La questione Custer

Le perdite indiane
Negli innumerevoli resoconti forniti in oltre cento anni sulla celebre battaglia, mentre la maggior parte degli storici è quasi concorde sulle perdite subite dal Settimo Cavalleria – 265 o 268 uomini, compresi i civili e le guide indiane – è rimasto aperto l’interrogativo riguardante il numero dei caduti indiani.
Ciò che spicca in particolare, è la pretesa esiguità delle perdite di questi ultimi, che molti mettono in discussione.
Due Lune, capo dei Cheyenne, raccontò di 39 Sioux e 7 Cheyenne uccisi, Gambe di Legno, suo contribale, parla di 24 Sioux e 6 Cheyenne, Toro Bianco, nipote di Toro Seduto, di 23 Sioux e 6 Cheyenne, Cane (Sioux) di 30-40 uomini in tutto. Uomo D’Acqua, un Arapaho, dice che solo 6 Sioux e 6 Cheyenne persero la vita in quel combattimento.
Queste cifre sono manifestamente inattendibili, come lo furono anche in relazione ad altri scontri avvenuti in passato fra Pellirosse e Bianchi. Ad esempio, gli indiani negarono, contro ogni evidenza, di avere sofferto più di 8 perdite umane a Beecher’s Island nel 1868, mentre il numero reale, accertato con il ritrovamento dei cadaveri e con la stima dei feriti gravi deceduti, superava le 70.
La versione fornita da Due Lune ad Hamlin Garland, pubblicata nel 1898 sul “Mc Lure’s Magazine”, è fra quelle maggiormente condivise, ma anche una delle più discutibili.


L’ultima battaglia

Il condottiero dichiara che il giorno successivo all’annientamento del battaglione di Custer, “io, quattro capi lakota e 2 cheyenne tornammo sul campo di battaglia per contare i morti…Erano 388. C’erano 39 Sioux e 7 Cheyenne uccisi”. Se ciò fosse vero, si dovrebbe dedurre che gli altri 342 corpi appartenessero tutti a uomini del Settimo Cavalleria. Tuttavia, anche contando le perdite subite dal maggiore Reno nella vallata – Benteen e Mc Dougall non avevano perso, fino a quel momento, un solo uomo – si arriva soltanto a 244, perché gli altri caddero durante la resistenza sulle colline del 25 e 26 giugno. Di chi erano, allora, gli altri 98 cadaveri che risulterebbero per sottrazione dalla cifra globale indicata da Due Lune, se i caduti indiani contati al suolo erano soltanto 46? E’ dubbio che vi fossero compresi i feriti – un centinaio, sostiene lo stesso Due Lune – proprio per il metodo usato nel conteggio, che prendeva in considerazione solo i corpi senza vita.
Eppure molti storici hanno accettato simili testimonianze come oro colato, senza evidentemente preoccuparsi di verificarne gli oggettivi riscontri, né la compatibilità matematica con altri dati.
Peraltro, le cifre fornite sopra riportate sono categoricamente smentite da numerosi altri testimoni, che furono ugualmente partecipi della battaglia.
Il Sioux Cavallo Rosso raccontò al colonnello W.H. Wood che gli Indiani avevano lamentato 136 morti e 160 feriti, Cavallo Pazzo raccontò di quasi 100 caduti ed altri lasciano intendere che il bilancio conclusivo fosse stato assai più catastrofico per la coalizione pellerossa. Lo stesso Toro Seduto parlò di 36 morti, specificando che i feriti furono 168, dei quali la maggior parte morì.
In un’intervista concessa a Walter Camp, il sergente Daniel Kanipe dichiarò che dopo il ritiro degli Indiani, nel villaggio erano rimaste soltanto tre tende, stipate di cadaveri, circa 60, evidentemente soltanto quelli che Sioux e Cheyenne non erano riusciti a portarsi via, perché era abitudine dei Pellirosse recuperare i loro morti. Del resto la medesima cosa era accaduta a Beecher’s Island nel 1868, dove i caduti indiani abbandonati sul campo risultarono solo 32, mentre il loro numero complessivo venne poi stabilito in 75.
Aquila Assassina, un capo guerriero dei Sihasapa Sioux, riferisce che “14 Indiani erano caduti per mano degli uomini di Reno, 39 con Custer e 14 erano morti nell’accampamento. I cavalli ed i travois erano pieni da ogni parte di feriti in numero incalcolabile. Una sola tribù, gli Oglala, aveva 27 feriti sui travois e 38 adagiati sui cavalli” concludendo che “i feriti erano almeno 600.
Due Lune ammette che vi fossero “circa un centinaio di feriti” al termine del primo giorno di battaglia, ma in seguito i soldati trincerati sulle colline ne colpirono ancora parecchi. Cavallo Pazzo aggiunge infine che “almeno il sessanta per cento delle persone ferite” morì nei giorni successivi.


