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I film western

La locandina di “Balla coi Lupi”
Il film western sono solitamente ambientati nell’ovest americano del XIX secolo, in un periodo che può indifferentemente variare tra il 1850 ed il 1890.
Talvolta accade che le vicende siano inserite anche nell’ambito “specialistico” della guerra di secessione o hanno la Guerra di secessione sullo sfondo. In genere, però, gli eventi citati nei film western sono collegati all’avanzata dei bianchi verso ovest e al loro complesso rapporto con gli indiani. Molto citati sono gli eventi tipici delle cittadine della frontiera o quelli collegati all’impero del bestiame. La loro collocazione geografica può estendersi dal Messico al Canada.
Gran parte degli western trattano di cavalieri erranti che vagano di città in città con tutti i loro beni: il vestito che indossano, un revolver ed un cavallo.
Innovazioni quali il telegrafo, la stampa e la ferrovia sono spesso presentate come invenzioni recenti per sottolineare che l’azione si svolge sulla frontiera con il progresso che incombe.
Il western sfrutta questi semplici elementi per creare racconti moralistici, di solito ambientati tra i più spettacolari panorami d’America. In alcuni film gli scenari assumono la stessa importanza dei personaggi o della vicenda: quando la storia vuole mettere in evidenza le asprezze della vita selvaggia a contatto con la natura, allora sono preferiti i deserti (Sentieri selvaggi del 1956 e Terra di confine del 2003); altre volte, invece, ambientazioni più amene e ‘facili’ sono utilizzate per contrapporre la tristezza delle esistenze passate nelle città del west, sempre sporche e polverose, alla gioia di una vita trascorsa a contatto della natura (Mezzogiorno di fuoco del 1952).
Molto frequenti sono le ambientazioni delle vicende in fortini isolati, ranch, insediamenti solitari, saloon o prigioni. Vere icone del western sono, inoltre, i cappelli a falda larga dei cowboy (Stetson in inglese) e gli speroni, le colt calibro .45 (Colt Single Action Army), le prostitute-ballerine ed il fedele destriero.
Di seguito elenchiamo, nel dettaglio ma senza alcuna pretesa di completezza, alcuni film western molto famosi che a nostro parere ben figurerebbero nelle case degli appassionati di old west.


Per qualche dollaro in più (1965) – Regia: Sergio Leone – Attori: Clint Eastwood, Lee Van Cleef, Gian Maria Volontè, Klaus Kinsky.
Due pistoleri, il Monco (Eastwood) e l’ex colonnello Mortimer (Van Cleef), sono sulle tracce del bandito messicano Indio (Volontè) e della sua banda. I due pistoleri (mosso il primo solo dalla taglia, l’altro da sentimenti di vendetta), si uniscono e tra avventurose e sanguinose sparatorie riescono ad uccidere tutti i banditi. Leone, modifica di poco lo schema di “Per un pugno di dollari”, ma costruisce un western dominato dalla morte e dalla violenza che riesce a raggiungere livelli addirittura sadici, poco legati al periodo western.

Per un pugno di dollari (1964) – Regia: Sergio Leone – Attori: Clint Eastwood, Gian Maria Volontè, Marinne Cock, Wolfgang Lukshy
Al confine fra Messico e Stati Uniti, due potenti famiglie, i Rojo e i Bugster, sono divise da un’acerrima rivalità per il controllo del contrabbando di armi e di alcol. Un misterioso pistolero solitario (Eastwood) cerca di arricchirsi mettendo le due famiglie una contro l’altra, lavorando di nascosto per entrambe. Scoperto dai Rojo riesce a fuggire. Tornato per vendicarsi, da solo uccide tutti i Rojo. Il primo grande western di Sergio Leone, con la colonna sonora di Morricone, con protagonista il bravissimo Eastwood, è una pietra miliare del filone del western italiano. Nuovi, e poi tipici di tutti i film del genere del regista, i personaggi: degli eroi cinici e spietati, in un mondo dove tutti sono contro tutti e dove ciò che conta veramente è solo la violenza. Numerosi i momenti entrati nella storia del western: in particolare la scena finale in cui Eastwood si presenta solo contro tutti i Rojo: grazie ad un abile stratagemma (usa come “giubbotto antiproiettile” una lastra di ferro), riesce a disorientare i rivali e ad ucciderli tutti. Ispirato da “La sfida del samurai” di Kurosawa, fu denunciato per plagio dal regista giapponese che fu risarcito.

Corvo Rosso non avrai il mio scalpo (1972) – Regia: Sydney Pollack – Attori: Robert Redford, Will Geer, Delle Bolton, Stefan Gierasch, Ann McLearie
Nel 1850 l’ex soldato Jeremiah Johnson (Redford) abbandona la civiltà per andare a fare il trapper solitario sulle montagne; dove stringe amicizia con gli Indiani e sposa un’indiana da cui avrà un figlio. Costretto per aiutare una colonna dell’esercito a violare un cimitero sacro, vede la propria casa incendiata e i propri cari uccisi dagli Indiani per vendetta; inizia a vagare per le montagne, è violento ed ostile con tutti gli Indiani che incontra finché ritrova la pace. E’ un Western maestoso e malinconico che celebra la vita libera e selvaggia in mezzo alla natura. Gli Indiani appaiono ostili, ma non inferiori all’uomo bianco.

