Nueva Vizcaya

Nel 1693 il Marin sottolineava la necessità di “bloccare l’orgoglio dei nemici Apaches e delle altre nazioni numerose come i Pimas”, i quali “assalivano costantemente gli abitanti della Sonora”. Fu in quel periodo che parecchi funzionari avrebbero raccomandato una vera e propria guerra di sterminio contro gli indios ostili. Nel luglio 1693, alcuni guerrieri Chisos compirono scorrerie nel Coahuila ma, intercettati dalle truppe del generale Retana, furono costretti ad abbandonare il bottino per rifugiarsi tra le montagne. Anche la Provincia di frontiera di Conchos, nel 1667, veniva descritta come una delle più importanti della Nueva Vizcaya, “ricca di fattorie e miniere di argento” ma, negli anni ’80 la situazione peggiorò e iniziò un veloce spopolamento del territorio, le aziende erano state abbandonate perché “i braccianti indiani erano fuggiti sulle montagne”. Le forze militari della Nueva Vizcaya durante i primi tre quarti del secolo erano organizzate piuttosto semplicemente e sotto il controllo del Governatore; soltanto dopo il 1680 si ebbe uno sforzo costruttivo per meglio organizzarsi e per creare una catena di Presidi militari.
Il numero dei Presidi della Nueva Vizcaya prima del 1686 non è mai stato quantificato, ma certamente erano pochissimi. Allo scoppio della rivolta dei Tepehuanes, verso le fine del 1616, non vi era alcun Presidio in tutte la regione a nord di Durango. I primi gesuiti entrarono nelle loro terre già nel 1596 e, nell’arco di venti anni quasi tutta la popolazione indigena era stata convertita. La ribellione si sarebbe comunque sviluppata in seguito ad una lunga serie di epidemie iniziate nel 1594 e terminate nel 1615. Uno dei leader della rivolta, Quautlatas, invitava la sua gente a non credere nel Dio cristiano, ma soltanto nelle loro antiche credenze. Nella notte del 16 novembre 1616, i Tepehuanes colsero di sorpresa gli spagnoli, entrarono ad Atotonilco e uccisero dieci missionari e almeno 200 coloni; quella stessa notte circondarono l’insediamento di Santiago Papasquiaro, dove i bianchi resistettero ben 17 giorni. Nei giorni seguenti cercarono di spingere alla rivolta anche i gruppi Conchos che vivevano nelle vicinanze della missione di Parras, proprio sui confini settentrionali delle loro terre. Gli spagnoli furono in seria difficoltà anche perché impegnati a fronteggiare gli attacchi degli Acaxees e degli Xiximes. Quando però, i ribelli avanzarono nelle terre degli Acaxees, i circa 130 guerrieri della zona si posero al fianco degli spagnoli ed ebbero un ruolo determinante nella sconfitta subita dai Tepehuanes. Gli spagnoli furono così in grado di schiacciare anche le rivolte degli Acaxees e degli Xiximes, i quali non erano assolutamente uniti neppure all’interno della stessa tribù. Venne organizzata una spedizione punitiva (19 dicembre 1616-4 marzo 1617), la quale ebbe risultati non molto positivi. La successiva spedizione del capitano Gáspar de Alvear avrebbe lasciato il Presidio per spingersi nell’interno con 67 cavalieri e 120 indiani Conchos, i ribelli non vennero però intercettati. Quando, nel 1618, il Mateo de Vesga divenne Governatore della Nueva Vizcaya, descrisse la sua Provincia come “distrutta e devastata e quasi spopolata di spagnoli”. In quegli anni Cristobal Sanchez divenne vicecapo della Giustizia e capitano della “suddetta Provincia e della Valle de San Bartolome”, mentre Diego Martinez de Urdaide divenne capitano della “Provincia di Sinaloa” e poi dette vita al Presidio di Montesclaros. Nel 1646 vennero istituiti altri Presidi per meglio fronteggiare le rivolte dei Tepehuanes, dei Salineros e di altri indiani della Nueva Vizcaya; nello stesso anno sembra che “circa 2 mila indiani erano stati pacificati e circa 150 impiccati”. Il Governatore Guajardo Fajardo, nel corso dei suoi sforzi per pacificare “la Provincia dei Tarahumares”, si decise a nominare Simon Laso de la Vega “capitano di guerra della Sonora”, il suo compito era quello di soggiogare gli indiani ostili ed esplorare il territorio. Nel 1667 anche il Governatore Oca Sarmiento fu impegnato ad organizzare le difese militari della Nueva Vizcaya, proponeva 10 soldati e 4 alleati indiani di stanza in “dieci torri di avvistamento” da collocarsi nelle vie usate dai razziatori per devastare la Nueva Vizcaya. Il 18 luglio 1691, le autorità decisero di creare una “Compagnia Volante” sotto la guida di Francisco Ramirez Salazar, il cui compito era quello di pattugliare la Provincia della Sonora.
