La Guerra dei Jicarilla
A cura di Pietro Costantini
A partire dall’anno 1849 iniziò una serie di conflitti armati fra l’esercito statunitense e gli Apache, scontri che perdurarono fino all’anno 1886. Nel 1848 si era conclusa la guerra contro il Messico e, con il trattato di Guadalupe Hidalgo, gli U.S.A avevano acquisito un vasto territorio che comprendeva l’intero Texas, la California, il Nevada, lo Utah e parti di Colorado, Arizona, Nuovo Messico e Wyoming.
Storicamente gli Apache avevano sempre condotto incursioni contro le tribù nemiche, talvolta anche contro altri Apache, per procurarsi cavalli, cibo o prigionieri.
Introduzione
Consideravano tali azioni non come uno stato di guerra, ma attacchi condotti da piccoli gruppi, con uno scopo specifico. La vera guerra era condotta dagli Apache con grosse armate, usando tutti gli elementi maschi della tribù in età da poter combattere. A partire dagli anni ’80 del XIX secolo questo metodo di condurre la guerra ebbe termine, poiché la maggior parte delle bande Apache si era accordata per stabilirsi in insediamenti negoziati con il governo degli Stati Uniti. Comunque, altri sotto-gruppi degli Apache, di solito clan o società di guerrieri, continuarono a mantenere lo stato di guerra. Questo limitò potenziali soluzioni negoziali in quanto la risposta americana non riuscì a distinguere tra gli Apache che facevano incursioni e gli altri gruppi. Di conseguenza la replica degli Americani fu talvolta di usare la mano pesante, il che condusse ad un’estensione dei conflitti, in quanto vi erano trascinati dentro altri Apache.
Ragazza Jicarilla – foto Curtis
I primi conflitti tra gli Apache e le genti bianche nel Sud Ovest datano dai primi insediamenti spagnoli, ma la serie di scontri oggi nota come “Guerre Apache” cominciò durante la guerra fra Messico e Stati Uniti. Le prime campagne dell’esercito americano condotte specificamente contro gli Apache cominciarono nel 1849 e l’ultima grande battaglia terminò nel 1886 con la resa di Geronimo.
Gli Apache erano reduci da decenni di scontri sanguinosi contro Spagnoli e Messicani. La situazione venutasi a creare con la venuta dei nuovi possessori di quei territori, con sempre nuovi insediamenti, difesi da truppe armate che si muovevano avanti e indietro, la comparsa di gruppi di cercatori d’oro, non potevano non far pensare agli Apache che la loro situazione non sarebbe certo migliorata con i nuovi venuti. Da qui l’origine di questi conflitti, la cui fase finale si prolungò fino al 1906, dal momento che anche dopo il 1886 piccole bande Apache continuarono i loro attacchi contro gli insediamenti colonici e combatterono le forze di spedizione della cavalleria americana e le milizie locali. I combattenti erano per lo più gruppi di guerrieri, con al seguito piccoli nuclei di non combattenti. L’esercito condusse missioni di ricerca e distruzione contro le piccole bande, usando tattiche che comprendevano segnali fatti riflettendo i raggi del sole, il telegrafo, condivisione di informazioni con i servizi Messicani, arruolamento di scouts Indiani alleati, e gruppi di combattenti degli insediamenti locali. Ciò nonostante, solo nel 1906 gli ultimi gruppi di Apache, che avevano eluso il controllo al confine della riserva tribale da parte dell’esercito, furono ricondotti nella riserva.
Razzia di cavalli
Capi Apache come Mangas Coloradas, dei Bedonkohe, Cochise dei Chokonen, Victorio della banda Chihenne, Juh della banda Nednhi, Delshai dei Tonto e Geronimo dei Bedonkohe condussero incursioni contro i non Apache. Poiché essi resistettero ai tentativi dei militari, condotti con la forza o con la persuasione, di ricondurre le loro genti alle rispettive riserve, sono considerati dal loro popolo come degli eroi nazionali.
