Cavallo Pazzo. L’uomo, la storia, il mito

A cura di Sergio Mura
La copertina del libro
Cari amici della frontiera, oggi vi segnaliamo una nuova e preziosa uscita editoriale che farà la gioia di tantissimi tra noi, perché il libro di cui vi parliamo è dedicato ad un guerriero la cui figura è entrata nella storia fin dai suoi tempi, ma subito dopo ha buttato giù le porte della leggenda. Il nostro Domenico Rizzi, da anni colonna di Farwest.it, ha sfornato la sua ultima fatica dedicata interamente a Cavallo Pazzo, il grande guerriero e condottiero Lakota Sioux. Nel libro troveremo la storia di Cavallo Pazzo come non è stata mai raccontata, con la scoperta delle sue debolezze, delle intemperanze e di un anticonformismo spinto all’eccesso che gli impedì di diventare ufficialmente il capo di una nazione.
Cavallo Pazzo fu un vero trascinatore di uomini e guerrieri, si ribellò a certe convenzioni e si convinse di dover obbedire ad un infausto destino che gli era già stato rivelato dagli spiriti.
Il fiero combattente degli Oglala fu tra i pochi a rendersi conto della minaccia rappresentata dai bianchi che avanzavano senza sosta nelle terre indiane e ad adottare una nuova (per i guerrieri del tempo) concezione della guerra.
Erano da considerarsi finiti i tempi in cui i Sioux si misuravano sul campo con i Crow, gli Shoshone, gli Assiniboine e i Pawnee per vantarsi dei propri successi ed era iniziata l’era in cui occorreva uccidere il maggior numero possibile di avversari per arginare l’avanzata dei Wasichu, la gente dalla pelle chiara che intendeva impossessarsi delle terre del west.
Era un sogno praticamente impossibile da concretizzare, che poneva poche migliaia di indiani difronte a milioni di emigranti e colonizzatori. Ma la vita di Cavallo Pazzo non si svolse soltanto sui campi di battaglia dove il suo ardore soffocava i tormenti interiori per non essere riuscito a sposare la donna amata, avere perso una figlia ancora bambina, un fratello e gli amici più cari. A tale crucci si aggiungeva la desolante immagine della disgregazione dei Teton o Lakota e perfino una spaccatura in seno alla sua stessa tribù, gli Oglala, divisi da invidie e rancori e incapaci di fare fronte comune contro l’Uomo Bianco. Il vero Cavallo Pazzo, celebrato soprattutto per la vittoria di Litt- le Big Horn contro il generale Custer aveva ben poco di quanto hanno narrato decine di pubblicazioni quasi sempre incentrate sullo scontro fra Americani e nativi. Combattente per anni contro tribù nemiche, non ricoprì mai cariche politiche né incarichi militari di rilievo, diventando suo malgrado un leader di fatto dei guerrieri più determinati e corag- giosi. Quando si arrese ai vincitori nel 1877, dovette difendersi sia dalla diffidenza dei Bianchi che dalla gelosia e dalle insinuazioni della propria gente, che lo spinsero all’ultimo fatale gesto di ribellione. La sua morte lo trasformò in un mito, che la gigantesca scultura in lavora- zione da anni in una montagna del South Dakota intende perpetuare quale simbolo intramontabile dei fieri abitatori delle Grandi Pianure.
Delle battaglie, ma anche di tutto il resto si parla nel bel libro di Domenico Rizzi e sul quale abbiano scelto di intervistare l’autore.

INTERVISTA A DOMENICO RIZZI

DOMANDA: Domenico, sembra che ultimamente tu ti sia allontanato dalla storia del West per cercare nuovi spunti nel romanzo moderno. E’ vero?
RISPOSTA: Negli ultimi anni, dal 2018 ad oggi, ho pubblicato 7 libri, dei quali 4 sono romanzi attuali e 3 opere di storiografia western, dal titolo “Cheyenne il popolo guerriero” (Ed. Chillemi, Roma, 2018) “La conquista delle terre selvagge” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2021) “Gli eroi della prateria” (Ed. Chillemi, Roma, 2022) oltre al racconto “Vagabondo della prateria” inserito nella raccolta di autori curata da Farwest nel 2022. Nel frattempo ho portato a termine un quarto volume, dedicato ad una personalità di spicco del West, che è stato pubblicato poche settimane fa da Parallelo45 Edizioni.
DOMANDA: Siamo tutti curiosi…Di chi si tratta?”
