“Volevo essere un eroe”. Il caso di Molti Cavalli

Miles fu sostanzialmente d’accordo e diede ordine di non consegnare Molti Cavalli alle autorità civili, facendo allo stesso tempo delle aperte allusioni alla necessità di un’azione energica contro gli assassini di Code Scarse. Miles riportò inoltre i fatti al procuratore distrettuale Sterling che, dopo un’indagine, concluse che l’omicidio di Code Scarse era sottoposto alla giurisdizione statale.
Temono I Suoi Cavalli il Giovane
I burocrati della contea di Meade protestarono, affermando che per motivi finanziari sarebbe stato loro impossibile intentare un dispendioso processo nei confronti dei Culbertson, ma voci critiche ribatterono che in realtà si temeva l’opinione pubblica che non avrebbe potuto accettare l’incriminazione di alcuni bianchi per l’omicidio di un indiano. Un potente capo Oglala, Temono i Suoi Cavalli il Giovane, suggerì una soluzione molto semplice e diretta per fare giustizia in entrambi i casi. Quando gli chiesero di consegnare Molti Cavalli e un altro indiano accusato dell’omicidio di un bianco, il capo rispose: “No, non ve li consegnerò: ma se mi porterete quei bianchi che hanno ucciso Code Scarse, io vi porterò l’indiano che ha ucciso il soldato bianco e quello che ha ucciso il mandriano. Poi, proprio qui davanti alla vostra tenda, dirò ai miei giovani guerrieri di sparare ai due indiani e voi ordinerete ai vostri soldati di sparare a quei bianchi. Così metteremo fine a tutta questa faccenda. Sono uomini malvagi sia gli uni che gli altri.”
Con riluttanza, il procuratore di stato della contea di Meade incriminò i fratelli Culbertson. Il procuratore generale degli Stati Uniti ordinò a Sterling di fornigli assitenza legale federale, il generale Miles consegnò le prove raccolte dagli investigatori militari, che inchiodavano senza scampo i Culbertson, e l’Ufficio per gli Affari Indiani acconsentì a pagare le spese di viaggio per i testimoni indiani. Il processo ai Culbertson fu fissato per il 12 maggio, anche se fu poi rimandato. Era questa la situazione quando il 27 marzo il generale Miles ordinò che Molti Cavalli fosse consegnato al capo della polizia per gli Stati Uniti nel South Dakota, in attesa del processo che si sarebbe tenuto nella corte di distretto federale di Sioux Falls.
Trascorse così anche marzo, e ad aprile Molti Cavalli, che non aveva ancora un avvocato difensore, era così sconfortato che quelli che lo visitarono nella sua cella di Fort Meade temettero un suo gesto disperato. Sia Molti Cavalli che suo padre, Orso che Vive, avevano più volte scritto a John H. Burns, un avvocato di Deadwood conosciuto come amico degli indiani, implorandone l’aiuto. Burns non poteva però pemettersi di accettare l’incarico senza alcun compenso, e l’accusato e la sua famiglia non avevano la possibilità di racimolare la somma (tra i trecento e i cinquecento dollari) che Burns riteneva necessaria. Burns, insieme al tenente colonnello Edwin V. Sumner, comandante a Fort Meade, scrisse allora a un’organizzazione di Philadelphia, l’Associazione per i Diritti degli Indiani ed espose la situazione di Molti Cavalli. A sua volta il segretario dell’associazione incaricato della corrispondenza, Herbert Welsh, provò vanamente a richiedere un difensore all’Ufficio per gli Affari Indiani; ottenne però duecento dollari prelevati dai fondi dell’associazione stessa. Anche così, la somma non fu sufficiente per Burns, ma consentì a Molti Cavalli di assicurarsi i servizi di due giovani e abili avvocati di Sioux Falls, George P. Nock e D.E. Powers.


Sioux Falls

Le formalità immediatamente precedenti al processo furono sbrigate durante la seconda settimana di aprile presso il tempio massonico di Sioux Falls, che ospitò la corte federale in città. Un particolare curioso: data l’importanza della causa, la corte fu presieduta da ben due giudici, Edgerton e Shiras. L’accusa fu sostenuta dal procuratore distrettuale Sterling. I giudici vanificarono gli sforzi degli avvocati Nock e Powers, che tentarono di far chiudere il caso, ascoltarono la dichiarazione di non colpevolezza di Molti Cavalli e fissarono la data del processo per il 23 aprile.
Il primo giorno del processo si respirava un’aria di festa a Sioux Falls. Il vasto interesse di pubblico aveva fatto riversare in città un gran numero di spettatori speranzosi. Rudi pionieri con i loro caratteristici cappelli a tesa larga e le pistole appese ai cinturoni si mischiavano con agricoltori, gente di città e corrispondenti dei giornali dell’Est. L’aula improvvisata scoppiava di gente e anche i due sceriffi che sorvegliavano l’ingresso si ritrovarono quasi schiacciati dalla calca. L’attenzione generale era tutta per Molti Cavalli. Senza dare il minimo segno di emozione, il giovane sedeva avvolto in una coperta blu scolorita che copriva una dozzinale camicia rossa e un paio di pantaloni consunti. Ai piedi aveva dei semplici mocassini e i capelli erano pettinati in due trecce avvolte da strisce di flanella che gli ricadevano sul petto.