Gabriel Teporaca, “El Hachero”
Il Salazar, quando giunse nella Sonora, si rese conto di non poter fronteggiare le incursioni indiane; alla sua prematura morte altri 50 soldati vennero inviati nel territorio, ma la situazione non sarebbe migliorata. Nell’estate del 1684 scoppiò la rivolta dei Conchos e dei Julimes, ma gli indiani cristiani di La Junta non vi parteciparono e trovarono rifugio a El Parral, ciò dimostrava grande attaccamento all’operato degli spagnoli. Nel novembre 1693 il governatore Castillo richiedeva l’invio di missionari per occuparsi degli almeno 2.500 indiani Sunigugliglas e Batayogliglas, ma anche per altre “undici nazioni amiche del Rio del Norte”. Nel frattempo, la colonizzazione continuava, ma per gli indiani la vita era sempre più dura. Nell’anno 1601, per esempio, il viceré veniva informato che, nella Nueva Galicia, il bestiame degli spagnoli invadevano i villaggi e i campi coltivati degli indiani, con il risultato che le colture e anche “le capanne di paglia degli indiani venivano divorate dal bestiame”, gli indiani erano così obbligati “a raccogliere i loro raccolti prematuramente per salvarli dalle intrusioni del bestiame”. Un altro caso gli venne comunicato nell’anno 1605, sempre nella Nueva Galicia, i membri del clero sollecitavano gli indigeni a “portar giornalmente loro del mais e due o tre galline, e il venerdì, giorno di digiuno e durante la Quaresima, pesce e uova, fieno per i cavalli e anche servizi personali di uomini e donne senza alcun pagamento”. La situazione non migliorò e ben pochi provvedimenti vennero presi alla lettera nonostante la Legge del 30 luglio 1627. Nel 1645, nella Nueva Galicia vi erano “184 città indiane”, di cui 33 in “encomienda”, negli insediamenti vi erano 2.640 nativi, tenuti a pagare annualmente la somma di 5.392 pesos, sette tomines e altri tributi vari. Il 25 febbraio di quell’anno, il Presidente dell’Audiencia, don Pedro Fernandez de Baeza, informava il sovrano che gli indiani erano soggetti ad “estorsioni” che li tenevano “in stato di ansia costante, e che a seguito di queste e di altre lesioni che hanno sperimentato, a partire dal duro lavoro nelle miniere”, gli indiani stavano per essere “annientati”. Intanto, nel 1652, il Guajardo Fajardo, governatore della Nueva Vizcaya, veniva incaricato di “pacificare e soggiogare” gli indiani Tarahumaras, ma “…con il minor numero di morti indiani, con metodi miti ed amichevoli e trattamenti accettabili al servizio di Dio”. Il vescovo di Durango informava le autorità, nell’aprile 1699, che don Juan Constantino, capo della “nazione Conchos”, si era lamentato per il duro trattamento da parte degli spagnoli, il che aveva portato “molti indiani cristiani a fuggire sulle montagne”, inoltre si diceva che il sistema dell’encomienda era ancora vigente e gli indiani erano “gravemente oppressi”. La riduzione in schiavitù degli indiani venne severamente proibita ma, nel nord-ovest della Nuova Spagna, nel XVII secolo, non venne mai rigidamente applicata. Le prove di ciò sono abbondanti.


