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Vita da soldato durante la Guerra Civile

A cura di Renato Panizza

Gli uomini che affluivano a migliaia nei campi militari, attratti dai bandi di reclutamento e infervorati di retorica, si aspettavano di immergersi in gloriose battaglie, mettere in fuga il nemico e far presto ritorno a casa.
Non ci misero, però, molto a capire che la loro principale occupazione non sarebbe stata quella di combattere, un giorno si e uno no. La vera essenza del fare il soldato era ben altra: lunghi, interminabili mesi da passare negli accampamenti, tra una battaglia e l’altra o uno spostamento, patendo il freddo o il caldo, in mezzo al fango o alla polvere; svegliarsi all’alba, tutti i giorni, e poi esercitazioni e manovre fino a sera; mille mansioni da svolgere, dal raccogliere la legna e pulire il campo, a scavare latrine. Ufficiali matti, estenuanti turni di guardia, picchetti e avanposti nei paraggi del nemico,con qualsiasi tempo e a qualsiasi ora.
E nei momenti di riposo… vincere la noia!
Ma non solo. Scriveva un soldato confederato al fratello a casa: “Se c’è un posto sulla Terra dove regna incontrastato il Male, questo è il campo militare! Ci sono i personaggi più unici che ho mai visto: i più accaniti bestemmiatori, bevitori, giocatori d’azzardo e ladri.
Se vuoi venire a visitare il campo puoi farlo, ma ti consiglio di portarti una pistola. C’è puzzo di inferno qui!”
Allo scoppio della guerra l’Unione disponeva di un esercito formato da soldati di professione, con buoni quadri e ben preparati militarmente, ma piccolo, di soli 16.000 effettivi circa. Ora, si rendeva necessario chiamare alle armi molti più uomini, anche se si pensava meno di quelli che sarebbero poi effettivamente serviti.


Una foto del 9° Mississippi

La Confederazione degli Stati del Sud era del tutto priva di esercito e possedeva solo milizie statali. Fino ad allora il Sud, con una ricca tradizione militare, aveva però fornito molti ufficiali nei ranghi dell’esercito dell’Unione, e parecchi avrebbero dato le dimissioni per arruolarsi nell’esercito confederato in via di costituzione.
Anche da West Point, l’importante scuola militare a Nord, sul fiume Hudson, la maggioranza dei cadetti meridionali se ne andò per indossare la giubba grigia. West Point forniva un’ottima preparazione professionale in campo tecnico, e molti diplomati che avevano lasciato l’esercito per svolgere professioni civili, ora vi rientrarono, e furono di validissimo apporto.


Il Reggimento 1st Michigan Volunteers, appena costituito, è schierato a Detroit nel 1861


Il campo militare di reclutamento “Camp Butler” di Cairo, in Illinois

All’inizio, i presidenti Lincoln e Davis dovettero far affluire sul campo parte delle milizie, che di per sé non appartenevano al governo, né federale né confederato, ma erano state costituite per agire all’interno del singoli Stati, e appartenevano ai Governatori.
Ma il loro numero non era sufficiente, e iniziò una vasta e capillare campagna per l’arruolamento volontario. Il Sud dovette, inoltre, far ricorso presto alla leva obligatoria (Aprile 1862).


Le uniformi dei cadetti in questa foto sono di una accademia del Sud

Così, nei campi di reclutamento cominciarono ad affluire migliaia e migliaia di uomini di varia estrazione sociale, dai poco più che adolescenti ai cinquantenni e si ritrovarono a dover condividere un ristretto spazio, e spesso a vivere gomito a gomito nella stessa tenda, timorati di Dio con bestemmiatori incalliti, timidi e sempliciotti con spavaldi e spacconi, ingenui e sciocchi con scaltri furbacchioni. Nessuno di loro, comunque, aveva esperienza di vita militare: era una massa di civili trasformata dall’oggi al domani in soldati, e ben poco disposta ad adattarsi al rigore e alle restrizioni che la disciplina militare imponeva.


5° Georgia, Maggio 1861

Nei reggimenti dei volontari non ci fu mai lo spirito e l’obbedienza che pervadeva invece i reparti di soldati regolari di professione. “Siamo venuti per combattere i Ribelli, e di tutte le scemenze del regolamento militare non ce ne importa niente”- affermava un soldato semplice proveniente dall’Indiana. All’inizio del conflitto il generale confederato J.E. Johnston disse che non avrebbe scambiato una sola compagnia di regolari con un intero reggimento di volontari! Anche alla fine della guerra si può dire che nessuna delle due sezioni riuscì a trasformare quei cittadini in veri soldati, pur non contandosi gli atti di eroismo e di sacrificio. Sul campo di battaglia gli uomini obbedivano agli ordini solo perché lo ritenevano doveroso e necessario, nel loro stesso interesse, ma quando tornavano all’accampamento diventava estremamente arduo per gli ufficiali tenerli a bada, a meno che non godessero veramente di grande prestigio e rispetto.


Un cavalleggero nordista armato fino ai denti


Ed un soldato del sud che non è da meno…

La cosa più importante che bisognava fare quando il Reggimento si spostava era costruire l’accampamento, secondo lo schema prefissato dal regolamento. Le tende dovevano essere montate in modo da disporsi ai lati di un camminamento dritto verso il quartiere degli ufficiali, sistemato ad un’estremità del campo.Era anche stabilito dove e come collocare i carri delle provviste, i magazzini, le mense, l’ìnfermeria e, non meno importante, dove scavare le latrine.Ma le condizioni del terreno e la necessità di andare per le spicce, a volte rendevano vani tutti gli schemi convenzionali, e gli accampamenti venivano allestiti come si poteva. Quasi sempre, comunque, finivano col diventare dei veri pantani nei periodi piovosi, e quasi sparivano alla vista, tanto erano immersi dalla polvere del terreno e dal fumo dei bivacchi, durante i periodi siccitosi.


Il colonnello Marlowe (John Wayne) guida la colonna di cavalleggeri in “Soldati a cavallo”

A seconda della stagione, diversi erano i tipi di rifugio che i soldati del Nord e del Sud avrebbero usato come abitazione durante i lunghi anni di guerra.


