La vita del monaco-pistolero

A cura di Luca Barbieri


In un precedente articolo, “La scienza nei duelli del Far West”, mi ero occupato della parte per così dire “fisica” dello scontro a fuoco tra due o più gunfighters; in questo articolo, invece, intendo occuparmi di quella “metafisica”, intesa come spirituale, mistica.
Nel libro “Storia dei pistoleri” ho inventato l’esistenza di una Fratellanza dei Pistoleri, una sorta di confraternita dedita all’insanguinata religione della Colt, con tanto di totem ricavato sulle fattezze del Josey Wales di Eastwoodiana memoria, di liturgie, e di prove da superare per essere accettati dal gruppo.
In questo bizzarro circolo d’assassini non stonerebbe affatto la presenza di un personaggio stravagante ed eccentrico, “El topo” (la talpa in spagnolo) creato e interpretato da quel folle genio di Alejandro Jodorowsky e protagonista dell’omonimo film del 1970.
La trama della pellicola è impossibile da riassumere in poche parole, tanto è vasta la sua complessità emotiva, oppure, proprio per questo, lo è facilmente: un pistolero con la vocazione del giustiziere, in cerca del miglior se stesso, finisce invece per smarrirsi del tutto; si danna e prova perciò a redimersi abbandonando la pistola per la preghiera, ma il mondo è troppo feroce, per cui deve tornare a impugnare le armi per compiere le giuste vendette e nel finale purifica i propri torti con la morte.
Un poster di Ringo
Niente di strano, sembra la trama di un film di Ringo; ma è molto di più, invece, e lo è perché il tutto è pervaso da una corrente di misticismo che trasforma ogni gesto in liturgia e ogni figura in simbolo: la morte del pistolero, ad esempio, il quale non cade trafitto da proiettili bensì si brucia vivo in un gesto di estrema purificazione che appartiene più ai ghiacciai tibetani che ai deserti del Messico. La stessa storia del film è un simbolico circolo perfetto che inizia con El Topo e suo figlio che vagano a cavallo e finisce con il figlio di El Topo, cresciuto, che prosegue il viaggio interrotto dal padre col fratello neonato e la madre di quest’ultimo, giovane compagna del padre defunto; d’altronde anche il destino cinematografico di El Topo è un cerchio: inizia quando egli vendica sanguinosamente un villaggio devastato dai mercenari di un fuorilegge chiamato il Colonnello e finisce con un altro massacro di farabutti, i cittadini che avevano sparato su una folla inerme di innocui derelitti. Al riguardo, davvero notevole è la “carica” di questi miseri esseri umani, una folla formata da emarginati, storpi, deformi e ritardati che si avvicinano disarmati al paese (che per loro rappresenta l’agognato “Paradiso perduto”) solo per essere decimati fino all’ultimo dai borghesi di città, disgustati dall’aspetto dei nuovi venuti, ma che sono a loro volta repellenti benpensanti corrotti e degenerati, ben peggiori dei “mostri” che respingono. (Dylan Dog ci andrebbe a nozze: la società dei Migliori che rifiuta gli emarginati e li calpesta). Che vi dicevo? Ogni cosa è un simbolo.


Una sparatoria nella main street di una cittadina del west

Ma il punto è un altro, perché questa non vuole essere una recensione di un film, ma una riflessione “metafisica” sul duello, come dicevo in apertura.
In che modo El Topo arriva a smarrire la giusta via e a dannarsi? Facendosi convincere (qualcuno direbbe “corrompere”) da una donna a sfidare i Quattro Maestri della pistola che vivono nel deserto. Uccidendoli tutti, lui diventerebbe il migliore. Accecato dai miraggi di gloria, El Topo li cerca, li trova, li uccide, usando trucchi sempre più sleali che lo allontanano dalla purezza d’animo che aveva lasciato intravedere nei primi minuti di film.
Ma, ancora, non è questo il punto. Perché quel che Jodorowsky ci vuol dire è che la perfezione nell’arte della pistola è l’annullamento spirituale, l’abbandono al principio taoista della non-azione, il rigetto di tutto ciò che è materiale e superfluo, e, soprattutto, la recisione di ogni legame affettivo. I Maestri, infatti, vivono tutti nel deserto, ma ognuno in un luogo più spoglio e ostile del precedente. Il primo è cieco e nudo (simbolo del suo isolamento dal mondo) ma abita comunque all’interno di una torre diroccata e ha con sé due servitori; il secondo non ha una vera e propria casa ma vive con la madre, e proprio l’affetto che ha per lei sarà la sua rovina; il terzo bivacca tra le dune di sabbia in compagnia soltanto di conigli bianchi; il quarto e ultimo è totalmente solo e vive tra la sabbia nudo e senza ripari.


Un quadro di Remington dedicato ad un duello

Ovviamente quest’ultimo è il migliore tra i Maestri, tanto che El Topo non riesce a sconfiggerlo: sarà lo stesso maestro ad uccidersi davanti a lui per dimostrargli che nulla importa davvero, nemmeno la vita. Costui non possiede armi da fuoco, si difende unicamente con un retino per farfalle col cui bordo metallico respinge i proiettili. E’ l’apice del principio della non-azione, ed è un trionfo perché El Topo non ha alcuna possibilità di batterlo: se spara, ogni suo colpo sarà ribattuto e reindirizzato contro di lui, se usa le mani si sfiancherà perché il Maestro è troppo veloce per essere colpito. D’altro canto questo principio era già stato anticipato dal primo Maestro che si proclamava invulnerabile ai proiettili in quanto egli imponeva al suo corpo di non opporre loro alcuna resistenza.
Questo, finalmente, è il punto: l’insegnamento del più saggio tra i Maestri della pistola si fonda sul non trascurabile fatto che il perfetto pistolero non ha in effetti bisogno di una pistola; uno stupefacente, meraviglioso paradosso. Il misticismo taoista dell’eremita ci insegna che il non agire è la migliore delle azioni possibili, e questa è infine la via del monaco-pistolero, figura tanto lontana dall’immaginario collettivo degli appassionati western quanto lo è il sole dalla Terra, eppure, in qualche bizzarro modo, estremamente familiare.
Tutto ciò è di certo affascinante, ma la mia riflessione conclusiva è che se i duelli si fossero davvero svolti in questo modo, con i contendenti immobili a contemplarsi come placide mucche, il Far West sarebbe stato di una noia mortale!

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