La Coahuila map del 1650

Nel marzo 1617, nel corso della rivolta dei Tepehuanes, 220 prigionieri indiani, tra cui molte donne e bambini, vennero condannati e ripartiti a varie famiglie per lavori domestici e nei campi. Cinque anni dopo, il 16 aprile 1622, Cristobal Sanchez consegnava al governatore, Mateo de Vesga, dieci indiani Conchos catturati durante una spedizione militare. Il governatore dichiarava apertamente che erano schiavi, alcuni “appartenevano al Re” ed altri otto furono “venduti all’asta al miglior offerente”; inoltre, il governatore dispose che le somme di denaro ricavate dalla vendita sarebbero servite come risarcimento per le spese militari. Gli otto indiani furono venduti all’asta il 17 aprile, e il ricavato fu di 300 pesos. Qualche decennio dopo gli indiani Tepehuanes e Salineros (“Le nazioni barbare che vivono lungo i confini del Sinaloa”) si sarebbero ribellate alle autorità spagnole e, secondo le informazioni pervenute al Re, questi indiani avrebbero preso le armi perché alcuni “alcaldes mayores e missionari avevano rapito e venduto i loro figli per servire nelle miniere”. Quando, qualche mese dopo, il governatore Luis de Valdes volle punire gli indiani, e persino “sequestrare e venderne alcuni come schiavi”, i nativi si ribellarono e le loro incursioni portarono a “rapine e uccisioni”. Su richiesta di don Fernando y Monterroso, appartenente all’Audiencia di Guadalajara, le autorità spagnole ordinarono, nel 1672, di rimettere in libertà gli “indiani Chinos e Chichimecos, e quelli del Sinaloa, del Nuevo Mexico e del Nuevo Leon”; inoltre, il funzionario ricordava che vi erano ancora molti schiavi nei distretti del Messico e del Guatemala. Nella storia della Nueva Vizcaya alcuni eventi importanti e degni di nota furono notati tra gli anni 1602 e 1693. Francisco de Urdiñola “il Giovane” venne nominato governatore della Nueva Vizcaya il 20 maggio 1603, avrebbe tenuto la carica fino all’anno 1611. Nello stesso periodo si sollevarono gli Acaxees della Sierra de San Andres, erano guidati da un indiano che si faceva chiamare “il Vescovo”, si riteneva inviato da Dio e così “battezzava, sposava e insegnava agli indiani un nuovo credo”. In sette mesi di campagne militari contro gli “ostili”, l’Urdiñola “attraversò montagne, catturò e punì il Vescovo, i suoi apostoli e gli altri cacique ed indusse gli indiani a riunirsi in ventiquattro villaggi”; gli Acaxees vennero collocati negli insediamenti e i gesuiti “iniziarono il loro lavoro con grande successo”. Negli anni successivi scoppiò la rivolta dei Tepehuanes, datata 15 novembre 1616 – 16 maggio 1618. Stando alle fonti essa fu un grande “focolaio di fanatismo religioso e patriottico”. Alcuni gruppi iniziarono gli attacchi il 15 e il 16 novembre. Gli spagnoli intervennero prontamente e il governatore don Gaspar de Alvear ordinò al capitano Rafael Gascue di catturare con l’inganno “75 governatori, caciques e altri importanti personaggi”. L’operazione riuscì nonostante gli abitanti di Guadiana temessero l’assalto di almeno 2 mila guerrieri. Gli spagnoli giustiziarono la maggior parte dei prigionieri e, la mattina dopo, misero a morte anche gli altri. La morte dei loro capi avrebbe obbligato i Tepehuanes a fuggire sulle montagne. Le truppe liberarono il villaggio di Guanecebi (15 gennaio 1617), l’insediamento era stato saccheggiato e dato alle fiamme, i pochi sopravvissuti stavano ancora resistendo all’interno della chiesa. Erano stati uccisi dieci missionari e oltre 260 abitanti. Dopo una marcia forzata di sedici giorni, nella notte del 12 febbraio 1617, le truppe dell’Alvear colsero di sorpresa i ribelli Tepehuanes a Tenerapa: 60 indiani vennero uccisi e 220 catturati ed inviati in catene a Guadiana (4 marzo), fra questi molti erano donne e bambini; qualche tempo dopo i prigionieri sarebbero stati “condannati e ripartiti”. Nel frattempo, altri contingenti militari incalzavano i ribelli, il Rafael Gascue attaccava i Tepehuanes a El Tunal, dove gli indiani avrebbero subito una disastrosa sconfitta. Furono i 15 uomini del capitano Gonzalo Martin de Soria ad aprire le ostilità, gli spagnoli attaccarono all’alba incontrando forte resistenza, una sessantina di guerrieri vennero sorpresi e “al primo due capi vennero uccisi”.

