Le guerre contro i Cheyenne


I Cheyenne, come tantissimi altri gruppi di indiani, vivevano un tempo ad est del grande fiume Missouri. Spostatisi per diverse vicissitudini verso ovest, divennero cacciatori nomadi quando popolarono le Grandi Pianure, incarnandone lo stile di vita nomade. Verso la metà del secolo XIX, con la pressione dei bianchi che aumentava di giorno in giorno, seppero interpretare la necessità di non restare isolati, ricercando una qualche forma di alleanza con i Sioux e gli Arapaho.
In seguito al trattato di Fort Laramie, siglato nel 1851, i Cheyenne che vivevano lungo il corso superiore del fiume Arkansas vennero chiamati Cheyenne Meridionali e quelli abitanti lungo il Nord Platte, Cheyenne Settentrionali. Il gruppo dei Cheyenne Settentrionali ebbe una parte molto rilevante nelle cosiddette guerre delle pianure settentrionali e cioè nei più grossi scontri con i bianchi e con i soldati nel periodo che va dal 1865 al 1876.
I capi di guerra più importanti e noti, quali il famosissimo Dull Knife, si unirono ai capi dei Sioux, Red Cloud, Sitting Bull e Crazy Horse.
I Cheyenne Meridionali furono protagonisti anche in molte battaglie combattute nell’Ovest e in molte campagne militari lanciate contro le loro bande. I due raggruppamenti principali di Cheyenne non erano però isolati e senza collegamento. Durante gli anni di crisi veniva mantenuto aperto un canale informativo tra le bande. Inoltre, vi era un grande movimento tra i vari popoli e tribù nomadi che praticavano la caccia nelle Grandi Pianure e i loro guerrieri lottarono a fianco dei loro parenti del sud e viceversa.
Un primo conflitto travolse i Cheyenne Meridionali nel 1857, tre anni dopo il famoso incidente causato da Grattan, che provocò la guerra tra i Sioux e i bianchi.


Il cippo che ricorda la battaglia di Grattan

A causa delle razzie compiute da bande di giovani guerrieri lungo il sentiero dello Smoky Hill fino alle Montagne Rocciose, l’esercito inviò trecento cavalleggeri alla guida del Colonnello Edwin Sumner per punire i Cheyenne ritenuti colpevoli delle malefatte. Nella battaglia di Solomon Fork nel Kansas occidentale il 29 luglio, il Colonnello Sumner si scontrò duramente con i Cheyenne. Nel corso di un successivo aggravarsi della situazione, scoppiò il conflitto che sarebbe poi stato chiamato Guerra dei Cheyenne e degli Arapaho o Guerra del Colorado del 1864-65. In quel periodo tumultuoso accadde una tragedia che servì a compattare il fronte comune delle tribù delle pianure contro l’uomo bianco e ad aumentare l’odio e la completa sfiducia nei suoi confronti.
Con la crescita esponenziale del numero dei minatori stanziati nel Colorado, dopo la febbre dell’oro di Pike’s Peak del 1858, il governatore di quello stato, John Evans, favorì in ogni modo l’occupazione dei terreni di caccia dei Cheyenne e degli Arapaho da parte dei coloni bianchi. Al rifiuto delle tribù di vendere le loro terre e di stabilirsi nelle riserve, Evans decise di risolvere la questione con l’uso della forza, usando come pretesto gli incidenti di frontiera che accadevano saltuariamente. Perciò affidò le truppe all’ambizioso comandante militare territoriale, il colonnello John Chivington che era noto per le sue posizioni fortemente critiche nei confronti degli indiani.
Nella primavera del 1864 il colonnello Chivington lanciò una dura campagna militare contro i Cheyenne e gli altri indiani loro alleati. Le sue truppe attaccarono indistintamente gli indiani, razziando talvolta i loro villaggi.
I Cheyenne, uniti agli alleati Arapaho, Sioux, Comanche e Kiowa, scesero sul sentiero di guerra mettendo a ferro e fuoco il Colorado e il Kansas. Evans e Chivington decisero di rinforzare la “milizia”, creando dal nulla il 3° Cavalleria del Colorado, arruolando per l’occasione volontari da tutto lo stato.
Dopo un’estate punteggiata di piccole scorrerie e di scontri a fuoco, bianchi e indiani si incontrarono il 28 settembre a Camp Weld, poco lontano da Denver. Non fu raggiunto nessun accordo, ma gli indiani pensarono che ci fossero le basi per un rapporto basato su una solida pace. Uno dei capi Cheyenne più importanti, Black Kettle, era da tempo un fautore della pace e pensava di potersi fidare dei bianchi. Perciò condusse la sua banda, composta da quasi 600 Cheyenne ed alcuni Arapaho in una località lungo il Sand Creek e lì fece il campo, informando il vicino forte della sua pacifica presenza.
Poco dopo Chevington arrivò al forte con i soldati del 3° Cavalleria (erano circa 700 uomini) ed informò la guarnigione del suo piano per attaccare l’accampamento dei Cheyenne di Black Kettle. Chivington fu messo al corrente del fatto che quegli indiani si erano dichiarati pacifici, ma la cosa non lo smosse dal suo piano d’attacco.


