Osceola, capo dei Seminole

Quanto fosse grande l’abilità di leader di Osceola divenne evidente nel corso degli anni. Egli ostacolò i generali USA nei loro tentativi di eliminazione della polizia Indiana, come nel caso del generale Thomas Wiley. Wiley, consapevole della crescente influenza che Osceola possedeva come leader, nel novembre 1835 interrogò il Capo Charlie Amethla circa le intenzioni e l’autorità di Osceola, proprio mentre Capo Amethla si stava preparando a lasciare il suo villaggio sul fiume Withlacoochee per raggiungere i Seminole alla baia di Tampa. “Charlie, parlami di quell’indiano selvaggio di Powell (come egli chiamava Osceola). Ha molta influenza sulla sua gente? I capi sono d’accordo con lui?”.
La risposta di Charlie fu semplice: “Osceola ha molti giovani guerrieri con sè. E molti capi stanno ascoltando la sua voce adesso”.
Osceola fu anche un leader che seminò il terrore nei cuori dei soldati bianchi. Questa situazione fu testimoniata anche dal generale Call, che era stato inviato da Washington D.C., alla guida di un esercito di volontari, per proteggere i coloni. Quando il generale Clinch, insieme al generale Call, stava progettando la strategia per l’attacco al quartier generale dei Seminole nella Baia del Withlacoochee, Call, parlando dei volontari che lo avevano seguito, disse: “Hanno paura di Capo Jumper, di Capo Alligatore e di Osceola”.
Correva l’anno 1836 e la guerra divampò in tutta la Florida. In questa occasione, Osceola non venne riconosciuto soltanto come “leader di guerra” famoso in tutto il Paese per la sua audacia, la sua energia e la sua abilità, ma anche e soprattutto per la sua etica. Ad esempio, quando Osceola sferrava un attacco alla guida dei suoi guerrieri, non aveva alcuna pietà per i nemici, ma a nessuna donna o bambino venne mai fatto del male. “Io faccio la guerra ai soldati bianchi,” disse con orgoglio, “perchè sono un guerriero. Non combatto donne e bambini”.


