John Eliot, missionario tra gli Indiani d’America

A cura di Pietro Costantini

John Eliot predica agli indiani
John Eliot fu uno dei primi missionari, e probabilmente il più grande, che svolse il proprio ministero fra gli Indiani d’America. Egli è anche conosciuto come l’«apostolo degli Indiani». Anche se ebbe un grande successo come missionario, la vocazione primaria di Eliot fu il ministero da lui svolto nella chiesa di Roxbury. Egli non era missionario nel senso più stretto del termine, ma un ministro congregazionalista, uno dei padri della chiesa della Nuova Inghilterra coloniale. Tuttavia, la sua dedizione nel portare il cristianesimo fra gli Indiani fa di lui uno dei più grandi missionari della storia, e molti dei suoi metodi sono validi per tutte le epoche.
John Eliot nacque in Inghilterra; fece i suoi studi a Cambridge, dove si laureò nel 1622, dopo aver fatto un tirocinio utile per il suo futuro ministero. Fu consacrato ministro nella Chiesa Anglicana ma, poiché egli era un anticonformista, qualsiasi ministero di predicazione in Inghilterra sarebbe stato per lui precario e limitato. Così, dopo aver svolto per diversi anni il suo servizio come insegnante in una scuola, sotto la guida spirituale del grande padre puritano Thomas Hooker, egli salpò per l’America, dove maggiori sarebbero state le possibilità per il suo ministero.
Nell’estate del 1631 Eliot giunse sano e salvo nel Massachusetts, una colonia fondata da poco meno di due anni. Anche Se la Nuova Inghilterra appariva come una zona remota e non ancora civilizzata, Eliot si sentì come a casa sua. Nel giro di un anno i suoi tre fratelli e le sue tre sorelle, come pure la sua fidanzata, lo raggiunsero nel Nuovo Mondo. Dopo aver trascorso un anno a Boston come sostituto pastore, Eliot accettò una chiamata per la chiesa di Roxbury, dove già si trovavano stabiliti molti suoi amici e vicini di casa provenienti dall’Inghilterra. Roxbury era un piccolo insediamento di coloni vicino alla frontiera a circa tre chilometri da Boston; e là, nell’ottobre del 1632, John Eliot e Hanna Mumford si sposarono con un rito civile: era il primo matrimonio registrato in quella città.
Come avveniva a tanti pastori impegnati nelle colonie, i primi anni del ministero di Eliot furono spesi per supplire alle necessità del suo gregge. C’erano Indiani nelle vicinanze, ma le loro occasionali visite a Roxbury non suscitavano particolare interesse.
Erano Indiani pacifici, e i colonizzatori accettarono la loro presenza senza preoccuparsi troppo di evangelizzarli.


La colonia del Massachusetts nel 1636, con le tribù autoctone

Molti abitanti della Nuova Inghilterra, compresi alcuni ministri, erano infatti convinti che il crescente tasso di mortalità fra gli Indiani (dovuto alle malattie importate dall’Europa) fosse il mezzo usato da Dio per «purificare il paese» in favore «del Suo popolo». Gli Indiani venivano considerati una fastidiosa seccatura che rallentava il progresso della civiltà.
All’età di quarant’anni, cioè non prima del 1644, Eliot cominciò a impegnarsi seriamente nel lavoro missionario. Non ci fu una chiamata mediante un sogno, come quella che ebbe l’apostolo Paolo quando doveva andare in Macedonia. Non ci fu neanche un solenne mandato. Ci fu semplicemente un bisogno, ed egli era disponibile. Per prima cosa s’impegnò a studiare la lingua. Gli ci vollero due anni di intenso e massacrante lavoro intellettuale per imparare il dialetto del Massachusetts, appartenente all’idioma Algonquin, lingua non scritta, caratterizzata da suoni gutturali e inflessioni di voce. In questo difficile compito fu aiutato da Cochenoe, un giovane indiano fatto prigioniero nella guerra con i Pequot. Cochenoe fece da maestro a Eliot, e lo accompagnò per diversi anni anche in veste di interprete e assistente. Nell’autunno del 1646 Eliot pronunciò il suo primo sermone a un gruppo di Indiani che vivevano nella zona. Era il banco di prova da cui sarebbero risultate le sue effettive capacità di comunicare, ed egli non voleva fallire. Malgrado gli sforzi, il suo messaggio non venne recepito; gli Indiani «non lo presero in considerazione, né diedero retta a esso; anzi erano annoiati e disprezzavano ciò che dicevo».
Dopo un mese Eliot predicò di nuovo, questa volta a un gruppo più numeroso di Indiani riuniti nel wigwam di Waban, un capo Nipmuck, e la reazione fu senza dubbio migliore. Gli Indiani ascoltarono intensamente per più di un’ora e, quando il sermone fu terminato, essi posero delle domande. Eliot, più tardi, descrisse queste domande come «curiose, meravigliose e interessanti».