RISPOSTA: Una figura a cui un gruppo di scultori sta dedicando il più grande monumento mai concepito, ricavato da una montagna del South Dakota. Io l’ho visto con i miei occhi ed è maestoso, anche se occorreranno ancora decenni per completarlo e sicuramente non riuscirò a vederlo ultimato. Ecco, il mio libro comincia da lì.
DOMANDA: Cavallo Pazzo!
RISPOSTA: Precisamente. Tashunka Witko, il più celebre guerriero degli Oglala Sioux, ma anche il più strano e indecifrabile di tutti.
DOMANDA: Su di lui è stato scritto moltissimo ed anche il cinema si è sbizzarrito a farne il protagonista assoluto della contesa che oppose l’esercito americano ai Sioux-Cheyenne nel 1876-77, soprattutto per la vittoria indiana di Little Big Horn contro il generale Custer. Quali dunque le novità del tuo libro?
RISPOSTA: Il titolo è già sufficientemente indicativo: “Cavallo Pazzo. L’uomo, la storia, il mito”. Significa che ho lasciato da parte tutte le interpretazioni e i giudizi di parte o dettati da un certo conformismo per analizzare a fondo il personaggio, la sua storia e la leggenda che vi è stata costruita intorno, cercando di dipanare il mistero che lo avvolse tanto in vita come nella morte. Era la sua vita privata quella che mi interessava maggiormente. Quando a Wounded Knee chiesi ad un gruppo di donne Oglala dove fosse stato sepolto Cavallo Pazzo, allargarono le braccia ed una mi rispose per tutte in inglese: “Nobody Knows!”, “Nessuno lo sa!” Ma sono parecchie altre le cose inerenti la sua esistenza dimenticate o volutamente ignorate dagli storici al riguardo.”
DOMANDA: Perché?
RISPOSTA: Credo che il motivo risieda nella falsa concezione che universalmente si è sviluppata su questa pagina di storia del West americano, parlando a sproposito di “grandi capi indiani” e di ufficiali assetati di sangue come Custer. Cavallo Pazzo non fu mai né un capo politico, né un capo di guerra ufficialmente designato. L’unica carica da lui ricoperta formalmente fu quella di Portatore di Casacca, una sorta di poliziotto addetto alla vigilanza dell’ordine pubblico e alla sorveglianza del suo campo, ma poi gli venne revocata per indegnità morale.
DOMANDA: Interessante. Per quale motivo?
RISPOSTA: Una questione sentimentale, per quanto possa sembrare strano. Una fuga d’amore con la moglie di un suo contribale, con lei pienamente consenziente!
DOMANDA: Ciò accresce ancora di più il mistero e il fascino che circonda l’uomo.
RISPOSTA: Ho approfondito con tutto il materiale disponibile, in italiano e in inglese, gli aspetti della personalità di Cavallo Pazzo, esaminando parecchie fonti. Ne è uscito un ritratto abbastanza inedito, di una persona tormentata anche sentimentalmente, refrattaria alle convenzioni e alle tradizioni tribali, così riservata e schiva da rasentare la timidezza. Un uomo dolorosamente afflitto dalla consapevolezza di essere diventato, suo malgrado, la guida di una nazione – i Teton o Lakota Sioux – che però era dilaniata da contrasti interni e divisioni politiche e rimaneva fondamentalmente ispirata ad un irrinunciabile individualismo tribale, difetti emersi soprattutto dopo il trattato di Fort Laramie del 1868.
DOMANDA: Dunque Cavallo Pazzo era soltanto un leader di fatto…”
RISPOSTA: Precisamente. Un trascinatore di uomini, senza alcuna investitura ufficiale checchè ne dica padre De Smet nelle sue memorie, che sono un po’ fantasiose. Un guerriero valoroso che riusciva a coalizzare combattenti di tribù diverse con il suo esempio, come fece a Rosebud e a Little Big Horn. Né più né meno di quanto fece Geronimo – sul quale il mio amico scrittore Bill Markley del South Dakota ha scritto una nuova biografia – che capo non fu mai, tanto è vero che al momento della resa della sua banda in Messico nel 1886, gli inviati del generale Miles trattarono con Naiche, figlio di Cochise e non con lui, un semplice guerriero di prestigio. Anche questa del “grande capo degli Apache” è solo un’invenzione del cinema western.
DOMANDA: Spesso la figura di Cavallo Pazzo è stata messa in contrapposizione a quella di Custer…Cosa c’è di vero in questo antagonismo?”