La cattura di Osceola
Osceola, più di ogni altro leader nativo americano, incarnò lo spirito della resistenza indiana alla dominazione dei bianchi. Egli venne descritto come il George Washington dei Seminole. Anche i rituali indiani, come la Danza del Grano Verde, ebbero un ruolo importante nello sviluppo della sua posizione di leader. La sua figura e la sua autorità erano sentite in modo particolare tra i giovani Seminole, che a tempo debito lo seguirono ad occhi chiusi. Osceola, in qualità di leader, affrontò i suoi doveri con riverenza, fermezza e con quel fair play diplomatico che invitava all’obbedienza.
Osceola, il coraggioso e accanito guerriero Seminole, guarda dritto negli occhi di chi osserva questo dipinto di Christopher M.Still.
La sua mano destra punta verso una nave adibita al trasporto degli indiani verso una riserva dell’ovest; l’altra mano impugna un coltello la cui lama è conficcata con determinazione in un foglio che simboleggia un documento USA.
I volti che si possono scorgere sui tronchi delle palme evocano gli spiriti di tre capi indiani, uno per ogni guerra combattuta da Osceola.
Questi e altri simboli richiamano le lotte alle quali i Seminole della Florida presero parte durante il Periodo Territoriale (1821-1845)
Osceola, così profondamente ammirato dalla sua gente, ebbe tuttavia l’unico merito di perseguire e ottenere il totale coinvolgimento del suo popolo. Cosa strana per quei tempi, egli ebbe modo di inserire le donne nell’organico dei commissariati comunali, ottenendo così da esse cibo e altri generi di sostegno per i guerrieri. In questo modo, anche se spesso le donne non partecipavano alle azioni di guerra, Osceola ebbe la capacità di trarre vantaggio da questa situazione.
Egli attraversò anche periodi di solitudine e di dubbi riguardo alla sua capacità di leadership. Su cosa si interrogava e in che modo Osceola valutava la propria abilità? Una volta, mentre insieme ai suoi guerrieri si era accampato a Withlacoochee Swamp, Osceola uscì dal cerchio di fuoco, e si mise a fissare una stella nel cielo buio della notte. La sua gente era tutta intorno a lui. Egli vide donne, bambini e guerrieri spinti dall’uomo bianco verso una potenziale distruzione. Osceola pensò che “tutto ciò non aveva senso. Il Paese era grande abbastanza per tutti. Gli indiani non avevano mai chiesto altro se non poter vivere in pace.”
Si dice che, mentre tornava al suo accampamento, egli sentì forte dentro di sè la solitudine del comando, della posizione di capo che ricopriva per la propria gente. Pensò a quanto avesse desiderato di essere un leader, guardando però al comando sempre con la passione che lo legava al suo popolo. In quel momento però egli era per loro la figura più importante in una guerra crudele che avrebbe potuto rivelarsi sbagliata. Arrivò alla conclusione che, tra i Seminole, nessuno poteva vantare il carisma che egli aveva sulla sua gente. Il coraggio che essi dimostravano combattendo proveniva principalmente da lui; di conseguenza, egli avrebbe dovuto essere un leader fermamente deciso a vincere.
“Forse dovremo dare la vita per ottenere la vittoria, ma i figli dei miei figli cammineranno su questa terra”.
Gli storici affermano che Osceola, nel suo ruolo di leader, abbia ispirato alla sua gente, e in modo particolare ai giovani, un forte senso di identità tribale.
Tutto il suo popolo giunse a percepire di essere parte di una nazione unificata, piuttosto che un conglomerato di bande o clan. Egli aveva dato loro un obiettivo: la difesa dei loro diritti tribali nella loro madreterra.
Come molti grandi leader rivoluzionari americani, Osceola rischiò di dimostrarsi sciovinista guidando la sua gente verso questo obiettivo, ma era profondamente sincero. Egli pensava che fosse molto importante che agli indiani venisse restituita la loro condizione umana.
Prima di essere guidati da Osceola, i guerrieri Seminole e i loro capi erano stati umiliati dall’uomo bianco, accettando il suo aiuto sotto forma di cibo e denaro, sentendosi così in debito per questo. Benché Osceola non riuscì a cancellare completamente questa dipendenza, la ridusse drasticamente.

La cattura
Nel 1837, le battaglie e le schermaglie proseguirono sotto il comando del generale Jesup. Durante uno scontro gli uomini di Jesup presero d’assalto il quartier generale di Osceola e catturarono cinquantacinque dei suoi uomini; cinquantadue dei quali erano neri. Osceola, tuttavia, sfuggì al generale Jesup, il quale stava subendo forti pressioni dai ricchi padroni degli schiavi affinché proteggesse la loro terra, e dal governo statunitense al fine di concludere quella guerra troppo costosa.