Las Vegas
Nell’aprile 1849, il capitano John Chapman, che era dislocato a Santa Fe, fu mandato con le sue truppe a cercare e punire gli Ute, che molestavano gli insediamenti settentrionali con le loro incursioni. Nel corso della spedizione, Chapman fu informato che erano Jicarilla quelli che conducevano gli attacchi nella zona. Egli individuò e attaccò un accampamento Jicarilla di circa 40 wickiup, scacciando dal villaggio gli Indiani, che riportarono considerevoli perdite. Nel maggio dello stesso anno il sergente James Bally, del 1° Dragoni acquartierati a Burgwin, incontrò a sud di Taos alcuni Jicarilla, i quali negarono di aver effettuato incursioni e furti di bestiame. Pochi giorni dopo, il 1° giugno, il capitano Henry B. Judd, del Terzo Artiglieria, accampato a Barclay’s Fort, riferì che gli Jicarilla stavano attaccando il coloni di Maxwell lungo il fiume Rayado. Lo stesso capitano Judd comandava la sede di Las Vegas quando una banda di Jicarilla giunse lì in agosto per commerciare. Gli Jicarilla posero il campo a circa un miglio e mezzo dalla città. Judd pensava che gli Indiani fossero lì per procurarsi polvere e piombo, e richiese ai mercanti di non fornire queste merci ai Nativi. Alcuni cittadini di Las Vegas affermarono di essere in grado di identificare tra gli Jicarilla gli individui che avevano partecipato alle recenti incursioni. Quando Judd apprese che un’altra banda di Jicarilla si trovava nel villaggio di Los Valles, a circa dieci miglia di distanza, che ugualmente cercava di fare commerci, egli decise di attaccare questo gruppo che era accampato nelle vicinanze di Las Vegas. Il tenente Ambrose E. Burnside, del Terzo Artiglieria, fu inviato al campo Jicarilla con un distaccamento di soldati. Gli Indiani erano avvertiti dell’avvicinarsi delle truppe ed erano pronti a combattere. Il giudice del posto, Herman Grolman, tentò di negoziare con i capi degli Indiani, ma questi non vollero starlo a sentire, spararono sulla pattuglia di Grolman e fuggirono. I militari allora caricarono e cominciò uno scontro all’arma bianca che continuò per diverse miglia; quattordici Jicarilla furono uccisi, molti di più feriti e sei fatti prigionieri. Temendo una possibile ritorsione da parte degli Jicarilla, che si riteneva fossero a Los Valles, Judd mandò il capitano P.M. Papin e una compagnia di volontari del New Mexico a presidiare quella comunità.
Il capo Jicarilla Chacon, che non aveva partecipato a quel combattimento, dichiarò più tardi che gli Jicarilla cercavano un accordo di pace quando furono attaccati nei pressi di Las Vegas. Egli notò che fra i prigionieri vi era la figlia del capo Lobo. Lobo fu il leader in molti attacchi che seguirono nel New Mexico occidentale. La sua ostilità fu senza dubbio alimentata ancor più dal fatto che sua figlia fosse tenuta prigioniera.
L’attacco contro gli Jicarilla a Las Vegas evidentemente causò l’incremento delle incursioni indiane contro gli insediamenti bianchi. In settembre una razzia degli Jicarilla catturò 150 capi di bestiame dal ranch di Chaparito, a circa nove miglia da Los Valles, dove stazionavano il capitano Papin e i “Mexican Volunteers”. Papin condusse i volontari in una marcia forzata di 25 miglia in direzione del campo indiano e lo attaccò durante la notte. Alla fine furono uccisi cinque Jicarilla, compreso il capo Petrillo, e molti di più vennero feriti. Una donna Apache, che si pensava fosse la vedova di capo Petrillo, fu catturata.
Guerriero Jicarilla
Il capitano Judd, comandante di Las Vegas, prese la precauzione di vigilare sugli abitanti dei ranch e degli insediamenti da Las Vegas a San Miguel. Egli ordinò agli “alcaldes” di “arruolare tutti gli uomini di età superiore ai 16 anni che fossero in grado di maneggiare le armi entro i limiti della loro giurisdizione e di organizzare e rinforzare un rigido sistema di polizia notturna e di pattuglie dovunque nelle vicinanze delle loro rispettive città”. Queste disposizioni di Judd furono molto ben accolte, ed egli dichiarò che “se strettamente seguite, eviteranno un mucchio di guai”. La sola opposizione, a sentire Judd, venne da due commercianti anglo-americani di Tecolote, W.H. Moore e Charles W. Kitchen che, disse il capitano, avevano tratto molto profitto dal conflitto con gli Indiani e dall’occupazione militare. Negli ultimi giorni del mese del settembre 1849, il tenente Burnside condusse un distaccamento dalla sede di Las Vegas in cerca degli accampamenti degli Jicarilla sul Canadian River. Egli cercava una grossa banda, che si ritirava prima del suo arrivo, ma non riusciva a raggiungerla. Ritornò a Las Vegas, pensando che gli accampamenti indiani sul il Canadian fossero abbandonati e che gli Jicarilla si fossero ritirati verso le montagne. Dovunque fossero situate le loro basi, essi continuarono ad attaccare viaggiatori e coloni. Il 1° ottobre l’Agente Indiano Calhoun riferì che le incursioni indiane erano diventate ormai una costante giornaliera in quel territorio. Parecchie persone avevano paura di viaggiare e l’Agente richiese nuove truppe. Gli Jicarilla continuarono le razzie contro gli insediamenti del New Mexico e i furti di bestiame. Nel clima di crescente ostilità reciproca, l’incidente più spettacolare fu l’attacco contro la carovana dei White, sulla Pista di Santa Fe.
