Navi perdute del vecchio West

A cura di Gian Mario Mollar


La Nave della Morte sul fiume Platte
In Wyoming, nei pressi della città di Casper, c’è un’ansa lungo il fiume platte. Il luogo ha una fama sinistra perché, quando l’autunno cede il posto ai rigori dell’inverno, può talvolta accadere di vedere emergere un veliero tra la foschia che ricopre le acque.
Il primo avvistamento della “nave della morte” risale al 1862, quando Casper era ancora un semplice avamposto militare chiamato Platte Bridge Station, di frequente assaltato dagli indiani.
Il protagonista di questo episodio fu Leon Weber, un trapper intento a piazzare trappole per castori lungo la riva del Platte. Lo spettacolo che gli si presentò era davvero inquietante: una strana nebbia si addensava sul pelo dell’acqua e diventava sempre più fitta. Lentamente vide affiorare da questo banco di nebbia un veliero imponente, con gli alberi protesi verso il cielo, le vele e il sartiame stracciati ricoperti di ghiaccio e brina. Sul ponte riuscì a distinguere l’equipaggio, dall’aspetto macilento e cadaverico, assembrato intorno a un corpo disteso su un pezzo di tela in mezzo al ponte. A mano a mano che la nave si avvicinava, le fattezze del cadavere divennero più distinte, fino a quando il trapper riuscì a distinguere chiaramente il volto della propria fidanzata.
Quando, di lì a poco, la nave scomparve insieme alla nebbia che l’aveva preannunciata, Weber dovette pensare a una strana allucinazione, ma una triste notizia lo attendeva al suo ritorno: la sua fidanzata era morta quel giorno stesso.


Il ponte sul fiume Platte

Nel 1897 si ripeté un caso simile: il testimone, questa volta, era un bovaro di nome Gene Wilson. Anch’egli vide l’apparizione spettrale tra le brume del fiume e il suo triste equipaggio radunato sul ponte e il cadavere aveva le fattezze di sua moglie, che venne ritrovata morta quello stesso giorno.
Nel 1903, la stessa disavventura accadde a Victor Heibe, intento a tagliare legna nella sua proprietà: il cadavere trasportato sul vascello fantasma era quello di un suo amico, che, immancabilmente, era morto nell’arco della stessa giornata.
L’apparizione della nave fantasma, entrata a far parte del folklore e delle leggende locali, fa venire in mente un vascello ben più famoso, condannato a vagare senza tregua per i mari: quello dell’Olandese Volante, celebrato in molte opere teatrali e letterarie.
Pare che questa leggenda tragga origine dalle gesta di un capitano di crociera olandese della fine del 1600, di nome Bernard Fokker, capace di coprire l’enorme distanza che separa l’Olanda dall’isola di Giava in poco più di tre mesi. Il tempo, all’epoca, era ritenuto così fenomenale da far sospettare che il capitano Fokker avesse stipulato un patto con il diavolo.


La nave della morte

Altri, invece, pensano che l’antesignano dell’Olandese Volante sia da identificarsi nella leggenda marinaresca di Davy Jones, noto anche come il fantasma di Giona, uno spirito maligno che vive sul fondo degli oceani e si materializza a bordo delle navi alla vigilia di eventi tragici e naufragi.
Si dice che Davy Jones fosse un pirata seicentesco, oppure un taverniere inglese che rapiva a tradimento i marinai ubriachi, per rivenderli alle navi di passaggio. Probabilmente Davy non è che un abbreviativo per “Devil”, il diavolo e, di conseguenza, Davy Jones non sarebbe che un modo per alludere al diavolo stesso.
Su questo canovaccio la fantasia romantica ricamò una leggenda eroica e disperata che narra di un capitano fiammingo che, sorpreso da una tempesta nei pressi del Capo di Buona Speranza, osò sfidare l’ira divina e bestemmiare. In conseguenza del suo gesto blasfemo, il capitano è condannato a vagare in eterno tra le onde fino alla fine dei tempi.
“A voi, flutti dell’Oceano, rimarrò fedele, finché la vostra ultima onda si frangerà e la liquidità vostra ultima inaridirà! […]In nessun luogo una fossa! E la morte non mai! Tale l’orrendo comando, che mi danna!”: così canta l’Olandese Volante di Richard Wagner, nell’omonima opera del 1842. Nell’interpretazione del drammaturgo tedesco, soltanto l’amore potrà porre fine all’eterna peregrinazione del tormentato uomo di mare. Prima di lui, nel 1798, il grande poeta inglese Samuel Taylor Coleridge dedicò un poema alla figura del vagabondo dei mari, La ballata del vecchio marinaio: in quest’opera, invece, a scatenare la maledizione fu l’uccisione di un albatros, simbolo della grazia divina.