I successi di queste spedizioni avrebbero portato alla distruzione di parecchie “città Tepehuanes” poste a ovest di Guadiana e si sarebbero messe in luce le truppe del capitano Bartolome Juarez, proveniente dal Presidio di San Hipolito. Il Juarez operò soprattutto a ovest di Guadiana, ebbe parecchi scontri con i Tepehuanes, “uccidendo e catturando un certo numero di loro” poi, non contento, punì duramente alcuni villaggi degli indiani Xiximes che si erano “ribellati e confederati con i Tepehuanes”. Dal Presidio di Sinaloa sarebbero intervenute anche le truppe del capitano Martinez Domingo de Hurdaide, le quali avrebbero assalito i Tepehuanes che operavano sulle montagne a ovest del Sinaloa. Tra marzo e settembre 1617, il governatore Alvear decideva di intervenire anche nella Nueva Galicia per sedare alcune rivolte. Le truppe schiacciarono gli indios della “Provincia di Chiametla” e poi portarono soccorso al Presidio di Acaponeta. Gli indiani ribelli, lungamente inseguiti dalle truppe, “si erano separati in sei gruppi armati, molte leghe distanti gli uni dagli altri… e i Tepehuanes si erano uniti ad altre nazioni”. Tra il novembre 1617 e l’anno successivo almeno cinque spedizioni punitive avrebbero dato risultati positivi. Il capitano Juarez condusse una lunga campagna, durata quasi sei mesi, contro gli indiani “Mesquital” e “Guazamota”, e i loro alleati. Il Juarez fu impegnato in tre o quattro scontri dove alcuni indiani avrebbero perso la vita; l’8 dicembre si sarebbe reso protagonista dell’impiccagione di dodici indiani ribelli, ma non sappiamo se fra questi vi fosse anche il famoso capo chiamato “Nayarit Gentile”. Invece i capitani Ontiveros, Castañeda e Aguirre operarono con discreti successi nei distretti di Santa Barbara, infine, il capitano Montano venne inviato a Guanecebi seguendo la pista di Tecuchiapa e attraverso il passo chiamato “El Diablo”. Dai primi di febbraio alla metà di marzo 1618, l’Alvear sarebbe nuovamente entrato in campo direttamente, si mise sulle tracce del pericoloso Gogojito della nazione Tepehuanes; i ribelli vennero inseguiti e stanati ripetutamente nelle loro roccaforti montuose, molti indiani perdettero la vita, mentre il capo venne catturato e giustiziato sul posto. Le operazioni di guerra furono portate avanti da due ottimi comandanti come il Soria e il Tomas Garcia, furono loro che stanarono i ribelli tra le rocce, Gogojito venne ucciso con molti dei suoi indiani, fra loro anche due suoi cugini, ma molti indiani sarebbero comunque riusciti a dileguarsi nella Sierras. La morte del capo influenzò le azioni dei gruppi ribelli, “…gli Xiximes, gli Acaxees e varie altre nazioni preferirono deporre le armi”. Diversi capi della rivolta furono impiccati e fra questi anche un indios chiamato don Marcos e noto per la sua bellicosità.