The White Massacre
Nell’ottobre del 1849 James White, un mercante che conduceva i suoi commerci fra Independence, nel Missouri, e Santa Fe, New Mexico, si stava dirigendo ad ovest con una carovana guidata da un noto conduttore di carovane, Francois X. Aubrey. Dopo che la carovana oltrepassò quello che sembrava essere il punto più pericoloso del viaggio, si accampò per una sosta. White, “un veterano della pista”, con la moglie Ann, la piccola figlioletta e un servitore negro, insieme a un tedesco di nome Lawberger e a qualche altro, decise di separarsi dalla carovana e dirigersi da solo verso Santa Fe. Dopo pochi giorni di viaggio, si fermarono in un ben noto punto di riferimento, chiamato Point of Rocks, tra Rock Creek e Whetstone Branch. Nessuna delle due località è oggi reperibile nelle moderne mappe del New Mexico, ma Whetstone è rintracciabile un una carta del 1876.
Il 27 ottobre il gruppo fu avvicinato da una banda di Jicarilla e Ute che, secondo un successivo resoconto dei Nativi, richiesero doni. Essi furono mandati via dal campo, ma tornarono di nuovo con le loro richieste, ricevendo la stessa risposta. La terza volta tornarono attaccando i coloni. Furono tutti uccisi, tranne Ann, la bambina e il servo. Alcuni degli attaccanti se ne andarono con i prigionieri, mentre gli altri, prima di andarsene, rovistarono fra le cose rimaste nei carri.
Mappa del nord est del New Mexico – 1876
Poco dopo giunse sulla scena un gruppo di Messicani, che si misero a guardare dentro i carri. Gli Apache e gli Ute attaccarono, uccidendo alcuni Messicani e mettendo in fuga gli altri. Un ragazzo messicano ferito fu poi trovato da un gruppo di Americani, che per primi avevano raccolto l’allarme dopo il massacro. Sul luogo giunsero i soldati, che bruciarono i morti. Questi, stranamente, non erano stati scalpati. Quando Aubry udì delle uccisioni offrì 1.000 dollari di ricompensa per il recupero della signora White.
La notizia raggiunse subito la guarnigione dell’esercito stanziata nelle vicinanze di Taos. Da lì partirono il capitano William Grier e il 1° Cavalleria, incaricati di tentare di riscattare la signora White e “castigare” i Nativi. Erano accompagnati da due guide esperte, Antoine Leroux e Robert Fisher. Lungo la strada si fermarono a Reyado, dove Kit Carson li raggiunse, per condurli sul punto dove era avvenuto l’attacco. La spedizione proseguì nell’inseguimento degli Indiani (“per dieci o dodici giorni – scrisse Carson – la pista più difficile che io abbia mai seguito”). Alla fine gli inseguitori arrivarono sugli ignari Nativi sulle rive del Canadian River, nei pressi di Tucumcari Butte.
Nella sua autobiografia, Carson, che era alla guida del gruppo dei soldati, descrive ciò che seguì: ”Io avanzavo, in direzione del loro accampamento, sollecitando gli uomini a seguirmi. L’ufficiale comandante ordinò l’alt, e nessuno voleva seguirmi. Venni informato che Leroux, il capo guida, aveva chiesto di dare l’alt perché gli Indiani volevano un incontro. Gli Jicarilla stavano imballando le loro cose per la fuga e partì un colpo di fucile. Il capitano Grier venne colpito, ma senza serie conseguenze, in quanto egli aveva un paio di guanti pesanti che teneva sotto la giubba. Il capitano ordinò la carica, ma vi fu un ritardo che permise a tutti gli Indiani, meno uno, di fuggire. Nell’inseguire gli Indiani, dopo neanche cento metri venne ritrovato il corpo della signora White, ancora caldo: era stata uccisa da non più di cinque minuti, trafitta al cuore da una freccia. Sono certo che se al nostro arrivo la carica fosse stata ordinata immediatamente, la signora si sarebbe salvata.” La figlia di Ann White e il servo non furono mai più trovati.
Nel febbraio 1850 Il sovrintendente degli Affari Indiani in New Mexico, James S. Calhoun, mandò il noto scout, commerciante e “mountain man” Auguste Lacome, assieme ad un altro mercante, Encarnacion Garcia, a investigare su dove potessero essere i prigionieri e se potessero essere riscattati. Lacome incontrò gli Ute, alleati degli Jicarilla, e confermò che la bambina era stata uccisa subito dopo l’attacco al campo e il suo corpo gettato in un fiume. Il servo fu ucciso poco dopo, essendo incapace di reggere il passo della banda.
L’ostilità degli Jicarilla fu un fattore decisivo nella decisione di sostituire il maggiore John Munroe, comandante delle truppe americane in New Mexico che, nel 1851, venne sostituito dal tenente colonnello Edmund Vose Sumner. Prima, nel dicembre 1849, Calhoun e Munroe avevano cercato di stipulare un trattato di pace con gli Jicarilla, ma avevano fallito.