Eliot in mezzo agli indiani

Eliot rispose ad alcune di esse ma, poi, usando il suo intuito missionario e un po’ di psicologia, limitò il tempo per le domande «decidendo di lasciarli con un po’ d’appetito». Prima di andar via, Eliot distribuì dei doni, dolci e mele per i bambini, e tabacco per gli uomini. Per la prima volta aveva sperimentato il sapore del successo, e «se ne andò fra molti ringraziamenti».
Due settimane dopo questo incontro incoraggiante, Eliot ritornò accompagnato da due pastori e un laico, proprio come aveva fatto durante le sue prime visite. Ci fu una maggiore partecipazione di Indiani incuriositi, e l’incontro fu proficuo. Eliot cominciò con una preghiera, insegnò ai bambini a recitare scritture e, naturalmente, anche i genitori imparavano mentre ascoltavano. Poi predicò sui dieci comandamenti e sull’amore di Cristo. E, durante questo messaggio, alcuni Indiani si commossero. Seguì nuovamente una serie di domande; particolarmente difficile fu rispondere a una di esse: «Perché nessun uomo bianco ci ha mai detto queste cose prima?»
Nei mesi successivi, Eliot continuò a visitare il wigwam di Waban due volte alla settimana; qua impartiva regolarmente lezioni e pronunciava sermoni di evangelizzazione, preparati e ripetuti con cura meticolosa nella complessa lingua Algonquin. Gran parte del ministero gravava su di lui, ma egli si avvalse attivamente dell’aiuto di altri, tra cui alcuni pastori della regione e diversi membri della sua chiesa. Il loro entusiasmo incoraggiò il suo spirito e consolidò l’opera missionaria nei momenti difficili.


John Eliot

Viaggiare comportava sempre grandi difficoltà e percorrere i sentieri accidentati era faticoso, ma niente poteva spegnere l’ottimismo di Eliot: «Per tutto l’inverno non abbiamo avuto neanche un giorno di brutto tempo, quando andavamo a predicare agli Indiani. Il Signore sia lodato».
Con il passare delle settimane e dei mesi alcuni Indiani si convertirono, e cambiamenti notevoli si manifestarono nelle loro vite. Un rapporto, pubblicato circa un anno dopo il primo incontro di Eliot con gli Indiani, documentava il seguente progresso:
«Gli Indiani hanno abbandonato completamente i loro Pow Wow [assemblee dei Nativi]. Hanno stabilito la preghiera mattutina e serale nelle loro tende. Stanno diventando laboriosi e fabbricano oggetti da vendere durante l’anno. D’inverno vendono scope, stufe, pentole per anguille e cestini; in primavera, mirtilli, pesce e fragole. Le donne stanno imparando a filare».
Avere una zona destinata esclusivamente agli Indiani cristiani era ciò che stava particolarmente a cuore a Eliot e agli Indiani stessi. Eliot era convinto che bisognasse separare i nuovi convertiti da quelli che non avevano alcun interesse per il Vangelo. Gli Indiani, d’altra parte, desideravano avere un posto tutto per loro. I colonizzatori bianchi avevano costruito fattorie e recinti, limitando le attività di caccia e di pesca degli Indiani. Eliot fece un appello in loro favore presso la Corte Generale, e agli Indiani venne concesso un territorio di migliaia di ettari, a ventinove chilometri di distanza, a sudovest di Boston, in un angolo fuori mano del territorio Natick. Gli Indiani non sollevarono obiezioni riguardo al trasferimento e, ben presto, fondarono la città di Natick, comunemente conosciuta come «la città di preghiera».
Natick non fu concepita come una tipica colonia indiana. Furono costruite delle strade, e a ogni famiglia fu dato un appezzamento di terreno. Per l’influenza di Eliot, alcuni edifici furono costruiti secondo lo stile europeo, ma la maggior parte degli Indiani scelse di vivere nelle proprie tende. Eliot stabilì una forma biblica di governo, basata sul piano formulato da Jetro in Esodo 18:21. Suddivise la popolazione della città in decine, cinquantine e centinaia, e mise un uomo a capo di ogni gruppo. La civiltà dell’uomo bianco divenne il modello a cui i cristiani indiani erano tenuti a conformarsi.


