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Eroine nel west

Grazie a Sergio Bonelli Editore

Cattle Kate
Tra le tante forme di nostalgia la più insidiosa è anche la più illogica: la nostalgia delle cose che non conosciamo, la mancanza di cibo che non abbiamo mai vissuto.
Cosi, noi europei, bravi ragazzi di fine secolo, proviamo un profondo struggimento per il passato, non se pensiamo all’editto di Nantes o al Concilio di Trento, ma quando la mente galoppa, è il caso di dirlo, all’assedio di Alamo, alla sfida all’OK Corral.
Sono luoghi in cui non abbiamo radici storiche eppure, come piante rampicanti, ci avviluppano l’anima. Sono i nostri “ricordi inventati”, le leggende a sud-ovest del Pecos.
Se il Piave mormorava, il Red River cantava a squarciagola. Allora giusto rendere un omaggio alle nostre fidanzate impossibili, le donne che “avremmo” amato se, anziché studenti, giornalisti o parrucchieri per signora, fossimo stati cowboy.
E oggi che in Italia le cronache parlano dell’arrivo di un esercito composto da ragazze dell’Est, “pretty woman” a cui auguro la stessa fortuna di Julia Roberts, più dolce pensare alle ragazze dell’Ovest, le fanciulle selvagge del selvaggio West.
Chi erano?
Ce n’è per tutti i gusti, dalle ballerine alle suore, passando per le mogli cercate per corrispondenza dai giovanotti del West che scrivevano a sconosciute a migliaia di chilometri di distanza lettere piene di bugie.
Susan Anthony
Negli annunci matrimoniali i cowboy, la più grossa categoria di bugiardi dopo i giornalisti, esageravano la propria prestanza fisica e la propria situazione economica per rimediare alla penuria di donne. Mogli e buoi dei paesi altrui.
Del resto, anche le ragazze, che avrebbero dovuto incrementare la popolazione femminile dell’ovest, scrivevano con la lingua biforcuta. Gli incontri, al dunque, erano spesso comici. Se Johnny non era Apollo, Sally non era Venere. Eppure nacque Ia mitologia. Il matrimonio non era la tomba dell’amore, ma la “Tombstone dell’amore”. Seguiamo il percorso femminile nel paese che Cesare Pavese definiva il più grande palcoscenico sul quale si recitano i nostri drammi”. Lui non intendeva esplicitamente il West. Noi sì.
Chi si immagina il west un paradiso di machismo equestre commette un grande errore di valutazione. Sin dai primi viaggi verso l’Ovest del 1846, Ia penetrazione nel continente, ostile a dispetto del termine, era riservata al maschio. Il prototipo della famiglia media vede la donna moglie e madre, ma anche cercatrice di piste e guidatrice di carri. La donna non solo è equiparata all’uomo, ma perde il ridicolo appellativo di sesso debole, in quanto si rivela più dura, paziente, anche fisicamente più forte del compagno.
Una cow-girl
E proprio al tempo delle marce verso la California nasce il mito della “mom”: la donna è vista come sorgente di forza della nazione. La carovana che lascia Springfield, nell’Illinois, comprende nove famiglie dirette verso la California: i Donner, Reed, i Graves, i Keseberg, i Breen, i Murphy, gli Eddy, i McCutchen, e i Wolfinger. La marcia prenderà il nome di “Donner Party” e rimarrà una delle pagine più agghiaccianti di istinto di sopravvivenza. Alla fine di un terribile inverno i membri del convoglio, intrappolati dal maltempo nelle sierre, praticarono il cannibalismo nei confronti dei compagni di marcia otto uomini su dieci perirono diventando cibo. Tutte le donne, invece, sopravvissero, evidentemente più forti di tempra e di stomaco. Se il macabro “Donner Party” rivela la sindrome della mantide, che nell’americano medio è fonte di orgoglio e preoccupazione, il West ha primati ben meno truculenti che coinvolgono “l’altra metà del West”.
All’inizio del periodo di intensivo sfruttamento del West americano, poche donne giunsero all’Ovest: un manipolo di coraggiose che si resero immediatamente conto di godere di maggiori privilegi rispetto alle ragazze rimaste a Est. La penuria di donne nei territori di frontiera eleva Ia loro condizione sociale. D’altro canto, gli uomini erano così presi dai loro sforzi per arricchirsi che l’idea di una qualche supremazia maschile era l’ultimo pensiero della loro frenetica giornata.
Belle Starr
Le esigenze della vita del West fecero spesso crollare la distinzione femminile. Fu proprio questa consapevolezza di vivere in una zona franca, lontana dai pregiudizi ancestrali, che rese le donne del West determinate nel rendere l’attimo fuggente duraturo. Quando Charles Goodnight barone del bestiame, progettò la sella laterale da amazzone, il milionario (in dollari) incorse in uno dei pochi fiaschi della sua carriera. Le donne, che affrontavano già i rodei, boicottarono Ia pudica positura a cui Goodnight voleva costringerle e seguitarono a cavalcare come gli uomini.