L’Olandese Volante

Al di fuori delle scene teatrali e dalla pagine dei libri, la nave fantasma comparve in diverse occasioni anche nel mondo “reale”: l’episodio più famoso avvenne nel 1881 lungo le coste australiane, tra Sidney e Melbourne. In quell’occasione, a vedere l’Olandese Volante fu un testimone d’eccezione: il Principe Giorgio di Galles, destinato a diventare Re d’Inghilterra con il nome di Giorgio V. Il vascello fantasma si mostrò a una dozzina di persone, avvolto in un bagliore rossastro, prima di dissolversi nel nulla all’improvviso, così come era comparso.
Queste apparizioni, per quanto inquietanti, hanno una spiegazione scientifica: si tratta di un fenomeno di rifrazione, un miraggio creato dai raggi solari che attraversano strati di aria calda e fredda, che, agendo come lenti riflettenti, possono dare origine a strani avvistamenti. Il fenomeno è un particolare tipo di miraggio, denominato “fata morgana” e non ha nulla a che fare con gesti blasfemi o ataviche maledizioni.
Nelle Novelle di Mastro Catrame – un capolavoro della letteratura marinaresca purtroppo dimenticato – Emilio Salgari ne fornisce una spiegazione particolarmente chiara.
Al superstizioso marinaio Catrame, che incanta l’equipaggio con tetre leggende marinaresche, il capitano della nave illustra il fenomeno con queste parole: “Sul mare, come sugli ampi deserti, specialmente sul Sahara, per esempio, avviene talvolta un fenomeno strano, ma spiegabilissimo. Quando gli strati dell’aria, dilatati pel contatto caldo col suolo o con una distesa d’acqua che ha una certa temperatura ed aventi una densità differente, non si mescolano a quelli soprastanti, fanno vedere delle curiosissime illusioni d’ottica: di una semplice roccia ti fanno vedere un’isola verdeggiante, di un canotto un vascello, di un vascello un naviglio mostruoso, di un uomo un gigante, eccetera. Ora cosa pensi tu dell’apparizione del preteso olandese?”
Se però, come Mastro Catrame, preferiamo abbandonare le fredde spiegazioni scientifiche per farci ammaliare da miti e leggende antiche, scopriremo che la peregrinazione inesausta dell’Olandese Volante affonda le sue radici in una leggenda ancora più antica, risalente addirittura al medioevo.
Si tratta dell’archetipo dell’Ebreo Errante. Secondo la leggenda, il suo nome era Ahasverus e assistette alla passione di Gesù Cristo. Questi, mentre ascendeva al Calvario trascinando la croce, gli chiese di aiutarlo, ma Ahasverus si rifiutò, schernendolo e intimandogli di andarsene.
Di fronte alla derisione, il Salvatore rispose che egli, certo, se ne sarebbe andato, ma Ahasverus, al contrario, sarebbe dovuto rimanere ad attenderlo fino al suo ritorno, nel giorno del Giudizio Universale. Da allora, l’Ebreo Errante è costretto a vagare sulla terra, condannato alla vita eterna per poter estinguere la propria colpa.