Un accampamento nordista molto ben sistemato

Nel periodo caldo o mite dell’anno venivano usate le tende, o ripari edificati con un misto di teli, frasche e rami: furono specialmente i soldati sudisti a utilizzarli, avendo sempre avuto scarsità di materiale militare per coprirsi. Tutte le volte che potevano, infatti, cercavano di arraffare ai Nordisti sia i teli per le tende, che bisacce, zaini, borracce, coperte…


Scorcio di accampamento confederato con delle ottime tende


Principali tipi di tende della Guerra Civile

Tante volte ci riuscirono, al punto che non esageriamo dicendo che uno dei migliori “fornitori” dell’esercito sudista… fu quello nordista! Così scrisse a casa John Garibaldi, della Compagnia C del 27° Virginia, Brigata Stonewall , quando era accampato l’11 Maggio 1863 vicino a Fredericksburg: “…non si possono contare gli zaini che il nemico ha lasciato sul campo di battaglia, credo ci fossero abbastanza zaini da rifornire il nostro intero esercito. Erano essenzialmente pieni di gallette e ci sono venuti proprio bene perché le nostre razioni erano finite il giorno prima. Avevano provviste per otto giorni, non avevano portato molti vestiti, solo un cambio di biancheria intima e le loro cartelle erano piene di carta da lettera e buste per scrivere a casa dopo la battaglia, penna e inchiostro.


Il 34° Massachusetts, ben schierato davanti al suo ordinato accampamento

Quella che ho trovato io è una cartella con carta e buste, dei francobolli yankee, delle gallette, un paio di mutande nuove e pulite, dell’inchiostro e un cappotto di tela cerata. I nostri uomini ora hanno molte cerate, e la pioggia non fa più paura a nessuno. Dopo che i nostri uomini hanno raccolto le cerate, le coperte e i cappotti che servivano, è rimasta ancora a terra una grossa quantità di materiale calpestato nel fango.”


Un campo unionista piuttosto esteso

Un tipo di tenda molto popolare e ben accetta dai soldati (entro certi limiti!) era la cosiddetta “Sibley”: l’aveva inventata, scopiazzando alla grande il tepee dei pellerossa, e dandole il suo nome, un ufficiale che sarebbe diventato Generale di Brigata della Confederazione, e avrebbe guidato la famosa (e unica) spedizione nel territorio del Nuovo Messico, uscendone battuto il 28 Marzo 1862 nella battaglia di Glorieta Pass. Era alta circa tre metri e ½ e aveva un diametro di cinque metri e ½. Si potevano sollevare delle alette alla base e aprire il vertice in alto per aerare e consentire lo sfogo del fumo della stufa collocata al centro.


Un esempio di “dog-tent”; da notare l’estremo ordine

Era stata concepita per dodici uomini al massimo, che si disponevano a dormire a raggiera, con la testa verso la circonferenza e i piedi al centro; ma ne venivano ospitati sempre circa venti.

Il risultato era che, oltre alla scomodità, quando per il cattivo tempo bisognava chiudere tutte le aperture, all’interno il fetore diventava tremendo: il soldato della CW non ebbe mai molte occasioni (e molto sapone!) per potersi lavare adeguatamente.


Un campo invernale confederato in Virginia, presso Manassas


Quartieri invernali Zuavi nordisti


Pavimento di tronchi davanti le tende

Vero è, che l’olfatto si assuefà all’odore, e dopo un po’ non lo avverte più come prima! Ne esisteva anche una versione più piccola fatta per sei persone… ma i problemi erano gli stessi. Col procedere della guerra, la maggior parte dei soldati dovette adattarsi a tende più piccole e sbrigative da montare, generalmente di forma triangolare. Il caso estremo era la tenda detta “del cane”. Perché fosse chiamata così lo si capisce al volo guardandola: era formata da due lembi di tela, che erano forniti dai due soldati che poi ci avrebbero dormito dentro: un telo veniva abbottonato all’altro, e la tenda stava in piedi attaccata a due paletti di legno o a due fucili piantati in terra con la baionetta inastata, e con dei tiranti al suolo.Il soldato yankee Asa Brindle scrisse a casa: “…mi ricorda il riparo forzato per il maiale castrato… l’inventore di questa tenda dovrebbe essere impiccato!” In effetti, non offriva praticamente quasi nessun riparo, né dal caldo né dal freddo, e ancor meno dall’aria; e quando pioveva, dicevano i soldati, “solo un cane, e piccolo, accovanciandosi al centro non si sarebbe bagnato”. Il sopraggiungere dell’inverno obligava a costruire accampamenti più resistenti, nei quali si sarebbe dovuto rimanere per più tempo.


La casetta invernale di un gruppo di ufficiali


Campo invernale della cavalleria, da una rivista d’epoca

Bisognava edificare abitazioni che riparassero dalla neve e dal freddo intenso e ciò comportava un lavoro più complicato. I soldati si armavano di accetta e incominciavano a tagliare gli alberi dei boschi vicini; raccoglievano nei dintorni tutto quello che sarebbe loro servito: pietre, tavole, mattoni, lamiere e tubi di ferro utili per costruire stufe e camini. Scavavano solchi nel terreno per dare un minimo di fondamenta alla casupola; usavano fango e paglia per tappare gli spifferi; e anche i teli delle tende e i “ponchos”, in loro dotazione come impermeabili, sarebbero tornati utili come coperture per il tetto. All’interno disponevano le brande, se le avevano, oppure si costruivano giacigli con paglia o frasche verdi. La paglia serviva anche a coprire il pavimento di terra (a meno che non si fosse riusciti a metterci delle tavole di legno) e a fare specie di zerbini da collocare all’ingresso. Anche i camminamenti e le stradine che risultavano dalla disposizione delle casette, quando possibile venivano lastricate con tronchi e tavole.


Una casetta personalizzata

Ne venivano fuori vere e proprie baraccopoli, che per i soldati che provenivano dalle ricche città dell’Est richiedevano una buona dose di spirito di adattamento, ma per coloro che provenivano dall’Ovest o dai monti appalachiani non erano molto peggio delle “log-cabins” dove erano abituati a vivere da sempre! Molti soldati personalizzarono la loro abitazione ponendo sopra l’ingresso cartelli con frasi spiritose o nomi allusivi e ironici, come: “Noi siamo fuori” , “La spensieratezza”, “Hotel dei porci”, “Il buco nel muro”, “Il nido della poiana”, “The Parker House”…


A volte c’era spazio per “ristorantini” che servivano… ostriche!