Il buono, il brutto, il cattivo (1966) – Regia: Sergio Leone – Attori: Clint Eastwood, Eli Wallach, Lee Van Cleef, Carlo Giuffrè
Durante la guerra di Secessione americana, tre avventurieri sono alla ricerca di un misterioso tesoro sepolto in un cimitero: Joe il biondo (Eastwood), il buono, conosce il nome della bara in cui è sepolto il tesoro, Tuco (Wallach), il brutto, sa dov’è il cimitero e Sentenza (Van Cleef), il cattivo, si finge un ufficiale nordista. Fra numerose avventure e insidie essi giungono alla sospirata meta. “La trilogia del dollaro” di Sergio Leone si chiude nel picaresco, con un film che vuole un po’ fondere gli elementi del western italiano con quelli della comicità latina. Il tentativo non sempre riesce al meglio, ma accompagnato dall’indimenticabile colonna sonora di Ennio Morricone, contiene uno dei più bei duelli della storia del western: il “duello” finale al cimitero.

Balla coi lupi (1990) – Regia: Kevin Costner – Attori: Kevin Costner, Mary McDonnel, Graham Greene, Rodney A. Grant
Un soldato nordista diventa suo malgrado un eroe, e decorato, sceglie di abbandonare la civiltà per vivere nella zona della frontiera, per poterla vedere e conoscere prima che scompaia. Scopre che i veri “selvaggi” sono i bianchi, che portano violenza e sopraffazione e và a vivere fra gli Indiani. Costner esordisce nella regia con un western straordinario e coraggioso: si schiera esplicitamente dalla parte dei pellerossa ed esalta un modello di vita vissuta in armonia con la natura. Grande forza hanno le immagini.

Ombre Rosse (1939) – Regia: John Ford – Attori: John Wayne,Claire Travor, John Carradine,Thomas Mitchell, Andy Devine, Donald Meek, Louise Platt, Tim Holt, George Bancroft, Berton Churchill.
Nel 1880 una diligenza lascia la città di Tonto per dirigersi a Lordsburg: a bordo: la moglie incinta di un ufficiale, un giocatore professionista, un timido rappresentante di liquori, lo sceriffo Wilcox e successivamente una prostituta di nome Dalls, un medico alcolizzato, un banchiere disonesto e il fuorilegge Ringo Kid (Wayne). Il viaggio è lungo e pieno di pericoli. Arrivato a Lorsburg Ringo vendica la morte del padre e del fratello, si dirige oltre frontiera con Dallas. E’ uno dei massimi capolavori del filone western: in esso vi è un perfetto equilibrio fra teatralità e avventura, fra spazi chiusi e spazi immensi. Forte è il messaggio contro l’ipocrisia e l’emarginazione sociale, ma le difficoltà modificano i rapporti tra i personaggi e mettono a tacere i pregiudizi. Il film vide il ritorno di Ford al filone western, e lanciò John Wayne come attore di primo piano. La celebre sequenza dell’attacco degli Apaches alla carovana fu ripresa a 60 km/h; fu girata nella Monument Valley, usata da Ford per la prima volta come sfondo panoramico di primo piano.

Sentieri Selvaggi (1956) – Regia: John Ford – Attori: John Wayne, Jeffrey Hunter, Vera Miles, Ward Bond, Natalie Wood.
Texas 1868. Dopo che un gruppo di Indiani ha massacrato suo fratello e sua cognata, il reduce sudista Ethan Edwards (Wayne) parte alla ricerca delle due nipotine rapite, insieme a Martin, un mezzosangue adottato dal defunto fratello. Dopo lunghi anni di ricerca ne ritrovano una, ma, quando Ethan scopre che è diventata un’indiana, pensa di ucciderla. “Sentieri Selvaggi” è uno dei migliori western di Ford per la complessità dei temi affrontati, per il geniale uso degli spazi della Monument Valley, per la straordinaria capacità di rendere l’idea del passare del tempo e delle stagioni tramite i mutamenti naturali, è uno dei più grandi film di tutti i tempi. Straordinaria l’interpretazione di Wayne: l’attore dà vita ad un personaggio tormentato, spinto a continuare la ricerca, più che dalla volontà di ritrovare le bambine, dall’odio e dal desiderio di vendetta nei confronti di quegli Indiani. La scena finale, in cui la sagoma di Wayne rimpicciolisce all’orizzonte, inghiottita dall’immenso paesaggio, esprime la condizione di solitudine del protagonista.

Sfida infernale (1946) – Regia: John Ford – Attori: Henry Fonda, Linda Darnell, Victor Mature, Walter Brennan,Tim Holt,Ward Bond,Cathy Downs.
L’ex sceriffo Wyatt Earp (Fonda), indaga sulla morte del fratello, e trova come alleato Doc Holiday (Mature), ex medico rovinato dall’alcol e dalla tisi. Dopo una serie di scontri, la sfida finale con i malvagi fratelli Clanton avviene all’Ok Corral. Ford basandosi anche su uno stralcio di racconto dello sceriffo Earp, personaggio realmente esistito, riprende una delle più famose leggende del West, e ne dà una delle versioni più attendibili. Il tema centrale è la lotta degli uomini onesti per la pace e il progresso. Girato con uno stile originale e rispetto agli altri di Ford e caratterizzato da un tono melodrammatico, è uno dei film più insoliti ed interessanti del regista americano. La vicenda della sfida all’Ok Corral verrà ripresa in molti altri western, senza però mai raggiungere la veridicità di questa opera di Ford.

