La grande invasione Comanche del Messico nell’autunno 1845

A cura di Renato Ruggeri

La grande invasione del Messico nell’autunno 1845 iniziò il 13 settembre quando 200 guerrieri lasciarono i loro accampamenti sulla Sierra Mojada, nel Coahuila occidentale.
La mattina di quello stesso giorno una grossa banda attaccò un villaggio sulla laguna di Tlahualilo, a nord dell’odierna Torreon. I Comanche uccisero due uomini e un ragazzo, ma persero un guerriero. Un Messicano lo decapitò e portò la testa a Mapimi per la ricompensa prevista in quei casi.
Nel pomeriggio gli indiani entrarono nell’hacienda “La Puerta de la Huerta”, sul basso Rio Nazas, uccisero un uomo e ferirono gravemente una donna e un bambino.
Un secondo gruppo di razziatori, composto da circa 80 guerrieri, rubò la mandria di cavalli dell’Hacienda de Orejas, massacrò il bestiame e ferì due pastori. Prima che il giorno finisse i Comanche uccisero due giovani e tre vaqueros in luoghi chiamati Lagualilas e El Palo Blanco, a nordest di Mapimi, e portarono via tre prigionieri e tutti i cavalli.
Mentre il Messico celebrava l’anniversario dell’indipendenza, il 16 settembre, 20 guerrieri sorpresero Jesus Ledesma, Simon Redondo, Jesus Rubio e Felix Pacheco mentre raccoglievano carbone presso la Mina del Caballo, nel distretto di Indè. I Comanche uccisero Pacheco, gli altri tre riuscirono a fuggire.
Ledesma raggiunse Indè a meta mattina, mentre erano in corso i festeggiamenti. Il suo racconto provocò il panico, ma Lucas Silva, il prefetto del distretto, riuscì a raccogliere una compagnia di militari e civili e si mosse verso la miniera. I Comanche li assalirono a un miglio da Indè. Nello scontro che seguì, il Doc Fernando Sanchez, uno dei più eminenti cittadini del distretto, morì. Poi i razziatori si dileguarono.
Vicino a un torrente aggredirono alcuni cercatori d’oro e, poco distante, un gruppo di persone che proveniva dalle miniere di Las Animas, Acebedena e San Francisco. Gli indiani uccisero Francisco Casado e Sabino Favela e ferirono gravemente Jesus Miranda e Jose Maria Galvan. Poi, vedendo che gli uomini di Silva, superiori in numero, si stavano avvicinando, fuggirono entrando in un terreno accidentato. Il capo, montato su uno splendido stallone nero, salì, insieme a 5 guerrieri sul Cerro de la Palma e sfidò i Messicani, insultandoli e sparando contro di loro. Durante il cammino verso il Bolson de Mapimi, con 300 cavalli razziati, i Comanche uccisero la moglie di un pastore a La Parrita.


La Sierra Mojada, l’inizio dell’invasione

Mentre il 19 settembre il governatore del Durango e il Dr Marcos Esparza, governatore del Dipartimento di Zacatecas inviavano disperati appelli al governo centrale, un’altra banda Comanche passò attraverso la regione intorno al Forte de Pelayo, a nordovest di Mapimi. I guerrieri rapirono alcuni bambini, e i loro padri e parenti si unirono a 102 soldati guidati dal comandante del Forte de Pelayo e dal capitano della milizia di Cinco Senores che si erano messi al loro inseguimento. Il capitano preparò un’imboscata nel Passo de la Boquilla de Cuervo, a sud di Pelayo, sul Rio de la Cadena. Circa 100 guerrieri caddero nell’agguato e furono costretti a abbandonare tre prigionieri e molti dei cavalli rubati nei primi minuti della battaglia. Poi i Comanche si riorganizzavano e, dopo un’ora e mezza di combattimento, sconfissero i Messicani che fuggirono attraverso i boschi verso Pelayo, abbandonando i morti e i feriti. I Comanche si accamparono sul luogo dello scontro e solo quando se ne furono andati, 70 uomini uscirono dal forte per seppellire i cadaveri.
Quello stesso giorno, il 22 settembre, un altro gruppo di razziatori assalì il ranch di Guatimapè, vicino alla laguna di Santiaguillo, nel Durango centrale, e non si curò del capitano Josè Zepeda del distretto di San Juan del Rio e dei suoi 26 uomini, che si erano messi sulle loro tracce. Tornati nel Durango settentrionale i Comanche, il 1 ottobre, entrarono nel ranch del Col. Josè Nepomuceno Flores, vicino a San Josè de Ramos, nel distretto di El Oro, e si scontrarono con una milizia formata da 40 rurales e servitori del ranch. Nel combattimento che ne seguì, i Comanche uccisero 3 uomini e ne ferirono 7.
I razziatori, il 4 ottobre, uccisero 5 Messicani vicino a Mapimi e, due giorni dopo il prefetto del distretto scriveva “In ogni momento giungono notizie di indiani che arrivano da punti diversi”. Poi una grossa banda invase il distretto di Cuencamè, più a sud. In questo distretto, che si trova nel Durango orientale e che aveva il suo quartier generale civile e militare nel villaggio di Cuencamè, i Comanche fecero una carneficina uccidendo 50 persone in un mese e prendendone prigioniere molte altre.
Nel pomeriggio del 4 ottobre, un centinaio di indiani entrò nel piccolo villaggio di Santiago, a 15 miglia da Cuencamè. I Comanche uccisero 2 giovani, 2 guidatori di carri e un numero imprecisato di mucche e pecore e portarono via Anastasio Morillon, di 12 anni. Poi si diressero verso Cuencamè. Nei pressi del villaggio uccisero 3 soldati e un vecchio ubriaco che era uscito dalla sua abitazione per assistere allo scontro-
Il mattino dopo i selvaggi misero in fuga una compagnia di soldati e rurales raccolta dal Dr Manuel Meneres, prefetto del distretto. Nei 5 giorni seguenti i Comanche ebbero mano libera in tutto territorio.