Circa 70 giorni di campagna bastarono per mettere a tacere varie popolazioni che stavano devastando il territorio, i Tepehuanes, sconfitti e ridimensionati numericamente, dovettero accettare durissime condizioni di pace. Secondo il Bancroft, gli indiani “avevano devastato l’intero territorio del Durango centrale, distruggendo innumerevoli centri agricoli ed estrattivi e ritardando il progresso industriale del paese per almeno un cinquantennio”. Gli indiani avevano perso almeno un migliaio di guerrieri, e fra loro i migliori capi, molte donne e molti bambini avevano perso la libertà e venduti come schiavi; i loro campi erano stati distrutti e la maggior parte del bottino di guerra irrimediabilmente perso, soprattutto “… il loro Dio li aveva delusi”. A partire dall’anno 1620 il nuovo Governatore spagnolo, Mateo de Vesga (1620-25), aveva preso in mano le redini dell’intera regione; il Vesga fu senz’altro un efficace amministratore, ma dovette rendersi conto che la situazione nel Durango era disastrosa. Verso la metà del 1624 la situazione era però migliorata sensibilmente, nuove aziende erano state ricostruite e l’estrazione dell’argento aveva ricominciato a funzionare. Ormai gli indiani non rappresentavano un serio problema, tra il 14 dicembre 1620 e il 17 gennaio 1621, “quarantasei governatori indiani, caciques, capitani e altri indigeni” erano comparsi davanti al Governatore in Durango (19 dicembre 1620), dove chiesero “umilmente la pace in nome dei loro sudditi”. Questo grande risultato venne però bruscamente disturbato dalle relazioni che il Governatore ricevette (21 gennaio 1621) da vari funzionari religiosi e laici. Le notizie riportavano che i Tepehuanes delle valli di San Pablo e San Ignacio, insieme ad alcuni gruppi di Tarahumaras, si erano nuovamente ribellati. Il Vesga dovette intervenire e si mise a capo di una spedizione militare, ma i Tepehuanes ribelli avevano preferito spostarsi a ovest per unirsi ai loro alleati. Fermatosi nella vallata di San Pablo, Francisco de la Cueba Montano, con un contingente di 200 soldati e indiani alleati, avanzò nelle terre dei Tarahumaras, al suo ritorno, 18 giorni dopo, il de la Cueba aveva catturato 11 prigionieri, tra i quali vi era il don Juan Code. Stando al don Juan de Olvios, “capo della nazione Conchas”, e all’interprete Ambrosio della “nazione Conchas”, il sedicente Juan Code era il “re di tutta la nazione Tarahumares che contava circa 4 mila indiani”. Gli indiani Tarahumaras, guidati dal Juan Code e da due importanti capi – don Pablo e don Francisco – si accordarono con il Governatore e, liberati, “promisero di aiutare gli spagnoli contro i ribelli Tepehuanes”.