Gli spietati (1992) – Regia: Clint Eastwood – Attori: Clint Eastwood, Gene Hackman, Morgan Freeman, Richard Harris, Jaimz Woohett, Frances Fisher, Anna Thompson, Soul Rubinek.
Per vendicare lo sfregio di una prostituta da parte di due cowboy, le compagne mettono una taglia sui responsabili, nonostante il duro sceriffo della città (Hackman) abbia già stabilito un’ammenda per i colpevoli. Si fanno avanti in molti per portare a termine il lavoro, nonostante lo sceriffo cerchi a tutti i costi di impedire ciò. Fra i vari pretendenti si presentano tre uomini: William Munny (Eastwood), un ex terribile killer, insieme al suo vecchio amico Ned (Freeman) e ad un giovane aspirante killer. Nonostante Munny sia vecchio, stanco e ritiratosi ad una vita di allevatore con i due figli, sarà il solo che riuscirà a portare a termine l’incarico, scontrandosi sia con i cowboy che con lo sceriffo. Il tredicesimo western di Eastwood non ha molto in comune con i precedenti e assomiglia di più ad una tragedia: gli eroi sono decaduti, senza fortuna, il coraggio e l’abilità sono ormai scomparse come i grandi temi del genere (la morale, l’azione, la solitudine del cowboy sono ormai ridotti all’essenziale). Il passato si trasforma da memoria ad ossessione, il mondo è governato dal cinismo, dalla cattiveria dei più forti, la lealtà e l’amore sono del tutto assenti. Si tratta di un passo avanti per il genere western in cui all’avventura si unisce l’angosciata riflessione sul tempo e sulla storia. Eastwood, che qui supera se stesso, dà vita ad un personaggio in costante cambiamento per tutto il film: Munny parte inizialmente come un allevatore di maiali che non sa più sparare, non sa più stare in sella e non beve più whiskey, un ex killer trasformato in un altro dall’amore della moglie ormai morta. Per il bisogno di soldi parte per un’avventura in cui tornerà a cavalcare, a sparare e ad uccidere come un tempo, fino all’ultima parte del film in cui torna ad essere quel killer spietato del passato.
Il texano dagli occhi di ghiaccio (1976) – Regia: Clint Eastwood – Attori: Clint Eastwood, Sandra Locke, Chief Dan George, Bill McKinney, John Vernon.
Josey Wales (Eastwood), un contadino del Missouri, vede la sua famiglia massacrata dai Nordisti, non accetta la resa e viene braccato per vari Stati prima di riuscire a vendicarsi e di trovare finalmente la pace. Un film dal taglio epico e dalla precisa ricostruzione storica. Particolare rilievo hanno le figure di reietti e sconfitti, tra cui si instaurano rapporti di aiuto e solidarietà: per questo il film è stato definito da alcuni critici un sincero inno alla tolleranza.

L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) – Regia: John Ford – Attori: James Stewart, John Wayne, Vera Miles, Lee Marvin, Edmond O’Brien, Andy Devine, John Carradine, Lee Van Cleef
Ramson Stoddard (Stewart), è riuscito a diventare senatore facendo credere alla popolazione di aver ucciso il bandito Liberty Valance, ottenendo così un gran riconoscimento da tutti. Il senatore sa benissimo che il vero autore dell’impresa è il cow boy Tom Daniphon (Wayne), che però ha rinunciato a rendere nota la sua impresa per amore della donna che proprio Stoddard ha sposato. Si tratta del penultimo western di Ford, forse il più simbolico, amaro e malinconico, raccontato tutto in un lungo flashback. Il tema centrale del film è rappresentato dall’unione della leggenda, appartenente al mito del West, con la realtà di una nuova società che sta lentamente prendendo il sopravvento su un mondo ormai in decadenza, giunto alla fine. E quest’unione fra leggenda e realtà viene ribadita anche nei due personaggi principali: Wayne rappresenta l’uomo eroico e solitario tipico del mondo del West, mentre Stewart è l’uomo idealista e servitore della comunità, un personaggio appartenente ad una nuova società.

Butch Cassidy (1969) – Diretto dal regista statunitense George Roy Hill. Attori: Paul Newman, Robert Redford, Katharine Ross, Strother Martin, Henry Jones, Jeff Corey, Cloris Leachman, Ted Cassidy, Kenneth Mars, Donnelly Rhodes. Quattro Oscar: fotografia (Conrad Hall), sceneggiatura originale (William Goldman), musica e canzone (Raindrops Keeps Fallin’On My Head) di Burt Bacharach. Il protagonista è Butch Cassidy, celebre bandito interpretato da Paul Newman, qui in coppia con Robert Redford nei panni del suo amico fuorilegge Sundance Kid. Come si evince dal titolo, la storia si dipana sulle vicissitudini di questi due banditi, realmente esistiti, che, vedendosi ricercati e braccati, decidono di trasferirsi dagli Stati Uniti alla Bolivia per continuare ad “esercitare” la loro professione senza la pressione dei cacciatori di taglie e degli sceriffi americani.
In seguito verranno braccati anche dalle forze di polizia del luogo ed il film si conclude con una sparatoria nella quale, dopo che entrambi i protagonisti sono stati feriti, i due decidono di gettarsi alla carica contro le soverchianti forze della legge. Il film termina appunto con un fotogramma di Butch Cassidy e Sundance Kid che si gettano a pistole spianate fuori dal loro riparo.