Pelayo,a nordovest di Mapimi.Uno dei luoghi dell’invasione

I razziatori uccisero, nel ranch di Atotonilco, tre pastori e tutto il bestiame nei corrals. Al Cerro de Santiago massacrarono 26 persone di entrambi i sessi e, dopo aver distrutto le case, la chiesa e i corrals, portarono via 2 bambini, Pedro Aguilera e Carpio Rodriguez. Poi la valanga Comanche colpì, il 6 e 7 ottobre, il distretto di Nombre de Dios. a est e sudest di Durango City. Passando attraverso la grande hacienda di El Oro de San Juan, con i suoi villaggi, i pascoli e i posti di lavoro, i razziatori fecero piazza pulita di tutto il bestiame. Uccisero 7 persone nella casa padronale, ne ferirono 6 in modo grave e rapirono il piccolo Florencio Arriola. A Carboneras e in altri punti dell’hacienda portarono via 15 bambini.
Molte lettere private e rapporti militari raccontano la disperazione della popolazione di Durango City e Zacatecas City quando 3 o 4 bande Comanche e Kiowa, una forte di 60 guerrieri e un’altra di un centinaio, sciamarono attraverso i due dipartimenti. Dopo che furono passati per l’hacienda La Ochoa, al confine con lo Zacatecas l’amministratore, il Dr Joaquin Velasquez, scrisse che delle 25 persone che mancavano da El Rancho Nuevo e El Sitio, due posti di lavoro all’interno dell’hacienda, solo 5 corpi, tutti di vaqueros, erano stati ritrovati. Nel ranch di La Punta, a est di Durango City, i razziatori portarono via Juan e Francisco Villareal e uccisero tutti i pastori. A Los Organos, vicino al confine con lo Zacateca, i Comanche rapirono i piccoli Doroteo Vargas, Cruz Rueda e Juana Ibarra.


I razziatori

Poi una banda di Comanche si spostò più a sud. Passando per Chalchiuites, sul Tropico del Cancro, nello Zacatecas occidentale, i razziatori attraversarono il Distretto di Sombrerete e la valle del Rio Aguanaval, rapendo bambini durante il veloce cammino. Presero Jesus Luna e Merced Cervantes al ranch di San Augustin, Ramon Castro a Aviles, Salomè Gomez a El Sauz, Aniceto Sierra, Teresa Lozano, Tomas e Pedro Sanchez al ranch di El Fuerte, Paulina Chai a Rio Grande. I Comanche sconfissero, nello Zacatecas centrale, i soldati di Santa Rita del Mineral de Nieves, uccidendone 8. Poi ritornarono in Durango lungo Il Rio Mezquital.
Il 9 ottobre un’altra banda di selvaggi iniziò a uccidere e depredare a nordest di Durango City, vicino alla sorgente minerale di Coneto e alla grande hacienda di Menores. Quello stesso giorno un giornale della capitale scriveva “Negli ultimi 5 giorni i Comanche sono penetrati nel cuore del dipartimento. Sono solo 15 miglia a est della città ”Dopo aver paralizzato col terrore la popolazione, i razziatori si riunirono, il 10, con la banda di ritorno dallo Zacatecas. Quello stesso giorno, alle 6 del pomeriggio, gli indiani caddero nell’imboscata tesa dal Capitano Lopez nel canyon La Boquilla de San Benito, vicino a Juan Perez. La battaglia si protrasse fino alle 10 di sera, quando i Comanche si ritirarono, abbandonando 70 prigionieri, 50 ragazzi e 20 ragazze, e un migliaio di cavalli nelle mani dei Messicani. Le sofferenze patite dai prigionieri raccontano solo una piccola parte delle terribili esperienze che la popolazione in ogni angolo del Messico, tra il Pacifico e il Golfo del Messico e ben oltre il Tropico del Cancro, fu costretta a subire per generazioni.