Anche le stradine avevano spesso un loro nome, come “Lee Boulevard”, “Lincoln Avenue”, o, più realisticamente, “Vicolo della noia” o “Viottolo fangoso”. Così, il soldato riusciva in qualche modo a superare l’inverno, ma la sua dimora, più o meno sudicia e puzzolente che fosse, diveniva sicuramente, e in poco tempo, un vero allevamento di pulci e pidocchi!
La fanteria si svegliava al suono del tamburo prima dell’alba, alle cinque d’estate e alle sei d’inverno.


Un campo nordista in fase di allestimento

Per l’artiglieria e la cavalleria ci pensava la tromba. I “primi sergenti” facevano l’appello; poi, dopo il breakfast e il cambio della guardia, iniziavano le esercitazioni, della durata di un’oretta circa, quattro o cinque al giorno,
D’apprima ci si esercitava a livello di plotone, poi di compagnia, e infine si riuniva l’intero battaglione e il reggimento.


Un accampamento invernale

Bisognava imparare a marciare per le parate,muoversi ordinatamente e con prontezza sul campo, cambiando formazione, dalla “colonna” alla “linea”, pronti al fuoco o all’attacco. Capitani, tenenti e sergenti avevano il compito di “tenere” i ranghi dei soldati; i colonnelli e i generali di brigata si esponevano davanti ai loro uomini, dirigendo le manovre, guidandoli all’assalto e dimostrando sprezzo della morte… almeno apparentemente!


Tamburini in un momento di riposo


Un tamburino unionista


Ed un tamburino confederato

Basilare era saper riconoscere prontamente i comandi che venivano impartiti dagli ufficiali con il supporto del tamburino o del trombettiere; tenere e maneggiare correttamente il moschetto; apprendere le tecniche di combattimento con la baionetta.


Trombettiere… al lavoro

Nulla era lasciato al caso o all’improvvisazione: ogni “passo” era stabilito dagli appositi manuali,e all’epoca ce n’erano diversi. Tra i più adottati, il manuale di Hardee, quello di McClellan, Steffens e Duffield per la fanteria; quello di Gibbon per l’artiglieria, e di Cooke per la cavalleria. Si trattava di manuali scritti in quegli anni, ma che avevano un’impostazione tattica napoleonica, dei primi ottocento o anteriore: ben presto l’evoluzione tecnica delle armi (rigate e a ripetizione) avrebbe costretto a modificare le tattiche, se non si voleva pagare un prezzo troppo alto in vite umane. I soldati, infatti, si schieravano in doppia fila, gomito a gomito, sparavano e attaccavano “serrando i ranghi”, secondo i vecchi canoni, per mantenere la compattezza del reparto e quindi anche la forza.
Uno, due plotoni, o un’intera compagnia, venivano mandati avanti a svolgere funzione di “schermagliatori”, per disturbare i ranghi del nemico che si trovava di fronte. Tra gli schermagliatori si trovarono sempre più frequentemente compagnie, o anche solo plotoni di “sharpshooters”: buoni, ottimi fucilieri scelti dotati di fucili di grande precisione ed efficacia.


Un manuale ad uso dei soldati


La posizione corretta

Questi soldati prendevano di mira gli ufficiali, e riuscirono molte volte ad andare a segno “decapitando” i reggimenti dei loro comandanti. Anche dei generali caddero sotto i loro colpi.Famosi i fucilieri di Berdan, nordisti dalla tipica divisa color verde. Ma, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’esercitazione al tiro veniva fatta poco: i governi di entrambe le parti non avevano soldi da buttare per sprecare preziose munizioni su bersagli finti; il soldato avrebbe fatto esperienza direttamente sul campo di battaglia …e a sue “spese”!
Il rullo del tamburo e gli squilli di tromba che scandivano il ritmo della vita militare, non erano l’unica musica che si udiva al campo. Ai soldati piaceva cantare, e alcuni che sapevano suonare si erano portati dietro lo strumento: chitarre, banjos, violini, flauti, armoniche e persino “scacciapensieri”, non mancavano mai accanto alle armi in dotazione.


Una delle tante orchestrine in servizio

Si improvvisavano orchestrine per allietare i momenti di riposo e le serate al fuoco dei bivacchi; i Sudisti facevano spesso ballare e cantare i loro negri, che erano numerosi nel loro esercito e svolgevano varie mansioni. Si suonavano canzoni popolari, melodie romantiche, sovente un po’ tristi o sdolcinate, inni patriottici e durante il Natale canzoni religiose. I Sudisti amavano “Lorena”, “Maryland my Maryland”, “The bonnie blue flag”, ”The Yellow Rose of Texas”. I Nordisti, “The Battle Cry of Freedom”, “Tenting on the Old Campground”, “Yankee Doodle”, “The Girl I Left Behind Me” …e andavano molto anche “My Old Kentuky Home”, “The Arkansas Traveler”, e “Home sweet Home”, una canzone talmente triste che i nordisti, dopo la sconfitta subita a Fredericksburg, la bandirono dal campo! In genere, erano molto apprezzate tutte le canzoni del contemporaneo Stephen Foster.
Quando non si era in azione, i tamburini, i trombettieri e quanti sapevano suonare, confluivano nella Banda del reggimento. Sia gli strumenti che i suonatori erano però, mediamente, di qualità assai scadente, e certe bande divennero famose per quanto erano scalcinate! Nel Nord, la peggiore tra tutte pare che fosse quella del 6th Wisconsin: conosceva un solo brano, “The Village Quickstep”, e si diceva che nessuno degli ascoltatori fosse mai riuscito a riconoscerlo, mentre lo suonavano! In ogni caso, che facessero solo del gran baccano o suonassero veramente, le bande un po’ di allegria la portarono sempre.


Addestramento di reclute di cavalleria nordista

Mai tanti americani erano stati prima d’ora così lontani da casa. I Nordisti si trovarono a un certo punto della guerra assai lontani dal loro territorio, e i Confederati, data la cronica penuria di uomini, cercavano di tenere al fronte quanti più soldati possibile, per cui le licenze erano concesse raramente. Così, si faceva sentire irreprimibile la nostalgia della propria famiglia, dei propri animali, delle cose lasciate e delle attività del tempo di pace. Per i Confederati, in particolar modo nell’ultimo anno di guerra, si fece forte l’ansia e la preoccupazione per la sorte dei propri cari, a mano a mano che il nemico occupava il Sud, saccheggiandolo e devastandolo. Le stesse mogli e fidanzate, che all’inizio del conflitto avevavo spronato i loro uomini a farsi onore per la patria, ora premevano per riaverli a casa. Così, i soldati presero la penna in mano e incominciarono a scrivere, probabilmente più di quanto avessero mai fatto in tutta la loro vita. L’idea che l’analfabetismo tra i soldati della Civil War fosse molto alto, perché erano in gran parte contadini, o comunque di bassa estrazione sociale, non corrisponde affatto a verità.