Attacchi e incursioni
Nel 1850 le incursioni indiane nel New Mexico continuarono. In gennaio Calhoun scrisse a Orlando Brown, commissario per gli Affari Indiani: ”E’ mio dovere avvisarvi che i nostri problemi con gli Indiani crescono di giorno in giorno, mentre la nostra efficienza sta rapidamente decrescendo”. In febbraio egli scrisse: “Questo territorio è completamente circondato da Indiani selvaggi”. I continui attacchi da parte degli Jicarilla e altre tribù spinsero gli abitanti del New Mexico a scrivere, nel febbraio 1850, una petizione al Presidente per avere una maggior protezione da parte dei militari. I 52 firmatari della petizione dichiararono che “nessuno in questo territori può considerare al sicuro la sua persona o la sua proprietà. Omicidi e furti sono all’orine del giorno”. Essi chiesero che gli Indiani venissero confinati in zone ben delimitate, che fossero aumentate le strade e le postazioni militari, e che fosse inviata nel territorio una forza adeguata di truppe a cavallo. Hugh N. Smith, delegato territoriale del New Mexico al Congresso, richiese che agenti locali fossero inviati a vivere tra quegli Indiani che davano problemi sul territorio e che gli agenti fossero supportati da un’ingente forza militare. Il commissario degli Affari Indiani, Orlando Brown, l’aiutante generale Roger Jones e altri ufficiali sostenevano invece periodici dispiegamenti di forze. Brown raccomandò anche la nomina di agenti speciali per cercare di ottenere trattati di pace con gli Indiani.
Nel frattempo gli attacchi degli Indiani continuavano. A quanto pare il capo Jicarilla Lobo aveva promesso di vendicare l’uccisione della figlia e sembrava avere il sostegno di molti guerrieri. Nel febbraio 1850 una spedizione di Jicarilla portò via un gregge di pecore stimato in 12000 capi vicino a Santa Fe, dopo aver ucciso parecchi guardiani e averne catturato altri. Pochi giorni dopo essi uccisero un “Messicano” e ne ferirono altri due sulla pista di Santa Fe vicino San Miguel. Il 5 aprile gli Jicarilla assalirono l’accampamento dei mandriani di Lucien Maxwell, situato a tre miglia da Rayado, rubando quasi tutti i cavalli e i muli del posto e ferendo due uomini. Il sergente William C. Holbrook, di stanza a Rayado, condusse un drappello di dragoni, con Kit Carson come guida, all’inseguimento degli Indiani. Li raggiunsero dopo una marcia di trenta miglia, dopo aver attraversato il Canadian River, e attaccarono, uccidendo cinque Indiani e recuperando la maggior parte dei capi di bestiame.
Il 19 aprile gli Indiani portarono numerosi attacchi vicino a Las Vegas, uccisero alcuni mandriani e rubarono bestiame. Il 21 aprile tre coloni del New Mexico, che tagliavano legname nelle vicinanze di Las Vegas, furono uccisi dagli Indiani. Ai primi di maggio, nei pressi di Wagon Mound, una banda congiunta di guerrieri Jicarilla e Ute attaccò gli addetti al trasporto postale verso ovest e uccise tutti e dieci gli uomini.
Attacco alla diligenza
Le vittime del massacro di Wagon Mound non furono scoperte fino al giorno 19 maggio quando il servizio postale verso est giunse sul posto. Il gruppo fece immediatamente ritorno a Fort Barclay e riferì dell’attacco all’ufficiale comandante di Las Vegas, maggiore E. B. Alexander, del Terzo Fanteria. Gli addetti del postale si rifiutarono di procedere senza una scorta che li accompagnasse almeno a Cedar Spring, a circa 150 miglia da Las Vegas. Il capitano William N. Grier, del Primo Dragoni, venne inviato con delle truppe da Taos a rinforzare la guarnigione di Rayado, contribuire alla protezione degli insediamenti e vigilare sulla Pista di Santa Fe.
Il tenente Burnside con un distaccamento di artiglieria a cavallo fu mandato da Las Vegas per indagare sulle circostanze dell’attacco e cercare di scoprire chi ne era responsabile, seppellire i morti e, se possibile, recuperare la posta. Burnside prese a Las Vegas dei lavoranti messicani per scavare una fossa comune per i resti delle vittime del massacro. Due dei corpi furono rinvenuti nel carro della posta; gli altri otto erano per terra ed erano stati “moltissimo rosi dall’intervento dei lupi”. Il carro venne incendiato sopra la tromba comune “per prevenire, se possibile, che i corpi potessero essere dissepolti dai lupi”. Burnside dedusse che il gruppo attaccante dovesse essere stato numeroso, “non meno di centro guerrieri” e dichiarò: “mai prima d’ora un gruppo così grande di Americani era stato interamente distrutto dagli Indiani”;…infatti dieci Americani fino a quel momento erano stati considerati relativamente al “sicuro, nel viaggiare su quel percorso con un adeguato accompagnamento.” Richard Kern, cartografo militare e artista, lo chiamò “il più ardito omicidio mai compiuto dagli Indiani” lungo quella pista. Uno dei lavoranti messicani, che era stato prigioniero degli Indiani per molti anni, identificò le frecce come appartenenti sia agli Jicarilla che agli Ute.
