La storia di Metacomet, Re Filippo

Il 15 dicembre i guerrieri Narraganset attaccarono una vicina guarnigione, nota come “Bull’s Garrison” e massacrarono almeno 15 persone di nazionalità inglese. Una di queste, un ragazzo di 15 anni di nome James Eldred, scampò alla strage con una fuga tormentata, che incluse anche il lancio di un tomahawk che lo sfiorò e l’incontro ravvicinato con un guerriero Narraganset.
Filippo si era grandemente fortificato a South Kingston, in Rhode Island.
I Narraganset invece si erano asserragliati sulla posizione sopraelevata di una grande palude, la Great Swamp. Qui avevano eretto circa 500 wigwams costruiti in modo particolarmente robusto, in cui fu depositata un’abbondante scorta di provviste. Si suppone che almeno tremila persone avessero preso dimora in questo villaggio per l’inverno. L’armata destinata ad attaccare questa postazione, a causa di una grande nevicata e dell’infierire di un freddo intenso, sprecò molto tempo nel cercare di raggiungere il forte. Il 19 dicembre gli Inglesi arrivarono sul posto, grazie alle informazioni di una guida nativa, Indian Peter. I coloniali riuscirono a raggiungere il forte perché un improvviso calo della temperatura aveva fatto ghiacciare la palude, rendendo possibile l’assalto.


Incontro fra i Narragansett e il teologo Roger Williams (nel 1637) – stampa

A causa dell’assoluta mancanza di approvvigionamenti degli assediati, sarebbe stato indispensabile un attacco immediato. Nessun Inglese, comunque, era a conoscenza di questa situazione ed era assai piccola la probabilità che gli attaccanti avrebbero potuto tentare qualcosa contro l’accampamento.
C’era solo un punto dove la fortificazione poteva essere attaccata con una qualche possibilità di successo, ed questo era rinforzato da un ulteriore fortino posto proprio di fronte all’ingresso. Il tutto era protetto da alte palizzate e un enorme ammasso di tronchi d’albero lo circondava da tutti i lati. Tra il forte e lo spazio antistante vi era un canale pieno d’acqua, che si sarebbe potuto attraversare solo passando su un grande tronco d’albero che era gettato tra le due rive. Il posto aveva l’aspetto di un forte formidabile, che presentava enormi difficoltà di avvicinamento. Avvicinandosi al punto, i soldati inglesi, cercando di passare sul tronco d’albero in fila indiana (il solo modo possibile), furono subito presi d’infilata dal fuoco nemico. E sempre altri, condotti dai loro comandanti, prendevano il posto dei caduti. Anche questi subivano lo stesso fuoco spaventoso, con gli stessi effetti fatali.
I tentativi furono ripetuti, finché sei capitani e un gran numero di uomini caddero uccisi. Ci fu uno stallo momentaneo, di ritiro di fronte alla morte certa. Comunque per la precisione, il capitano Mosely riuscì ad entrare nel forte, con un piccolo gruppo di uomini. Cominciò una lotta terribile. Mentre questi combattevano corpo a corpo con gli Indiani, un considerevole numero di loro commilitoni fece irruzione nel forte. Gli assalitori non avevano la forza sufficiente a scacciare il nemico dalla fortificazione principale, ma il capitano Church, che stava operando in aiuto a Winslow, alla testa di un reparto di volontari, aveva nel frattempo aggirato il forte e raggiunto la palude sul retro, da dove aprì un fuoco distruttivo sulla parte posteriore del forte, in cui stava un gruppo di retroguardia indiano. Attaccati così da diverse direzioni, i guerrieri alla fine furono costretti a ritirarsi e a rifugiarsi nella foresta.
Le logge degli Indiani, contro il parere di alcuni ufficiali che pensavano sarebbe stato meglio che i soldati sfiniti e feriti fossero lì alloggiati per riposare un po’ di tempo, vennero incendiate. In pochi momenti ogni cosa all’interno del forte fu avvolta dalle fiamme e si verificarono scene d’orrore. Parecchie centinaia di Indiani cospargevano il terreno da ogni parte: circa trecento infelici fra donne e bambini per sfuggire alle fiamme correvano in ogni direzione lanciando urla lamentose; molti dei feriti, come pure i vecchi senza aiuto, furono visti bruciare vivi, aggiungendo all’orrore della scena le loro grida d’agonia. Da informazioni acquisite in seguito da un capo Narraganset, venne accertato che nel forte perirono almeno settecento guerrieri, più altri trecento che morirono in seguito alle ferite riportate.