Tiratori confederati in agguato

Il livello di analfabetismo nell’Europa del XIX secolo era decisamente superiore: nel 1861 in Italia non sapeva né leggere né scrivere il 70% della popolazione, e in Gran Bretagna, sempre nel 1861, il 33% dei maschi e il 49% della femmine. Negli Stati Uniti, tra il 1799 e il 1809 l’analfabetismo nell’esercito era del 42% , ma scese al 25% nel 1850 e al 6% nel 1895! Il tasso di analfabetismo era superiore negli Stati del Sud, riferendoci ovviamente solo ai bianchi, e in quelli dell’Ovest, mentre nel Nord, e in Massachusetts in particolare, sapevano leggere, scrivere e far di conto una percentuale maggiore di persone che in Gran Bretagna!


Lettere da casa

Durante tutta la guerra la quantità di posta smaltita fu enorme: si stima che in reggimenti di mille uomini arrivassero e partissero anche 600 lettere al giorno!Il servizio postale fu messo alla prova come non mai, e fece del suo meglio, ma le lettere arrivavano quando arrivavano, con terribili ritardi. Per i fortunati che le ricevevano, magari con qualche oggetto preparato a casa, era un momento di euforia indescrivibile, e conservavano quelle lettere rileggendole un’infinità di volte.

Chi non sapeva leggere e scrivere si faceva aiutare da un amico,o dal cappellano del reggimento, o da qualche sottufficiale o ufficiale che si rendeva disponibile. I soldati scrivevano a casa delle battaglie, della vita nel campo, degli amici, del tempo che faceva e anche del loro stato d’animo, della loro salute e delle sofferenze vissute.


L’impegnativo momento della scrittura di una lettera ai propri cari


Un’edicola del tempo

Ma non era tanto importante quello che scrivevano, o quello che era scritto nelle lettere ricevute: ciò che importava veramente era sentirsi sempre legati agli affetti di casa, e sperare in una risposta sollecita. Naturalmente, i soldati scrivevano anche lettere d’amore alle mogli e alle fidanzate. Queste lettere traboccano di esternazioni di affetto, di attestazioni e promesse di fedeltà; e, nonostante si vivesse in un’epoca di grande sentimentalismo, dove il corteggiamento era di uno stile ancora a tratti “medievale”, e la sessualità fortemente repressa, non mancavano lettere “calde”: “Cerca, se puoi, di far provvista di sonno – scriveva una moglie al marito – perché quando tornerai a casa non ti farò dormire per una settinana di seguito e ti terrò tutte le notti tra le mie braccia!”.
Il soldato James Goodwin si vide recapitare per il Natale ’62 una lettera in cui la giovane mogliettina gli ricordava la loro recente luna di miele: “…la notte quando per la prima volta siamo stati a letto insieme, l’un l’altro godendo delle più grandi fantasie di piacere che l’anima e il corpo avessero mai avuto…”


Una… professionista del sesso a pagamento, in gergo “Hooker”

Se da un lato ciò poteva essere di conforto, dall’altro metteva alla prova la capacità di resistere alla tentazione di avere una donna. E le occasioni non mancavano: sia a Richmond che a Washington (città nelle cui aree le armate sudiste e nordiste rimasero per parecchio tempo) pare che ci siano state più di settemila prostitute, in oltre quattrocento bordelli: praticamente, un bordello ogni dieci case! E se i soldati non riuscivano a recarsi lì, ci pensavano loro, le prostitute, a raggiungerli nei campi… magari mettendosi anche l’uniforme! Una curiosità: la prostituta era chiamata “hooker”, come il cognome di un maggior generale dell’Unione. Ma c’era un nesso veramente? Il maggior generale Joseph Hooker era noto per essere un grande… puttaniere. Dicevano che “un uomo e una donna per bene dovevano girare alla larga dal suo quartier generale”. Per questo motivo si creò la leggenda che le prostitute fossero chiamate col suo nome. Pare, invece, che le “professioniste” fossero chiamate così ancor prima della guerra civile. Il che non dovrebbe sorprendere, perché il verbo inglese “to hooker” significa accalappiare, aggangiare, e il sostantivo”hook” significa gancio, amo. Quindi, in senso figurato, adescare, prendere con l’amo gli uomini. Il prezzo da pagare per la “debolezza”, oltre al denaro, era il rischio di contrarre una malattia venerea. Allora erano guai, perché non si conoscevano gli antibiotici. Le cure andavano da impacchi di whiskey, applicazioni di resine di pino, radici, erbe… a farmaci a base di nitrato d’argento, solfato di zinco, mercurio; ma nessuno di questi rimedi funzionava in modo soddisfacente.


La degenza negli ospedali da campo poteva essere terribile

Malattie veneree comprese, la situazione igienico-sanitaria durante la Guerra civile (ma possiamo tranquillamente allargare il discorso a tutte le altre guerre del XIX secolo) era tutt’altro che confortante.
Per gli uomini soli ci furono anche rare occasioni per nuovi incontri, e se capitava che un soldato riuscisse a “farsi la ragazza”, andava in estasi, diventava poeta e scriveva a casa idealizzandola al massimo.
Alcuni però non persero il senso della realtà: “Non ho abbracciato una ragazza da così tanto tempo che ormai sono…fuori esercizio!” – si lamentava un soldato.
Al campo le notizie “dal mondo” arrivavano coi giornali. Molto noti e diffusi erano i nordisti Harper’s Weekly e New York Illustrated News, e nel Sud il Southern Illustrated News. Ma innumerevoli erano i notiziari locali, editi anche in piccole città, e i soldati potevano inoltre acquistare presso i venditori, che giravano tra gli eserciti con i loro carretti, riviste e romanzi: si andava da semplici novelle popolari e patriottiche, a pubblicazioni di romanzi classici, dai “Tre moschettieri” ai “Miserabili”, o ai romanzi di Walter Scott, che erano richiestissimi, o addirittura classici latini e greci, per non dire di Shakespeare; ma abbondavano anche romanzi “da quattro soldi”, spesso licenziosi, che provenivano in gran parte dall’Europa. A partire dal 1862 cominciarono a essere pubblicate “Memorie”, resoconti di guerra, o romanzi che vertevano proprio sugli avvenimenti appena trascorsi della Guerra Civile, e andarono a ruba.


