Il linguaggio dei segni e altri sistemi di comunicazione nelle grandi pianure
A cura di Gian Carlo Benedetti, da un libro di Jacob P. Dunn del 1886
Un esempio di comunicazione con i segni
Nonostante i frequenti contatti tra le tribù delle grandi pianure, suggellati anche da alleanze come quelle tra Sioux, Cheyenne ed Arapaho, ogni gruppo era geloso della propria lingua e raramente imparava il linguaggio degli altri. Il loro universale mezzo di comunicazione era il linguaggio dei segni, portato dagli indiani ad un livello rimarchevole. La peculiarità di tale linguaggio è probabilmente dovuta alla lingua degli Arapahoes, dura e gutturale quindi molto difficile da comprendere e parlare.
E’ stato detto che due Arapaho hanno difficoltà a comprendersi l’un l’altro se conversano al buio, non potendosi giovare dei segni: in verità la loro lingua non è così povera di vocaboli e l’aneddoto serve solo ad evidenziare l’elevato uso del linguaggio dei segni che adottano. Secondo chi li ha visti certi segni sono naturalmente comprensibili, anche per popoli distanti, in quanto meno artificiosi del linguaggio. Durante visite all’est di delegazioni indiane furono fatti esperimenti con sordomuti e ne sortì che riuscivano dopo un po’ a comprendersi. Per esempio, prendiamo l’espressione di amicizia e pace. Per il selvaggio l’ovvio pensiero naturale è mostrare che non ha armi, cosa che può essere evidenziata mostrando le mani vuote. Quando uno è a cavallo, oppure è impossibile lasciare le armi, lo stesso risultato è ottenuto mostrando il palmo aperto della mano destra; spesso è accompagnato da gesto di muovere le mani in avanti, significando che pure avendo un’arma a portata si è disarmato per l’altro.
Questo è il segno che il capo Logan fece ai cacciatori bianchi sul Juanita, accompagnandolo con l’atto di spillare la polvere dallo scodellino del fucile, gesto immediatamente compreso dagli altri.
D’altro canto, il segnale di amicizia da lunga distanza stando a cavallo è più artificiale. La persona che vuole mandare un messaggio di amicizia fa girare il cavallo avanti ed indietro due o tre volte nello spazio di quaranta o cinquanta passi. Se il gruppo che si avvicina è amichevole egli stringe le mani sopra la sua testa oppure intreccia le dita e le pone sopra la fronte come per coprirsi gli occhi dal sole.
La prima risposta probabilmente deriva dal modo dei bianchi di stringersi la mano, ma non è certo. Gli Indiani Natchez la usarono nel 1692 per salutare la spedizione di La Salle sul Mississippi. Il secondo modo è altrettanto antico: un capo Illinois lo usò per ricevere padre Marquette che lo equivocò per un segno di riverenza.
Un altro segno artificiale indicante l’uomo bianco è fatto alzando orizzontalmente la mano appiattita, palmo in giù (o solo il dito indice) e portandolo all’altezza della fronte da sinistra a destra, sopra le ciglia.
La comune espressione per falsità è affermare che uno ha la lingua doppia o biforcuta; nel linguaggio dei segni è espresso portandosi la mano destra al petto sinistro e quindi portandola poi alla bocca tenendo il pugno chiuso ad eccezione del primo e secondo dito che sono ben estesi e leggermente divaricati. Così tra i Klamath la parola pazzo o matto è ottenuta ruotando la mano chiusa all’altezza della testa.
I segni per indicare le differenti tribù spesso corrispondono al nome tribale, sebbene sovente indicano il modo di acconciare i capelli od altra peculiarità della tribù.
I Crows vengono designati mettendo le mani appiattite sotto le ascelle e mimando il battito delle ali con il movimento dei polsi. Gli Arapahoes o “Cuori Buoni” sono indicato toccandosi il petto sinistro con le dita. Da alcune tribù sono chiamati Puzzolenti ed il corrispondente segno è il turarsi il naso col pollice ed indice o toccarsi col primo dito il lato destro del naso.
I Cheyennes sono chiamato “Braccia-tagliate” o “Polsi-tagliati” a causa delle mutilazioni che si procurano nella Danza del Sole ed in altre loro cerimonie religiose e sono indicati con il gesto di tagliare il braccio sinistro con un dito o l’intera mano destra appiattita. Sono anche chiamati “Mangiatori-di-Cani”, che è espresso col segno per cane, stendendo la mano avanti e sopra il fianco e traendola indietro con l’estensione del primo e secondo dito, come per toccare il contorno superiore di un cane immaginario dalla testa alla coda; segue il segno per mangiare portando velocemente e varie volte la mano col pollice e primo e secondo dito uniti alla bocca.