La battaglia nella palude di Great Swamp – stampa

Dopo la distruzione del luogo, al tramonto Winslow cominciò la marcia verso Pettyquamscott in mezzo a una tempesta di neve, portandosi dietro la maggior parte dei morti e dei feriti, giungendo a destinazione poco dopo mezzanotte. Molti, vittime di ferite probabilmente non mortali, sopraffatti dal freddo morirono nella marcia; il giorno dopo in 34 vennero sepolti in una fossa comune. Molti erano rimasti gravemente assiderati e in quasi quattrocento talmente invalidati da risultare inabili al servizio. Il numero totale di morti e feriti fu di circa duecento.
Molti guerrieri con le loro famiglie riuscirono a rifugiarsi nella palude ghiacciata, ma morirono a centinaia per le ferite e le rigide condizioni climatiche. Trascorso un inverno con scarsità cibo e di rifugi, i sopravvissuti della tribù Narraganset furono costretti alla quasi neutralità, anche se qualcuno tentò di continuare la guerra unendosi alle forze di Filippo.
Nel gennaio del nuovo anno, il 1676, Filippo compì un viaggio nel territorio dei Mohawks, per cercare di assicurarsi la loro alleanza contro gli Inglesi, ma non ottenne alcun risultato.
Il 27 gennaio 1676 i Narraganset, infuriati contro gli Inglesi, attaccarono Pawtuxet, nel Rhode Island. Allora l’esercito di Winslow si mise all’inseguimento dei Narraganset, solo per subire una serie di attacchi improvvisi, finendo per rimanere senza vettovaglie e doversi cibare dei propri cavalli. Il 3 febbraio Winslow desistette e rimandò gli uomini alle loro sedi, ponendo fine ad un inseguimento passato alla storia come “la marcia della fame”. Nel frattempo Filippo si era portato a New York, per cercare di attirare i Mahican alla sua causa, venendo ricevuto con tutti gli onori nel loro villaggio di Schaghticoke, a nord di Albany. Pare che riuscisse a reclutare un considerevole numero di guerrieri Mahican, variabile da 400 a 2100. Sebbene il governatore di New York, Andros, fosse generalmente in buoni rapporti con le tribù native, temeva che la guerra del New England si sarebbe estesa alla sua colonia. Di conseguenza incoraggiò i Mohawk, tradizionali nemici dei Wampanoag, ed altre tribù, ad attaccare Filippo. I Mohawk attaccarono in febbraio, uccidendo circa 500 guerrieri di Filippo. Questi sopravvisse alla battaglia e tornò nel New England.


La Guardia del Massachusetts, fondata nel 1637

La cittadina di Lancaster aveva subito un’incursione indiana nell’agosto del 1675. Si era trattato di poco più che una scorreria. Nel febbraio 1676 l’assalto si ripeté, più terribile e sanguinoso. Si era nel pieno dell’inverno e la maggior parte delle truppe coloniali, esauste dopo l’ultima campagna, si trovavano nelle loro case o nei quartieri invernali. Qualche casa era stata fortificata, ma la gente non vigilava molto, supponendo che l’inclemenza del tempo avrebbe tenuto calmi gli Indiani fino all’avvento della prossima primavera. In questo fecero un grande errore. I Nativi che vivevano in città, in numero di una trentina famiglie, per un totale di 150 – 180 persone, erano ora alleati di Filippo. Grazie alla loro conoscenza dei luoghi e dei sentieri, gli Indiani poterono organizzare un piano d’attacco.
La sera del 9 febbraio la gente si ritirò per il riposo, lasciando forse qualcuno di sentinella. E’ certo che, nella prima mattinata del 10, Re Filippo, seguito da 1500 guerrieri Wampanoag, Narragnaset e Nipmuc, lanciò un attacco feroce contro Lancaster. Il paese fu investito da punti differenti, dei quali solo tre si conoscono con certezza: il primo era Wattoquoddoc, dove vennero uccisi Richard Wheeler, possessore di un fortino, e Jonas e John Fairbanks; il secondo punto di aggressione fu la fortificazione di Prescott, non lontano dal vecchio mulino, dove fu ucciso Ephraim Sawyer, mentre Henry Farrar, un certo Ball e sua moglie vennero trucidati più lontano; l’attacco principale venne portato all’abitazione del reverendo Rowlandson, la casa fortificata più centrale, vulnerabile da un solo lato. Qui si erano rifugiate molte persone del vicinato in cerca di protezione, mentre altre erano andate in altre case fortificate o si erano rifugiate nei boschi e nelle paludi. I guerrieri avevano divelto le assi del ponte per prevenire la fuga da quella parte. C’erano almeno 42 persone, giovani e vecchie, maschi e femmine, nella casa di Rowlandson. La casa era difesa sul davanti (che guardava a sud) e sui due lati, mentre non c’era copertura sul retro, poiché da quella parte non c’erano aperture.
Quando si scatenò l’attacco, la casa venne difesa per più di due ore con valore e determinazione. Gli Indiani, dopo parecchi tentativi inutili di incendiare la costruzione, riempirono un carro con materiale combustibile e si avvicinarono dal lato posteriore, indifeso. In questo modo la casa fu in breve avvolta dalle fiamme. Secondo la ricostruzione successiva della signora Mary Rowlandson, moglie del reverendo, «gli Indiani si erano fermati nella vicinanze della casa per circa due ore, prima di appiccare il fuoco. Il nemico, da dietro il granaio, dalle alture o da ogni riparo non perdeva occasione per sparare sui difensori, se solo si avvicinavano alle finestre. Le pallottole sembravano grandinare». Presto un uomo venne ferito, poi un altro e un altro ancora. Un coraggioso si avventurò fuori e spense le fiamme dal materiale contenuto nel carro, ma ormai il fuoco si era trasmesso alla casa. I combattenti lo avevano sopra la testa, e «i sanguinari pagani erano pronti a colpire chiunque avesse messo fuori la testa». Le donne e i bambini erano fuori di sé; la signora Rowlandson ricorda: «presi i miei figli e una delle mie sorelle per cercare di uscire all’aperto; ma appena raggiungemmo la porta e facemmo capolino, gli Indiani aprirono un fuoco così intenso che le pallottole crepitavano sulla casa, come se qualcuno ci tirasse mucchi di pietre con le mani, per cui fummo costretti a tornare indietro». I loro sei robusti cani, altre volte sempre coraggiosi e pronti ad aggredire un nemico, avevano perso tutto lo spirito e non si mossero.
Il fuoco sul retro aumentava di intensità, per cui tutti furono costretti ad uscire all’aperto, dove gli Indiani li aspettavano, ansiosi di sparare su di loro. Subito il fratello del reverendo, Thomas Rowlandson, che già era stato colpito al collo quando era ancora nella casa, cadde ucciso al suolo, dopo di che il nemico urlante si precipitò su di lui e gli strappò di dosso gli abiti. Una pallottola attraversò il fianco della signora Rowlandson, e colpì al ventre sua figlia di sei anni, dopo esserle passata attraverso una mano. Il figlio di una sua sorella, moglie di Henry Kerley, riportò la rottura di una gamba quando gli Indiani lo colpirono sulla testa.