Incisioni rupestri

Nel corso dei secoli, questa figura compare in diversi paesi europei, assumendo, di volta in volta, nomi differenti: Assuero, Asciavero, Malco, Cartafilo o Giovanni Buttadeo (un cognome rivelatore che allude alla sua colpa). Aggirandosi tra le genti, l’Ebreo Errante porta avanti la propria dolente esistenza, offrendo profezie e buoni auspici a coloro che lo aiutano e gli danno cibo o accoglienza.
Il mito riflette indubbiamente i pregiudizi antisemiti diffusi all’epoca, incarnando il concetto del popolo ebraico colpevole di deicidio per aver voluto la crocifissione del Messia. Ma c’è anche chi, come Carl G. Jung, ravvede in questa figura echi ancora più antichi, che rimandano al mito di Odino Errante e addirittura al mito sumero di Gilgamesh, in cui un barcaiolo di nome Urshanabi viene costretto a navigare eternamente senza mai poter approdare all’aldilà.
È molto probabile che il trapper che per primo avvistò – o inventò – la nave della morte sul fiume Platte non ne avesse idea, ma, come abbiamo visto, la nave fantasma si ricollega a un tema mitico molto più ampio e antico: il suo eterno vagare rappresenta l’anelito umano alla conoscenza, un desiderio senza fine destinato, purtroppo, a rimanere insoddisfatto.

Il veliero perduto nel deserto

Abbandonando le rive nebbiose del fiume Platte per raggiungere le zone desertiche del sud ovest degli Stati Uniti, nella storia del Far West c’è almeno un’altra nave misteriosa da ricordare: si tratta di un galeone spagnolo, che giace abbandonato tra le dune del deserto del Colorado. Le vele e il sartiame, erosi dai venti del deserto, sventolano ancora su un favoloso tesoro in perle, racchiuso nella sua cambusa.
Sembra l’inizio di un’avventura di Zagor, in cui l’allampanato cercatore di tesori Diggin Bill cerca di trascinarlo nella ricerca di un tesoro favoloso, eppure le cronache ottocentesche abbondano di riferimenti a questo favoloso galeone.
Il suo ritrovamento, ad opera di un certo Albert S. Evans, nel 1863, fu così descritto sulle pagine del New York Galaxy, in un’uscita del gennaio 1870: “Verso le due di notte, avevo raggiunto la cima dello spartiacque tra Dos Palmas e Palma Seca e guardai nella pianura… Verso sud, all’estremità dell’orizzonte, si allargava una grande pianura di sale, simile a una distesa di neve, il bianco fantasma di un mare morto, che un tempo ricopriva tutta questa terra maledetta ma che è scomparso per sempre. Attraverso questa bianca pianura, come sulle acque di un lago tranquillo, la luna lasciava una scia luccicante, così luminosa da quasi abbagliare l’occhio di chi la contemplava.


