Nuvola Rossa e Othniel Marsh tra fossili e dinosauri

Era stato in quell’occasione che il professore di Yale aveva incontrato per la prima volta Nuvola Rossa. Ne aveva naturalmente sentito parlare, come tutti, ma non c’era aspettativa o preparazione che potesse anche minimamente attenuare l’emozione suscitata dall’apparizione del capo Oglala nel piccolo accampamento dei paleontologi. Imponente e maestoso nel suo costume indiano, Nuvola Rossa aveva fermato con un gesto solenne il suo seguito ed era lentamente sceso dalla sua cavalcatura.


Nuvola Rossa si presentò così all’archeologo Marsh

AAvvicinatosi a Marsh e al suo interprete, un giovane scout di nome James Cook, il capo si era guardato intorno con occhi freddi, ma non apertamente ostili. Si era quindi rivolto a Marsh – il più anziano dei due -, parlando con una voce calma, pacata e soprendentemente acuta. Era seguito un istante di silenzio e quindi Cook aveva tradotto lentamente le parole di Nuvola Rossa. Il condottiero Oglala era offeso dal fatto che altri bianchi fossero arrogantemente penetrati nelle terre dei Sioux per portar via l’oro che apparteneva di diritto al suo popolo. “Digli che non è l’ oro che cerchiamo, ma le ossa di grandi animali che non camminano più su questa terra e che potrebbero aiutare gli uomini, sia bianchi che rossi, a comprendere meglio il mondo e la sua origine”. Cook aveva pensato un po’, evidentemente incerto su come elaborare il messaggio nella nasale e musicalissima lingua degli indiani, e poi aveva tradotto la risposta di Marsh. L’espression scettica e diffidente con cui Nuvola Rossa e i suoi avevano ascoltato il messaggio non aveva avuto bisogno di traduzione. Cook, evidentemente preoccupato dalla piega che prendevano le cose, si era quindi rivolto a Marsh, parlando in fretta e a bassa voce. “Sarebbe meglio preparare un banchetto per gli indiani; in questo modo dimostreremmo la nostra buona volontà e potremmo parlare con più calma, sperando di convincerli delle nostre buone intenzioni”.
E il banchetto si era fatto. Il cipiglio ostile dei guerrieri indiani si era disteso in larghi sorrisi di fronte alle abbondanti razioni di carne di bisonte messe loro davanti. Il pensiero che forse avrebbero dovuto richiedere altre provviste per la loro spedizione aveva attraversato per un istante la mente di Marsh; le sue priorità erano tuttavia altre e il barbuto professore si era nuovamente dedicato, tramite il suo interprete, a perorare la causa della scienza con il grande capo Sioux.
James H. Cook
Nuvola Rossa aveva scosso la testa: l’idea che la saggezza di un uomo dipendesse dalle grandi ossa che dormivano nel terreno sacro al suo popolo evidentemente non doveva convincerlo troppo. Nel frattempo Marsh aveva fatto cenno ai suoi aiutanti di portare davanti ai Sioux i primi reperti estratti nelle Black Hills perché i loro ospiti si convincessero della sua buona fede. L’enorme mascella di un dinosauro era passata di mano in mano, e uno dei capi più giovani aveva esclamato qualcosa ad alta voce. “Cosa dice?” James Cook aveva tradotto la domanda all’indiano che aveva iniziato a parlare in tono vivace, arricchendo il suo discorso con gesti animati. James Cook si era quindi rivolto a Marsh “Cavallo Americano dice che apparteneva a un “cavallo del tuono”. Molto tempo fa, quando i Sioux non conoscevano ancora i pony, era difficile per loro cacciare i bisonti. Nei momenti di necessità, quando la tribù era ridotta alla fame, il “cavallo del tuono” scendeva dal cielo insieme a una saetta e seminava scompiglio tra le mandrie, permettendo agli indiani di uccidere tutti i capi di cui avevano bisogno”. Marsh aveva sorriso; l’associazione dell’enorme bestia con il tuono gli piaceva: “Digli che non era un cavallo, ma un rettile, un sauro, come le tartarughe e i serpenti. Un “sauro del tuono”. James Cook aveva quindi tradotto, ma l’indiano si era limitato a scuotere la testa, sorridendo sarcastico. Doveva evidentemente sembrargli assurdo paragonare il “cavallo del tuono” a una specie di serpente troppo cresciuto.
Nel frattempo Cook e Nuvola Rossa avevano confabulato un po’ tra loro e Marsh aveva notato, con un certo sollievo, che l’espressione del capo Sioux da apatica e indifferente si era fatta sempre più interessata e un paio di volte si era soffermato a guardarlo, quasi valutandolo. Aveva poi ripreso a parlare con Cook, che aveva annuito pensieroso.