C’era una volta il West (1968) – Un film di Sergio Leone. Con Gabriele Ferzetti, Claudia Cardinale, Charles Bronson, Henry Fonda, Jason Robards, Jack Elam, Woody Strode, Fabio Testi, Frank Wolff, Paolo Stoppa, Conrado Sanmartin, Renato Pinciroli, Benito Stefanelli, Keenan Wynn, Lionel Stander, Aldo Berti, Bruno Corazzari, Salvatore Basile, Woody Stroode, Dino Mele, Enzo Santaniello, Spartaco Conversi.
Cinque personaggi si affrontano intorno a una sorgente d’acqua: Morton (G. Ferzetti), magnate delle ferrovie, che ha bisogno dell’acqua per le sue locomotive e che fa eliminare i proprietari legittimi, i McBain, dal suo feroce sicario Frank (H. Fonda); Jill (C. Cardinale), ex prostituta, da poco moglie-vedova di un McBain; il bandito Cheyenne (J. Robards), accusato della strage dei McBain; l’innominato dall’armonica (C. Bronson) che vuole vendicare il fratello (F. Wolff), assassinato in condizioni atroci da Frank con i suoi sgherri. Su un soggetto scritto dal regista con Dario Argento e Bernardo Bertolucci e sceneggiato con Sergio Donati, è una sorta di antologia del western in negativo in cui si ricorre ai suoi più scalcinati stereotipi. 3 attori americani di scuole diverse e il più famoso dei 3 (Fonda) scelto contro la parte. Il set non è più l’Andalusia, ma la Monument Valley di John Ford. In un film ricco di trasgressioni, Leone dilata madornalmente i tempi drammaturgici, contravvenendo alla dinamica del genere. Sotto il segno del titanismo si tende al teatro d’opera e alla sua liturgia. Dall’epica del treno, della prima ferrovia transcontinentale, si passa alla trenodia, al canto funebre sulla morte del West e dello spirito della Frontiera. Come in Sam Peckinpah.

Dead man (1996) – Di Jim Jarmush. Con Johnny Depp, Robert Mitchum, Gabriel Byrne.
Alla fine dell’Ottocento William Blake, giovane contabile, viaggia in treno da Cleveland (Ohio) a Machine (Arizona) alla ricerca di un impiego. Ucciso un uomo per legittima difesa, fugge braccato dai cacciatori di taglie. L’aiuta il pellerossa Nessuno, convinto che egli sia l’omonimo poeta inglese (1757-1827). Il suo è un viaggio iniziatico verso la morte. Western anomalo: ritmo lento, un BN più nero che bianco (fotografia di Robby Müller), paesaggi insoliti, forti striature ironiche e grottesche, momenti di morte violenta risolti in modi casuali e sdrammatizzati, un eroe antieroico, un buffo tormentone sul tabacco che manca, colonna musicale di Neil Young. Sotto il segno della morte, scardina il genere western, riducendolo all’osso, in modo originale. Racconto allucinato che cerca la poesia e talvolta approda al poeticismo. Depp perfetto.

Geronimo (di Walter Hill 1993) – Un film di Walter Hill. Con Scott Wilson, Gene Hackman, Robert Duvall, Jason Patric, Wess Studi, Matt Damon, Rodney A. Grant, Kevin Tighe, Stephen McHattie, Lee de Broux.
Rinchiuso con i suoi Apaches Chiricahua nella riserva di Turkey Creek, a causa di numerosi soprusi, nel 1885 Geronimo (W. Studi) si ribella e riprende le armi. La guerra indiana ricomincia ai confini col Messico. Ridotto con pochi uomini, Geronimo si arrende al tenente Charles Gatewood (J. Patric), suo amico. L’accordo è due anni in Florida e poi ritorno alle loro terre in Arizona. Morirà venticinque anni dopo in esilio. Un western di W. Hill, cineasta urbano, dopo “I cavalieri dalle lunghe ombre”. Circoscritto al biennio 1885-86, è la storia di una sconfitta che celebra il vinto e vitupera il vincitore. Non a caso si chiude con le dimissioni dall’esercito del narratore. Ma l’aspetto più interessante del film sul piano narrativo la sua dimensione critica e didattica finisce col coincidere con il suo limite. Scritto da John Milius e Larry Gross.

Giù la testa (1972) – Un film di Sergio Leone. Con Rod Steiger, James Coburn, Rick Battaglia, Romolo Valli, Maria Monti, Furio Meniconi, Stefano Oppedisano, Benito Stefanelli, Poldo Bendandi, Rosita Torosh, Franco Graziosi, Nazzareno Natale, Giuliana Calandra, Anthony Vernon.
Ribelle irlandese esperto di dinamite, emigra in Messico dove si allea con un rozzo e generoso bandito per svuotare una banca. Si ritrovano insieme a combattere con i peones di Pancho Villa e di Emiliano Zapata. Narratore di razza, S. Leone ha sfornato un melodramma antimperialista che non si prende troppo sul serio e che alterna il tono eroicomico con una liturgia solenne che qua e là si fa pesante. R. Steiger istrionico, J. Coburn sobrio, R. Valli delizioso. Leone alza il tiro. Scritto dal regista con Sergio Donati e Luciano Vincenzoni. Come nei 4 western precedenti di Leone e in C’era una volta in America, le musiche sono di Ennio Morricone e contribuirono al successo del film (quasi 2 miliardi d’incasso). Nel 1971 il musicista firmò le colonne di 20 film (di 24 nel 1972). L’edizione per il mercato di lingua inglese (Duck! You Sucker e anche A Fistful of Dynamite) dura 138 minuti. Effetti speciali di Antonio Margheriti.

Gli avvoltoi hanno fame (1969) – Regia: Don Siegel – Attori: Clint Eastwood, Shirley Mc Laine, Manolo Fabregas.
Una prostituta travestita da suora partecipa con mercenario texano alla lotta di guerriglia dei patrioti messicani contro i francesi. Western di passo quieto in cui, rinunciando all’azione (tolto l’assalto alla caserma francese), Siegel se la prende comoda e si gode il paesaggio, spostandosi sul terreno della commedia ironica in cui il macho Hogan (C. Eastwood) si trasforma nel secondo mulo della finta sorella Sara. Fotografia di G. Figueroa, musica di E. Morricone, sceneggiatura di A. Maltz.