Si capì in seguito che gli Jicarilla avevano attaccato il convoglio postale a circa venti miglia da Wagon Mount e che il combattimento era durato per circa una giornata. Il convoglio si era accampato nelle vicinanze di Wagon Mount per la notte; nello stesso tempo un gruppo di Ute si era unito agli Jicarilla. Le forze congiunte degli Indiani finirono il massacro il giorno dopo. I componenti del convoglio postale avevano resistito ma erano stati sopraffatti dal numero superiore degli avversari. Gli Jicarilla ebbero cinque caduti, gli Ute quattro; non si conosce il numero dei loro feriti.
Il convoglio diretto ad est stava ancora aspettando la scorta quando tornò il distaccamento di Burnside. Erano attesi da una carovana di mercanti che doveva essere scortata. Aspettavano una scorta anche il tenente James H. Simpson, ingegnere topografico, che aveva ordine di ispezionare un’area a nord est di Las Vegas per trovare un sito dove installare una nuova postazione militare per favorire una miglior protezione della Pista di Santa Fe e degli insediamenti come Rayado, nonché Richard H. Kern, cartografo e artista che accompagnava Simpson. Il 27 maggio il tenente Burnside con 23 soldati lasciò la guarnigione di Las Vegas per proteggere tutti questi gruppi. La figlia del capo Lobo, sempre prigioniera dei soldati, era stata inviata con la scorta per cercare di negoziare il rilascio degli ostaggi in mano degli Indiani. Ma durante una sosta la donna tentò di uccidere due uomini, rubò due muli (uno dei quali morì) e cercò di far fuggire tutti i muli restanti. Fu uccisa da uno dei soldati.
Le truppe stettero con i convogli dei commercianti e del servizio postale fino a che non venne attraversato in sicurezza il Cimarron River a Willow Bar, approssimativamente a 200 miglia da Las Vegas. Al ritorno prestarono assistenza a Simpson e Kern nella loro azione di rilievo, una delle tante effettuate in cerca del luogo che poi sarebbe diventato il sito di Fort Union.
La pattuglia di scorta dovette affrontare bufere di neve, ma portò a Las Vegas tutti i viaggiatori senza alcuna perdita.
Una maggior protezione venne assicurata lungo la Pista di Santa Fe nell’estate 1850, per cui il percorso rimase sempre aperto. In giugno alcuni Apache (la maggior parte Mescaleros, ma si ritiene vi fossero anche degli Jicarilla) insieme ai Comanche si incontrarono con rappresentanti del Dipartimento degli affari Indiani sul fiume Pecos per trattare la pace. Le proposte vertevano principalmente su uno scambio di prigionieri, ma non venne raggiunto nessun accordo. Sempre nello stesso mese, gli Agenti Indiani del New Mexico ricevettero istruzioni di ritirare le licenze di commercio con gli Jicarilla. Ogni mercante sorpreso a trasportare armi, munizioni o liquori agli Indiani della zona doveva essere arrestato e imprigionato.
Il capitano Grier, comandante di Rayado, presentò le sue raccomandazioni come richiesto dal colonnello Munroe per la difesa della linea di insediamenti che andava da Abiquiu a San Miguel passando da Taos, Rayado, Mora, La Junta (più tardi Watrous), Las Vegas. Grier notò che la minaccia più seria proveniva dagli “Apache, che, dopo aver commesso un’azione illegale, dovevano ritirarsi fra le montagne, nel Canyon del Red River o giù al Pecos”. Per proteggere la lunga serie di villaggi, egli consigliò che la postazione di Las Vegas venisse abbandonata, stabilendone una nuova con depositi a La Junta, e di incrementare la guarnigione di Rayado. Queste truppe avrebbero potuto proteggere gli insediamenti e la Pista di Santa Fe.