RISPOSTA: Niente. Non si conoscevano neppure. Nessuno degli Indiani presenti a Little Big Horn conosceva Custer, esattamente come confermato da Toro Seduto in un’intervista rilasciata in Canada nel 1877 e da altri testimoni come Gambe di Legno, ad eccezione di una o forse due donne. Monahseetah, una Cheyenne, era stata sua amante per alcuni mesi nel 1868-69, aveva avuto un figlio da lui – Rondine Gialla – e rimango convinto, come scrissi a suo tempo nel mio libro “Monahseetah e il generale Custer”, che fu proprio lei ad impedire che le donne indiane facessero scempio del suo cadavere, ritrovato privo di mutilazioni evidenti dai soccorritori del colonnello John Gibbon. L’altra donna che lo conosceva, poteva essere Mahwissa, presente sul luogo della battaglia, che la accompagnò sulla collina chiamata oggi Custer’s Hill, dopo la fine del combattimento.
DOMANDA: Conosciamo il tuo giudizio su Custer, che prende le distanze da quelli espressi dalla maggioranza degli storici. Perché dissenti apertamente da molti di loro?
RISPOSTA: Per prima cosa, credo che nessuno di essi abbia mai dato un’occhiata agli articoli pubblicati da Custer sulla rivista Galaxy, che sono spesso fortemente accusatori dell’intera politica adottata nei riguardi degli Indiani. Non si dimentichi poi che Custer venne sospeso dal servizio per ordine espresso del presidente Grant per avere deposto contro William Belknap, il suo ministro della Guerra, accusato da testimoni di avere lucrato sugli spacci militari, intascando tangenti del valore di decine di migliaia di dollari. Per assurdo, vi è ancora chi crede che Custer fosse un Repubblicano, mentre era un esponente di spicco del Partito Democratico, destinato, se non nella tornata elettorale del 1876, alla nominaton per le successive elezioni presidenziali. Un’altra falsità è considerarlo uno sterminatore di Indiani: i generali George Crook e Nelson Miles ne uccisero molti più di lui, eppure vengono considerati “buoni”. Quanto all’episodio di Little Big Horn, Custer prese l’unica decisione possibile in quel frangente, dopo avere appreso dai suoi esploratori che Sioux e Cheyenne avevano gà scoperto l’arrivo del Settimo Cavalleria. Se gli Indiani fossero scappati, com’era assai probabile, Custer sarebbe stato deferito alla corte marziale per “cattiva condotta di fronte al nemico”, com’era già toccato poco tempo prima al colonnello (generale di divisione onorario) Joseph J. Reynolds e ad altri due ufficiali, per iniziativa del loro comandante, il generale George F. Crook. I Repubblicani al governo non aspettavano altro che un insuccesso militare per accusare Custer di incapacità ed strometterlo dalla vita politica…Infatti, dopo la sconfitta, Grant ne fece il capro espiatorio, addossando a lui tutte le responsabilità della disfatta. Lo difese invece il capo di stato maggiore, generale William T. Sherman, dichiarando che “una volta accortosi di essere stato avvistato dagli Indiani – e fu così veramente, provato da diversi testimoni oculari – Custer non aveva altra scelta che attaccarli.” Invece la stampa di fede repubblicana gli buttò la croce addosso, anche per screditare i Democratici che lo avevano sostenuto nelle accuse contro l’amministrazione Grant.
DOMANDA: Tornando a Cavallo Pazzo, perché i Sioux erano così divisi fra loro come sostieni nel tuo libro?
RISPOSTA: Perché non avevano un capo, ma ogni fazione possedeva un proprio leader e nessuno si sentiva subordinato ad altri, ritenendosi libero di comportarsi come gli pareva. Neppure Toro Seduto fu mai considerato tale: era semplicemente una guida spirituale e un punto di riferimento comune. Paradossalmente, secondo quanto scrive Gambe di Legno nelle sue memorie, erano più i Cheyenne ad attribuirgli tale importanza che i suoi stessi contribali. Infatti, dopo la vittoria di Little Big Horn la coalizione indiana si frantumò e lui non fu in grado di tenerla unita. Non vi riuscì nemmeno Cavallo Pazzo, nonostante il carisma che si era guadagnato a Rosebud e Little Big Horn, ma vi era una ragione storica per questo.
DOMANDA: Cioè quale?