Il cavaliere pallido (1985) – Regia: Clint Eastwood – Interpreti: Clint Eastwood, Michael Moriarty, Carrie Snodgress, Christopher Penn, Richard Dysart.
Con la sua schiena nuda piagata dalle cicatrici di numerose pallottole tutte mortali, il pistolero misterioso è un non-morto, un’agghiacciante voce dell’oltretomba che vendica gli stereotipi del genere western scomparso prematuramente. Di fatto, Eastwood è un fantasma. Ma la sua presenza nella valle maledetta è letale. Enormi buchi di proiettili lacerano i corpi degli scettici e dei corrotti. Questi spettri uccidono. E convivono in un continuum ai confini dei territori inesplorati dell’inconscio, oltre le pacate rivalse per la gloria e l’onore. Sergio Leone più John Carpenter più John Boorman: l’equazione conduce inevitabilmente al Cavaliere pallido, si rituffa nel noir e fuoriesce dall’horror. Esperimento curioso ma riuscito: per sopravvivere, il western deve appropriarsi di paure metafisiche e apocalissi dantesche dove i demoni esercitano il loro balletto di sangue.

Il mucchio selvaggio (1969) – Un film di Sam Peckinpah. Con William Holden, Ernest Borgnine, Warren Oates, Robert Ryan, Edmond O’Brien, Jaime Sánchez, Ben Johnson, Emilio Fernandez, Strother Martin, L.Q. Jones, Albert Dekker, Bo Hopkins, Dub Taylor, Paul Harper, Jorge Russek.
Nel 1914, dopo una fallita rapina in banca, sei banditi americani sconfinano dal Texas in Messico, inseguiti da un manipolo di cacciatori di taglie, al comando di un ex appartenente al “mucchio selvaggio”. Si riscatteranno morendo coraggiosamente nell’impari lotta contro le forze di un generale-bandito in difesa del popolo oppresso. Insieme alle pagine di eccezionale forza visionaria nel loro manierismo barocco, specialmente nelle scene di battaglia (che suscitarono negli USA roventi polemiche per la loro violenza), questo memorabile western Warner-Seven Arts offre, negli intervalli di quiete, momenti altrettanto significativi in chiave di malinconica elegia sul tramonto di un’epoca. Quella di S. Peckinpah, romantico che nega di esserlo, è la risposta alla cinica retorica del western italiano. Ebbe 2 candidature agli Oscar per la sceneggiatura e le musiche di Jerry Fielding. Fotografia del grande Lucien Ballard.

Il piccolo grande uomo (1970) – Regia: Arthur Penn – Attori: Dustin Hoffman, Faye Dunaway, Richard Mulligan.
Unico superstite della battaglia di Little Big Horn, Jack racconta ad un giornalista la storia della sua vita.
Allevato dagli indiani Comanche dopo appunto che la sua famiglia era stata massacrata, Jack torna tra la sua gente in città quando ormai è adulto e cerca – purtroppo invano – di reinserirsi nel loro modo di vivere e pensare.
Diventato estraneo all’universo indiano, e disorientato dalla furia omicida dei bianchi conquistatori, finirà accanto al generale Custer nella battaglia di Little Big Horn, dove verrà risparmiato da un suo vecchio nemico indiano che lo riconoscerà.
Tratto dall’omonimo romanzo è un film che racconta la crisi di identità dell’uomo americano, con toni che si bilanciano tra lo storico ed il drammatico.

L’ultimo dei mohicani (1992) – Regia: Michael Mann – Attori: Daniel Day-Lewis, Madeleine Stowe, Russell Means, Jodhi May.
Diciottesimo secolo. Occhio di Falco è un ragazzo bianco cresciuto dai Mohicani al pari di un nativo. La sua vita viene sconvolta da una guerra fratricida che vede schierate le une contro le altre le diverse tribù indiane del nord America, in lotta al fianco di Inglesi e Francesi nel sanguinario conflitto che li vede coinvolti oltreoceano.
Gli indiani non ricevono alcuna tutela dalle grandi nazioni europee che si servono della loro manovalanza, e i loro villaggi vengono distrutti senza nessun tentativo di difesa da parte delle truppe regolari.
Nel corso di un’operazione di trasferimento di popolazione civile da un forte protetto ad un altro, Occhio di Falco salva dalla morte Cora e Alice, le figlie di un ufficiale inglese vendute ai francesi da Magua, la loro guida indiana.
Tra la primogenita del colonnello Munro e l’uomo che le ha salvato la vita è subito passione. Al di là delle convenzioni sociali, al di là della loro appartenenza etnica. Ma non è facile amarsi per due ragazzi che appartengono a due culture opposte dall’odio della conquista…