Il distretto di Cuencamè fu devastato dai Comanches

Dopo l’imboscata, i Comanche tornarono a sud. Rientrati nello Zacatecas, seguirono la valle del rio Aguanaval, uccidendo i Messicani adulti. bruciando le loro case, rapendo bambini, vandalizzando le chiese, razziando cavalli e muli e massacrando tutti gli animali troppo lenti per stare al loro passo. L’attacco che avevano subito non li aveva certo fermati. Portarono via Francisco Alvarado a Santa Rita del Mineral de Nieves, Refugio Cedillo a Rio Grande, Luis Almaras e Juan Zamora a Sain el Alto, Jesus Gomez e Dimaso Quirisco a Atotonilco de los Martires. Rapirono Trinidad Lopez a Rancho Grande e depredarono la chiesa di tutte le immagini e gli oggetti sacri. Fu in questo momento che la grande invasione del 1845 raggiunse il suo punto più lontano. Dopo aver razziato il ranch di Santa Caterina, nelle vicinanze del ranch di Santa Cruz, a circa 35 miglia da Zacatecas City, i Comanche si fermarono. Si erano spinti fino a 1100 miglia (1770 km) dal fiume Arkansas.
La fase successiva dell’invasione riguarda la ritirata dei guerrieri e il tentativo dei Messicani di intercettarli e liberare i prigionieri. Dopo aver depredato il ranch di San Augustin de Melilla, i Comanche riattraversarono il Tropico del Cancro, vicino a Chalchiuites, e portarono via Dorotea Azuna da Sombrerete e Juan Quiros dal ranch di Mateo Gomez, Poi si diressero a nord, attraverso la parte centrale del Durango, fino a La Zarca e quindi a est verso il Bolson. Villaggi in fiamme, morti e genitori disperati in attesa dei figli rapiti segnarono il loro cammino.
A Muleros, nel Durango meridionale, uccisero 8 persone. A Parrilla, 70 miglia a sudest della capitale, il Dr Estevan Arroyo organizzò una milizia di rurales armati anche con fionde e pietre. Quando la furia Comanche passò oltre, 12 cittadini, compreso lo stesso Arroyo, giacevano nella polvere.
Poi i Comanche, circa 200, passarono a mezzo miglio da Nombre de Dios, una postazione militare, ma non se ne curarono. Presero Dolores Ruiz e Dionisio Hernandez e cavalcarono via. Rapirono tre ragazzi e due ragazze da Los Lanos, uccisero una mezza dozzina, o forse più, di Messicani lungo il fiume Mezquital, a est della capitale e transitarono vicino alla città a mezzogiorno del 16 ottobre 1845.