Orso Che Vive, padre di Molti Cavalli

Suo padre, Orso che Vive, era palesemente più emozionato e diede segni commoventi del suo amore per il figlio e del dolore nel vederlo in quella situazione: ogni mattina seguiva puntualmente i due agenti che scortavano il giovane fino all’aula di tribunale e la sera faceva con loro il percorso inverso, dal tribunale fino al carcere dove era rinchiuso Molti Cavalli. La pittoresca sfilata dei testimoni, che alloggiavano al Merchants’ Hotel, suscitò anch’essa vivo interesse. Luna Bianca e Strada Rocciosa, impettiti nelle loro uniformi blu decorate con bottoni d’ottone e rifiniture bianche, non fecero alcuno sforzo per nascondere l’odio che provavano per l’assassino di Grande Naso. Spiccavano anche il corpulento Pete Richard, Braccio Rotto, Orso che Giace e l’Oglala Cane Maschio.
Il secondo giorno del processo fu organizzato un ricevimento per gli ospiti indiani, che si trasformò in una patetica reminiscenza del declino e delle glorie passate di quegli antichi, potenti signori delle praterie del passato. In un recinto all’estermo della città erano rinchiusi diciassette bisonti, i miseri resti di quei milioni di animali che una volta fornivano ai Sioux tutte le materie prime loro necessarie e che avevano dato un contributo vitale alla nascita delle loro istituzioni politiche e sociali e alle loro credenze spirituali. L’ultima delle grandi mandrie era stata distrutta quasi dieci anni prima, e la vista delle poche bestie scampate suscitò un’enorme gioia negli indiani, che si misero a saltare come bambini eccitati. Braccio Rotto e Cane Maschio arrivarono ad arrampicarsi sulla staccionata e cercarono di abbracciare gli animali, che però li scaraventarono via con un brusco movimento del capo. Gli indiani allora, come scrisse un reporter dell’epoca “…saltellarono via a rischio della vita e in generale si comportarono così familiarmente con i bisonti che le bestie cominciarono a guardarsi intorno, quasi sbalordite da quanto stava accadendo”.
La strategia della difesa si rivelò subito nella scelta dei giurati e mantenne una linea coerente anche nel confronto tra i testimoni d’accusa e gli interrogatori di quelli per la difesa. Nock e Powers cercarono di dimostrare che l’esercito e i Sioux, e nel caso specifico Casey e Molti Cavalli, si erano reciprocamente considerati come parti belligeranti di un conflitto in corso e perciò uccidere un nemico in stato di guerra non poteva essere considerato un reato sottoposto alla giurisdizione civile. L’accusa, dal canto suo, contestò l’ammissibilità di prove basate sullo stato d’animo dei Sioux e le condizioni dell’accampamento di No Water. I giudici non riuscirono a risolvere la questione in modo definitivo: stabilirono infatti che la corte aveva piena giurisdizione sul caso, ma che le prove circa il fatto che ci fosse stata una guerra in corso all’epoca dei fatti potevano essere accettate in modo generale come circostanza attenuante.
Dopo tre giorni di interrogatori dei testimoni, si ebbe la prova inconfutabile che era stato Molti Cavalli a sparare il colpo fatale, ma si arrivò anche all’equa conclusione che, dopo i cruenti fatti di Wounded Knee, gli indiani dell’accampamento di No Water si erano considerati in guerra contro i soldati bianchi.