RISPOSTA: Già nella lotta dei Sioux e Cheyenne contro le guarnigioni di Fort Kearny e Fort Smith, costruiti lungo la Pista Bozeman nel 1866, la nazione dei Lakota non aveva dimostrato la compattezza che sarebbe stata necessaria. Toro Seduto, Gall e altri condottieri non vi avevano preso parte, limitandosi a sterili scaramucce contro gli avamposti del Dakota settentrionale. Così, quando la maggior parte dei Lakota confluì a Little Big Horn, Nuvola Rossa, Coda Macchiata e alcune migliaia di loro seguaci non presero parte alla nuova guerra, mantenendosi fedeli al trattato di Fort Laramie. Se tutti i componenti delle 7 tribù lakota si fossero schierate con Toro Seduto, a Little Big Horn sarebbero stati presenti oltre 13.000 Indiani, con almeno 2.500 guerrieri; invece non ce n’erano più di 7.000, con una forza da combattimento effettiva che non superava i 1.500 elementi, ai quali vanno aggiunti 200-250 Cheyenne e poche decine di appartenenti ad altre tribù sioux, come gli Assiniboine e gli Yankton. Lo storico sioux Ohiyesa – divenuto poi il dottor Charles Eastman e medico di una riserva – dichiara addirittura che i combattenti indiani a Little Big Horn erano soltanto 1.000.
DOMANDA: Tu sei stato anche anche in alcune riserve indiane durante il tuo viaggio di studio nel West. Cosa pensano i Sioux di quelle vicende, a distanza di tanti anni?
RISPOSTA: A Wounded Knee, dove ci fu un’insurrezione del 1973, vi è un cimitero indiano molto trascurato e pieno di erbacce e nessuno, come ho detto, mi ha confermato che Cavallo Pazzo sia stato sepolto da quelle parti. A Holy Rosary Mission, nella stessa riserva di Pine Ridge, vi è la tomba di Nuvola Rossa, sul quale ho sentito pareri discordanti, ricavandone l’impressione che davvero la nazione dei Lakota o Teton fosse minata dalle discordie. Un sospetto che grava sull’episodio dell’uccisione di Cavallo Pazzo, arrestato dalla Polizia Indiana di Fort Robinson, è che più di un leader dei Sioux – anche Oglala come Nuvola Rossa e Brulè come Cosa Macchiata – considerassero ormai scomodo questo guerriero troppo invasato e determinato a voler continuare a vivere secondo gli antichi costumi tribali, perché si stavano convertendo al progresso. Ormai, come scrive Alce Nero, gli “Attaccati al forte”, cioè gli Indiani delle riserve, erano sazi con il cibo fornito loro dal governo americano e non volevano essere trascinati in eventuali nuove rivolte. Smentisco anche categoricamente i commenti di diversi storici riguardo al “furto” delle Black Hills perpetrato dagli Americani: l’offerta di acquistare il gruppo montuoso per 6 milioni di dollari era elevatissima, perché appena 8 anni prima gli Stati Uniti avevano pagato 7 milioni ai Russi per l’intera Alaska, che è estesa cinque volte l’Italia. Vorrei infine aggiungere che quando si decise di scolpire l’immagine di Cavallo Pazzo nella montagna vicino a Mount Rushmore, non tutti i membri del consiglio tribale si mostrarono favorevoli al progetto. Qualcuno argomentò che bisognava evitare di deturpare una bella montagna. Direi pretestuoso, data l’importanza simbolica del personaggio.
DOMANDA: Ha dunque ancora un senso parlare di Cavallo Pazzo come del maggior leader dei Sioux?
RISPOSTA: E’ un po’ nostalgico, ma serve a restituire fierezza ad un popolo che un tempo viveva libero nella Grandi Pianure, senza le contaminazioni della civiltà. Anche Custer ammirava la fierezza di simili personaggi, tanto che scrisse nelle sue memorie (qualcuno se le vada a leggere!): “Se io fossi un Indiano, preferirei dividere la mia sorte con quella parte del mio popolo che è attaccata alle libere, aperte pianure, piuttosto che accettare i limiti ristretti di una riserva, ove diventare il destinatario della civilizzazione con l’aggiunta dei suoi vizi…” Se il generale e Cavallo Pazzo si fossero conosciuti da vicino, credo si sarebbero stretti la mano benchè nemici, manifestandosi una stima reciproca. Ma sono altresì convinto che gli storici, o almeno molti di essi, non abbiano capito nulla di questo contesto.
DOMANDA: Insomma, la storia è per buona parte da riscrivere…
RISPOSTA: Eh sì. Secondo la mia opinione sarebbero da sfatare molti luoghi comuni e riesaminarla con occhi più obiettivi. Purtroppo si vuole continuare a perpetuare il West della leggenda, con l’immagine dell’Indiano buono e pacifico (!) contrapposta a quella del bieco e subdolo uomo bianco: direi sia giunto il tempo di dire basta a simili iniquità.

TITOLO: Cavallo Pazzo. L’uomo, la storia, il mito
AUTORE: Domenico Rizzi
EDITORE: Parallelo45 Edizioni
PAGINE: 352
RILEGATURA: Brossura leggera
PREZZO: 13,3 €

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