Fondazione di Natick

Per Eliot, il vero cristianesimo non solo cambiava il cuore e la mente, ma anche lo stile di vita e la cultura. Egli non riusciva a concepire una vera comunità cristiana se non inserita nella cultura europea, e oggi, guardando in maniera retrospettiva, questo fattore potrebbe essere l’unica grave debolezza del suo ministero. Purtroppo le generazioni di missionari che lo seguirono, a parte qualche eccezione, perseverarono nello stesso errore.
I colonizzatori bianchi, indignati all’idea che gli Indiani potessero avere fissa dimora in mezzo a loro, ostacolarono in vari modi la fondazione di Natick. Nonostante ciò, Eliot richiedeva periodicamente ulteriori concessioni di terreno alla Corte Generale del Massachusetts e, verso il 1671, aveva raccolto più di millecento Indiani in quattordici «città di preghiera». Il suo ministero veniva esaminato minuziosamente dalla Corte Generale, ed egli accettava con entusiasmo tutti i fondi pubblici che venivano destinati ai suoi progetti.
Pur dedicando tempo ed energie per questioni temporali, l’interesse principale di Eliot rimaneva il benessere spirituale degli Indiani. Egli era cauto e meticoloso nel modo di evangelizzare e, sebbene avesse visto le prime conversioni dopo aver predicato agli Indiani solo tre volte, non cercò mai di forzare i tempi. Rimandava di proposito il battesimo e l’integrazione dei credenti nella chiesa, finché non fosse convinto che gli Indiani erano veramente consacrati alla loro nuova fede. I primi battesimi vennero fatti nel 1651, cinque anni dopo le prime conversioni. Così, anche la fondazione di una chiesa fu rinviata fino a quando Eliot e gli altri ministri ritennero che gli Indiani erano pronti per assumersi incarichi e responsabilità spirituali.
Eliot non si accontentava di una semplice professione di fede. Egli desiderava portare a maturità spirituale i suoi discepoli Indiani e, secondo il suo punto di vista, ciò poteva essere realizzato solo se gli Indiani fossero stati in grado di leggere la Bibbia nella propria lingua. Perciò, nel 1649, tre anni dopo il suo primo sermone nel wigwam di Waban, egli aggiungeva il lavoro di traduzione al suo già febbrile programma. Il suo primo progetto fu un catechismo, che completò nel 1654. L’anno seguente furono pubblicati il libro della Genesi e il vangelo di Matteo. Nel 1661 fu completato il Nuovo Testamento e, due anni dopo, l’Antico Testamento.
La Bibbia di John Eliot in lingua Nipmuck
Dopo aver svolto tutto questo gran lavoro, Eliot fu aspramente criticato per aver sprecato il suo tempo a fare traduzioni in lingua locale, mentre avrebbe potuto insegnare l’inglese agli Indiani.
Con il passare degli anni le città di preghiera crebbero di numero, e i cristiani maturarono spiritualmente. Eliot si concentrò sempre di più nell’istruire gli Indiani e nel formarli come guide spirituali. Entro il 1660, ventiquattro Indiani da lui preparati svolgevano il ministero di evangelisti in mezzo alla propria gente, e diverse chiese consacrarono dei ministri indiani. In ogni paese furono fondate scuole, e sembrava che gli Indiani si adattassero bene alla cultura europea. Il futuro sembrava luminoso, ma ombre minacciose si profilavano all’orizzonte. Le invasioni degli Europei nei territori indiani verificatesi in maniera sfrenata per decenni, non potevano continuare all’infinito. L’invasione delle terre, la contrattazione disonesta, e il maltrattamento degli Indiani avrebbero prima o poi provocato la vendetta. Fra gli Indiani del nord-est c’era inquietudine, e perfino gli Indiani «che pregavano» non sarebbero sfuggiti all’orrore che si profilava all’orizzonte: la guerra più sanguinosa della storia coloniale americana.
La guerra del Re Filippo (così chiamata dal capo di Wampanoag che iniziò le ostilità) scoppiò nell’estate del 1675, dopo l’impiccagione di tre suoi guerrieri per aver ucciso un Indiano che aveva rivelato i piani di attacco del capo indiano a un governatore coloniale. La guerra – paragonabile a quella che, su scala più vasta, dovette subire la sfortunata colonia di Virginia – si concluse con un disastro quasi totale. Prima della fine della guerra, un anno e più dopo il suo inizio, tredici città e un numero ancor più elevato di insediamenti coloniali erano stati completamente devastati. Intere famiglie – nonni, zie, zii, e piccoli bambini – scomparvero dai registri coloniali.
Il dramma degli Indiani «che pregavano» durante questa guerra sanguinosa fu qualcosa di tragico che, a più riprese, si ripeté nella storia americana. Essi rimasero lealmente schierati dalla parte dei colonizzatori bianchi sebbene avessero legittime rivendicazioni contro l’invasione da parte di questi nelle proprie terre. Essi fecero ciò, nonostante «gli interessi connessi alla proprietà terriera – secondo Eliot – fornissero loro ampia occasione di caduta» e anche quando i Wampanoags (e più tardi altre tribù) attaccarono. Essi aiutarono la milizia coloniale in qualità di esploratori e di guerrieri. Il loro aiuto a favore dei colonizzatori fu decisivo. Ma la loro lealtà e il loro servizio non bastarono. Le tensioni crescevano sempre di più, e si sospettava di tutti gli Indiani. Così, centinaia di Indiani cristiani furono esiliati a Boston Harbor, un’isola vuota e desolata, spogliati dei loro beni, senza aver avuto il tempo di raccogliere quanto possedevano, e costretti a passare un duro inverno senza cibo sufficiente o scorte.
Eliot li visitò diverse volte durante quell’inverno terribile, intercedendo presso le autorità al fine di garantire loro più cibo e medicine, ma la sua sollecitudine e simpatia produssero poco aiuto materiale. Gli Indiani esiliati, comunque, furono più fortunati delle famiglie che si erano lasciate dietro. Di quelli che rimasero molti furono uccisi indiscriminatamente da vili colonizzatori che sfogavano la propria sete di vendetta su qualsiasi Nativo. Quando la violenza fu cessata, la maggior parte degli Indiani cristiani sopravvissuti tornò a poco a poco nelle proprie città devastate. Furono fatti dei tentativi per ricostruirle, ma la vita non era ormai più la stessa. Gli Indiani erano stati indeboliti non solo numericamente, ma anche spiritualmente. Molti di quelli che si erano arruolati nell’esercito furono attirati dal liquore dell’uomo bianco e non si curarono più di cose spirituali.