La Pista di Santa Fe
Gli Jicarilla nel frattempo continuavano le incursioni. Il 26 giugno 1850, una spedizione composta di un numero di guerrieri fra 250 e 300 sottrasse un gran numero di capi di bestiame nei pressi di Rayado, uccidendo due cittadini e un soldato. Il capitano Grier aveva al momento solo 23 uomini di guarnigione e fu costretto a rimanere sulla difensiva. Grier si sentiva fortunato di essere riuscito a salvare i cavalli dell’esercito. Il 28 giugno un’ulteriore compagnia di dragoni venne mandata dal comando di Las Vegas per congiungersi con l’unica compagnia di stanza a Rayado, in preparazione di una campagna contro gli Jicarilla. In più Grier sollecitò l’arruolamento di cittadini volontari che partecipassero alla campagna. Dopo l’arrivo dei rinforzi, il 23 luglio il capitano Grier condusse 78 dragoni e circa 90 cittadini armati di Mora e di Rayado, in una spedizione contro gli Jicarilla. Dopo tre giorni di marcia, nel corso dei quali sconfissero due piccoli gruppi di Indiani, uccidendone e ferendone parecchi, trovano un grande accampamento Jicarilla a circa 100 miglia a nord di Rayado. Gli Indiani erano stati avvertiti dell’avvicinamento delle truppe e stavano cercando di fuggire. In un lungo combattimento i dragoni uccisero e ferirono molti guerrieri, e recuperarono alcuni capi del bestiame rubato. Secondo il racconto del tenente John Adams, in tutto il corso della spedizione dragoni e volontari “uccisero sei Indiani e ne ferirono molti di più, presero circa 60 capi fra cavalli e muli, 150 pecore e 70 capi di bestiame”. Presero anche una certa quantità delle provviste e delle attrezzature da campo degli Indiani. Il capitano Grier ebbe un dragone ucciso, il sergente Lewis V. Guthrie. Le incursioni degli Jicarilla nella zona diminuirono per qualche mese ma ripresero di nuovo la primavera seguente e durarono fino alla costruzione di Fort Union. Nell’estate del 1850 il tenente Burnside fornì una scorta per il convoglio postale diretto a est e per accompagnare le carovane mercantili fino all’attraversamento del fiume Arkansas. Nel viaggio di ritorno, le truppe scortavano i viaggiatori diretti a ovest e riferirono che non vi erano stati attacchi indiani lungo il cammino.
Congillon River, Cieneguilla e Ojo Caliente
Quando una banda di Jicarilla Apaches catturò del bestiame della mandria di Fort Union, il tenente colonnello Philip St. George Cooke inviò all’inseguimento degli indiani il tenente David Bell. Il 5 marzo 1854, alla guida di 30 uomini della compagnia H del 2° Dragoni, Bell raggiunse Lobo Blanco, terzo capo degli Jicarilla, sul Congillon Creek, a circa 70 miglia a sud est del forte. Lobo Blanco aveva comandato la banda responsabile del massacro della carovana White nel 1849; ora stava guidando una banda di 22 Jicarilla Llaneros.
Non è certo in modo assoluto come si svolsero i fatti sul Congillon River, ma la versione più probabile sembra la seguente.
Gli Jicarilla segnalarono di voler parlamentare. Bell avanzò con i suoi dragoni a cavallo e ordinò la resa a Lobo Blanco. In risposta, Lobo Blanco, sceso da cavallo, si inginocchiò, prese la mira e sparò verso Bell. Bell rispose al fuoco e scaricò il suo revolver contro Lobo Blanco.
I dragoni, immediatamente caricarono, mentre i Llaneros, smontati da cavallo, rispondevano al fuoco. In un attimo una mezza dozzina di uomini, morti e feriti, caddero a terra.
Lobo Blanco si rialzò infuriato e avanzò, barcollando verso Bell. Un altro dragone lo colpì ancora una volta, e poi gli fracassò il cranio con una grossa pietra.
Apparvero altri Jicarilla, e Bell sgombrò il campo con i suoi feriti, mandando uno dei suoi a Fort Union per chiedere aiuto. Le perdite di Bell furono di due morti e quattro feriti, mentre i suoi uomini uccisero o ferirono 16 Indiani e catturarono 30 cavalli.
Il 30 marzo 1854 le compagnie F e I del 1° Dragoni si accamparono a Cantonment Burgwin, una postazione dell’esercito a 10 miglia a sud est di Taos. Mentre erano di pattuglia, 60 dragoni si impegnarono in un’azione non autorizzata attaccando un accampamento degli Apache Jicarilla nella località di Cieneguilla (Sienna-Gee-Ya per gli Indiani, oggi Pilar, New Mexico); infatti il primo tenente John Wynn Davidson aveva disatteso gli ordini del suo ufficiale superiore, il maggiore Blacke. Una forza congiunta di circa 250 Apache e Ute tese un’imboscata ai dragoni. Nel suo rapporto, due giorni dopo la battaglia, Davidson dichiarò che “raggiunsi gli Apache vicino a Cieneguilla, e subito risuonò il loro grido di guerra”.
L’attacco – dipinto di John Hauser
Secondo il soldato James A. Bennet (alias James Bronson), un sergente che era sopravvissuto all’imboscata, la battaglia durò almeno 4 ore. Cominciò intorno alle 8 del mattino e finì quando i reggimenti dei dragoni alle 12 si ritirarono ai Ranchos de Taos. I guerrieri Apache avevano usato frecce e fucili a pietra focaia. Degli iniziali 60 dragoni, i soldati ne ebbero 22 uccisi e 36 feriti, e patirono anche la perdita di 22 cavalli e molti dei rifornimenti delle truppe. Un’altra versione dei fatti afferma che Davidson e le sue truppe non subirono alcuna imboscata, ma piuttosto vennero derisi dagli Apache per il fatto che attaccavano un nemico superiore e che impiegava tattiche superiori. Questa moderna ricostruzione riporta anche che la durata dello scontro non superò le due ore, contrariamente alle affermazioni di Davidson e Bennet, che parlavano di quattro ore. La Santa Fe Weekly Gazette scrisse che l’azione “fu una delle più dure battaglie mai combattute fra le truppe americane e gli Indiani.”