Testimoni al processo

Paradossalmente, il personaggio principale del processo non ebbe quasi parte in esso: Molti Cavalli rimase per tutto il tempo seduto, impassibile e privo di espressione, senza tradire emozione alcuna. Parlava pochissimo e soltanto con Nock e Powers. Quasi sicuramente non si rendeva conto di quanto stava accadendo. Una volta, nonostante il procuratore distrettuale lo stesse attaccando energicamente, espresse persino ammirazione per lo stile oratorio di Sterling. È quasi certo che Molti Cavalli considerasse tutto il processo come una specie di rituale che i bianchi dovevano rispettare prima di passargli un cappio intorno al collo e impiccarlo.
Il culmine di tutta l’ironia circa la strana mancanza di coinvolgimento di Molti Cavalli nel suo stesso processo fu raggiunto il 28 aprile, quando Nock e Powers chiamarono l’accusato al banco dei testimoni. Gli altri testimoni indiani si erano serviti dell’interprete e Philip Wells, per lo stesso scopo, ripetè il giuramento insieme a Molti Cavalli. Il procuratore distrettuale Sterling tuttavia si oppose all’uso dell’interprete, sostenendo che l’accusato aveva studiato a Carlisle per cinque anni. Il giudice Edgerton accolse l’obiezione. Nock ribattè animatamente che, per esprimere in modo accurato i fatti essenziali per la sua difesa, Molti Cavalli avrebbe dovuto parlare nella sua lingua madre. Risentito, il giudice Shiras sostenne l’autorità del suo collega. “Allora ci rifiutiamo di far testimoniare Molti Cavalli”, dichiarò Nock, “e dichiariamo il caso chiuso”.
Molti Cavalli al processo
Sbigottita, la folla uscì in file silenziose dall’aula. “Volevo soltanto dir loro che non sono colpevole di omicidio”, disse Molti Cavalli mentre veniva condotto fuori. “Ma per me va bene anche se non vogliono starmi a sentire. Probabilmente è meglio così”.
Il giorno successivo, dopo eloquenti e appassionate requisitorie da parte dell’accusa e della difesa, il giudice Shiras si rivolse alla giuria. Anche se i Sioux non costituivano una nazione indipendente e non avevano perciò l’autorità per dichiarare guerra, potevano tuttavia effettivamente avviare le ostilità nei confronti di un altro stato. Se quindi i giurati ritenevano che in quel caso una guerra, anche se non “legalmente” valida, ci fosse in effetti stata, allora avrebbero dovuto assolvere l’imputato. Se invece ritenevano che non ci fosse stata alcuna guerra in corso e che Molti Cavalli avesse sparato a Casey con animosità e premeditazione, allora avrebbero dovuto dichiararlo colpevole di omicidio. In questo secondo caso, se l’omicidio fosse stato perpetrato senza alcuna premeditazione e in condizioni di profondo sconvolgimento mentale, nel verdetto si sarebbe dovuto parlare di omicidio preterintenzionale. La giuria, composta in gran parte di agricoltori di media intelligenza, si riunì per tutta la notte e finalmente, il 30 aprile a mezzogiorno, confessò di essere ancora a un punto morto. Alla ventitreesima votazione si era ancora fermi al risultato della prima: sei voti a favore dell’accusa di omicidio e sei a favore di quella di omicidio preterintenzionale. Una giuria divisa, dunque, anche se indubbiamente erano tutti concordi circa la colpevolezza di Molti Cavalli.
Quando la giuria fu congedata, Molti Cavalli rimase seduto, senza esprimere alcuna emozione, proprio come aveva fatto per tutta la durata del processo. Suo padre Orso che Vive, che aveva trascorso la mattinata camminando su e giù per il corridoio e chiedendo in continuazione a uno degli sceriffi come si stavano mettendo le cose, si fece largo tra la folla fino all’avvocato Nock, e, con le lacrime che gli scorrevano giù per il viso, gli strinse energicamente la mano esprimendogli tutta la sua gratitudine. Più tardi anche Molti Cavalli si rilassò un poco. Avrebbe dovuto affrontare un altro processo, ma ora comprendeva che non si trattava più di una semplice formalità da sbrigare prima di farsi condurre alla forca. “La notte scorsa pensavo che mi avrebbero di sicuro impiccato” disse “Ma ora sento che non sarà così. Mio padre è di nuovo felice”.


Persone che presero parte al processo

Il secondo processo si aprì nella stessa aula il 23 maggio, e vi presero parte gli stessi personaggi, inseriti in un copione molto simile a quello del primo. Molti Cavalli, pallido ed emaciato per la lunga reclusione, seguì lo svolgimento del processo impassibile come sempre. Indossava una sgargiante camicia rossa e un fazzoletto da collo giallo, dono di un ammiratore, dava un’ulteriore nota di colore al suo aspetto. Braccio Rotto, Orso che Giace, Cane Maschio e gli scout Luna Bianca e Strada Rocciosa ripeterono il loro racconto, mentre il vecchio capo Cavallo Americano, abile ed eloquente, descrisse le condizioni dei Sioux dopo i fatti di Wounded Knee. La difesa riuscì inoltre ad incastrare Luna Bianca, facendolo cadere in diverse contraddizioni. Lo scout, umiliato, si comprò un coltello a serramanico e si chiuse nella stanza d’albergo occupata da Cane Maschio e Vestito di Donna. Quando i due Sioux tornarono nella loro camera dopo pranzo, trovarono Luna Bianca sdraiato sul letto inzuppato di sangue, con il coltello affondato nel petto fino al manico. Fu chiamato d’urgenza un dottore che gli impartì le prime cure; il giorno successivo le condizioni di Luna Bianca erano già migliorate e si potè farlo salire su un treno che lo ricondusse a casa sua, nel Montana.

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