Il movimento del primo dito o della mano attraverso la gola, come per sgozzare, indica i Sioux o “Taglia-gole”, i “Coupes Gorges” dei trappers francesi. I Sioux Brulè o “Si Can Gu” (Cosce-Bruciate) sono indicati strofinando il palmo della mano, dita in giù e facendo un piccolo giro sulla parte superiore della coscia destra. Questa banda prese il nome a causa di un incendio della prateria occorso nell’anno 1763. I Nez Percè ed i Caddo vengono designati alla stessa maniera passando il dito indice da destra a sinistra sotto il naso, riferendosi alla loro antica pratica di bucarsi il naso. Un movimento in avanti e verso sinistra dell’indice, in modo sinuoso, indica gli Shoshones o “Serpenti”.
Esiste una tradizione tra gli indiani delle pianure secondo cui il linguaggio dei segni fu inventato dai Kiowas che originariamente erano il tramite tra il commercio degli indiani meridionali e settentrionali ed i messicani ma ciò non è possibile. Essi non potevano intrattenere comunicazioni così universalmente su tutto il continente ed è certo che tale linguaggio esisteva prima dell’estensione del commercio nelle pianure. Non vi è dubbio che essi lo abbiano esteso e migliorato, come anche altre tribù hanno fatto. E’ certo che vi sono divergenze di comprensione in molti casi; che certe tribù hanno portato il linguaggio a grande perfezione piuttosto di altre e che molti segni sono convenzionali. Il lettore deve sapere che ciò che appare normale ad una persona abituata ai segni può non apparire tale ad uno a digiuno. Un minimo gesto non intenzionale intercalato può alterare enormemente l’informazione che si intendeva trasmettere. Così, Baille Grohman intendeva dire ad un Arapaho: “Come è possibile che il più coraggioso dei coraggiosi, l’uomo di tutti gli uomini, il più caro amico che ho tra gli Arapaho si sia fatto crescere questa barba fluente?” ma invece accadde che trasmise al gentile selvaggio l’informazione “Che la sua faccia era come quella di una giovanetta ed il suo cuore quello di una vecchia squaw!”.
Per le informazioni a lunga distanza gli indiani hanno escogitato vari ingegnosi accorgimenti.
Quando un gruppo cerca di scoprire qualcosa la notizia è veicolata con l’atto di cavalcare rapidamente in cerchio; il medesimo segnale è adottato per avvisare di un pericolo o quando si vuole mettere in guardia. Cavalieri che vanno su e giù, sorpassando l’un l’altro, informano la controparte che il nemico è vicino.
Se la cavalcata è avanti ed indietro stando accanto significa che la selvaggina è scoperta. Le coperte sono sovente usate per segnali da lontano. La scoperta del bisonte è annunciata facendosi notare dall’accampamento sventolando la coperta tenuta per l’angolo superiore con le mani stese. Istruzioni di transitare attraverso un luogo sono fornite puntando la coperta piegata puntata verso la direzione del ricevente il messaggio e quindi tirandola indietro verso il corpo e poi spingendola verso la direzione da intraprendere. Quando si vuole segnalare qualcosa ma manca la coperta l’informazione è data lanciando in aria una manciata di polvere. Un nuovo modo di effettuare segnali notturni in uso tra i Sioux è con frecce incendiarie preparate come razzi appiccicando polvere resa collosa alla freccia. Il significato dei voli delle frecce è spesso stabilito per l’occasione. Un altro modo è il segnale tramite colonne di fumo, qualcuna lunga ed altre in piccoli sbuffi, ottenute coprendo il fuoco con una coperta. Forse il metodo più ingegnoso mai usato è quello di riflettere il sole con degli specchi manovrati a mano, perfezionato dai Sioux. il generale Dodge una volta vide un capo Sioux far fare ai suoi un lungo esercizio marziale fornendo loro le direzioni da prendere col solo riflesso di uno specchietto. Questo sistema non è mai stato comunicato nei dettagli ai bianchi poiché gli indiani affermano di non usarlo più avendo cessato le ostilità. Fu largamente usato nelle loro operazioni contro Fort Phil Kearny.
A differenza del linguaggio dei segni, che permetteva la comprensione ad una vasta platea intertribale, non esisteva un simile standard di comunicazione per i segnali di fumo e pertanto ogni tribù adottava il proprio sistema interpretativo. Nei segnali di fumo differenti combustibili erano usati per generare sbuffi colorati, ad esempio foglie umide o sterco di bisonte venivano usate per fumate scure, mentre tipi di legno e certe foglie secche fornivano invece una fumata bianca. Per produrre sbuffi differenti veniva usata una coperta umida od una pelle.
Tra i Karankawa del Texas meridionale erano in uso venti diversi tipi di tale segnale. che includevano sbuffi, colonne, spirali, zig zag e linee divergenti.
