La questione Custer

L’affare Belknap
Poco prima che la spedizione affidata a Crook, Terry e Gibbon iniziasse le sue manovre nel Wyoming e Montana, a Washington esplose lo scandalo che coinvolse l’amministrazione repubblicana di Ulysses S. Grant, a pochi mesi dalla scadenza del suo mandato presidenziale.
Le accuse, pubblicate in febbraio sul “New York Herald”, additavano il ministro della Guerra William W. Belknap come percettore di tangenti in un vasto affare che riguardava la gestione degli spacci militari negli avamposti di frontiera. Caleb Marsh, gestore di un emporio commerciale a Fort Sill, in Oklahoma, aveva dichiarato davanti ad una commissione d’inchiesta istituita dal Congresso, di avere guadagnato grosse cifre, versandone buona parte al ministro Belknap. La notizia circolò in tutta la nazione e sollevò uno scandalo, mettendo a rischio il governo repubblicano, già coinvolto in precedenza in vicende poco chiare da una lobby denominata “Whisky Ring”, accusata di distillazione clandestina ed evasione fiscale ottenute con il benestare del segretario di privato di Grant, Orville E. Babcock.


La caccia all’orso

Custer, che si trovava nel Territorio del Dakota, non aveva in simpatia Belknap e aveva perfino evitato di incontrarlo durante una sua visita a Fort Abraham Lincoln, nell’estate del 1875. Probabilmente per iniziativa del generale William B. Hazen, che aveva già sollevato il problema della corruzione nei posti di frontiera, il nome di George Armstrong Custer fu segnalato alla commissione d’inchiesta, come persona informata dei fatti.
Il “generale” fu invitato a comparire il 4 marzo 1876 davanti agli inquirenti, ai quali riuscì a fornire soltanto indicazioni generiche riguardo a Belknap, riferendo indiscrezioni e voci raccolte nel West e lasciandosi sfuggire pericolose allusioni ad Orville Grant, fratello del presidente, sospettato di far parte del discusso giro di affaristi. Non solo, ma Custer, impulsivo come al solito, lanciò delle insinuazioni sulla politica del governo, sostenendo che la Grande Riserva Sioux del Dakota fosse stata creata “ad esclusivo beneficio dei commercianti”. Il “New York Herald”, di fede democratica, enfatizzò ovviamente le sue dichiarazioni, mettendolo in una posizione imbarazzante verso i suoi superiori e scatenando le ire del presidente degli Stati Uniti.
Custer ne uscì ancora una volta, pur avendo sostanzialmente detto la verità, con le ossa rotte e lo stesso Grant dispose immediatamente che il “generale” fosse sospeso dall’incarico e depennato dallo staff che avrebbe dovuto guidare l’imminente spedizione contro i Sioux di Toro Seduto. Contro di lui deponevano la precedente condanna ricevuta dalla corte marziale, ma anche la sua dichiarata fede democratica, che era nota alla stampa, al punto che si vociferava di una sua possibile “nomination” alle elezioni presidenziali. Peraltro, in suo favore vi erano i brillanti successi conseguiti nella Guerra Civile e nelle operazioni contro gli Indiani nel 1868-69, che alla fine gli fecero riottenere il comando interinale del Settimo Cavalleria e la partecipazione alla campagna militare del 1876.
Tuttavia, Custer prese parte alle manovre in posizione nettamente subordinata rispetto agli altri comandanti. Ancora una volta, poi, va rimarcato che il comandante titolare del Settimo Cavalleria, colonnello Samuel D. Sturgis, era assente alle operazioni, benchè non fosse il solo. Infatti, fra personale in licenza o ammalato, il Settimo Cavalleria lasciò Fort Abraham Lincoln con 15 ufficiali di meno, fra i quali ben 3 maggiori comandanti di battaglione e 4 capitani titolari del comando di compagnia. Ma, come venne ancora una volta puntualizzato, l’esercito non andava ad affrontare una guerra, bensì un’operazione di rastrellamento di “poche centinaia di guerrieri ostili, per giunta mai tutti uniti”, secondo il rapporto che l’ispettore E.C. Watkins aveva fatto pervenire all’Ufficio Affari Indiani del Dipartimento degli Interni nel 1875.

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