Il raid contro Lancaster – incisione (Boston 1771)

«Così – continua il racconto – noi fummo scannati da questi pagani senza pietà, mentre ce ne stavamo stupefatti con il sangue che ci scorreva sui piedi. La mia sorella più vecchia era ancora nella casa, osservando questa vista infelice, con questi infedeli che trascinavano le madri da una parte e i figli dall’altra, qualcuno sguazzando nel proprio sangue. Il figlio più grande le comunicò che l’altro figlio William era morto, al che lei disse:” Signore, fammi morire con loro”. Non aveva ancora finito di dirlo, che venne colpita da una pallottola, cadendo morta sulla soglia. Poi gli Indiani ci afferrarono, spingendo me da una parte e i bambini dall’altra. Di tutti gli occupanti della casa, solo uno, Ephraim Roper, riuscì a fuggire. Dodici furono uccisi, qualcuno a colpi di fucile, qualcuno trapassato con la lancia e altri colpiti alla testa con l’accetta. Uno fu colpito alla testa, denudato e trascinato avanti e indietro. Denudati furono anche tutti i morti, da una compagnia di malvagi, che ruggivano, gridavano, cantavano e insultavano come se avessero voluto strapparci il cuore dal petto».
Tutti i resoconti parlano del grande valore dei difensori. Uno scrittore riferisce che ben otto uomini sacrificarono la vita nel tentativo di salvare la signora Rowlandson. I dati reali affermano che dieci o dodici uomini, con donne e bambini, si erano rifugiati nella guarnigione con la famiglia Rowlandson e che tutti gli uomini perirono, con una sola eccezione. Gli altri vennero messi a morte sul posto o vennero tenuti in vita per la tortura. La moglie di Ephraim Roper fu uccisa in un tentativo di fuga; Mary Rowlandson e un’altra sua sorella (signora Drew) furono prese prigioniere, come la moglie di Abraham Joslin e un’altra ventina fra donne e bambini, allo scopo di ottenere un riscatto.
La battaglia era finita. Non è noto quanti Indiani rimasero uccisi, ma si suppone fossero molti, ed anche i feriti. I restanti, che erano numerosi, cominciarono subito a saccheggiare le case, privare i morti degli abiti. Fu portato via anche tutto il bestiame che era possibile.