L’avanzata della colonna indiana

I razziatori massacrarono 18 persone con lance e frecce a Guadalupe, all’interno del grande ranch La Punta, che si trovava 16 miglia a nord di Durango City. Il fuoco appiccato al granaio, oltre a tonnellate di grano, consumò altre 20 vite. Dopo aver passato la nottata in mezzo alle rovine fumanti, i Comanche continuarono il loro rapido cammino, prendendo da Pila e da altri piccoli villaggi una donna e 7 bambini. Alle 4 del pomeriggio del 17 raggiunsero Porfias, vicino all’odierna Francisco Madero. Qui li attendeva Don Alejo Garcia Conde, il comandante dei Patriotas de Policia, che era uscito da Durango City con 140 uomini, fanti e cavalieri, con lo scopo di intercettarli. I Comanche si disposero in linea di fronte alle forze di Conde. Con una migliore coordinazione e minor gelosia tra i leaders Messicani, gli indiani avrebbero potuto incontrare molte più difficoltà, poiché nella zona vi erano alcune compagnie e milizie comandate da altri ufficiali.
Secondo il rapporto di Conde, i Comanche che avevano, probabilmente, poco da guadagnare nel fermarsi e combattere, si dileguarono, dirigendosi verso nord, lasciando in mano ai Messicani 50 cavalli, ma nessun prigioniero e nessun cadavere.
Il debole attacco di Conde, che congedò parte dei suoi uomini e ritornò a Durango City, provocò la più grande carneficina di quell’anno in Durango. Passando per Los Sauces, i Comanche uccisero un uomo e rapirono un bambino, Jesus Reyes Soto. Mentre truppe e milizie pattugliavano il territorio, prestando fede a falsi rapporti e rumors e, spesso, mal interpretando le reali intenzioni dei selvaggi, i razziatori cavalcarono verso nord e, alle 9 del mattino del “triste diciotto” arrivarono in vista di San Juan del Rio, un posto militare a cento miglia da Durango City. Qui trovarono donne e bambini e qualche uomo, dal momento che due compagnie erano uscite dal villaggio, lasciando, alla difesa, il solo Ramon de la Bastida, sub-prefetto del distretto. Bastida aveva posizionato i pochi difensori sui tetti, armati unicamente con fionde, pietre, bastoni e 15 vecchi fucili. Alla vista del nemico i Messicani, contro gli ordini di Bastida, uscirono dal villaggio come una folla impazzita. I Comanche li avrebbero potuti sterminare facilmente quando, “per la speciale provvidenza del signore Supremo”arrivarono 30 cavalieri che si unirono agli uomini di San Juan e combatterono così coraggiosamente che 13 guerrieri rimasero sul terreno.


Peones in fuga dai Comanches

In quel momento fecero la loro comparsa le milizie di San Juan del Rio e compagnie provenienti dai paesi vicini, circa 160 uomini in tutto, che si disposero in formazione da battaglia in un campo di grano. I Comanche caricarono furiosamente e misero in fuga i Messicani. Li inseguirono fino a San Juan del Rio, colpendoli ripetutamente e impunemente con le lance. Nonostante isolati atti di eroismo, il conto totale delle perdite fu alto, 50 e più feriti e 68 morti. Secondo un altro rapporto , il conto totale dei morti fu 84. Gli indiani passarono la notte del “triste diciotto” sul Rio del Caballo, 4-5 miglia dal luogo del disastro, mentre i Messicani contavano i caduti e iniziava una battaglia a parole e recriminazioni che sarebbe durata per mesi, con gli ufficiali che si scambiavano pesanti accuse e si attribuivano l’un l’altro la vergogna della sconfitta.
Dopo la strage, i 200 invasori continuarono il loro “allegro” cammino, mentre le autorità dei dipartimenti di Cuencamè, Nombre de Dios e San Juan del Rio sostituivano, per incapacità, i rispettivi comandanti con altri ufficiali. Diretti verso la sorgente di Coneto, i Comanche ricoprirono i pascoli che appartenevano all’hacienda di Menores, il secondo ranch più grande del Durango, con i corpi di bovini e cavalli uccisi. Il proprietario dell’hacienda, Don Jose Maria Fierro, che viveva a Guatimapè, scrisse che gli indiani transitarono velocemente attraverso le sue proprietà che erano, a causa delle enormi mandrie, uno dei bersagli preferiti dei Comanche. I selvaggi presero, il 19 ottobre, Felipe Flores, uccisero Victoriano Lopez e rapirono i suoi 2 figli. Poi seguirono l’odierno tracciato della Pan American Highway e arrivarono a El Rodeo, sul Rio Nazas, dove rubarono tutta la remuda. In seguito, muovendosi verso nordovest, lungo la valle del Rio Nazas, rapirono Eulogio Cardosa a Ticorica e i piccoli Jacinto Villarra e Miguel Carrera a San Geronimo.
Mentre i leaders Messicani si chiedevano quale passo avrebbero attraversato i razziatori per raggiungere il Bolson de Mapimi, compagnie provenienti da Santiago Papasquiaro e Cerro Gordo e da vari villaggi e ranch si riunivano nella Sierra del las Cuchillas, che si trovava all’interno del più grande ranch del Durango, l’hacienda La Zarca.