La spedizione del 1874 di Marsh nelle Black Hills

“Ho detto a Nuvola Rossa che lei è un amico del Grande Padre Bianco”. Soffocando le proteste del professore, Cook aveva ripreso il discorso imperterrito “Gli ho ripetuto che non è l’oro che cercate e che al vostro ritorno, potreste informare il Grande Padre della triste situazione dei suoi figli Sioux”. “Quale triste situazione?” “Le razioni. Sono sempre più scarse e la qualità peggiora. L’agente dice che è perché le comunicazioni sono rallentate e perché la gente di Nuvola Rossa passa dei viveri ai Sioux ostili del Nord, ma il capo nega e dice che sono menzogne, e che è l’agente che ruba le loro cose e li affama”. L’occasione si era presentata in modo evidente. “Se io gli garantisco che perorerò la causa della sua gente a Washington, Nuvola Rossa mi concederà il permesso di fare i miei scavi indisturbato?” Cook si era rivolto di nuovo al capo che, dopo aver riflettuto un poco, aveva risposto a voce bassa e in tono grave. “Dice che in zona ci sono bande di Minneconjou, Itazipco e Hunkpapa – voglio dire, altre bande Sioux, bande ostili che potrebbero non riconoscere la sua autorità e assalirvi. Non se la sente di correre questo rischio. Ci darà una scorta per ritornare a Camp Robinson, comunque”. Marsh aveva avvertito la forte tentazione di rispondere che in quel caso poteva scordarsi la sua collaborazione, ma poi ci aveva ripensato. L’atteggiamento di Nuvola Rossa era comprensibile. Quello che il capo Sioux non poteva però comprendere era la passione che animava Marsh e la sua incredibile ostinazione.
American Horse, nel 1877
Quella notte stessa, quando l’ultimo fuoco nell’accampamento dei Sioux fu spento, Marsh e i suoi avevano raccolto rapidamente le loro cose e si erano diretti verso il primo dei siti che avevano localizzato, passando ignari a pochi chilometri dal campo di quelle bande ostili cui aveva accennato Nuvola Rossa. All’alba, i paleontologi erano già al lavoro, troppo occupati per fare attenzione a dei gruppetti di indiani – apparentemente curiosi – che si avvicinavano a osservarli mentre sudavano sotto il sole di mezzogiorno. La cosa si era ripetuta per due o tre giorni, mentre quintali di fossili si accumulavano sui carri della spedizione. Una mattina però, proprio mentre Marsh cominciava a considerarsi soddisfatto dei risultati e a considerare l’idea del ritorno, un ospite inaspettato era giunto sul sito. Nuvola Rossa, accompagnato da un gruppo di seguaci, si era rivolto in fretta a Cook che, piuttosto allarmato, aveva detto a Marsh e ai suoi di prepararsi in fretta: una spedizione di Minneconjou ostili aveva deciso di attaccare il campo dei paleontologi il giorno seguente!
Nuvola Rossa
I preziosi fossili erano stati imballati alla meglio e il gruppo di studiosi, grazie all’avvertimento tempestivo di Nuvola Rossa, era tornato sano e salvo a Camp Robinson.
La voce del cocchiere fece tornare bruscamente Marsh alla realtà. Il professore alzò lo sguardo e la vista di un Nuvola Rossa diverso, con i capelli corti, abbigliato all’occidentale e con una ruga profonda che gli solcava il centro della fronte gli ricordò che erano passati nove anni da quegli avvenimenti. La sensazione pungente di freddo sul proprio cranio quasi completamente lucido confermò quella malinconica consapevolezza e Marsh si affrettò a rimettersi il cappello.
Nuvola Rossa invece, a parte il vestito occidentale e l’insolito taglio di capelli, non sembrava molto cambiato. La sua figura alta e muscolosa era dritta come quella di un giovane e, nonostante avesse passato ormai la sessantina, non c’era traccia di bianco nel nero corvino dei capelli che gli arrivavano appena sotto il colletto. Il capo salì con agilità sulla carrozza che doveva condurli a Yale e Marsh considerò che, se il tocco del tempo era stato gentile con Nuvola Rossa, non altrettanto poteva dirsi della civiltà dell’uomo bianco. Nelle sue Black Hills, a cavallo e con il costume indiano gli era sembrato quasi un re; ora, confinato in quel vestito scolorito e consunto, era diventato una semplice curiosità per gli sguardi disincantati dei cittadini di New Haven. Con un brivido, Marsh si ritrovò a paragonare il destino del capo Sioux con quello dei grandi fossili che dalle pianure sconfinate dell’Ovest si erano ritrovati nelle sale anguste e poco illuminate del Peabody Museum e per un attimo dubitò dell’effettiva bontà della sua missione di studioso.


Il capo Sioux in abiti tipici dei bianchi

Davanti all’ingresso del museo si era assiepato un altro nutrito gruppetto di persone. “Giornalisti!” esclamò seccato Bostwick, il segretario di Marsh. Nuvola Rossa si volse appena a guardare, mantenendo la sua impassibilità, ma Marsh credette opportuno metterlo al riparo da quelle iene affamate, a cui si affrettò ad andare incontro, offrendo seraficamente loro in pasto la sua stessa persona.
“Nuvola Rossa è stato l’avversario indiano più duro che il nostro esercito abbia mai affrontato..si dice che a quei tempi fosse assetato di sangue, ma in questi ultimi anni ha sempre desiderato la pace”… “E’ sicuramente il più grande guerriero e oratore del suo popolo…”

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