L’attacco al sand Creek

Il 29 novembre Chivington guidò le sue truppe – tra cui, come si sarebbe scoperto in seguito, molti soldati letteralmente ubriachi – al Sand Creek e schierò le forze, dotate anche di quattro cannoni, intorno all’accampamento Cheyenne.
Black Kettle era fiducioso e per buona misura issò una bandiera americana e una bianca sulla sua tenda in maniera che risultassero ben visibili. Ma Chivington non era lì in visita di cortesia; alzò il braccio per dare il via all’attacco. Iniziò subito dopo un furioso crepitare di spari in mezzo ad un fuggi fuggi generale mentre anche i cannoni aprivano il fuoco contro gli indiani che, presi di sorpresa, si disperdevano in preda al panico, provando ad organizzare una linea difensiva in grado di favorire l’evacuazione delle famiglie. Alcuni Cheyenne riuscirono a resistere da dietro la sponda più alta del fiume e altri, tra cui Black Kettle, fuggirono attraverso la pianura. Ma alla fine del terribile attacco si contarono comunque 200 morti di cui più della metà erano donne e bambini. L’ordine di Chivington era di non far prigionieri e i suoi volontari del Colorado eseguirono alla lettera.
In seguito ad un’indagine del Congresso, il Colonnello fu costretto a dimettersi con una punizione pressoché insignificante che non significò niente per gli indiani.
Quando si sparse la voce del massacro tra le altre tribù per mezzo del racconto dei fuggiaschi, gli indiani delle Pianure meridionali e settentrionali si mostrarono più decisi che mai a resistere all’invasione dei bianchi. Cheyenne e gli Arapaho intensificarono le loro scorribande e il 7 gennaio e il 18 febbraio presero persino d’assalto la città e la stazione merci di Julesburg, lungo la parte meridionale del Platte River, causandone l’abbandono.
Era così cominciata la fase finale e più intensa della guerra sulle Pianure.
Sarebbe stato necessario un altro massacro, quello di Wounded Knee, un quarto di secolo più tardi, per scrivere la parola fine.
Poco dopo la conclusione della Guerra Civile, l’esercito, finalmente rimpolpato negli organici della frontiera, organizzò un’offensiva contro gli indiani delle pianure centrali, nota come “Campagna di Hancock” del 1867. Il generale Winfield Scott Hancock istituì il suo comando a Fort Larned lungo il sentiero di Santa Fe nel Kansas occidentale. Dopo un incontro senza esiti con i capi Cheyenne Meridionali Tall Bull e White Horse, Hancock iniziò la campagna vera e propria che consistette in un inconcludente giro per le pianure, un vero e proprio fallimento.