Nel 1873 l’archeologo C. Jones precisava che le tribù del sud ovest costruivano alti terrapieni di forma conica in luoghi rialzati per accendervi fuochi di segnalazione il cui significato era facilmente interpretato dagli altri villaggi.
L’uso degli specchi per segnalazioni era in uso soprattutto tra gli esploratori nelle spedizioni di caccia per indicare il luogo, tipo di animali e quantità. Molti guerrieri, specialmente i Cree delle pianure portavano uno specchio avvolto in pelle ed appeso al collo. Il significato dei flashes veniva in precedenza concordato ma naturalmente all’interno della tribù tendeva a standardizzarsi. Veniva similmente usato in spedizioni guerra e perfino nelle comunicazioni tra innamorati.
Nel Chaco Canyon sono state rinvenute numerose torri in pietra di segnalazione degli Anasazi e poi Pueblo da cui lanciare messaggi col fumo o con gli specchi di mica durante il giorno e luminosi di notte, alcuni verosimilmente riferibili anche cerimonie religiose come quello sito nel Mule Canyon in Utah in quanto collegato con una camera sotterranea ad un Kiva.
Secondo tale David Carpenter seppur i segnali di fumo non avevano un codice di interpretazione uniforme ve ne erano anche alcuni semplici e standardizzati. Uno sbuffo solo significava attirare l’attenzione o chiamata, due sbuffi che tutto è OK, tre sbuffi invece un segnale di attenzione o di pericolo.
Iron Tail (Lakota) e Buffalo Bill dialogano con i segni
Ho anche letto altrove che tra gli Apache una breve singola colonna di fumo significava l’avvicinarsi di un gruppo straniero, due o più quello di vari gruppi. Mi sembra assai più logico rendere più concisi i segnali di pericolo o di avvicinamento di nemici.
Naturalmente il ricevente sovente doveva ripetere il segnale a cosi via.
La mancata standardizzazione tra le varie tribù dei segnali di fumo, a differenza del linguaggio dei segni, è dovuta certamente alla volontà di non permetterne l’interpretazione ad estranei al proprio gruppo ristretto per intuibili motivi di sicurezza.
Il segnale ripetuto tre volte, tre sbuffi di fumo, tre fischi, tre spari, tre fuochi, è considerato un segnale di pericolo o richiesta di aiuto nel codice dei boy scouts, dei cacciatori, campeggiatori ecc. statunitensi, vuolsi derivato da quello dei nativi.
In merito alle comunicazioni mediante fischi ho letto che molte tribù avevano la superstizione che il fischiare di notte richiamasse gli spiriti malvagi.
Rushing Bear usa i segni, 1880
Mi pare che anche gli Inuit temano il fischiare all’aurora boreale. Molte popolazioni di nativi producevano però flauti e fischietti con vari materiali, legno, osso, bamboo, ecc. soprattutto per usi cerimoniali e religiosi ed è quindi plausibile che fossero usati anche per segnali laici. Ciò mi pare logico, poiché specialmente negli agguati ed in luoghi in cui non vi è contatto visivo tra i sodali l’uso del fischio è un ottimo mezzo, soprattutto per l’ordine di reiterare un attacco o di ritirata.
Ricordo di aver letto, tantissimi anni fa, un romanzo western di Longanesi in cui un capo Comanche dava ordini ai suoi guerrieri tramite un fischio ricavato da una tibia umana!!!: mi pare che l’orrido strumento fosse chiamato hikksokota o qualcosa di simile, ma forse era soltanto una invenzione letteraria.
Il più importante “telegrafo senza fili” delle culture primitive di ogni parte del mondo è comunque il Tamburo.
Funziona con ogni tempo anche in luoghi boscosi o montagnosi mentre gli altri segnali necessitano alcune condizioni di visibilità del territorio o la presenza del sole. Nelle culture indiane è lo strumento più sacro poichè rappresenta il battito del cuore della Madre Terra ed è pertanto usato nelle cerimonie, danze sociali, feste e persino per fini terapeutici (medicine drum). Si crede inoltre che il feto in formazione nel ventre materno possa già udire il battito del cuore della mamma.
In fondo ciò è molto vero: tutti noi abbiamo un tamburo incorporato che batte il tempo della nostra vita: il cuore.
Il significato delle molteplici tonalità che lo strumento può emettere, nonchè il materiale e modo di fabbricazione, varia da tribù a tribù ed è anche esso usato per la trasmissione di messaggi civili e militari. Per i filmofili western rammento “Tamburi Lontani” (Distant Drums) con Gary Cooper; “Tamburi di Guerra” (War Drums) con Lex Barker e “Tamburi ad Ovest” (Apache Rifles) con John Archer.
Vi sono tamburi piccoli e trasportabili, altri ingombranti e fissi, alcuni venivano riempiti con acqua per modificarne il suono.