La maggior parte della responsabilità per le perdite umane fu attribuita al tenente Davidson. Il tenente David Bell accusò Davidson di aver rischiato la vita dei suoi soldati quando avrebbe invece potuto evitare l’imboscata. Invece il generale John Garland elogiò Davidson dichiarando che “Le truppe schierarono un reparto di cavalleria raramente eguagliato in questo o in ogni altro Paese e l’ufficiale comandante, tenente Davidson, ha mostrato una prova di capacità militare al grado più alto che gli si possa accreditare. Aver sostenuto un confronto mortale di tre ore quando era così grandemente inferiore numericamente, ed essersi ritirato con un malridotto frammento della sua compagnia, è incredibile e merita l’ammirazione di ogni vero soldato”. Il 10 marzo 1856, John Garland convocò a Taos una commissione d’inchiesta. Dopo molte dichiarazioni di testimonianza, la corte dichiarò che Davidson non avrebbe potuto evitare lo scontro e che “nella battaglia esibì abilità nella sua maniera di attaccare una forza grandemente superiore di Indiani ostili; e prudenza, distacco e coraggio per tutto il prolungato combattimento; ed infine, quando fu costretto a ritirarsi dal campo, a causa delle forti probabilità negative che aveva contro, le perdite che dovette sostenere e la scarsità di munizioni; i suoi sforzi per portare via i feriti meritano un alto elogio”.
Il tenente colonnello Philip St. George Cooke, del Secondo Reggimento Dragoni, organizzò subito una spedizione per inseguire gli Jicarilla. Partì da Fort Union con tutti gli effettivi che poté radunare: la compagnia H e un distaccamento della compagnia G del 2° Dragoni, guidati dal tenente Samuel D. Sturgis; la compagnia H del 1° Dragoni comandata dal tenente Bell; e la compagnia D del 2° Artiglieria, che stava in fondo, al comando del tenente George Sykes del 3° Fanteria.
Le truppe marciarono attraverso i monti Sangre de Cristo, raggiungendo il 3 aprile il forte di Cantonment Burgwin con l’aiuto di scout Indiani Pueblo e Messicani comandati dal capitano James H. Quinn e con capo guida Kit Carson. Grazie alle guide Pueblo la colonna inseguì il capo Chacon degli Jicarilla per 150 miglia, attraverso il Rio Grande, con la neve alta. Non potendo scrollarsi di dosso gli inseguitori, Chacon preparò un’imboscata con i suoi 150 guerrieri. Gli Jicarilla si erano nascosti dietro gli enormi macigni che costeggiavano le acque ghiacciate del Rio Caliente, ma i Pueblo di Quinn si accorsero della trappola e si lanciarono contro i loro atavici nemici. Gli Jicarilla erano in posizione favorevole, dietro i loro ripari rocciosi, e Cooke si immaginava che avrebbe potuto stanarli solo con qualche manovra rischiosa e dopo parecchie ore. Ma i Pueblo si erano già lanciati in battaglia, per cui Cooke decise di attaccare. Sykes, al comando di un gruppo di fucilieri, seguiva dietro i Pueblo. Bell comandava la Compagnia H sulla destra; questi uomini smontarono da cavallo e si arrampicarono sulle rocce alla sinistra degli Apache. Cooke, Blake e Sturgis spingevano il resto della truppa verso la posizione centrale degli Apache. Il tenente Joseph E. Maxwell, del 3° Fanteria, distante, sulla sinistra, tagliò fuori la mandria dei cavalli degli Indiani.
La subitaneità e la foga della risposta di Cooke scossero gli Apache, ed in breve essi si ritirarono sparpagliandosi per le colline. Quando gli uomini di Bell raggiunsero la cima delle alture, gli Indiani non c’erano più. Cooke distrusse il loro campo e li inseguì per tre giorni, rinvenendo i resti della loro fuga lungo il percorso: tracce di sepolture e impronte diminuite di numero. Infatti gli Jicarilla ebbero cinque morti e sei feriti, mentre Cooke aveva perso un uomo e un altro era rimasto ferito. Cooke ritenne che questa esperienza avesse umiliato gli Apache: ora essi sapevano che avrebbero potuto essere rintracciati nelle peggiori condizioni metereologiche e nei recessi più profondi delle loro terre.