Osceola prigioniero dei soldati bianchi
Il 6 marzo 1837, le parti in guerra firmarono un trattato che garantiva ai Seminole il diritto di “tenere i loro negri, dei quali potevano considerarsi, in buona fede, i legittimi proprietari, e accompagnarli verso ovest”.
Tuttavia, Jesup sentì che avrebbe potuto adottare una strategia militare mirata ad interrompere l’alleanza razziale che si era creata, anche perchè egli credeva che “i negri dominassero gli indiani”. Verso la fine del 1837, il cappio si stava stringendo intorno al collo dei Seminole, ma l’intera nazione non mostrava alcuna volontà di arrendersi. I guerrieri che erano fermamente decisi a combattere, si raccolsero intorno a Osceola e ad un altro capo guerriero, capo Gatto Selvatico.
Durante gli ultimi mesi del suo incarico, Jesup fece ricorso all’inganno e al sotterfugio, catturando anche degli ostaggi. Egli prese il padre e il fratello di Gatto Selvatico, King Philip e John Philip, e usò la loro cattura per forzare i negoziati con Gatto Selvatico. Quando quest’ultimo giunse per ottenere il rilascio dei suoi parenti, Jesup lo costrinse a recarsi dagli altri leader seminole per convincerli a negoziare con i bianchi il loro traferimento.
Per recarsi all’incontro con il generale Jesup, Osceola indossò i suoi abiti da cerimonia, e, soffermandosi a salutare un vecchio amico, pronunciò queste parole “Potremmo non vederci più”.
La conferenza si teneva a Fort Peyton, che si trovava a circa otto miglia a sud di St. Augustine, in Florida. Osceola giunse all’appuntamento accompagnato da un gruppo di circa settanta guerrieri, seguiti da mogli e figli. Al suo fianco camminava un guerriero che portava una bandiera simbolo di armistizio. Ad attendere la delegazione indiana vi era il rappresentante di Jesup, il generale Hernandez, alla testa di duecento soldati. Non appena Osceola si avvicinò, il generale avvertì un senso di pericolo. Hernandez iniziò a domandare a Osceola se gli altri leader seminole si fossero riuniti in consiglio, e se avessero deciso di trasferirsi in Oklahoma nelle terre che erano state loro assegnate dal governo USA.
Osceola fu sorpreso dalle parole di Hernandez, e si domandò perchè gli altri capi seminole non gli avessero parlato di questa opportunità, e soprattutto perché avessero deciso di arrendersi. Confuso, egli mormorò qualcosa sottovoce che venne interpretato come “Mi sento soffocare… non riesco a rispondere a questa domanda…”.


Osceola cammina guardato a vista dai soldati
A quel punto, il generale Hernandez sollevò bruscamente un braccio in un segnale prestabilito; i suoi uomini circondarono immediatamente gli indiani, li disarmarono e li fecero prigionieri.
Osceola venne afferrato così violentemente tanto da cadere a terra.
Il generale Jesup, che aveva organizzato questa sleale cattura ai danni di un popolo che portava una bandiera di armistizio, arrivò quando Osceola e i suoi guerrieri stavano marciando verso St. Augustine sotto la sorveglianza dei soldati.
Osceola camminava in silenzio tra due file di soldati, il suo volto era impietrito dal dolore e i suoi occhi bruciavano di collera e di odio.
Un soldato eccitato galoppò verso la città per annunciare agli uomini di stanza a Fort Marion che i prigionieri erano in arrivo. La notizia passò di casa in casa: “Osceola è stato catturato! Lo stanno portando al forte. È stato preso su ordine di Jesup nonostante la bandiera di armistizio”.
Osceola e i suoi guerrieri furono portati nel cortile di Fort Marion, un vecchio castello spagnolo, e rinchiusi in una cella. Da quel momento erano ufficialmente prigionieri.

La malattia e la morte
In seguito alla sua sleale cattura e alla sua prigionia a Fort Marion, Osceola, insieme alle sue due mogli, ai suoi figli e a circa 250 indiani, venne trasferito e imprigionato a Fort Moultrie, a Charleston, in South Carolina. Fort Moultrie in origine era chiamato Fort Sullivan dal nome dell’isola sulla quale si trovava.
Ancora un primo piano di OsceolaIl 1 gennaio 1838 il folto gruppo arrivò sull’isola a bordo del piroscafo Poinsette; tra gli altri vi era anche il dottor Frederick Weedon, che si era recato a Charleston su richiesta di Osceola, e che lo seguì durante il periodo della sua malattia, dal 26 al 30 gennaio 1838.
Secondo il dottor Weedon, il 26 gennaio egli venne svegliato ed esortato da un interprete indiano ad occuparsi di Osceola. Quando il dottor Weedon giunse dal paziente, egli giaceva a terra disteso sulle sue coperte di fronte al debole fuoco del camino. Accanto vi erano le sue due mogli e due dei suoi figli. Il medico diagnosticò immediatamente ad Osceola un violento attacco di tonsillite. Queste le sue indicazioni: “Egli ha notevoli difficoltà di deglutizione e di respirazione, accompagnate da forti dolori e da una seria infiammazione alle tonsille. Per prevenire il soffocamento e il dolore è necessario sistemare il paziente in posizione eretta. Le pulsazioni sono molto veloci. Ordino un prelievo di sangue immediato e prescrivo un emetico (una sostanza che induce il vomito)”.


