in vari momenti dalla filmografia western, relegata spesso in secondo piano da lavori giudicati di maggiore impegno.


Un bel ritratto fotografico di Charles Portis

Le differenze fra le due versioni sono abbastanza marcate, benchè entrambe riproducano benissimo lo spirito del romanzo, delineando perfettamente personaggi e situazioni.
Vi è da notare che l’interpretazione di Hailee Steinfeld merita qualche punto in più, perché l’attrice aveva davvero, all’epoca delle riprese, 14 anni, mentre Kim Darby, partner di Wayne nella prima edizione, era già una donna di 22 anni, da poco sposata con l’attore James Stacy. Inoltre la conclusione proposta da Hathaway contiene un lieto fine che si discosta notevolmente da quello dell’opera letteraria: Mattie viene salvata dal Grinta, che si allontana saltando acrobaticamente uno steccato con il suo cavallo, dopo averla restituita incolume al suo destino. I fratelli Coen preferiscono invece una maggiore aderenza all’opera di Portis, ricalcandone fedelmente i passaggi più drammatici dall’inizio alla fine.
La loro conclusione, struggente e amara, sembra celebrare, mentre Mattie Ross si incammina verso una collina dopo avere salutato il vecchio Cole Younger, il declino di un’epopea ormai priva dei suoi protagonisti più autentici e rappresentativi, come il leggendario Grinta.
Raffigura in tutti i sensi il crepuscolo del West, di coloro che lo hanno interpretato realmente e di chi lo ha narrato con intensa partecipazione.

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