La spedizione riprese la sua marcia e, tra il 13 e il 20 maggio 1621, avrebbe visitato altri pueblos. In tutti questi insediamenti “i capi e il popolo intero promisero la pace al Governatore”; dove capi importanti promisero di mantenere la pace. Dopo il ritorno del Governatore a Durango, “ numerosi indiani continuarono a fargli visita per sollecitare la ratifica dei Trattati di pace”. Tra questi indiani vi era anche Jacobo, un capo della “nazione Tobosos e altri quattro indiani della stessa tribù”, tra i quali il Cristobal appartenente alla stessa nazione, e il figlio del potente don Jusepe, “governatore e cacique della nazione Tobosos”. Questi informarono il Governatore che, “il 27 maggio i Tobosos, gli Achaclames, i Nonoties e i Xipocales” avevano raggiunto il pueblo di Atotonilco con il duplice scopo di trattare la pace e “mietere i loro raccolti nella valle del San Bartolome”. In effetti, le fonti ecclesiastiche ricordavano che gli indiani “Tobosos, Coclames e Nonoxes” erano spesso in stretto contatto con gruppi di bellicosi Salineros e mai avevano accettato “istruzioni religiose”. Il 6 marzo, El Xixicutta, un “bellicoso capo dei Tepehuanes”, chiese ed ottenne dal governatore una “offerta di pace e di perdono per sé e i suoi seguaci”; il capo era stanco di combattere, con la sua gente si era “ritirato nelle Sierras per quattro anni”. Il 2 aprile 1622, Cocani, “governatore e cacique del pueblo di Guaricame”, appartenente alla “nazione Umes”, con venti dei suoi sottocapi, trattava la pace con gli spagnoli; e diciassette giorni dopo, Cristobal – figlio di don Pedro (capo del pueblo di San Francisco de Mesquital) -, “l’alcalde e otto nativi del nuovo pueblo di San Francisco de Ocatan”, comparve davanti al Governatore affermando che la sua gente (circa 60 persone) aveva “paura a scendere dalle Sierras”, ma confidava “che la sua Signoria di buon cristiano potesse tutelare e favorire il loro rientro”. Nei giorni seguenti il Governatore ricevette parecchie segnalazioni da parte del capitano Francisco de Castro, il quale lo informava della fuga sulle Sierras di don Pedro, di don Lorenzo e di tutti i loro seguaci. Le informazioni sembravano veritiere, i due capi si erano alleati con un mezzosangue, chiamato “capitano” Mateo Canelas, e stavano cospirando per fomentare una nuova rivolta indiana; stando alle fonti, la loro intenzione era quella di “eleggere re e capo il suddetto Mateo Canelas”. Il Vesga procedette con cautela ed inviò offerte di pace al capo ribelle con alcuni regali. L’offerta venne accettata e, il 27 aprile, il capo Francisco Oñate, accompagnato dai suoi due figli, si presentò alla residenza di Francisco de Castro a Las Casas; alla presenza di numerosi militari e religiosi il capo venne “perdonato per le sue offese” e trattò la pace con gli spagnoli.


Donne Tarahumara

Qualche tempo dopo anche gli altri capi ribelli avrebbero trattato ed ottenuto la pace. Altri disordini scoppiarono più a est, nelle terre dei Conchos. Sembra che nell’anno 1621 il capitano Cristobal Sanchez, di stanza nella valle di San Bartolome, aveva inviato uno dei capi della nazione Conchos per incontrare gli altri leader ed invitare gli indiani a presentarsi per “lavorare nei campi e nelle aziende agricole della valle, come era annualmente loro abitudine”. Purtroppo, in questa occasione, l’emissario venne assalito e gravemente ferito dai suoi fratelli Conchos, fu allora che i coloni della valle richiesero l’intervento militare. I membri della Giunta consigliarono al Vesga di accettare l’offerta dei coloni, i quali erano disposti a prendersi carico delle spese offrendo barili di polvere da sparo, il ferro necessario alla ferratura dei muli e dei cavalli, e gli eventuali regali da offrire agli indiani alleati; inoltre, i coloni offrivano i loro servigi gratuitamente. Cristobal Sanchez, comandante della spedizione, il 22 novembre, terminava i preparativi, e trenta muli vennero caricati di attrezzature che dovevano servire per un periodo di due mesi. Il capitano si pose a capo di un contingente militare spagnolo e di “85 caciques, governatori, capitani e sudditi della nazione Conchas”. Il 25 dicembre 1621 la spedizione lasciava il villaggio di San Francisco per assalire i ribelli nelle loro roccaforti, si ebbero numerosi piccoli scontri con gravi perdite indiane, e molti ribelli sarebbero caduti nelle mani degli spagnoli. Così, dopo un mese di lotta, i Conchos preferirono deposero le armi. In marzo, a El Canutillo, venne impiccato un Tepehuanes di nome Juan, era accusato di aver commesso alcune rapine. L’impiccagione di Juan avrebbe convinto gli indiani a mantenere la pace.

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