Un punto di distribuzione della Bibbia

Ma il libro di gran lunga più diffuso tra i soldati di entrambe le parti, ed effettivamente anche letto, fu la Bibbia. La U.S. Cristian Commission provvide a renderne disponibili decine di migliaia di copie. Negli accampamenti operavano diverse organizzazioni religiose, e c’erano i cappellani dell’esercito. Le funzioni religiose erano svolte regolarmente e venivano molto seguite… specialmente prima delle battaglie: i soldati promettevano di cambiar vita, di smettere di bere, e buttavano via carte e dadi… salvo poi cercare di recuperarli a battaglia finita, e avendo scampato la pelle!
Padre Colby
A parte ciò, bisogna dire che la religione era molto sentita e praticata dai soldati, sia del Sud che del Nord e i cappellani svolsero un ruolo importante di sostegno sia spirituale che materiale, operando come infermieri negli ospedali e assistendo gli uomini in ogni circostanza. Il più famoso ed esemplare tra tutti fu sicuramente il prete cattolico padre William Corby, cappellano della famosa “Irish Brigade”. Padre Colby dimostrò dedizione ed eroismo, seguendo i soldati fin nel pieno dell’azione, sotto i proiettili.
In alcuni reggimenti, sia nordisti che sudisti, i Colonnelli allestirono nei loro campi piccole biblioteche, dotandole di libri che loro stessi andavano in giro a reperire. Il Generale Morgan, uno tra i più famosi comandanti della cavalleria confederata, fece uscire periodicamente e per due anni, una rivista della cavalleria, la “Vidette”: un buon modo per intrattenere i suoi soldati… e “rompere le scatole” agli Yankees! Erano lette anche opere teatrali, e si allestirono piccole compagnie teatrali reggimentali. Il 50° Reggimento del Genio di New York, ad esempio, nel 1864 aveva addirittura costruito un teatro fuori le trincee di Petersburg, dove si esibivano i suoi attori, gli “Essayons”: i duri veterani di guerra si procuravano dalle donne del posto gonne e cappellini e recitavano anche ruoli femminili! Le compagnie teatrali reggimentali erano molto richieste, in primo luogo perché non costavano nulla; e poi perché mettevano in scena anche commedie comiche che parodiavano gli ufficiali nelle loro pompose uniformi, i giudici delle corti marziali e la vita nel campo in genere, in tutti i suoi aspetti più detestati o divertenti.
Ma erano le reclute i bersagli preferiti dei lazzi dei soldati. Quando un “pivello”doveva svolgere per la prima volta il suo turno di guardia di notte, i compagni si avvicinavano quatti, lo insospettivano, e dopo che per alcune volte aveva ripetuto sempre più allarmato: “Chi va là?…chi va là?”, gli riversavano addosso pernacchie, parolacce, battutacce!


“Volontari” sudisti

A una recluta arrivata alla tenda con il suo equipaggiamento nuovo, dissero che il Quartiermastro lo aveva imbrogliato perché non gli aveva consegnato “il suo ombrello d’ordinanza”: e l’ingenuo tornò indietro a protestare: “voglio l’ombrello d’ordinanza che mi spetta!”. L’ilarità non era solo per le reclute. Nei campi invernali i soldati si divertivano a gettare manciate di polvere nera nei comignoli delle baracche; oppure li tappavano con coperte o assi per far saltare fuori, magari nella neve, mezzo affumicati, quelli che erano dentro.


Il gioco del baseball


Ci si divertiva anche tirandosi le palle di neve

Se a uno veniva in mente di fare il verso della gallina o della mucca, dopo poco tutto il campo risuonava di “coccodè” e muggiti e gli ufficiali schizzavano fuori dalle tende per la reprimenda! Al campo si praticava anche del “sano” sport. I soldati organizzavano incontri di boxe, gare di corsa a piedi, su carriole o animali. Famosa fu la corsa sui maiali che si fece a Vicksburg nel 1862. Purtroppo finì male: un soldato perse il controllo della cavalcatura, che si buttò in una scarpata uccidendo il suo cavaliere. I soldati “piansero” il loro compagno cucinando la sera stessa il maiale reo dell’incidente: una strana forma di vendetta… non priva di un certo “humor nero”! Ma, più di tutti, era il baseball il divertimento sportivo preferito. Si trattava di una forma nascente e ancora primitiva del più popolare sport americano. Si dice che a inventarlo sia stato il generale nordista Doubleday, ma è una tesi contestata.


Una corsa nei barili poco divertente. Era una punizione!

D’inverno lo sport più praticato era giocare a palle di neve. Succedeva spesso che incontri iniziati da piccoli gruppetti, si allargassero a interi reparti, e divenissero quasi delle vere e proprie battaglie, come quella del 1864, nel campo invernale di Dalton in Georgia: ne rimase coinvolta tutta l’Armata del Tennessse (sudisti), con i Generali che guidavano le fazioni opposte; si usarono anche proiettili di ghiaccio e alla fine non si contarono ossa rotte, occhi neri e denti caduti!
Al soldato, insomma, piaceva divertirsi, e la brutalità della guerra non riuscì mai a indebolire la sua voglia di ridere e scherzare. Forse era l’unico modo di reagire. La guerra civile americana infatti fu “una faccenda molto seria”: durante il conflitto furono mobilitati circa 4 milioni e1/2 di uomini; 3 milioni al Nord e 1 milione e 1/2 al Sud. I morti furono più di 600.000, una cifra che rappresenta il 15,2% dei mobilitati: è tanto, se si pensa che durante la Prima Guerra Mondiale, in Italia i mobilitati furono 5.615.000 e i morti 650.000, che significa l’11,58%. Gli USA ebbero nel primo conflitto mondiale 116.000 morti su 4.355.000 mobilitati, cioè solo il 2,7%!
Oltre ai morti in battaglia, ma anche per malattia e conseguentemente alle ferite, vanno aggiunte almeno 400.000 persone che subirono invalidità permanenti di varia gravità, dalla perdita di un occhio, alle due gambe o braccia.
Ma non fu la baionetta a provocare tante vittime, e i casi di tetano causati da tagli infetti furono pochi.
Furono invece i proiettili dei moschetti a essere micidiali. Il proiettile di piombo all’impatto si deformava e penetrando produceva un vero sconquasso dei tessuti umani. La velocità del proiettile non era tale da surriscaldare il piombo e uccidere i germi che trasportava; inoltre nel corpo penetravano frammenti di stoffa che presto producevano infezione: pus e gangrena furono le “bestie nere” di quei tempi di guerra.