Un articolo sul ritrovamento della nave

Proprio in questo scintillante sentiero di luce, nel centro remoto del mare fantasma, mai calpestato dal piede dell’uomo, giaceva quello che da lontano sembrava il relitto di un galeone, che potrebbe essere giunta lì secoli fa, quando i coraggiosi avventurieri spagnoli, con la croce in una mano e la spada nell’altra, si spingevano verso nordovest alla ricerca della fontana della giovinezza e del famoso regno di Cibola.”
Nell’agosto del 1870, il Los Angeles News riportava questa notizia, dal tono meno poetico ma più convincente: “Scoperta interessante: in molti hanno sostenuto la teoria che il Deserto di Yuma fosse un tempo un fondale dell’oceano. A tratti, polle di acqua salina sono affiorate per qualche tempo nel mezzo del deserto di sabbia, scomparendo solo per comparire nuovamente nella stessa o in altre località. Di recente, uno di questi laghi salini è scomparso e un gruppo di indiani ha riportato la scoperta di una “grande nave”, emersa dalle acque che si ritiravano. Un gruppo di americani, contemporaneamente, ha raggiunto il luogo e ha trovato, incagliato nella sabbia, il relitto di un grande vascello. Quasi un terzo della parte anteriore della nave, o barca, è completamente visibile. È rimasto il palo del bompresso e alcune parti dei tronchi di teak sono in perfette condizioni.
Il relitto si trova a 40 miglia a nord di San Bernardino e di Fort Yuma e 30 miglia a ovest di Dos Palmas, una famosa stazione di rifornimento d’acqua nel deserto. La strada che attraversa il deserto è stata percorsa per più di cento anni. La storia dello sventurato vascello non potrà, ovviamente, mai essere conosciuta, ma la scoperta di questi legni in disfacimento nel mezzo di quello che per lungo tempo è stato un deserto fornisce ai dotti un argomento di discussione e potrebbe forse costituire un importante aiuto per chiarire un quesito scientifico.”
La notizia si diffuse a macchia d’olio, riverberandosi su molti altri giornali e finì con lo scatenare una vera e propria “caccia al relitto”. La spedizione più famosa fu quella di Charley Clusker, un avventuriero nato nel Kentucky nel 1810.
Charley Clusker
Clusker ebbe una vita veramente movimentata: reduce da molte battaglie della Guerra Messicana, alla quale aveva partecipato come volontario, si spostò in California nel 1848, spinto, come molti altri, dalla corsa all’oro. Si guadagnò la fama – un po’ fumosa, a dire il vero – di cercatore di tesori e scopritore di miniere perdute.
Quando venne a sapere dell’esistenza della nave tra le sabbie, Charley Clusker partì alla ricerca. All’inizio di ottobre del 1870, con altri due compagni, di nome Caldwell e Johnson, si addentrò nel deserto, lontano dalle piste battute, fino a raggiungere i dintorni del lago salato di Salton.
La spedizione fece ritorno a San Bernardino a mani vuote. Di fatto, Clusker e i suoi compari non avevano trovato nulla, se non sabbia e sete. Il loro carro era rimasto impantanato e dovettero rinunciare a raggiungere la nave, ma ciò non sembrò spegnere l’entusiasmo della stampa locale, che il 15 ottobre scrisse: “Tutti i membri della spedizione sono altamente soddisfatti del risultato. Sebbene non abbiano trovato nessuna nave, né alcun segno di essa, essi sembrano ancora pienamente convinti dell’esistenza di un vascello. Non c’è alcun dubbio che esso sarà infine trovato e l’intero mistero risolto. È solo una questione di tempo, e una parte della stessa spedizione farà nell’arco di pochi giorni un altro tentativo.”
E, in effetti, di lì a poco Charley Clusker ripartì, con una nuova squadra composta da altri uomini: KD. S. Ferster, F.J. West, e un certo Hubble. Il suo ritorno, ancora una volta a mani vuote, fu così salutato dalla stampa: “Ritorno dei cercatori della nave! Charley Clusker e la sua squadra sono ritornati dal deserto appena prima che stessimo andando in stampa! Se la sono vista brutta, ma i loro sforzi hanno avuto successo. La nave è stata ritrovata! Oggi Charley ritorna nel deserto per raccogliere i frutti dei suoi sforzi”.
Il mistero sembrava ormai risolto e il lieto fine dietro l’angolo, ma la spedizione successiva non ebbe l’esito sperato, perché Clusker si perse nuovamente tra le sabbie del deserto. Ne seguì un’altra ancora, ma ormai erano in pochi a prestare fiducia ai sogni del cercatore di tesori: le notizie in merito si fecero via via più sporadiche, fino a scomparire del tutto.
Ben presto, Charley Clusker abbandonò la ricerca della nave perduta per dedicarsi ad altre ricchezze irraggiungibili. Morì ultracentenario a San Diego, nel 1915, e di lui qualcuno disse che fu sempre molto ricco… di prospettive future. Di fatto, la ricerca di tesori era probabilmente un modo per ottenere finanziamenti e tirare a campare, cosa che giustificherebbe le ripetute e infruttuose esplorazioni.
Il mistero del galeone tra le sabbie, dunque, non fu scalfito dalle tenaci esplorazioni di Clusker.