Un ritratto di Toro Seduto

Ciò basterebbe a fare piazza pulita di tutte le illazioni avanzate, anche di recente, sulla scarsa efficienza della difesa organizzata da Custer. Che poi la sua decisione di frazionare ulteriormente le proprie forze per attaccare la parte settentrionale del villaggio – il suo battaglione venne diviso in due tronconi, l’uno affidato al capitano George W. Yates e l’altro comandato dallo stesso “generale” e dal capitano Myles W. Keogh – fosse errata, è un altro discorso.
Rimane il fatto che la tattica inizialmente concepita da Custer aveva ottime probabilità di riuscita.
Se le forze di quest’ultimo avessero assalito il villaggio contemporaneamente all’attacco di Reno dalla parte opposta e Benteen fosse entrato tempestivamente in azione in loro appoggio, per gli Indiani non vi sarebbe stato scampo. Ma questo non avvenne, perché il maggiore Reno ripiegò prima del previsto e Benteen non entrò nel vivo della manovra. Il Sioux Re Corvo conferma che “se Reno avesse resistito fino all’arrivo di Custer e se avesse combattuto come lui, avrebbe spazzato via i guerrieri”. Si noti attentamente il particolare “se avesse combattuto come lui”, che sta a rilevare evidenti carenze nell’azione del maggiore. E’ d’altronde acquisito che quasi tutti gli Indiani partecipanti alla battaglia ammisero il valore e la combattività del reparto del “generale”, cominciando proprio da Re Corvo che “espresse grande ammirazione per il coraggio di Custer e dei suoi uomini”. Lupo Coraggioso, guerriero cheyenne, raccontò a George B. Grinnell: “Ho preso parte a diverse battaglie assai dure, ma non ho mai visto uomini tanto valorosi”.
Per legittimare una quantità così bassa di guerrieri caduti, molti autori si sono attaccati a spiegazioni opinabili, sostenendo a volte delle tesi smentite dalla realtà dei fatti.
Una di queste allude al numero elevato di “reclute inesperte” presenti nel Settimo Cavalleria. A quanto risulta, invece, la percentuale di neo-arruolati nel reggimento non superava il 12-13 per cento dell’intera formazione: qualcuna delle compagnie che combattè con Custer, ne aveva soltanto due o tre, mentre la truppa E includeva nel proprio organico una sola recluta.
Un’altra tesi non dimostrata è quella riportata dal dottor Thomas B. Marquis, che fu medico delle riserve e biografo di Gambe di Legno. Essa sostiene l’ipotesi, ripresa da altre fonti, del “suicidio di massa” dei militari del Settimo Cavalleria presi dal panico, ma è smentita, come si è detto, da parecchie testimonianze indiane, che riconobbero il valore con cui i soldati si batterono fino all’ultimo. Anche il fatto che alcuni caduti fossero stati trovati con fori nella testa non avvalora tale supposizione, perché è altrettanto dimostrato che a qualche ferito del battaglione di Custer venne assestato dagli Indiani il classico colpo di grazia. Non bisogna infine dimenticare che parecchie testimonianze vennero raccolte molto tempo dopo l’avvenimento, negli Anni Venti e Trenta del Ventesimo secolo, quando ormai i ricordi della battaglia erano alterati dal lungo tempo trascorso.
L’unica conclusione probabile è dunque che le perdite subite sul campo dagli Indiani non poterono essere inferiori a 150-200 unità, come io stesso ho sempre sostenuto (“Tremila cavalieri indiani” e “Il giorno di Custer”) ma rimane impossibile determinare quanti altri guerrieri siano periti in seguito, a causa delle ferite.

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