La questione Custer

Una politica assurda
Un aspetto di importanza fondamentale nell’esame degli avvenimenti che causarono la disfatta del Little Big Horn è il retroscena politico creatosi negli Stati Uniti nel febbraio 1876.
Custer non era mai stato tenero verso le “lobbies” di potere, accusandole spesso di fomentare discordie e favorire l’insorgere delle guerre con gli Indiani. Parimenti, non aveva risparmiato critiche al governo nell’amministrazione dell’apparato militare dislocato ad ovest del fiume Mississippi. Dodici anni dopo l’inizio delle operazioni contro Sioux, Cheyenne, Arapaho, Comanche e Kiowa, l’esercito disponeva ancora di un armamento inadeguato e le istanze dei suoi ufficiali superiori – come quella dei colonnelli William Collins e Henry B. Carrington – rimasero inascoltate almeno fino a quando i guerrieri di Nuvola Rossa non annientarono il reparto di Fetterman, minacciando di distruggere la postazione di Fort Kearny, nel Wyoming. Soltanto dopo questo tragico evento, il presidio venne rafforzato con nuovi contingenti e soprattutto ebbe in dotazione i fucili “Springfield-Allin”, un’arma monocolpo che tuttavia manifestava precisione e notevole potenza di tiro e si poteva ricaricare in cinque secondi. Qualche anno dopo, discutendo a Washington con il colonnello Carrington, che era stato il diretto comandante di Fetterman, Custer non mancò di stigmatizzare la scarsità di fondi che il Congresso destinava alle truppe impegnate nelle pianure, profetizzando che “sarebbe stato necessario un altro eccidio come quello accaduto a Fort Kearny, per spingere i politici ad una maggiore generosità verso l’esercito”. La sorte volle che tale evento toccasse proprio al Settimo Cavalleria qualche mese più tardi, ma neppure dopo tale sciagura il governo americano si decise a considerare i conflitti con gli Indiani un vero e proprio conflitto, mantenendolo al livello di una semplice operazione di polizia.


La spedizione di Custer nelle Black Hills nel 1874

E’ indiscutibile che, da un punto di vista strettamente militare, le campagne contro i Pellirosse non rappresentassero una guerra nel senso tradizionale del termine. Infatti esse produssero, nelle file dell’esercito regolare, meno di 900 morti in 25 anni, provocando l’uccisione sul campo di 3 o 4.000 Indiani. Tuttavia il problema meritava una considerazione assai maggiore, perché teneva impegnati oltre 17.000 soldati della Divisione del Missouri e 5.000 della Divisione del Pacifico, senza contare i reparti volontari dei vari Stati e Territori e la vigilanza costante dei civili che vivevano alla Frontiera.
Con la stessa leggerezza, basata su informazioni approssimative ed errate, lo stato maggiore dell’esercito inviò contro la coalizione di Toro Seduto, Cavallo Pazzo ed altre decine di condottieri sioux e cheyenne, una forza iniziale che non superava i 2.000 uomini arruolati, ai quali si aggiunsero poi contingenti di guide indiane e scout civili. Nella campagna del Wyoming del 1876, il generale George Crook aveva infatti con sé quasi 300 fra guide indiane ed esploratori civili, mentre Custer ne avrebbe aggregati più di 50 durante la sua ultima missione. Come osservò lo sfortunato tenente Von Leuttwitz, dopo l’amputazione di una gamba in seguito ad una ferita rimediata mentre combatteva insieme a Crook, “ottocentomila Prussiani non erano riusciti ad occupare la Francia nel 1871, mentre la spedizione Crook-Terry-Gibbon avrebbe dovuto riuscirci su un territorio due volte più vasto con sole 2.000 unità”.
Ancora più discutibile la strategia messa in atto dal comando della Divisione del Missouri, che prevedeva di far convergere, presso la confluenza dei fiumi Tongue e Yellowstone (Montana) le tre colonne guidate rispettivamente dal colonnello John Gibbon, dal brigadier generale Alfred H. Terry e dal brigadier generale George Crook, che partivano da punti lontanissimi fra loro e avrebbero dovuto esplorare un territorio immenso, con le comprensibili difficoltà di mantenere i reciproci collegamenti nel caso avessero individuato le forze indiane ribelli. La battuta d’arresto subita da Crook al fiume Rosebud il 16 giugno 1876, con l’incauta decisione di ripiegare nella valle del Goose Creek nei pressi dell’odierna Sheridan, bastò a vanificare l’intero piano. Terry, che era stato raggiunto dai reparti di Gibbon, si trovò con una forza operativa di soli 1.300 uomini, senza sapere né dove si trovasse Crook, né a quanti Indiani sarebbe potuto andare incontro proseguendo la campagna.
In quel momento gli fece comodo la presenza, fra i suoi ufficiali, dell’irruento Custer, l’unico in grado di mettersi sulle tracce dei Sioux con qualche probabilità di riuscita.
Ancora una volta, dunque, il tenente colonnello era l’ufficiale in cui l’esercito affidava le proprie residue chance di snidare gli Indiani. Conoscendo l’uomo, nessuno poteva nutrire dubbi che se avesse davvero incontrato il nemico sarebbe passato all’attacco e tutto ciò che venne dichiarato in seguito, anche davanti alle commissioni d’inchiesta militari, non può assumere il valore probatorio assoluto che gli è stato attribuito.

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