Una ricostruzione dell’ipotetico vascello del deserto

Ma come avrebbe fatto una nave a spingersi così lontano dall’acqua? Le fonti, in genere, riportano la leggenda di un navigatore spagnolo, di nome Juan De Iturbe che intorno al 1615 risalì il Golfo di California in una missione esplorativa commissionata dal Re di Spagna. Nel corso di questa esplorazione, Iturbe avrebbe raccolto ben cinquanta tonnellate di perle, in parte pescandole e in parte effettuando scambi con i nativi. Superata la città di San Felipe, Juan de Iturbe decise di cercare la foce del fiume Colorado. Al posto di questa, invece, vide un “vasto mare che si estendeva in profondità nell’entroterra”. Credendo di essersi imbattuto nello Stretto di Anian, il leggendario passaggio a Nord Ovest, che avrebbe dovuto collegare il Pacifico con l’Atlantico, attraversando il Mare Artico, Iturbe si addentrò in quella distesa d’acqua, rimanendo però ben presto incagliato sul fondale.
Non si trattava, infatti, né di un braccio di mare inesplorato, né di uno stretto inesplorato, ma di un’esondazione del fiume Colorado, che aveva creato un lago temporaneo, molto esteso ma poco profondo e assolutamente inadatto alla navigazione. Il povero Iturbe dovette quindi abbandonare la nave insieme al tesoro che conteneva per andare a cercare aiuti. L’acqua evaporò e lasciò il posto a dune sabbiose, che ancora oggi conserverebbero il segreto di questo galeone.
La conformazione orografica del territorio depone a favore dell’esistenza di una simile distesa d’acqua: si tratterebbe del lago Cahuilla, che in epoche successive si è ritirato, senza però scomparire del tutto. Il fondale più profondo di questo antico lago, infatti, coinciderebbe con l’attuale lago Salton. In merito alla leggenda del capitano Iturbe, invece, c’è molta più incertezza, perché, malgrado le citazioni ricorrenti, non ci sono vere e proprie prove documentali.


Il vascello del deserto

Nel corso degli anni, si sono fatte varie ipotesi sulla vera natura di questa nave. Ben presto, le ipotesi romantiche sono state soppiantate da ipotesi più realistiche. Di volta in volta, si è pensato si trattasse della staccionata di un corral, di un prosaico ferry boat rimasto impantanato durante il trasporto oppure ancora dell’albero di una nave trasportato da una tempesta particolarmente violenta.
Alcuni hanno fatto congetturepiù ardite, arrivando a identificare la nave con un antico vascello vichingo, che attesterebbe contatti tra il Vecchio e il Nuovo Mondo antecedenti all’arrivo di Cristoforo Colombo e di cui si potrebbe trovare traccia anche nelle leggende dei nativi, che descriverebbero il drakkar come una “nave dal collo di serpente”.
Per infittire ulteriormente il mistero, c’è anche un’incisione rupestre ritrovata nel Pinto Canyon, che sembra raffigurare in modo inequivocabile un veliero. Difficile andare a controllare, però, perché la zona, ai confini con il Messico, è attualmente presidiata dai militari e utilizzata per testare bombe.
Insomma, il relitto nel deserto sembra destinato a rimanere un mistero, che fa pensare e sognare al tempo stesso.

A caccia di navi fantasma nel vecchio west:

  • Dennis William Hauck, Haunted Places: The National Directory: Ghostly Abodes, Sacred Sites, UFO Landings and Other Supernatural Locations, Penguin Books, 2002.
  • Simonetta Falchi, L’Ebreo Errante dalle origini al XVI secolo. Annal SS, 2007
  • W.C. Jameson, Lost Treasures of American History, Taylor Trade Publishing, 2006
  • W.A. Chalfant, Gold, Guns & Ghost Towns, Stanford University Press, 1964
  • http://www.klaxo.net/hofc/other/lostship2.htm
  • http://www.lostshipofthedesert.com/the-legend-of-the-mojave-deserts-lost-ships-angelfire
  • http://www.lostshipofthedesert.com/charley-clusker-and-the-lost-ship

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