Interventi senza troppi fronzoli

Cosa assai grave era la totale mancanza di “sterilità” dei ferri chirurgici e di qualsiasi altra cosa che veniva a contatto con la ferita: se il medico si lavava le mani prima di operare era già un successo! Si calcola che circa 100.000 soldati nordisti e 90.000 sudisti morirono a causa delle ferite infette e circa il 25% degli interventi di amputazione portarono alla morte. Ma si registrano anche casi di morte a causa delle inalazioni di cloroformio ed etere (di solito mescolati) che erano usati come anestetici. Morfina e oppio venivano largamente usati per alleviare le sofferenze: i medici di allora non avevano ancora acquisito il concetto di “dipendenza e assuefazione”, cosicché molti soldati tornarono a casa ridotti a tossico-dipendenti. Anche la degenza post-operatoria era un periodo ad elevato rischio: potevano insorgere complicazioni polmonari che portavano ineluttabilmente alla morte perché non esistevano farmaci adatti.


Un vasto campo ospedaliero

Ma ci si ammalava, e spesso si moriva, anche di dissenteria, di tifo intestinale (Salmonella), di morbillo, di malaria, di tubercolosi… Morirono più soldati negli ospedali che sul campo di battaglia!
Le fratture e le ferite devastanti facevano si che l’arto colpito divenisse naturalmente irrecuperabile, e nel timore che ciò avvenisse (non avendo né tempo né attrezzatura, e neanche le conoscenze corrette per gli adeguati interventi ) i medici procedevano con estrema disinvoltura alle amputazioni, che i pazienti talvolta non superavano. Allo scoppio della guerra, i medici preparati erano solo 98 nell’Unione e 24 nella CSA! Alla fine della guerra se ne contavano migliaia, accanto a centinaia di migliaia di civili che si offersero come infermieri: si può ben immaginare quale sia stato il loro livello di preparazione! In ogni caso, il percorso di studio che portava a quell’epoca negli USA alla formazione professionale di un medico non è paragonabile a quello europeo. In Europa servivano quattro anni, dopo i quali il medico usciva con una preparazione oltre che teorica, anche clinica; e le Università europee disponevano di laboratori e attrezzatura specifica. In America, anche in importanti Università del Nord, come Princeton o Yale, il Corso di Medicina durava un solo anno…due anni erano “consigliati”! Ad Harvard, fin verso la conclusione della guerra, non c’era neanche uno stetoscopio! La guerra civile diede allora un fortissimo ”scossone” al sistema sanitario americano, in tutte le sue branche e contribuì in modo determinante a farlo evolvere. E’ importante osservare, poi, che al momento del reclutamento non c’era accertamento delle condizioni fisiche e relativa selezione: andavano a fare il soldato praticamente tutti quelli che si presentavano, adatti o no che fossero alle condizioni di vita militare, che all’epoca erano particolarmente dure.
Una cucina rustica
Il cibo di scarsa qualità e quantità, e spesso avariato e contaminato,la stanchezza, lo stress per le battaglie, il troppo caldo o il troppo freddo subiti, gli “standards” igienici ben lontani da quelli di oggi, determinavano una rapida e implacabile selezione naturale nelle fila degli eserciti.
Ma come si nutrivano i soldati?
Bisogna innanzitutto distinguere tra i periodi che passavano in relativa calma, quando non c’erano battaglie o grossi spostamenti e quelli che invece li vedevano impegnati in campagne e scontri.
Nel primo caso, i soldati si organizzavano e formavano nell’accampamento gruppetti addetti alla mensa, ripartendosi tra loro le mansioni di cuoco e inserviente. Le provviste arrivavano senza particolari problemi, con il massimo in quantità e qualità che il loro esercito poteva fornire.


Una tavolata di soldati nordisti

Il cibo,comunque, non era molto vario e la qualità dei prodotti forniti lasciava spesso molto a desiderare. Le festività natalizie costituivano un’eccezione alla regola: arrivavano i pacchetti da casa, e gli stessi ufficiali riuscivano a procurare ai loro soldati “leccornie” come pollami, ostriche, torte di mele…

I Nordisti, di solito, avevano carne di maiale salata ed essiccata, oppure anche fresca, talvolta bovina,che bollivano oppure facevano arrostire o friggere.


I sudisti avevano spesso scorte limitate

L’armata di Sherman, quando partì da Atlanta per attraversare la Georgia e risalire la costa atlantica, si portò dietro una grande mandria per disporre di carne fresca. Il pane consisteva in forme di galletta che i soldati chiamavano “spacca denti”, “castello di vermi” o “ lamiera di ferro”, ed erano costretti il più delle volte a frantumarla col calcio del fucile, tanto era dura! Il motivo è che le gallette venivano consegnate anche dopo mesi che gli stabilimenti alimentari le avevano prodotte, quindi si erano molto seccate e indurite. I soldati le ammollavano nella zuppa o, una volta frantumate, le mescolavano con carne, lardo, pancetta; cuocevano il tutto in una pentola, chiamando questo piatto “skillygalee”, che potrebbe tradursi “l’allegra sbobba”.