La cattura di Mary Rowlandson in un famoso dipinto

Mary Rowlandson era ferita, e portava in braccio suo figlio, a sua volta ferito. Il bambino morì il 18 febbraio e venne sepolto su una collinetta dagli Indiani. Di sua sorella si prese cura uno dei guerrieri, dal quale apprese che suo figlio era prigioniero in un altro accampamento. Le fu permesso di vedere i suoi bambini e le fu pure consegnata una Bibbia, quando chiese di averla. Dopo molti altri spostamenti con gli Indiani, il 2 maggio 1676 Mary venne infine riscattata per la somma di 20 sterline a Redemption Rock.
Temendo l’arrivo di truppe da Marlborough, dopo il massacro gli Indiani si mossero prima di notte verso la sommità della George Hill. Qui passarono le ore dell’oscurità in festeggiamenti selvaggi: i prigionieri vennero tenuti svegli dai canti e dalle grida dei vincitori; e, secondo il racconto di uno scrittore, anche dai lamenti di alcune delle vittime, moribonde. Ai tronchi che erano stati presi dalle case vennero legati gli uomini presi prigionieri e poi venne appiccato il fuoco. Quando Rowlandson, il capitano Kerley e Drew, tutti cognati fra loro, che erano andati in cerca di aiuti presso le autorità di Boston, tornarono a Lancaster, si presentò ai loro occhi una scena orribile. Le loro abitazioni erano state date alle fiamme. Trovarono la moglie di uno di loro bruciata fra le rovine, mentre quelle degli altri due erano nelle mani degli Indiani, e certamente stavano facendo un viaggio disagevole nella foresta nel mezzo dell’inverno, entrambe patendo la fame o sopravvivendo cibandosi delle frattaglie più disgustose, separate una dall’altra, e con nessun’altra prospettiva che la morte o una prigionia senza speranza…


Mary Rowlandson – stampa

I sopravvissuti rientrarono, trovando riparo in due vicine case fortificate, con ciò che avevano potuto recuperare in provviste, grano e bestiame. Essi mandarono una petizione al governatore e al consiglio del Massachusetts, richiedendo che “una forza di uomini con carri dovrebbe essere comandata per Lancaster, per rimuovere il nemico da una posizione per lui sicura…La nostra condizione è veramente deplorevole per la nostra incapacità di sopravvivere: poiché non lo possiamo scacciare, il nemico ci ha circondato; (ed è deplorevole) per la necessità di aiuti e di bestiame, la maggior parte del quale è stata portata via dai barbari pagani; e per la debolezza derivante dalla necessità di cibo. La popolazione della città è quasi tutta fuggita, ma noi, in questa prigione, non abbiamo cibo sufficiente per un mese, essendo le nostre provviste quasi tutte esaurite. Noi siamo addolorati di lasciare questo posto. I pianti delle nostre donne aumentano oltre l’immaginabile; che non riempiono solo le nostre orecchie, ma rendono i nostri cuori pieni di pena”. Questa supplica fu inviata da coloro che avevano occupato la casa fortificata sul lato est del North River. I coloni che si erano rifugiati nella casa sul lato opposto aggiunsero: ”Noi siamo nella stessa sofferenza, e allo stesso modo desideriamo la vostra compassione e le vostre cure paterne, poiché abbiamo vedove e molti bambini senza padre”.
Essendo la posizione considerata indifendibile, vennero inviate truppe con carri per trasportare questi rifugiati, con le loro restanti proprietà mobili, nelle città dell’est, dove vennero accolti in casa di amici e conoscenti. Gli Indiani, che sembrava si fossero nascosti nelle vicinanze, uscirono dai loro nascondigli e incendiarono gli edifici che erano ancora in piedi: con l’eccezione della chiesa e di un edificio, quando cessarono l’opera di distruzione non rimase altro che fumo e rovine annerite in quella che era stata una valle amena. I coloni si ritirarono sotto la protezione dei soldati e l’insediamento venne abbandonato. Per uno o due anni la città rimase senza un solo abitante bianco.
All’incirca nello stesso periodo accadde un altro incidente a Pawtuxet River, nel Rhode Island. Il capitano Pierce, di Scituate, con cinquanta uomini e venti Indiani di Cap Code, attraversò il fiume, imbattendosi in una banda di Indiani piuttosto numerosa. Rendendosi conto che il loro numero avrebbe reso senza speranza un attacco contro di loro, egli si ritirò, prendendo posizione in modo da essere protetto dalle rive del fiume. In questa situazione la compagnia non poteva essere al sicuro per molto tempo. Una parte degli Indiani attraversò il fiume e attaccò i soldati dalla riva opposta, mentre gli altri li circondarono dal alto del fiume dove avevano cercato riparo, aprendo si di loro un fuoco micidiale. Circondati in maniera così efficace, per i soldati non vi era possibilità di fuga e non avevano altra scelta se non di vendere la vita al prezzo più caro possibile. E questo venne effettivamente fatto: prima che quegli sfortunati fossero tutti spazzati via, si dice che più di un centinaio di Indiani fossero caduti per il disperato valore degli Inglesi. Gli Indiani cristiani di Cape Cod nella circostanza mostrarono la loro fedeltà e il loro coraggio, oltre che la loro abilità; uno di essi fu d’aiuto nella fuga all’unico Inglese sopravvissuto. Quattro di loro riuscirono a sganciarsi dallo scontro. Il primo, che si chiamava Amos, dopo che il capitano Pierce venne messo fuori combattimento da una ferita, non lo volle lasciare da solo finché ci fu una possibilità di essergli utile, caricando parecchie volte il suo fucile e sparando. Alla fine, per salvare sé stesso, pensò astutamente di dipingersi la faccia di nero, come i nemici avevano fatto sul loro viso. Così mascherato corse contro di loro e simulò di unirsi a loro nel combattimento; al momento opportuno riuscì a fuggire nei boschi.