Hancock e Custer

Il comandante sul campo di Hancock era il giovane e ambizioso ufficiale di cavalleria George Armstrong Custer. La carriera di Custer come nemico degli indiani cominciò con un insuccesso e terminò appena nove anni dopo con il disastro di Little Bighorn. Nel corso della campagna di Hancock, Custer con il suo 7° Cavalleria cacciò i Cheyenne ed i Sioux loro alleati, attraverso il Kansas occidentale, il Colorado nord-orientale ed il Nebraska sud-occidentale. Riuscì a bruciare un villaggio sul Pawnee Fork, ma nulla di più, dato che gli indiani erano sfuggenti, evitando il contatto coi soldati e dedicandosi alle scorrerie contro stazioni di posta, diligenze, treni e gruppi di lavoranti delle ferrovie. I gruppi di guerrieri fecero anche delle incursioni contro Fort Wallace, il forte in cui fece tappa il gruppo di Custer il 13 luglio dopo un peregrinare infinito che ridusse gli uomini e i cavalli in condizioni di prostrazione tali da richiedere una pausa ristoratrice.
Quell’autunno i sostenitori della pace in seno al governo dichiararono che le campagne di Hancock e di Bozeman contro gli indiani a nord erano state un fallimento e sostennero che la politica di oppressione attuata dai militari aveva solo peggiorato la situazione. Istituirono quindi una commissione di pace che condusse alla firma di due trattati, il Trattato di Medicine Lodge del 1867 nel Kansas e il Trattato di Fort Laramie del 1868 nel Wyoming. Nel primo i Sioux ottennero una riserva sulle pianure settentrionali, dal territorio del Powder River fino al Missouri; nel secondo i Cheyenne e gli Arapaho ottennero una riserva nel Territorio Indiano, come avvenne per i Comanche, i Kiowa e i Kiowa-Apache.
Nonostante tutto questo, la pace era ancora lontana dalle pianure.


Il trattato di Fort Laramie del 1868

Mentre continuava inarrestata l’invasione dell’uomo bianco nei territori indiani, continuavano anche le scorribande dei guerrieri. A lottare contro gli indiani delle Pianure arrivò quindi il generale Philip Sheridan, comandante della Divisione del Missouri dal settembre del 1867.
Sheridan si diede subito da fare per organizzare una campagna militare per la successiva estate, allo scopo dichiarato di mettere fine alle scorrerie dei Cheyenne delle altre tribù in lotta. L’incidente che scatenò la nuova ondata di violenza fu il rifiuto degli ufficiali di distribuire armi e munizioni per la caccia ai Cheyenne Meridionali, motivandolo con una razzia, condotta dagli indiani Kaw, risalente a poco tempo prima contro un villaggio. Dopo che un gruppo di circa 200 Cheyenne, di cui molti erano Dog Soldiers, ebbe dato sfogo alla propria rabbia attaccando gli insediamenti lungo i fiumi Sabine e Solomon nel Kansas, altri guerrieri si unirono a loro per compiere altri attacchi lungo la frontiera.
L’esercito venne incaricato di bloccare gli indiani e punirli duramente. Il 17 settembre un reparto di 50 uomini sotto il comando del maggiore George Forsyth individuò e inseguì un gruppo di guerrieri, fino ad arrivare a contatto con il gruppo principale, composto da circa 600 guerrieri, che cacciò i soldati fino alla biforcazione dell’Arikara col Republican River attaccandoli subito dopo. I soldati si ritirarono su un isolotto in mezzo al letto asciutto del fiume. Per una settimana resistettero ai ripetuti attacchi degli indiani Cheyenne comandati da Tall Bull, Bull Bear, White Horse e dei Sioux capitanati da Pawnee Killer, finché arrivarono i soccorsi che allontanarono gli indiani.
L’inverno seguente Sheridan lanciò una nuova e più robusta campagna militare, in cui tre colonne confluirono sugli indiani. La prima colonna, partita da Fort Bascom nel Nuovo Messico, era alla guida del maggiore Evans; la seconda, partita da Fort Lyon nel Colorado, era comandata dal maggiore Eugene Carr; la terza colonna si mosse da Fort Dodge nel Kansas al comando del colonnello Alfred Sully. Il 7° Cavalleria di Custer faceva parte della terza colonna.
L’impegno più famoso della campagna di Sheridan fu la battaglia sul fiume Washita, un massacro di Cheyenne perpetrato il 27 novembre 1868.
A Camp Supply, nella parte nord-occidentale del Territorio Indiano, Sheridan trasferì il comando della sua colonna principale da Sully a Custer. Questi, che era interessato a recuperare un po’ di credibilità dopo il disastro della campagna di Hancock dell’anno prima, si mosse con la cavalleria durante una bufera di neve.