In fila per “l’allegra sbobba”

A volte passavano le gallette alla fiamma per cuocere la “carne-viva” che c’era dentro! I Sudisti, invece, non disponevano di una produzione massiccia e costante di gallette, e dovevano arrangiarsi a preparare sul posto quello che chiamavano “Johnny Cake”: quando riuscivano a procurarsi della farina e del latte, li mescolavano con altri ingredienti qualunque, e ottenevano del cibo che almeno non aveva i vermi!
I Nordisti disponevano spesso di riso, piselli, fagioli, patate e verdure di stagione come carote, cipolle e rape; e poi zucchero, in forma di melassa, aceto e sale per condire; caffè e thé come bevande. I Sudisti non avevano tale varietà di alimenti, e la quantità era ridotta. Anche la distribuzione era saltuaria: il Sud difettò di “infrastrutture” per l’approvvigionamento e la distribuzione dei rifornimenti, e di un Servizio dipartimentale che funzionasse veramente. Johnny Reb dovette sempre fare affidamento sull’aiuto della sua gente. Verso la fine della guerra i soldati del Sud avevano ancora armi e munizioni per combattere, ma facevano la fame.
Furto di scorte
L’acqua potabile fu un problema per entrambi: la difficoltà di procurarsi acqua pulita,e di mantenerla tale, unitamente alle presso che nulle conoscenze di igiene alimentare, fu causa di malattie intestinali anche molto gravi e diffuse. Quando invece si era in azione, ogni soldato doveva arrangiarsi a cucinare per conto suo (o a gruppetti), e doveva anche sbrigarsi, se non voleva che il reggimento chiamasse prima che il pranzo fosse pronto! Inoltre c’era il problema che i vagoni dei rifornimenti non riuscissero a raggiungere le truppe, a causa degli attacchi del nemico. I soldati portavano a tracolla una bisaccia di stoffa, che all’interno conteneva un altro sacco che poteva essere tolto e lavato: lì, doveva essere conservato il cibo, le razioni per almeno tre giorni. Però non succedeva che i soldati lo tenessero molto pulito, cosicché, alla fine, vi si accumulavano pezzetti di cibo contaminato, sporco e maleodorante: l’igiene per gli uomini dell’epoca non era certo una priorità!
Pacchi dono da casa
Quando nel 1864 i Nordisti incominciarono a invadere massicciamente il Sud (ricordiamo la “marcia verso il mare” dell’esercito di Sherman, attraverso la Georgia fino alle coste atlantiche delle due Caroline; e l’invasione della valle dello Shenandoah, in Virginia, dell’esercito di Sheridan), i loro soldati bottinarono sistematicamente tutto il territorio con appositi reparti addetti alle provvigioni. Ma anche la soldataglia si diede molto da fare: uno tra i più abili “predoni” dell’esercito pare che sia stato un certo Billy Crump, del 23° Ohio. Era attendente del Colonnello Hajes (futuro Presidente degli USA), e passò due giorni (usando il cavallo del suo Colonnello!) a saccheggiare la Virginia: al suo ritorno aveva un carico di 50 galline, 2 tacchini, 1 oca, 20 dozzine di uova e circa 15 chili di burro!
Come spesso accade, la noia, le preoccupazioni e i dispiaceri si affogano nell’alcool, sia in tempo di pace che di guerra e i soldati bevevano, eccome se bevevano! Si beveva in privato o ai tavoli da gioco delle carte e dei dadi, che spuntavano nei campi come funghi; e molti erano vere e proprie bische per il gioco d’azzardo. Il generale McClellan, che fu comandante dell’armata del Potomac, dichiarò: “Non c’è niente di più deleterio per il nostro esercito, del degradante vizio del bere. Se potessimo tenere i liquori fuori dai nostri bivacchi, ciò equivarrebbe ad avere almeno 50.000 soldati in più”; e il generale Bragg, quando comandava l’armata sudista del Tennessee, un giorno disse: “Stiamo perdendo più uomini per mano dei venditori di liquori che a causa delle pallottole nemiche!”
I liquori, infatti, si trovavano alla tenda del venditore, e nei reggimenti zuavi erano le vivandiere che procuravano ai soldati quei beni che l’esercito non passava, liquori compresi. Questi commercianti al seguito dell’esercito furono spesso oggetto di ruberie da parte dei soldati: era anche una forma di vendetta verso chi, come loro, se ne approfittava per lucrare forti guadagni vendendo a prezzi esagerati roba di scarsa qualità. I Sudisti videro i venditori solo i primi tempi della guerra, dal momento che il denaro confederato non era molto gradito. I soldati stessi riuscivano a produrre in proprio dei liquori facendo fermentare in olio per lampade e alcool, rami, cortecce o altre cose che trovavano in giro: ne venivano fuori intrugli micidiali dagli effetti devastanti! Un soldato del Vermont scrisse: “…vedevo diavoli e serpenti, e gridavo dal terrore.” Gli ufficiali mescolavano il Wiskey con le uova: il Colonnello del 48th New York, il giorno dopo una bevuta venne trovato morto nella sua tenda. Era il bere che più di ogni altra causa creava insubordinazione. L’alcool scioglieva i freni inibitori; i soldati ubriachi insultavano gli ufficiali, anche pesantemente, e non molti ufficiali godevano della stima incondizionata della truppa per evitare simili incidenti.