Lo stato delo Zacatecas fu più volte attraversato dai Comanches nell’autunno 1845

A mezzogiorno del 22 ottobre, due miglia a ovest di La Zarca, l’avanguardia Comanche avvistò 300-400 soldati Messicani schierati e pronti per la battaglia. Gli indiani caricarono con furore ma, questa volta, i Messicani resistettero. I Comanche ripiegarono e il Capitano Nicolas Davila, che teneva il fianco destro con il suo squadrone da Santiago Papasquiaro, riuscì a ricuperare una parte del bottino, cavalli per la maggior parte, e 28 prigionieri di entrambi i sessi. Il Capitano Manuel Ruiz, comandante del forte di Cerro Gordo, ordinò al Capitano Vincente Cuevera di prendersi cura dei piccoli sventurati. Dopo una seconda carica, gli indiani indietreggiarono e presentarono una bandiera bianca, che i Messicani ignorarono. I soldati li inseguirono finchè i loro cavalli non furono troppo stanchi. In quel momento arrivarono, inaspettatamente, una sessantina di Comanche che si erano staccati dal gruppo principale per assalire una carovana di carri diretta a Chihuahua City. Rinfrancati dall’arrivo dei nuovi rinforzi, i Comanche caricarono una terza volta. Quando anche questo assalto fallì, i guerrieri si dileguarono, lasciando sul terreno alcuni dei loro morti e 8 caduti Messicani.
I razziatori cavalcarono verso il Bolson de Mapimi, portando col loro moltissimi cavalli e un numero non precisato di prigionieri che non furono mai più liberati. I bambini erano stati trattati così duramente che non erano in grado di viaggiare. I soldati li portarono a La Zarca dove rimasero per alcune settimane, poi a Ciudad de Cinco Senores a attendere l’arrivo di genitori e parenti.
Per alcuni mesi bande più piccole, oltre la principale, tennero in scacco la regione. Una di queste rapì una donna a Arenas, poche miglia a est di Durango City. Questo war party, seguendo lo stesso percorso del più grande, giunse a San Juan del Rio il 22, il giorno in cui avvenne lo scontro a La Zarca. Nei 3 giorni seguenti i razziatori raggiunsero il Bolson de Mapimi dopo aver combattuto, lungo la via, con i soldati e le milizie dei ranch in almeno 6 punti. Il Capitano Don Nabor de la O, comandante del forte di Mapimi, riuscì a recuperare un centinaio di cavalli. Un catalogo dei marchi presenti sugli animali mostrò che appartenevano a 6 grandi haciendas sparse lungo il tragitto che i Comanche avevano percorso dallo Zacatecas settentrionale fino a La Zarca.
In cerca dei Comanches…
Negli ultimi giorni di ottobre piccole bande formate da 6-12 guerrieri setacciarono ogni angolo del Durango nordorientale, rubando pochi cavalli per volta che andarono a rimpinguare la grande mandria che si trovava sulle sierras del Bolson in attesa del lungo viaggio di ritorno verso il Texas. Nella stessa settimana la bella Parras in Coahuila, con le sue orchidee e i vigneti, sperimentò assassinii e atrocità.
L’ultimo giorno di ottobre 70 guerrieri assalirono El Saucillo, sul Rio Florido e si mossero a sud, entro il Durango. Quello stesso giorno giunse a Cuencamè una notizia preoccupante:400 Comanche che già stavano devastando il Coahuila avrebbero, presto, colpito il Durango e lo Zacatecas. Questa supposta invasione creò più allarme tra gli ufficiali e i leaders del Durango, Cohauila, Zacatecas e Chihuahua del progressivo e irreversibile deterioramento delle relazioni con gli Stati Uniti. In novembre il Generale Francisco Garcia Conde condusse 400 uomini attraverso il Bolson, in cerca degli accampamenti nemici, mentre i giornali dei distretti saccheggiati deploravano l’aspetto fantasma di una terra depopolata e ritornata alla natura selvaggia, la chiusura delle miniere, la stagnazione dei commerci e la bancarotta del futuro.
Sebbene l’armata principale dei Comanche fosse già ripartita per il Texas, piccole bande criss-crossarono il Bolson fino alla fine dell’anno. L’ultimo incidente in Durango avvenne il 22 dicembre, quando gli indiani attaccarono El Cerro Prieto, nella parte nord-occidentale del Dipartimento, portando via i cavalli e i muli della comunità e il figlio dodicenne di Norberto Arzala. Così finì la grande invasione Comanche nell’autunno 1845, ma i leaders Messicani sapevano che sarebbero, presto, ritornati.

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