Scontro di Pawtuxet River

Un altro di questi Indiani, che era inseguito da un nemico, trovò riparo dietro una grande roccia. Vedeva che l’avversario impugnava il fucile sul lato opposto, pronto a fare fuoco appena lui si fosse mostrato. Si salvò solo con uno stratagemma. Issando con cura il suo cappello su un lungo ramo, al nemico che stava in agguato sembrò una persona che si esponeva ad un colpo di fucile. Una pallottola attraversò istantaneamente il cappello, ma un’altra venne restituita in cambio e colpì la testa del nemico. Fu così che l’Indiano cristiano, grazie alla sua prontezza, trovò il modo di sfuggire al pericolo incombente. Un simile, sottile, stratagemma fu usato da un altro di questi Indiani, che era inseguito mentre cercava di attraversare il fiume. Mentre si nascondeva dietro un monticello di terra sollevata dalle radici di un albero, fu visto da un Indiano nemico, che si mise in attesa prevedendo che ben presto sarebbe stato obbligato a cambiare posizione. Ma invece di muoversi, l’Indiano di Cape Cod, facendo un buco attraverso il suo riparo provvisorio, si preparò una conveniente feritoia e sparò al nemico prima che questi si rendesse conto dell’artificio. Il quarto di questi Indiani di Cape Cod che riuscirono a fuggire, ottenne il suo obiettivo fingendo di inseguire un Inglese agitando la sua accetta sopra la testa. La geniale trovata, naturalmente, riuscì a salvare nello stesso tempo anche l’uomo bianco.
Il 21 febbraio 1676 Medfield venne attaccata all’alba da una banda di Indiani comandati da Re Filippo. Quasi metà delle case e dei granai sulla riva orientale del fiume vennero incendiati. Diciassette furono le vittime. Gli Indiani si ritirarono oltre il ponte Great Bridge, che diedero alle fiamme, dopo di che fecero dei festeggiamenti. Sul posto esiste tutt’oggi un gruppo di alberi chiamati “gli alberi di Re Filippo”.