La conquista del West (1962) – Un film di John Ford, George Marshall, Henry Hathaway. Con George Peppard, Henry Fonda, Gregory Peck, John Wayne, Richard Widmark, James Stewart, Carroll Baker, Debbie Reynolds.
Da alcuni racconti di Frank J. Wilstack e da Prince of Pistoleers di Courtney Ryley Cooper e Grover Jones. La storia della colonizzazione del West in 4 episodi su un arco di tempo che va dal 1830 al 1890: i primi 2 (“Rivers”, “Plains”) e l’ultimo (“Outlaws”) hanno la regia di H. Hathaway, l’altro (“Railroad”), che vanta una spettacolare carica di bisonti, è firmato da Marshall. C’è anche un interludio sulla guerra civile americana diretto da J. Ford con la storica battaglia di Shiloh, magnificamente raccontata di scorcio, e un breve dialogo notturno tra i generali nordisti Sherman (J. Wayne) e Grant (H. Morgan). Girato in Cinerama e trasferito su Cinemascope, è un western miliardario All Star tradizionale e spesso convenzionale della M-G-M. Pur carica di molti debiti, la sceneggiatura di James R. Webb ebbe l’Oscar come il montaggio e il suono. Fotografia di prim’ordine di W. Daniels, M. Krasner, C. Lang Jr. e J. La Shelle. In TV e in videocassetta l’immagine è ridotta a poco più del 50% dell’originale.
Un uomo chiamato cavallo (1970) – Regia: Elliot Silverstein – Attori: Richard Harris, Judith Anderson, Jean Gascon Manu.
Da un racconto di Dorothy M. Johnson, sceneggiato da Jack De Witt. Ai primi dell’Ottocento un baronetto inglese viene catturato sugli altipiani del Montana da una tribù di Sioux, portato al villaggio e assegnato come “cavallo da lavoro” alla madre del capo. Col tempo impara la lingua, dimostra di essere un uomo, supera la prova del coraggio e diventa pellerossa e poi capo tribù. Dopo l’uccisione della moglie indiana decide di restare per sempre con loro. Molto sopravvalutato negli anni ’70 per la puntigliosa ricostruzione storica ed etnologica sulla vita tribale dei Sioux, è anche un buon film d’avventure con un R. Harris credibile ed efficace in ogni situazione. Alcune tra le più impressionanti scene dell’indimenticabile rito d’iniziazione sono state tagliate per le versioni televisive. Ebbe 2 seguiti: La vendetta dell’uomo cavallo (1976) e Shunka Wakan-Il trionfo dell’uomo chiamato cavallo (1982) sempre con Harris.

La vendetta dell’uomo chiamato cavallo (1976) – Regia: Irvin Kershner – Attori: Richard Harris, Gale Sondergaard.
Annoiato dalla vita inglese e preda della nostalgia per le praterie del Nordamerica, Lord Morgan torna nella regione dove visse la sua avventura di “indiano bianco”. I suoi amici Sioux sono stati scacciati dalle loro terre da una tribù rivale, alleata a bianchi avidi e sopraffattori. Lord Morgan addestra anche donne e bambini e li guida alla riconquista. Seguito, 6 anni dopo, di L’uomo chiamato cavallo: il regista è cambiato, protagonista e sceneggiatore sono gli stessi. Non vale. Fiacca e schematica ripetizione, ma non si può negare a I. Kershner un robusto mestiere narrativo e un prezioso gusto figurativo. Seguita, per giunta, da Shunka Wakan – Il trionfo dell’uomo chiamato cavallo.

Lo straniero senza nome (1973) – Regia: Clint Eastwood – Attori: Clint Eastwood, Verna Bloom, Marianna Hill Mitchell.
Uno sceriffo senza nome (Eastwood) impone la sua legge per difendere i vigliacchi abitanti di un villaggio da tre criminali che avevano già ucciso lo sceriffo.
Fa dipingere la città di rosso, le cambia il nome in “Hell” (inferno), nomina sindaco un nano, e tratta le donne non proprio come farebbe un gentiluomo.
Seconda regia per il celebre attore che affronta con idee chiare il genere che lo ha reso famoso.
Sesso e violenza come ingredienti per Clint Eastwood al suo terzo film come regista che è anche il suo 1° western.
E qualche risvolto fantastico nello svolgimento del tema della vendetta. Bello il finale.

Maverick (1994) – Regia: Richard Donner – Attori: Mel Gibson, Jodie Foster, James Garner, Graham Green, Alfred Molina, James Coburn.
Maverick è un baro. Dal fascino irresistibile. Il suo sguardo blu è unico. La sua furbizia anche. Ama le donne e il gioco. Con fortune alterne. Ma solo nel secondo caso…
Passa la vita a girovagare nei saloon con Annabelle, ladra anche lei. E forse anche più astuta. Una donna di quelle che non si dimenticano. Bella e furba. Ma i problemi sono all’orizzonte. Arrivano a Saint Louis, una cittadina tranquilla, dove si tiene un importante torneo di poker.
Da dietro le vetrate del suo ufficio, a tenerli d’occhio, senza troppa simpatia, c’è uno sceriffo dalla pistola facile e dai pochi scrupoli. A questo incontro, partecipano i migliori giocatori del west. Biscazzieri abituati a vincere. E a giocare duro. Il perfido Angel, un cinico spagnolo, e il misterioso Commodore, oltre ad una serie di nomi eccellenti. La tranquillità di Saint Luis, non resterà tale molto a lungo… Tra tavoli verdi, sparatorie e praterie Maverick lascerà la sua zampata. Lo sceriffo cercherà di impossessarsi del malloppo. Ma Annabelle…avrà la meglio.

