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Carlo Gentile, un fotografo napoletano nel West

A cura di Al Zammataro e Sergio Mura

Carlo Gentile
Sulla vita di Gentile non solo esistono pochissimi documenti ed altrettanto poche tracce, ma è complesso persino rintracciare qualche testimonianza.
Di un “elusivo” Giovanni Gentile ci parla Piero Becchetti nella sua storia della fotografia italiana, ma, sfortunatamente, anche in questo caso non riusciamo a rintracciare altre informazioni al riguardo del pioniere della fotografia né è possibile sapere se c’è mai stata una qualche relazione fra i due. Carlo Gentile viene citato in maniera abbastanza fugace nella biografia di Carlos Montezuma (1866-1923), storica figura di attivista dei diritti civili dei nativi americani.
Sappiamo che nacque a Napoli nel 1835 in una famiglia di ottima condizione culturale e che crebbe con tutti i privilegi accordati a chi si trovava inserito in una tale tradizione.
Fu istruito da tutori privati ed educato all’arte. Anni dopo, il suo amico Montezuma lo descrisse così: “Un gentiluomo italiano che passò la gran parte della sua vita lontano dall’Italia”.
Quando Gentile lasciò l’Italia, probabilmente intorno al 1850, il Paese sperimentava il Risorgimento.
Roma sarebbe stata capitale una decade più tardi. Sicuramente anch’egli fu coinvolto in quei moti e nelle battaglie per le riforme liberali. In quegli anni Gentile deve anche aver sperimentato la nascente arte della fotografia.
In realtà Gentile si seppe distinguere come un personaggio interessante tra gli stessi americani, un vero e proprio spirito innovatore, ingegnoso e coraggioso, ma alquanto sfortunato, com’è facile intuire leggendo a fondo le 105 pagine del bel libro biografico che lo scrittore Cesare Marino gli ha dedicato, “The Remarkable Carlo Gentile. Italian Photographer of the American Frontier”.


Una vista di Yale, nel British Columbia

Gentile lasciò Napoli e, nonostante i suoi piani, più e più volte rielaborati, ed i suoi desideri, non fece mai più ritorno al suo Golfo natio.
Fu dapprima in Australia poi nelle Indie dell’Ovest ed infine in Sud America. Lì sentì parlare della grande prosperità della California e, alla prima nave disponibile, salpò immediatamente.
La data del suo arrivo a San Francisco non è certa ma sembra che già nel 1860 avesse un suo laboratorio di successo nella città. Gentile si unì così al crescente numero di Italiani a San Francisco.
E quel numero era veramente consistente secondo “L’Eco d’Italia”, un giornale dell’epoca pubblicato a New York: “Seguendo la febbre dell’oro del 1849, oltre seicento Italiani erano giunti in città. Molti di loro erano Liguri arrivati con navi mercantili dall’Inghilterra. Altri (e fra questi sembra Gentile, ndr) erano cercatori d’oro provenienti dai paesi del Sud America, dove erano inizialmente emigrati”.


Un ritratto di Carlos Montezuma

La popolazione Italiana in California nel 1850 era stimata in seicento unità e Federico Biesta, Il console del Regno di Sardegna a San Francisco, dava il seguente parere sui primi Italiani presenti in California, parere ben lontano dai comuni stereotipi:
“La popolazione Italiana è una delle migliori, la più attiva e capace di lavorare duramente in California. Forti e industriosi, dovunque a San Francisco o nell’interno gli Italiani prosperano nelle loro attività”.
Appena arrivato a Victoria da San Francisco con sua moglie, nel settembre 1862, Gentile aprì un negozio di prodotti di importazione su Fort Street. L’estate successiva un annuncio pubblicitario sull’edizione del 5 Agosto 1863 de “The Daily British Colonist” strillava: “Gentile e Co. Cappelli e cuffie, abiti da matrimonio, biancheria intima per signore, violini, album fotografici, stereoscopie.”
Negli anni Canadesi Gentile continuò probabilmente le esperienze provate in California e forse anche nel Sud America. In ogni caso egli si unì agli altri pionieri della fotografia che avevano stabilito la propria attività a Victoria. Nei suoi annunci pubblicitari garantiva prezzi modici per i ritratti e particolare attenzione a quelli di bambini. Questa enfasi sui bambini sembra rivelatrice del suo carattere e di ciò che sarebbe avvenuto con il futuro Montezuma.