La battaglia al Washita River

Alcuni scout Osage scoprirono tracce fresche e condussero gli uomini di Custer ad un accampamento Cheyenne sul fiume Washita. Coperto dal buio, Custer schierò i suoi 800 uomini, dividendoli in quattro gruppi, intorno all’accampamento indiano per sferrare l’attacco all’alba. Nell’accampamento c’era la gente della tribù di Black Kettle. Benché testimone del massacro di Sand Creek compiuto da Chivington, Black Kettle non aveva mai mosso guerra all’uomo bianco. Anzi, aveva guidato il suo popolo a sud del Territorio Indiano per evitare di essere coinvolto suo malgrado nelle battaglie che si combattevano in Colorado e in Kansas. Alcuni dei giovani guerrieri dell’accampamento – dei quali avevano seguito le tracce gli Osage – avevano compiuto razzie ai danni dei bianchi, ma Black Kettle aveva cercato comunque di tenerli sotto controllo. Anzi, appena una settimana prima, si era recato a Fort Cobb per rassicurare il generale William Hazen sul fatto che lui e la sua banda desideravano la pace. Ma il suo destino era segnato… Dopo essere scampato alla battaglia del Sand Creek, sarebbe morto per mano dell’uomo bianco lì al Washita.
Al sorgere del sole, i soldati invasero l’accampamento. Gli indiani, presi di sorpresa, si radunarono, riuscendo ad uccidere cinque soldati e a ferirne altri 14. Ulteriori 15 soldati vennero tagliati fuori dalla colonna principale e uccisi poco dopo. Ma gli indiani persero il loro capo, Black Kettle e altri 100 guerrieri, oltre a registrare un numero molto alto di feriti. Benché Custer fece vanto di una vittoria importante, nella realtà era riuscito a decimare un gruppo di indiani prevalentemente pacifici in una strage molto simile a quella del Sand Creek. Donne e bambini, però, non furono uccisi, ma fatti prigionieri.
Il giorno di Natale, qualche settimana dopo, la colonna di Evans, a sud, si trovò coinvolta in una furibonda lotta contro i Comanche a Soldier Spring.
La campagna di Sheridan continuò nella primavera e nell’estate successive e gli indiani vennero braccati sempre più in profondità dai soldati.
Nel marzo del 1869, nei pressi di Sweetwater Creek, nella pianura delimitata dalla striscia di terreno sporgente del Texas, Custer, attraverso negoziati e minacce varie, ottenne la resa dei Cheyenne Meridionali. I loro capi, Little Robe e Medicine Arrows, promisero di ritornare nella riserva. I “Dog Soldiers” di Tall Bull si ritirarono verso nord allo scopo di raggiungere i loro parenti settentrionali nel territorio del Powder River. Il loro cammino fu interrotto a Summit Spring, nel Colorado nord-orientale, da una unità di cavalleria comandata dal maggiore Carr. I suoi scout erano Buffalo Bill Cody e alcuni Pawnee. In un attacco di sorpresa all’accampamento dei Cheyenne, gli uomini di Carr uccisero quasi 50 indiani e ne catturarono altri 117. Tall Bull trovò la morte nella lotta insieme ad altri valorosi “Dog Soldiers”.
I Cheyenne Meridionali e gli Arapaho meridionali ormai erano di fatto vinti.
Alcuni di loro fuggirono a nord presso i loro parenti settentrionali e continuarono la lotta, finendo sconfitti insieme agli alleati Sioux. Altri si unirono ai Comanche e ai Kiowa in un attacco a cacciatori di bisonti presso Adobe Walls nel Texas, durante la Guerra del Red River tra il 1874 e il 1875. Ma per i Cheyenne le pianure centrali non sarebbero mai più state come una volta. I Cheyenne Settentrionali furono coinvolti nelle guerre dei Sioux nelle pianure del nord e trionfarono con loro nelle battaglie del 1866-68 sul Bozeman Trail e a Little Bighorn durante l’insurrezione dei Sioux del 1876-77. I Sioux subirono poi una serie di sconfitte dopo la battaglia di Little Bighorn fino alla resa definitiva. Per i Cheyenne Settentrionali le battaglie al War Bonnet Creek, in Nebraska, e quella Dull Knife in Wyoming a luglio e a settembre del 1876, furono quelle che ebbero maggiori conseguenze, per cui la primavera dopo, i loro capi tribù più importanti, Dull Knife e Little Wolf, si arresero a Fort Robinson in Nebraska.