Tombstone (1993) – Regia: George Pan Cosmatos – Attori: Kurt Russel, Val Kilmer, Sam Elliott, Bill Paxton, Powers Boothe, Michael Biehn, Charlton Heston, Jason Priestley. Wyatt Earp è l’ex sceriffo di Dodge City. Un uomo che fa, dell’osservanza della legge, la sua ragione di vita. Ma adesso basta. Vuole essere considerato un cittadino comune. Godere di una vita privata, accanto alla famiglia.
Con i suoi fratelli Morgan e Virgil e le loro mogli Mattie, Louise ed Allie, si trasferisce a Tombstone, in Arizona. Con l’intenzione di aprire una casa da gioco. Ma la fama di Wyatt lo precede. I fuorilegge non vogliono fra i piedi un tipo come lui ed il suo inseparabile amico Doc Holliday. Così due loschi figuri di nome Ike Clanton e Johnny Ringo decidono di dargli battaglia. Sono a capo di una banda conosciuta col nome di Cowboys. Violenza, ruberie e confusione è il loro biglietto da visita. Intendono costringere Wyatt e la sua famiglia ad andare via. È un affronto esagerato per l’ex sceriffo: che non può evitare lo scontro, la famosa sfida all’O.K. Corral. Ma prima del verdetto finale, cadranno lacrime…

Sfida all’OK Corral (1957) – Regia: John Sturges – Attori: Burt Lancaster, Kirk Douglas, Jo Van Fleet, John Ireland.
Nel 1880 a Tombstone, lo sceriffo Wyatt Earp, aiutato dai due fratelli e dall’amico medico Doc Holliday, deve affrontare in un duello all’ultimo sangue la feroce banda dei Clanton. È uno dei tanti western – e, forse, il più vicino alla realtà storica – che rievocano la celebre sparatoria. I risultati non corrispondono sempre alle ambizioni e c’è, nella sceneggiatura di Leon Uris, qualche eccesso melodrammatico in cui si avverte lo sforzo di nobilitare la materia, poco adatta al robusto mestiere senza inventiva di J. Sturges. Ambientazione suggestiva, buon uso tattico dello spazio e una costante ombra di morte sull’azione e sui personaggi, tutti ben serviti dagli interpreti. La bella canzone dell’inizio è cantata da Frankie Laine.

Vendetta all’O.K. Corral (1967) – Regia: John Sturges. Attori: James Garner, Jason Jr Robards, Robert Ryan, Steve Ihnat.
Dopo la sparatoria all’O.K. Corral di Tombstone (avvenuta il 26 ottobre 1881) lo sceriffo Wyatt Earp decide di regolare una volta per tutte i conti con i resti del clan dei Clanton.
Vendetta all’O.K. Corral è il penultimo degli 11 western di J. Sturges che, 10 anni dopo Sfida all’O.K. Corral (1957), decide di riprendere i prolungamenti e gli aspetti collaterali (ma non meno imprtanti) della vicenda con una secchezza e una complessità di dettagli da verbale di polizia, ridimensionando enormemente la figura eroica di Wyatt Earp.
Questo film è stato sottovalutato almeno quanto fu sopravvalutato il precedente.

Wyatt Earp (1994) – Un film di Lawrence Kasdan. Con Bill Pullman, Tom Sizemore, Gene Hackman, Isabella Rossellini, Kevin Costner, Dennis Quaid, Annabeth Gish, Jeff Fahey, Michael Madsen, Mark Harmon, Joanna Going, Téa Leoni.
l lungo film è la biografia di Wyatt Earp. Copre un arco di circa trent’anni. Da quando, ragazzo, segue gli ammaestramenti del padre, Nicholas Earp, fino alla sua maturità. Originario dello Iowa, si trasferisce nel Missouri, dove sposa la giovane Urilla, che muore di tifo. Wyatt si indurisce. Diventa fuorilegge per disperazione. Il padre riesce a riportarlo alla ragione. Radunati i suoi fratelli, li trascina con sé a Wichita, Dodge City e Tombstone. Da giocatore professionista si trasforma in sceriffo e qui ha inizio la sua leggenda. Tra nemici crudeli, come i Clanton, e amici sinceri, come il celebre “Doc” Hollyday, la sua vita è un susseguirsi di episodi drammatici e di sparatorie. La donna della sua vita, Josie Marcus, vivrà con lui per ben quarantasette anni. E Earp non sarà mai sfiorato da una pallottola. Il materiale per riempire le tre ore e più di proiezione non manca. Ma se il film è lungo è solo per innalzare un fragile monumento al narcisismo di Costner. Wyatt Earp è un’occasione mancata, con improvvise impennate non sorprendenti dato il valore del regista, ma con una cifra qualitativa insoddisfacente a causa probabilmente della troppa sicurezza che il cast tecnico artistico sembrava assicurare. Lo scarso successo di pubblico punisce il film al di là dei suoi demeriti. La sfida tra Earp e i Clanton rimarrà nella nostra memoria per un bel pezzo, per merito di John Ford e John Sturges e dei cari volti di Fonda, Lancaster, Douglas, ai quali non ci sentiamo di aggiungere Victor Mature.

Young Guns (1988) – Regia: Christopher Cain. Attori: Emilio Estevez, Charlie Sheen, Jack Palance.
1878 Contea di Lincoln. Sei ragazzi sbandati vengono reclutati da John Tunstall proprietario terriero – d’origine inglese – in guerra con il boss della zona, un corrotto possidente di ranch di nome L.G.Murphy. Quando Tunstall viene ucciso in un agguato, i sei giovani decidono di vendicare la sua morte prima come rappresentanti della legge, poi come veri e propri banditi. Tra di loro si mette in evidenza un ragazzo particolarmente bravo con la pistola: William H. Bonney soprannominato Billy The Kid che lotterà tenacemente fino all’ultimo per portare a termine l’assalto contro gli assassini di Tunstall.
L’ennesima pellicola su Billy The Kid coincide con la prima volta insieme, su un set, dei figli di Martin Shenn, Charlie – qui al suo sedicesimo lungometraggio – ed Emilio Estevez alla sua quattordicesima interpretazione.