I ritratti di Re Freezy I e di sua moglie eseguiti da Gentile

L’isola di Vancouver ed il British Columbia offrivano all’artista un ampia gamma di soggetti. Gentile disse di quel paese che “per i magnifici scenari rivaleggia con la Svizzera”. La bellezza selvaggia del Nord Ovest del Pacifico, il progresso che avanzava, gli Indiani, le miniere d’oro tutto venne immortalato nei suoi scatti.
I primissimi fotografi capirono subito il potenziale economico e artistico dei Nativi nonostante l’opinione, comune ai più, su una loro presunta inferiorità. Gentile, anche se all’inizio aderiva all’etnocentrismo dell’epoca Vittoriana, con il passar del tempo espresse il suo disappunto su come “Sua Maestà Britannica teneva gentilmente soggiogati i suoi sudditi pellerossa”. Fra l’altro capì che il processo di “civilizzazione” dei nativi della costa e dell’interno stava modificando i loro caratteri originali. Per reazione ritraeva i suoi Indiani nel loro stato originale, in pose piene di dignità e composte, in un romantico ricreare lo stereotipo del Noble Savage.
Già dal 1843, con l’insediamento della Hudson’s Bay Company, Victoria era diventato un importante centro di incontro per i Nativi del Nord Ovest. Dai vicini accampamenti arrivavano Songhees, Saanich e Sooke, tutti parte delle tribù Saalish della Costa Centrale, che un tempo controllava la costa sud dell’isola di Vancouver. Dalla costa ovest arrivavano i battaglieri Nootka, circa cinquemila individui organizzati in vari gruppi tribali. Persino le distanti tribù marittime dei Tsimshian, Haida e Tlingit raggiungevano periodicamente Vancouver sulle loro grandi canoe per commerciare.


Una fotografia di Wassaya realizzata da Gentile

Spesso sfruttati da profittatori locali, alcuni comportamenti, come la prostituzione di alcune donne native o episodi di violenza legati all’alcolismo, rinforzavano i pregiudizi comuni sui Nativi. I fotografi spesso agirono, loro malgrado, come mediatori sociali, vendendo immagini dei Nativi che univano l’aspetto selvaggio degli stessi alla concezione romantica del nobile primitivo.
Gentile sembra si fosse creato rapidamente una buona reputazione e avrebbe potuto prosperare tranquillamente a San Francisco solo che fu attratto dal luccichio dell’oro e questo lo portò dalla California all’Arizona e fino al Messico.
Ma prima di viaggiare nel Sud-Ovest, Carlo Gentile spese alcuni intensi anni nella zona di Vancouver dove concentrò il suo lavoro di fotografo sulla corsa all’oro nella British Columbia, sulle città minerarie e sui Nativi delle zone interne e della costa del Pacifico.
Cesare Marino inizia a narrare le vicende di Gentile a partire da quando, nel 1866, il fotografo, residente da tempo in America, è ormai in procinto di far rientro in Italia. In quella circostanza, quando tutto è pronto, improvvisamente scopre di aver perduto la sua preziosa collezione di fotografie scattate negli anni passati nel vecchio west.