Fisher’s Peak e Sapello Creek
Nella primavera del 1854, l’esercito non aveva ancora completamente domato gli Apaches Jicarilla. Il capitano James H. Carleton, del 1° Dragoni, guidò 100 uomini, fra irregolari del battaglione di James Quinn e soldati dei suoi, in una perlustrazione verso nord. Essi raggiunsero Fort Massachusetts, una postazione a 85 miglia a nord di Taos, a metà strada fra la San Luis Valley e i pendii del Sierra Blanca Peak. Lì la spedizione trovò una pista che conduceva a sud-est, oltrepassava gli Spanish Peaks e si inoltrava nei monti Raton. Con la guida di Kit Carson, trovarono il campo Apache in un pianoro sul lato orientale di Fisher’s Peak, a circa sei miglia a sud dell’attuale Trinidad, Colorado. Carleton fece prendere posizione alle sue truppe nella boscaglia, al di fuori della pista. Alle due del pomeriggio del 4 giugno i soldati si lanciarono giù dal fianco dell’altura in un attacco di sorpresa. Gli Apaches, colti alla sprovvista, si dispersero subito. I soldati distrussero 72 logge e catturarono 38 cavalli, ma gli Apaches erano fuggiti così velocemente che gli uomini di Carleton riuscirono ad ucciderne solo 3, mentre i soldati non subirono perdite.
A partire dall’estate 1854, gli Jicarilla persero il loro entusiasmo verso grandi battaglie contro i dragoni dell’esercito, ma si verificarono ancora alcuni scontri occasionali. Una banda Apache reduce da un’incursione a nord di Las Vegas (New Mexico) stava ritornando verso i monti Sangre de Cristo e aveva raggiunto Sapello Creek, vicino al Mora River, non lontano da Fort Union, quando incappò nel 3° Fanteria del tenente Sykes, con la compagnia D e in distaccamento della compagnia H del 2° Dragoni. Il tenente Joseph E, Maxwell, del 3° Fanteria, comandò la carica. Iniziò uno scontro mortale all’arma bianca. Maxwell aveva il revolver scarico ed era nell’atto di colpire un Apache con la sciabola, quando cadde, colpito da diverse frecce. Un certo soldato Allen uccise l’Indiano che aveva scagliato l’ultima freccia contro Maxwell. Due uomini della compagnia H restarono feriti. Gli Apaches si ritirarono dal combattimento.
Un trattato del 1855 creò le agenzie: ora la scelta per gli Jicarilla era fra l’elemosinare cibo all’agenzia o compiere incursioni. A partire dal 1860 la tribù scampò al confinamento a Bosque Redondo (Fort Sumner) solo perché l’organizzazione del campo fallì prima che essa potesse esservi radunata.
Dal 1873 gli Jicarilla erano la sola tribù del sud Ovest priva di una riserva ufficiale. Fu circa in questo periodo che due capi delle due bande Jicarilla, gli Ollero e i Llanero, cominciarono a consultarsi a vicenda, creando una nuova coscienza tribale. Mandarono una delegazione comune a Washington, dove fecero pressione per avere una riserva propria, ma nel 1883 la tribù venne inviata alla Riserva Mescalero. Constatando che tutta la terra buona era già occupata, in breve gli Jicarilla cominciarono a dirigersi a nord, verso i loro vecchi territori dove, nel 1887, il governo concesse loro una patria ufficiale. Sfortunatamente il clima della nuova riserva non era favorevole alle coltivazioni, ed in ogni caso i Bianchi si erano impadroniti di ogni terra coltivabile che vi fosse. Questo, oltre all’esistenza di assegnazioni individuali e al controllo governativo centralizzato, rallentò il progresso economico. Al volgere del nuovo secolo la tribù vendette alcuni boschi. Nel 1903 il governo istituì un collegio scolastico a Dulce, la capitale della riserva, ma nel 1918 la trasformò in sanatorio a seguito di un’epidemia di tubercolosi (il 90% della popolazione Jicarilla aveva la tubercolosi dal 1914). La Chiesa Riformista Olandese aprì una scuola nel 1921.
Nel 1907 era stato aggiunto del territorio, consistente in terre appropriate per l’allevamento delle pecore. L’attività prese il via negli anni ’20, e presto vennero realizzati profitti. I gruppi proprietari di bestiame, i “progressisti” favorevoli all’acculturazione di norma erano Ollero, mentre i Llanero erano fattori, “conservatori”, guardiani della tradizione. Negli anni ’30 il cattivo tempo causò la morte di quasi tutto il bestiame, che venne rimpiazzato totalmente a partire dal 1940. Nello stesso periodo la popolazione godeva generalmente di buona salute, mentre l’acculturazione si velocizzava.
Gli anni del dopoguerra videro un enorme incremento nel reddito tribale dallo sviluppo di estrazione di petrolio e gas naturale. Con parte di questo denaro la tribù acquistò la maggior parte delle proprietà non indiane della riserva.
In questa cartina si vede l’ubicazione della Riserva Jicarilla
Risorsero i livelli di educazione e di salute. Negli anni ’50 un declino nell’attività di allevamento delle pecore portò gran parte della popolazione a vivere a Dulce. Fu in quel tempo che la tribù cominciò i pagamenti pro-capite, in parte per compensare la mancanza di opportunità economiche a Dulce. Questa azione trattenne le famiglie dal partire, finché arrivarono nuovi aiuti con i programmi federali degli anni ’60, assieme ad un incremento di economie diversificate. Negli anni ’70 la tribù vinse un ricorso di 9 milioni di dollari contro il governo.