Vista sul cortile di Fort Marion
Il dottor Weedon proseguì “In quel momento un indiano entrò nella stanza, e, solo successivamente, io seppi che quella persona godeva di alta considerazione in qualità di profeta e dottore. Subito egli rifiutò ogni approccio con il paziente, trovandosi escluso dalla ricerca di rimedi adeguati, delegando a me tutte le responsabilità del caso. Io chiesi al professor B.B. Strobel, chirurgo e professore di anatomia al Charleston Medical College, di visitare il paziente insieme a me. Il dottor Strobel acconsentì e fece di tutto per convincere Osceola a sottoporsi a trattamenti medici come la scarificazione (che consiste nel praticare numerosi piccoli tagli superficiali sulla cute del paziente), il salasso e altri, ma egli rifiutò”.
Il 29 gennaio Osceola disse addio al pittore George Catlin che era diventato suo amico. Più tardi chiese al dottor Weedon di descrivere gli ultimi attimi della sua vita all’amico Catlin che era dovuto partire per Filadelfia. Il 30 gennaio Osceola realizzò di essere giunto al termine della propria esistenza, e sebbene non potesse parlare, chiese (usando i segni) al dottor Weedon di radunare i capi e gli ufficiali del forte. Chiese quindi alle mogli (sempre usando i segni) di portargli gli abiti che indossava in guerra, così da poter ricevere gli ufficiali vestito in modo adeguato.


La cella di Osceola a Fort Marion
Egli si alzò e si vestì di tutto punto, ponendo particolare attenzione a tutti i dettagli e agli accessori, indossando i gambali, i mocassini, la cintura da guerra, la cartucciera, il corno per la polvere da sparo ecc… e sistemando il suo coltello accanto a sé sul pavimento. Si applicò, con molta difficoltà, la pittura rossa da guerra che per tradizione veniva utilizzata prima della battaglia, e ripose il coltello dentro la cintura. Vestito così, egli rimase sdraiato per qualche minuto per riprendere le forze prima di sedersi, per dire addio al dottor Weedon, ai capi indiani, agli ufficiali del forte, alle sue mogli e ai suoi figli.
Quando tutti furono riuniti accanto a lui, Osceola sorrise e strinse la mano ad ognuno di loro. Poco dopo venne accompagnato verso il suo letto, dove si coricò dopo essersi tolto la cintura da guerra e il coltello. Subito egli afferrò il coltello con la mano destra e lo appoggiò sul torace. Un attimo dopo, Osceola accennò un sorriso, ed esalò in silenzio il suo ultimo respiro.
Il 31 gennaio 1838, il giorno dopo la sua morte, ebbero luogo le esequie militari. La sua salma fu accompagnata da due dottori, dagli indiani Seminole con tutti i loro capi, dagli ufficiali locali, e da un distaccamento di truppe navali venute da Charleston nonostante il mare grosso, che avevano trasportato anche gente comune che desiderava essere presente al funerale di Osceola. Molte persone rimasero immobili nonostante il freddo vento salato, chinando il capo quando i soldati spararono a salve per l’ultimo saluto ad un prode e valoroso guerriero.


La lapide che ricorda Osceola
Osceola fu sepolto a Sullivan Island vicino al forte dove morì. Sulla lastra di marmo accanto alla sua tomba si legge:

OSCEOLA
PATRIOTA E GUERRIERO
MORTO A FORT MOULTRIE
30 GENNAIO 1838

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