Una composizione fotografica di Gentile

E con la sua collezione sono andate perdute anche tutte le speranze di ricominciare la propria vita in patria aprendo uno studio fotografico… Da questo episodio Gentile ne ricavò una grande disperazione che lo spinse a rinunciare al viaggio di ritorno e, nel contempo, a stabilirsi a San Francisco dove avviò un suo studio.
E probabilmente, oggi, nessuno serberebbe memoria della sua opera se egli non avesse casualmente incontrato un bambino indiano della tribù degli Yavapai, nato nel 1866.
Il piccolo indiano aveva cinque anni e si chiamava Wassaja, ossia “Colui-che-che-fa-un-gesto-con-la-mano”.
Nel 1871 l’Arizona era in subbuglio per via della febbre dell’oro, della contestuale invasione di coloni e a causa delle solite rivalità tribali; in un contesto così confuso, Gentile incontrò una banda di indiani Pima che avevano rapito il piccolo, lo riscattò per 30 dollari e lo adottò facendolo battezzare col nome di Carlos Montezuma, ispirandosi evidentemente al famoso imperatore azteco.
La storia è quella che segue.
Il libro di Marino su Carlo Gentile
“Nell’anno 1866 due eventi distanti migliaia di miglia fra loro stavano preparando il set per una storia degna nota. Sulla costa ovest del Canada Carlo Gentile, un distinto gentleman italiano, approdava all’isola di Vancouver in procinto di recarsi in Europa. Gentile era stato lontano dal paese di origine per dieci anni.
Sul continente americano era diventato un brillante fotografo di successo ed aveva pianificato di vendere la sua collezione di scatti unici in Europa e di pubblicare un libro sui territori del Nord Ovest del Pacifico, che aveva percorso.
Ma raggiunta la sua prima tappa, ad Olympia nel territorio di Washington, Gentile scoprì che la valigia che conteneva la sua preziosa collezione fotografica era andata perduta e che quindi il tanto sospirato ritorno in Europa doveva essere annullato.
Nello stesso momento, nelle semi-aride regioni dell’Arizona centrale, un bambino nasceva in un accampamento Kewevkapaya sulle Montagne della Superstizione.
La madre gli diede Il nome di Wassaja, che voleva dire «colui che indica con la mano», secondo gli usi degli Yavapai.
Per i successivi cinque anni Wassaja condivise il semplice stile di vita della banda di suo padre, raccogliendo noci, semi e bacche, coltivando piccoli appezzamenti ad orto, cacciando e occasionalmente pescando nei fiumi e ruscelli locali.
Sarebbe stato difficile immaginare che due persone appartenenti a mondi così drasticamente differenti avrebbero incrociato le loro strade cinque anni dopo.
Il loro incontro in un piccolo villaggio in Arizona avrebbe stravolto i piani di Gentile ancora una volta e cambiato la vita di Wassaja per sempre.”

Successivamente, Gentile va a scattare foto in New Mexico e Arizona, portando con se il bambino. Da lì si spostarono a Chicago dove vennero reclutati da Buffalo Bill che li fece recitare di teatro in teatro in uno spettacolo chiamato “Scouts of Prairie” che di fatto anticipava non di molto il famosissimo “Wild West Show” che avrebbe riscosso tanto successo in tutto il mondo. Nello spettacolo “Scouts of Prairie” Carlos è l’unico vero indiano a recitare. Gentile era il fotografo della compagnia.
Dopo questa esperienza, Gentile e il ragazzo si trasferirono a New York e in quella grande città Carlos provò sulla propria pelle le difficoltà che un indiano incontrava nelle città dell’est.
Una pagina del libro
Carlos viene educato ed istruito da Gentile, dal quale impara presto a esprimersi in inglese, sia pure, almeno inizialmente, con un vocabolario ridotto al quale affiancava gesti ed espressioni. Il ragazzo, costretto a fronteggiare il razzismo, impara presto l’esigenza di essere nello stesso tempo corretto, ma anche determinato, capace di opporsi alle inevitabili prepotenze e discriminazioni e in questo percorso educativo mostra presto l’eccezionalità del suo carattere.
Gentile continuava intanto ad esercitare la professione di fotografo che lo portava da un capo all’altro degli Stati Uniti. Perciò si rese necessario affidare Carlos ad un educatore.
Carlos ripagherà le aspettative del suo padre adottivo, laureandosi – primo indiano – prima in scienze, nel 1884, e poi persino in medicina. Non solo! Col passare degli anni, il giovane si impegnò con tutte le sue forze in molte battaglie per il riconoscimento dei diritti dei popoli nativi americani.
Intanto al povero Gentile, la fortuna aveva voltato completamente le spalle. E così, tra l’incendio del suo archivio, il dissesto finanziario che ne seguì e anche il tramonto di una serie di progetti ambiziosi, finì per essere anche abbandonato dalla salute.
Gentile morì il 27 ottobre 1893 a soli 58 anni, forse suicidandosi.
Montezuma si prese cura della vedova di Gentile e di un suo altro figlio.
Montezuma consolidò la sua figura carismatica e continuò a impegnarsi nella società civile, mai scordando di esternare tutta la sua infinita gratitudine per il padre adottivo.
Morì a sua volta nel 1923 di tubercolosi in Arizona dove era nel frattempo tornato quando si era accorto di essere vicino alla morte.