Young guns II (1990) – Regia: Geoff Murphy. Attori: Emilio Estevez Christian Slater.
Nel 1950 un avvocato incontra nel deserto un certo Brushy Bill Roberts (E. Estevez) che sostiene di essere il famigerato Billy the Kid, autore di ventun omicidi “senza contare i messicani”, compiuti settant’anni prima. Vorrebbe il perdono promessogli dal governatore Lew Wallace. E racconta come, con i due superstiti del film precedente (L.D. Phillips e K. Sutherland), si rifugiò nel Messico, in cerca di nuove reclute per la banda. Ancora scritto da John Fusco, è un western tutto finto che ha la vivacità di uno zombi.

Buffalo Bill e gli indiani (1976) – Regia: Robert Altman. Attori: Paul Newman, Burt Lancaster, Geraldine Chaplin.
Western assolutamente anomalo, privo di qualunque elemento classico di questa categoria. D’altronde non poteva essere diversamente visto il nome del regista: Bob Altman. Questa volta l’autore di Nashville se la prende con la leggenda di Buffalo Bill che smantella con divertito e divertente cinismo. La storia si svolge sullo sfondo della carovana circense del Wild West Show popolata da una folla di personaggi falsi e opportunisti, tutti intenti a trarre il massimo beneficio personale dal successo dello spettacolo. Il più falso di tutti è proprio lui, Buffalo Bill, protagonista narciso e umorale, così instabile da dialogare con il suo fantasma; interpretato da un Paul Newman a suo agio in un ruolo un po’ particolare. La lezione di storia arriva da Toro Seduto e dai suoi indiani che portano lo scompiglio nel circo con il rigore e la loro stupita semplicità. Uscito nel giorno del bicentenario dell’indipendenza americana, il film ebbe più successo in Europa che in patria (come spesso accade alle opere di Altman), vincendo l’Orso d’Oro al Festival di Berlino.

Silverado (1985) – Regia: Lawrence Kasdan. Attori: Kevin Kline, Scott Glenn, Danny Glover, Kevin Kostner.
Uscito in un periodo in cui i film western erano considerati qualcosa di simile a pezzi d’antiquariato, questa pellicola ebbe comunque un discreto successo al botteghino. Merito della firma di Lawrence Kasdan (Il Grande Freddo) che conferisce spessore e stile ad una storia non originalissima che vede quattro cowboy, ex detenuti, arrivare in un paese dell’ovest, Silverado appunto, e far giustizia nei confronti dei cattivi locali. Il cast di tutto rispetto giova molto a questo che, alla fine, può essere giudicato come un western rigoroso, ortodosso, ben diretto e ben recitato. Accanto ai rodati Kevin Kline, Scott Glenn e Denny Glover, troviamo un acerbo, ma efficace Kevin Kostner che studia da “Balla coi lupi”.

Soldato Blu (1970) – Regia: Ralph Nelson. Attori: Candice Bergen, Peter Strauss, Donald Pleasence, John Anderson.
L’uscita di questo film, nel 1970, unitamente a quella di “Piccolo Grande Uomo” e “Un uomo chiamato cavallo” costituì una sorta di spartiacque nella filmografia western per quanto riguarda il ruolo degli indiani. E’ infatti un film chiaramente filo-pellerossa nel quale una donna bianca (Candice Bergen), che ha vissuto con i Cheyenne, cerca di spiegare ad un giovane soldato (Peter Strauss) la versione indiana del conflitto con i bianchi. Celebre la scena della strage del Sand Creek, dove, forse per la prima volta, vennero mostrate crude immagini di violenze commesse dai soldati.Il film usa la metafora western per mandare un forte messaggio all’opinione pubblica americana contro la guerra in Vietnam, allora in pieno svolgimento. Una curiosità: nella sceneggiatura c’è un clamoroso errore che pospone il massacro del Sand Creek (1864) alla battaglia di Little Bighorn (1876).

Open Range (2003) – Regia: Kevin Costner. Attori: Kevin Costner, Robert Duvall, Annette Bening.
A 13 anni dal successo di Balla coi Lupi, e a 9 da Wyatt Earp, Kevin Costner torna al western con questa pellicola che lo vede attore, regista e produttore. Non ci sono indiani, questa volta, ma il tema trattato è comunque un classico della categoria: la lotta al potente ranchero che, con violenza e prevaricazione, tiene in pugno un’intera città, sceriffo compreso. Charley Waite (Kevin Costner) e Boss Spearman (Robert Duvall) sono 2 allevatori nomadi che entrano in rotta di collisione con gli uomini del padrone della città per questioni di pascoli, fino alla resa dei conti finale. La prima parte del film è lenta, contemplativa, dominata dalle inquadrature degli infiniti orizzonti del nord-ovest americano (gli esterni sono stati girati in una riserva indiana del Canada). La seconda parte si snoda attraverso la preparazione e la realizzazione della sparatoria finale, mostrata con inquadrature originali che ne accentuano il realismo. C’è anche una storia d’amore tra Charley e Sue (Annette Bening) che, nonostante veda protagonisti maturi, non scivola mai nel patetico. Ottima la fotografia e buona anche la sceneggiatura che ha il pregio di far esprimere a bovari dell’800 concetti semplici e plausibili. Proprio il realismo sembra essere la qualità migliore di questo film che va a posizionarsi nel filone del western crepuscolare che ha in “Gli Spietati” il suo indiscusso capolavoro. Proprio al personaggio di Clint Eastwood sembra ispirarsi Kevin Costner che ripropone la figura dell’ex pistolero redento che, suo malgrado, è costretto a rispolverare colt e spietatezza per riportare la giustizia in città. Il cast è di altissimo livello e non tradisce. Lo stesso Costner non si fa problemi ad apparire anche stanco e imbruttito, a conferma di quanto poco sia interessato all’immagine patinata da star hollywoodiana.