Little Wolf e Dull Knife

I Cheyenne del nord sperarono a lungo di essere trasferiti nella riserva dei Sioux nel loro antico rifugio, le Colline Nere, ma vennero invece mandati nel Territorio Indiano, per riunirli ai loro parenti del sud nella riserva dei Cheyenne e degli Arapaho, vicino a Fort Reno. Ma sulle quelle sterili pianure era difficile coltivare, specie per un popolo che praticava in prevalenza la caccia, e con le misere razioni che passava il governo non c’era abbastanza cibo neanche per quelli che abitavano da prima in quei luoghi. In più i Cheyenne Settentrionali furono colpiti da un’epidemia di malaria che si rivelò devastante.
Dull Knife, Little Wolf ed altri decisero quindi di tornare nel territorio del Tongue River in Wyoming e nel Montana e durante la notte del 9 settembre 1877, 297 tra uomini, donne e bambini, si misero in marcia lasciandosi dietro le abitazioni vuote. In una fuga epica e tragica durata sei settimane, attraverso terre già occupate dall’uomo bianco, con ranch, fattorie, strade e ferrovie, i Cheyenne si sottrassero a quasi 10.000 soldati e 3.000 volontari civili che li inseguivano. Alcune volte vennero attaccati e alcuni furono uccisi o catturati, ma la maggioranza riuscì a fuggire. Si formarono due gruppi: i più forti, guidati da Little Wolf, continuarono in direzione del Tongue River, mentre gli anziani, malati ed esausti, sotto la guida di Dull Knife, raggiunsero la riserva di Red Cloud a Fort Robinson in Nebraska per chiedere ospitalità al capo dei Sioux.
Il gruppo di Dull Knife fu catturato durante un’incursione di una unità di cavalleria comandata dal capitano John Johnson e fu scortato al forte più vicino. Dull Knife espresse il desiderio che il suo popolo venisse destinato presso la nuova riserva di Red Cloud nel Sud Dakota. Dopo diversi ritardi burocratici venne a sapere che sarebbe stati rimandati tutti nel Territorio Indiano. Gli ufficiali bianchi temevano che esaudendo i desideri dei Cheyenne, tutto il sistema basato sulle riserve avrebbe potuto risentirne ed essere minato.
I Cheyenne scapparono ma in uno scontro con le truppe ebbero consistenti perdite di vite umane, compresi donne e bambini e tra questi la figlia di Dull Knife. Questi, intanto, insieme al resto della sua famiglia, raggiunse la riserva di Red Cloud a Pine Ridge, dove però venne fatto prigioniero.
Little Wolf e il suo gruppo si era nascosto, durante i lunghi mesi invernali, a Chokecherry Creek, presso i Niobrara, finché vennero scoperti e costretti alla resa da un’unità di Fort Keogh, in Montana, al comando del capitano William Clark, e riportati al forte.
Finalmente, dopo ulteriori impicci burocratici, i Cheyenne videro appagato il loro desiderio originario di avere una riserva sul Tongue River.
Tra guerre, malattie e la povertà della riserva, erano rimasti in vita solamente 80 Cheyenne Settentrionali. La stessa sorte ebbero quelli meridionali, decimati dopo gli avvenimenti di Sand Creek e Washita.
Il “Popolo Eletto” era stato sconfitto.

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