Gli stratagemmi degli Indiani cristiani – stampe

Il 25 febbraio fu la volta di Weymouth, che ebbe otto case date alle fiamme. La cittadina venne attaccata altre due volte, l’ultima nell’aprile dello stesso anno. Il 12 marzo 1676 undici Indiani Nipmuc assaltarono la casa di William Clark, a Plymouth, uccidendo sua moglie e suo figlio ancora poppante, e colpendo alla testa un altro figlio dell’età di otto anni, lasciandolo per morto. Nella casa di Clark in quel momento era presente un’altra famiglia, che venne completamente distrutta dagli Indiani. In totale quel giorno vennero uccise undici persone sotto lo stesso tetto; dopo di che gli Indiani incendiarono la casa.
I giorni 2, 9 e 13 marzo la cittadina di Groton subì tre incursioni, che provocarono la completa distruzione di tutti gli edifici ad eccezione delle case fortificate. Analogamente subirono perdite umane Springfield, Northampton, Warwick, Rehobot e Providence. Il 10 marzo ci fu un primo attacco a Sudbury.
La domenica 26 marzo 1676 venne parzialmente distrutta Marlborough. La popolazione cercò rifugio nelle fortificazioni. Il fumo che saliva dalle case in fiamme e il crepitare degli spari avevano attirato l’attenzione degli uomini di Sudbury, e venti di loro marciarono verso Marlborough a portare aiuto. Arrivarono sani e salvi ad una delle fortificazioni, unendosi al capitano Brocklebank; quindi con altri venti uomini raccolti nelle altre case fortificate si misero in marcia protetti dalle tenebre, mentre gli Indiani stavano dormendo, stanchi dei lunghi combattimenti e non aspettandosi un attacco dai Bianchi, poiché il loro numero ammontava a trecento guerrieri. Guidato dalla luce dei fuochi dell’accampamento, Brocklebank e i suoi armati scoprirono il nemico prima dell’alba. Prendendo posizione nel massimo silenzio, ad un segnale aprirono il fuoco sugli Indiani che, destati improvvisamente dal loro sonno, vennero talmente colti di sorpresa che non riuscirono ad opporre che una debole resistenza e quindi fuggirono. Pare che riportassero trenta feriti, dei quali quattordici morirono successivamente. Uno dei deceduti fu Netus, un capo dei Nipmuc. Probabilmente questo scontro aveva prevenuto un attacco su Sudbury lo stesso giorno.
La domenica mattina del 26 marzo 1676, dopo aver ricevuto notizia che una spedizione degli Indiani si trovava nelle vicinanze della Blackstone House, a Cumberland (Rhode Island), il capitano Michael Pierce partì da Rehoboth alla testa di una compagnia di 63 Inglesi e 20 Wampanoagh cristiani alleati. Giunta nei pressi di un burrone vicino alla località di Attleborough Gore, sul fiume Blackstone, la compagnia subì un’imboscata da parte di un numero di guerrieri Narragansett compreso fra 500 e 700, guidati dal sachem Canonchet.
Canonchet – scultura in bronzo di Jud Hartmann
Gli Inglesi allora arretrarono riattraversando il fiume per allestire una difesa sulla riva occidentale (che oggi fa parte della città di Central Falls), ma furono attaccati da un altro gruppo di circa 300 guerrieri. Pierce dispose i suoi uomini in circolo ed essi continuarono a combattere per circa due ore, mentre man mano il loro numero diminuiva, finché non rimasero in molto pochi. Pierce fu ucciso quasi all’inizio della battaglia. Qualcuno dei Wampanoag riuscì a fuggire fingendosi un partecipante all’attacco. Nove Inglesi vennero catturati e portati in un punto di Cumberland, detto poi Nine Men’s Misery, dove subirono la tortura fino alla morte. Un reparto di soccorso arrivò troppo tardi e trovò solo i corpi dei nove, che provvide a bruciare.
Lo stesso giorno subì un attacco anche Longmeadow, più lontana verso sud ovest: due abitanti vennero uccisi e quattro presi prigionieri.
Il 27 marzo i Narragansett incendiarono Providence, distruggendo tra le altre la casa di Roger Williams. In tutto il New England gli indiani distrussero città, razziando anche i sobborghi di Boston. Nonostante i successi riportati nella campagna condotta contro gli Inglesi, alla fine di marzo malattie, fame, battaglie perse e la carenza di polvere da sparo portarono al collasso dei Nativi.
Il Connecticut, non essendo direttamente esposto alle incursioni dei Nativi, mandò molte compagnie di volontari in aiuto delle colonie sorelle, in aggiunta alle truppe richieste come quota di partecipazione alla guerra. Queste truppe di volontari erano raccolte principalmente dalle città di New London, Norwich e Stonington, unitamente a gruppi di Indiani amici. Quindi gruppi d’assalto del Connecticut composti da coloni e da indiani alleati, come Pequot e Mohegan, entrarono nel Rhode Island uccidendo molti degli ormai indeboliti Narragansett.
Il 27 marzo una spedizione di queste truppe, comandata dai capitani Dennison e Avery, penetrò nel territorio dei Narraganset. Lungo il cammino si imbatterono nelle tracce di un folto gruppo di Indiani e si posero all’inseguimento. Gli Indiani, alla vista degli Inglesi, si sparpagliarono in tutte le direzioni. Si scoprì che si trattava di un gruppo comandato dal sachem Canonchet. Questi intraprese una fuga solitaria e, vista la sua velocità a piedi, contava di sfuggire agli inseguitori. Ma, nell’attraversare un fiume, cadde accidentalmente in acqua e bagnò il fucile. Venne presto raggiunto da un guerriero Pequot, al quale si arrese immediatamente. Un giovane Inglese, sopravvenuto nel frattempo, cominciò a porre varie domande al capo il quale, seccato di essere apostrofato in tal modo, gli rispose con disprezzo: «Tu sei un bambino, non capisci le cose della guerra; fa venire il tuo capitano: risponderò a lui». Canonchet fu portato a Stonongton e, dopo una specie di processo, condannato alla pena capitale. Egli chiese di essere giustiziato da Uncas, capo sachem dei Mohegan. Uncas e due sachem Pequot lo giustiziarono alla maniera indiana. Effettivamente gli era stata presentata un’alternativa: continuare a vivere se avesse fatto pace con gli Inglesi. Indignato, aveva rifiutato e, dando dimostrazione del suo spirito indomabile, quando la sentenza venne pronunciata affermò che “preferiva dover morire prima che il suo cuore si ammorbidisse o arrivare a dire qualcosa di disonorevole di sé stesso”. Gli Inglesi trattarono Canonchet da traditore, ed il suo corpo fu squartato.