Uno dei tanti controlli delle pattuglie di guardia

L’ubriachezza portava a litigare e a venire alle mani per futili motivi; ogni giorno, nei campi, si verificavano casi del genere, e in particolare quando erano accampate vicine tra loro unità che non si vedevano di buon occhio. Ad esempio, erano odiati i tedeschi e disprezzati i neri, e gli irlandesi si rivelarono particolarmente rissosi: in una sola giornata, in un reggimento irlandese di 800 uomini, ci furono ben 900 litigi! L’imprecazione, poi, era la norma. Un cappellano confederato disse che aveva udito più bestemmie e parolacce in 24 ore al campo, che prima, in tutta la sua vita! Il linguaggio scurrile era deprecato non solo dai ministri della religione, ma anche dai comandi militari e gli ufficiali di campo (se non erano anch’essi ubriachi!) facevano del loro meglio per imporre l’ordine, applicando le pene previste dal regolamento o inventandosene delle nuove, specie quando taluni casi non erano contemplati dai manuali. Per i casi più gravi, se diventava necessario il ricorso alla Corte Marziale, il sistema giudiziario spesso si inceppava, oberato dalle pratiche o perché non si riuscivano a trovare gli ufficiali necessari. Capitò a volte che mancasse un testimone chiave, a favore o contro, perché nel frattempo era morto!
Si cercava pertanto di sbrigare i casi di infrazione alle regole direttamente sul posto e alla svelta.
La pena più comunemente assegnata era “la guardina”: un’area di campo era chiusa da funi e sorvegliata da una sentinella, e lì’ veniva spedito il reo a passarci alcune ore o qualche giorno “a pane e acqua”.
In punizione sulla trave
Succedeva che questo tipo di prigione fosse così affollato da diventare una sorta di allegro bivacco dove l’ufficiale di turno ogni tanto si recava a far ramanzine e minacciare pene più gravi. Si poteva finire a cavalcioni di un trave per alcune ore; o girare per il campo trascinando delle bottiglie vuote ai piedi o reggendo sulle spalle un pesante ceppo di legno. Per codardia o assenza ingiustificata alle esercitazioni, si finiva legati come salami, accovacciati per terra con una mordacchia in bocca e legnetti vari tra gli arti, a rendere “più confortevole” la posizione. Potevano appenderti un cartello al collo, con scritto il reato commesso e farti girare su e giù per il campo a raccogliere insulti dai compagni.
Se un soldato si era divertito a sparare a un cane randagio, lo facevano girare per ore con il braccio la carcassa dell’animale. Si poteva però arrivare anche a punizioni dure come la marchiatura a fuoco: per diserzione, vigliaccheria in battaglia, ruberie al campo, o altri reati percepiti come odiosi, veniva impressa a fuoco una lettera in fronte, su un braccio, su una guancia o sulla schiena: C= codardo T= ladro (thief) D= disertore, etc…
A parte la marchiatura, le altre punizioni non preoccupavano tanto la truppa: era peggio quando all’ufficiale veniva in mente di raddoppiarti la guardia; oppure, spedirti sempre nei picchetti vicino al nemico. Ma in questi casi, come vedremo, potevano crearsi anche situazioni favorevoli…
Caso limite era l’espulsione dall’esercito con il massimo del disonore.Si procedeva ad allestire una vera e propria cerimonia davanti a tutto il Reggimento.Dopo avergli strappato bottoni, mostrine e galloni, il reo veniva rapato e gli si appendeva al collo un cartello con scritta l’infamante accusa. Poi,un plotone coi fucili girati in basso lo accompagnava fuori dal campo, alle note della “Marcia del Furfante” intonate dalla banda. Nei casi di spionaggio, omicidio,stupro e anche a volte per diserzione, veniva applicata la pena di morte. Ma solo il 10% delle diserzioni vennero punite con la pena capitale; il più delle volte la pena era commutata in carcere, magari anche solo per la durata della guerra.Specialmente per i primi due anni di guerra le pene capitali vennero applicate raramente.
Al Nord, fu Lincoln stesso a dire che la gente non avrebbe accettato così tanto rigore per uomini che si erano presentati volontariamente per combattere. Con il passare degli anni, però, il conflitto si indurì,e, specialmente al Sud, i casi di allontanamento dai reparti senza il permesso necessario divennero preoccupanti:il generale Longstreet, nel 1862, verificò che nel suo Corpo ben 7.000 uomini si erano assentati senza averne chiesto il permesso! Magari erano semplicemente tornati a casa per le semine o il raccolto, e poi sarebbero rientrati.


Certi reati venivano puniti con la fucilazione

Alcuni passarono dalla parte del nemico; non era poi così difficile farlo, e le occasioni non mancarono. Fraternizzare col nemico era assolutamente vietato e doveva essere severamente punito… in teoria! In pratica, avveniva regolarmente e in tutti i fronti. Capitava, infatti, che i soldati si accampassero molto vicino al nemico, per settimane o anche mesi, separati magari solo da un fiume, e potevano osservarsi a vicenda da una sponda all’altra; oppure distavano qualche centinaio di metri, al di là di un bosco o una collina, e alla sera si intravvedevano i fuochi dei bivacchi.
I comandanti distaccavano dei picchetti di guardia, che spesso erano così vicini tra loro che i soldati nemici si trovavano a portata di voce. Si cominciava magari con qualche “sfottò”, qualche motto di spirito; poi, pian piano si scambiava qualche battuta sulla guerra, sulla vita nel campo e si finiva col famigliarizzare, col fraternizzare.
In quelle circostanze era difficile mantenere un atteggiamento ostile. La necessità portava a proporre scambi di vari beni: ai Sudisti mancava il caffè, e dovevano accontentarsi di surrogati fatti con la cicoria, le patate, le noccioline o i piselli tostati; ai Nordisti mancava il tabacco, che invece i Sudisti avevano, e buono. Si commerciava anche lo zucchero, la farina; e si arrivava alla richiesta di bottoni, ago e filo, giornali e riviste, e anche moneta corrente.
Fatto sta, che non era raro vedere battellini carichi di merci, tirati da una corda o spinti dalla corrente, che attraversavano nei due sensi le sponde del fiume; oppure Ribelli e Yankees che si incontravano a mezza strada per barattare oggetti e cibo, e magari si fermavano pure per una partitina a carte, a poker… e si giocavano le razioni! In fondo, i “nemici”, prima della guerra erano talvolta legati tra loro da vincoli di parentela o di amicizia; parlavano la stessa lingua, e come nel caso degli Irlandesi o dei Tedeschi , che troviamo in entrambi gli eserciti, avevano le stesse radici; magari provenivano dalla stessa città europea.


Ancora un esempio di punizione

Poteva succedere che soldati semplici, alla vista di un ufficiale nemico che si avvicinava ai picchetti, si mettessero sull’attenti, lo salutassero, e scambiassero pure due parole con lui, con addirittura maggior rispetto di quello che nutrivano verso il proprio comandante!
Quando però nell’aria cominciava a sentirsi “odore” di battaglia, le cose repentinamente cambiavano e, più o meno inconsciamente, il soldato si riappropriava della “sua divisa”: “Non vedo l’ora di spazzare via dal fiume quei figli di puttana!”
E la guerra ricominciava. Quando a migliaia gli uomini del Sud e del Nord erano partiti per la guerra, non immaginavano certo che sarebbe stata così lunga e carica di sofferenze.Le severe condizioni di vita, le mille privazioni, le lunghe estenuanti marce, le paurose battaglie e l’esaltazione che seguiva la vittoria, o al contrario il picco di depressione dopo la sconfitta, avevano indurito quegli uomini. Johnny Reb e Billy Yank avevano tirato avanti con tenacia, a volte con grandezza d’animo, nell’attesa del giorno in cui la pace sarebbe finalmente tornata. Eppure, anni dopo la fine della guerra, il soldato McCarthy si sarebbe pronunciato così: “Quando ci ritroviamo, ricordiamo con piacere il passato: quel sentirsi affamati, stanchi, assetati e poi trovare ristoro; trovarci nel mezzo della roboante battaglia e sperare nel conforto che dopo sarebbe ritornato; patire il freddo, la stanchezza, e poi trovare rifugio nel nostro campo, la nostra “casa” lontano da casa.”