Guerra di Re Filippo

La guerra del re Filippo fu una tragedia non solo per tutti quegli Indiani e quei bianchi direttamente coinvolti in essa, ma anche per un sant’uomo di settantadue anni: John Eliot. Egli si era dedicato per decenni, e in modo disinteressato, al suo lavoro missionario; considerare, ora, gli effetti disastrosi della guerra era per lui molto penoso. Ma non si arrendeva facilmente. Infatti così scriveva: «Posso fare poco, tuttavia sono deciso, per la grazia di Cristo, a non abbandonare mai il lavoro, fin quando avrò due gambe per camminare». Con il passare degli anni il suo rendimento diminuì, ma rimase fedele al lavoro fino al giorno della sua morte, avvenuta nel 1690 all’età di ottantasei anni.
Sebbene gran parte del lavoro di Eliot fosse stato rovinato da quella guerra devastante, egli merita un posto di primo piano nella storia delle missioni per le sue notevoli capacità organizzative. Il suo esempio come evangelista e traduttore della Bibbia preparò la strada a successive imprese missionarie fra gli Indiani; e non può essere sminuita la sua influenza nella fondazione della Società per la Diffusione del Vangelo (SPG: Society for the Propagation of the Gospel), un settore missionario della chiesa anglicana che lavorò attivamente nelle colonie americane.
Quale segreto si nasconde dietro la vita eccezionale di Eliot? Che cosa lo sostenne durante gli anni di opposizione, di difficoltà e di delusioni? Tre caratteristiche sono degne di nota: il suo risoluto ottimismo, la sua abilità nell’ottenere l’aiuto degli altri, e la sua certezza assoluta che Dio – e non lui – operava la salvezza delle anime e manteneva il controllo della situazione sia nei tempi difficili sia in quelli buoni.

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