I coloni erano sempre in preda al terrore; molti di quelli che abitavano lungo la frontiera avevano abbandonato le loro case, cercando rifugio nelle zone più fittamente abitate o nelle città della costa. Il giorno 1 aprile 1676 Filippo radunò i suoi guerrieri nei pressi di Marlborough e di Sudbury.
Donna colono – stampa
La guarnigione di Marlborough, composta da 50 uomini, era comandata dal capitano Samuel Brocklebank. Venne mandata una relazione a Boston, riferendo che gli Indiani si erano avvicinati, verosimilmente per creare guai. A rinforzo partirono immediatamente da Boston il capitano Samuel Wadsworth con il tenente Sharp, con più di cinquanta uomini. Marciando speditamente essi raggiunsero la guarnigione nella notte del 20 aprile, senza aver visto il nemico, sebbene questi avesse già ucciso parecchi degli abitanti. Dalla cima della collina di Nobscot Filippo poteva avere una visione completa della valle e pianificare le modalità del suo attacco. Silenziosamente, furtivamente, i suoi guerrieri attraversarono la foresta, prendendo posizione per le operazioni del giorno seguente. Nel villaggio la gente sonnecchiava, temendo quello che sarebbe accaduto il giorno seguente, senza sapere che Wadsworth stava arrivando in soccorso. In città c’erano verosimilmente un centinaio di uomini e ragazzi in grado di maneggiare le armi, mentre si dice che Filippo avesse da mille a millecinquecento guerrieri da mettere in campo. Tutte le case fortificate si trovavano sulla parte ovest del fiume; altre case erano state rinforzate per difesa.
Di primo mattino Filippo diede il segnale dell’attacco. Le case abbandonate dei sobborghi vennero tutte rase al suolo, dopo di che si rivolsero contro le fortificazioni. Nelle più rinforzate avevano cercato rifugio le donne e i bambini, mentre i loro uomini combattevano. Queste donne, che sapevano modellare le pallottole e, se necessario, caricare un fucile e sparare, furono essenziali nell’opera di difesa.
La fortificazione di Haynes fu assalita violentemente; da un poggio sul retro della casa gli Indiani aprirono un fuoco terrificante. Un carro riempito di tessuti venne dato alle fiamme, ma si rovesciò mentre rotolava giù dalla collina; un fienile stava per incendiarsi, quando un fortunato cambiamento nella direzione del vento salvò la casa dall’andare in fumo. Vedendo segni di stanchezza nel nemico, gli assediati si spinsero fuori dalla casa, respingendo gli Indiani verso posizioni più arretrate e coperte. Combattere allo scoperto non era mai stato nelle preferenze degli Indiani, e quest’occasione non fece eccezione. I guerrieri di Filippo vennero dispersi in ogni dove. Presso ciascuna casa fortificata si verificò la stessa storia: una strenua difesa, seguita dalla cacciata degli assedianti. Gli Inglesi ebbero due morti, mentre gli Indiani patirono molte perdite.
Edward Cowell, partito da Brookfield con una compagnia di diciotto uomini a cavallo, lasciò Marlborough passando per un’altra strada rispetto a quella presa dal capitano Wadsworth. Cowell venne attaccato da una spedizione indiana che sopravanzava grandemente in numero le sue esigue forze, ed ebbe quattro uomini uccisi, uno ferito e cinque cavalli fuori combattimento. Gli Indiani avrebbero potuto facilmente uccidere o catturare l’intera compagnia di Cowell, ma per qualche ragione non lo fecero, ritirandosi dal luogo della battaglia per portare un attacco contro gli uomini di Wadsworth. Quando Cowell si accorse che il nemico era scomparso alla sua vista e udì le scariche di fucileria contro le truppe di Wadsworth, tornò sulla scena del combattimento, dove bruciò i resti dei suoi caduti e li seppellì in tombe senza nome.
Il mattino del 20 aprile, il più numeroso gruppo di Indiani che fosse mai apparso fino a quel tempo aveva attaccato Sudbury e, prima che si potesse organizzare una qualche opposizione, aveva dato alle fiamme parecchi edifici, che furono rasi al suolo. Gli abitanti reagirono e difesero bravamente le loro case; vennero presto raggiunti da alcuni soldati da Watertown, così gli Indiani furono costretti a retrocedere senza causare, per quel giorno, ulteriori danni alla città. Nell’udire dell’attacco a Sudbury, alcuni abitanti di Concord si precipitarono in soccorso. Avvicinandosi a una casa fortificata, scoprirono che c’erano alcuni Indiani nel pressi e cominciarono ad inseguirli. La loro fuga si dimostrò essere solo un’esca e i cittadini di Concord, undici in tutto, si trovarono circondati da ogni parte. Pur combattendo allo stremo, furono tutti uccisi tranne uno.
Lasciando a Marlborough gli uomini che erano troppo esausti a causa della marcia del giorno prima, Wadsworth li sostituì con altrettanti soldati della compagnia del capitano Brocklebank; poi, accompagnato dallo stesso Brocklebank, si avviò per la spedizione fatale. Per diverse miglia non fu avvistato nessun nemico, mentre il rumore della sparatoria era sempre più distinto.
A un miglio e mezzo dalla città, cinquecento Indiani stavano in agguato sulle colline. Quando Wadsworth arrivò sul posto, gli Indiani distaccarono un gruppo dei loro, che arrivarono sulle tracce degli Inglesi, furono scoperti e finsero di fuggire per la paura. Wadsworth, dimostrando grande mancanza di cautela, cominciò subito l’inseguimento e, di conseguenza, cadde in un’imboscata. Gli Indiani attaccarono con molto coraggio, erano terribili avversari che facevano sì che sembrava che i boschi si muovessero. Il fuoco sugli Inglesi era terrificante, ma i soldati erano irriducibili e alla fine riuscirono a raggiungere la sommità della Green Hill, da dove per ore tennero a bada i “diavoli rossi”.


L’attacco a Sudbury – stampa

Dopo ore di combattimento e molti guerrieri caduti, gli Indiani divennero ancora più furenti e decisero di ricorrere ad un altro stratagemma. In questo ebbero completo successo: incendiarono il bosco sopravvento agli Inglesi. Il fuoco, a causa del vento e della secchezza dell’erba e dell’altra vegetazione, si estese con grande rapidità. Gli Inglesi furono scacciati dalla furia delle fiamme dalla loro posizione vantaggiosa e rimasero così esposti ai tomahawks degli Indiani. In quella giornata, solo 14 Inglesi riuscirono a fuggire e sopravvissero.
Nel frattempo stavano giungendo rinforzi: Cowell si era mosso silenziosamente e con cautela attraverso i boschi, tenendosi sempre al coperto: aveva solo poche miglia da percorrere per raggiungere la riva est del fiume; vi giunse solo nel tardo pomeriggio. Unendosi agli uomini di Watertown e ai soldati a cavallo del capitano Prentice, respinse gli Indiani al di là del fiume e portò soccorso ai sopravvissuti delle truppe di Wadsworth che avevano cercato rifugio in un vecchio mulino. L’allarme raggiunse rapidamente Watertown e il capitano Hugh Mason inviò la sua compagnia di circa 40 uomini, che si mise subito in marcia. Raggiunto il distretto ad est di Sudbury, i soldati si imbatterono nella gente che combatteva casa per casa con gli Indiani. Con l’aiuto degli uomini di Mason i coloni, lentamente ma tenacemente, costrinsero gli Indiani a indietreggiare lungo la strada rialzata e a riattraversare il ponte verso la riva ovest del fiume.


L’imboscata agli uomini di Wadsworth – stampa

Le cascate di Peskeompscut, nome indiano per il posto che oggi è Turners Falls, era stato a lungo il luogo preferito per la pesca delle locali tribù di Nativi. Qui lo stretto corso del fiume Connecticut precipita per 13-14 metri, per poi proseguire il suo corso verso l’Oceano Atlantico. Nel maggio del 1676 gruppi di guerrieri, donne, bambini e vecchi si radunarono qui per la cattura e i preparativi per la conservazione del pesce. Mesi di guerra contro gli Inglesi avevano esaurito le loro riserve di cibo. Mentre alcuni pescavano, altri discesero il fiume verso i campi abbandonati di Deerfield per piantarvi dei semi. Con un po’ di fortuna riuscirono ad effettuare un raccolto in tarda estate. I guerrieri organizzarono la cattura di bestiame nei vicini insediamenti inglesi. Nella notte del 13 maggio un gruppo di guerrieri fece un’incursione su Hatfield, razziando parecchio bestiame e portandolo al loro accampamento presso le cascate. I coloni però erano decisi a riappropriarsi dei loro animali. Si cercarono volontari per attaccare le tribù a Peskeompscut, raccogliendo adesioni fino a Springfield, che era molto più a sud; si unì alla spedizione anche un gruppo di soldati della guarnigione locale. Il 18 maggio, 150 fra uomini e ragazzi, condotti dal capitano William Turner, oltrepassarono Bloody Brook e i sobborghi di Deerfield, dove attraversarono l’omonimo fiume. Quindi attraversarono circa due miglia di una fitta foresta, attraversarono il Green River e quindi scalarono il monte Adams, a circa un miglio dalle cascate. Il mattino dopo. Prima dell’alba, lasciati indietro i cavalli, i coloniali si trovarono in posizione su un pendio che dominava l’accampamento indiano. E, come accade spesso in battaglia, la fortuna ebbe un ruolo importante nel dramma che si andava a compiere. La tribù riunita aveva banchettato con il pesce fresco e il bestiame catturato. Gli Indiani non avevano posizionato sentinelle, né inviato esploratori, e stavano ancora dormendo quando la spedizione di Hatfield strisciò verso i wigwams. Quando i 150 uomini si trovarono a contatto con i wigwams, il capitano Turner fece il segnale prestabilito e i fucili vennero spinti direttamente dentro i wigwams e fecero fuoco.


L’attacco di Peskeompscut

Molti dei Nativi furono uccisi immediatamente, altri si tuffarono nel fiume Connecticut solo per essere travolti dalle cascate e annegarono. L’attacco dei coloniali fu spietato, cercando nell’accampamento, e uccidendo, uomini, donne e vecchi. Non venne risparmiato nessuno. Vennero installate due fucine per riparare i fucili e fabbricare munizioni. Queste vennero poi distrutte e due sostegni di piombo gettati nel fiume. Il fragore dell’attacco aveva messo in allarme gli altri gruppi di Nativi che erano accampati lungo il fiume. Uno di questi gruppi attraversò il fiume a valle delle cascate e prese posizione sulla pista che portava a Deerfield. A quanto pare il capitano Turner non aveva pensato molto a proteggere la sua ritirata. Il suo attacco aveva avuto successo: forse parecchie centinaia di Indiani erano stati abbattuti, contro la perdita di una sola vita inglese. Nel frattempo le altre tribù si avvicinavano sempre più. Occorreva ritirarsi, ma lungo quale percorso?

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