Cent’anni dopo, in Italia, vedo sulle cartoline anni Cinquanta donne sedute lateralmente su vespe ingombranti, nella stilizzata posizione che le cow-girl avevano rifiutato. Nel 1867, il movimento per il voto alle donne dilaga nel Kansas. Patrocinate dall’oratoria di George Francis Train, l’energico tentativo per la conquista dei diritti civili ha pioniere come Susan Anthony e Lucretia Mott. Due anni più tardi, nel 1869, nel Wyoming il tema del suffragio femminile coinvolse candidati di opposti partiti pungolati da Esther Morris di South Pass City. Dopo le elezioni, ai repubblicani andò il governatorato, ai democratici il controllo della legislatura. Convinti di mettere in difficoltà i repubblicani, i democratici approvarono un progetto di legge che concedeva il diritto di voto alle donne. Erano sicuri che il governatore repubblicano avrebbe opposto il proprio veto. Il governatore, invece, gabbò i suoi avversari politici firmando la legge. Così, davanti alla nazione incredula, quanto erano increduli i democratici, le donne godettero del diritto di voto nel territorio del Wyoming. Tutto ciò avveniva cinquant’anni prima che l’emendamento alla Costituzione del 1920 estendesse questo diritto alle altre donne americane.
Etta Place
Il Colorado capitolò nel 1893. Nel frattempo, donne di opposti caratteri, vite e attitudini lasciarono traccia di sé fuori e dentro la legge, ma sempre con spirito di indipendenza. Calamity Jane, Belle Starr, Cattle Kate, Lola Montez, Ann Eliza Young, Etta Place, lottarono, ciascuna a proprio modo, per sostenere l’uguaglianza sociale e la libertà sessuale. Ann Eliza Webb, nata nel 1844 in Illinois, fu un caso clamoroso in quanto non solo combatté per i diritti delle donne, ma lo fece in una società poligama come era allora la chiesa mormone. Il suo primo matrimonio, conclusosi rapidamente, fu un fallimento, il secondo un trionfo. Non che il secondo tentativo, con Brigham Young, il patriarca noto come “il leone di Dio”, funzionasse.
Al contrario. Ma fu proprio questo matrimonio della ventitreenne Ann con il sessantaseienne profeta, che aveva già altre 18 mogli, a rendere la ragazza cosciente di sé e dei propri diritti. Quando a Salt Lake City si aprirono finalmente le porte anche ai non mormoni, Ann conobbe il giudice Hogan e il giornalista Pond. Da uno dei due ricevette l’opuscolo “Denuncia della poligamia nell’Utah” di Fanny Stenhouse. Ad Ann si aprirono gli occhi e lei li aprì al resto del mondo.
Ann Eliza Young
L’Associated Press si interessò a lei. Ann piantò infine capra, cavoli e “leone di Dio” e girò gli Stati Uniti tenendo conferenze. Anche Barnum, il re del circo, un personaggio che sapeva certamente fiutare i fenomeni, la contattò. Lo stesso presidente Ulysses Grant, dopo averla applaudita, andò a stringerle la mano. Sfruttata dal suo stesso liberatore, il giornalista Pond, Ann nel 1907 scrisse “Vita di una prigioniera dei mormoni”. Il libro uscì soltanto nel 1928 quando colei che era stata l’eroica Ann Eliza Young, dato il nuovo corso dei tempi, poteva ormai aspirare solo al dimenticatoio. Altra autrice, di urlo più che di grido, fu Elisabeth Bacon Custer, moglie del “generale” George Armstrong. Custer, in realtà, non era il massimo, come ufficiale. Impulsivo, irresponsabile, gigione, Custer trovò in Elisabeth una compagna che lo difese contro ogni evidenza, scrivendo libri, gonfiando leggende, tenendo conferenze. Il Custer storico è ben lontano dal fulgido eroe alla Erroll Flynn ma la Elisabeth storica è molto più determinata e coraggiosa della moglie piagnona e retorica riportataci dal cinema.
Se a Little Big Horn ci fosse andata Elisabeth, Toro Seduto si sarebbe alzato in piedi per rispetto. Belle Starr, la regina dei banditi, assaltava carrozze postali, treni, banche. Sposò il rapinatore di banche Younger, ebbe un figlio da un collega, Jim Reed, nel 1876 sposò il mezzosangue Blue Duck, poi il mezzo Cherokee Sam Starr che le diede il cognome, poi il bandito texano Middleton, che le aveva eliminato Sam Starr. Infine sposò l’indiano Creek Jim July. A 41 anni aveva avuto sei mariti ufficiali. Altro che mormoni, era lei la “leonessa di Dio”. Che dire poi di Oklahoma Annie, detta Cattle Annie, che, insieme all’amica Jenny Stevens, alla verde età di 16 anni, si unì alla banda Doolin?
Elizabeth Bacon Custer
Cattle Annie, fuggita di casa, sparando e rapinando aggregata alle bande più note, morì di tisi negli slums di New York. Jenny Stevens morì, invece, da donna “rispettabile”, così come lo era stata, prima di darsi alle rapine in banca al fianco di Butch Cassidy e Sundance Kid, la maestrina Etta Place. Un ultimo ricordo per Annie Oakley, la mia preferita. Fin da bambina imparò a sparare con fucili ad avancarica.
A 18 anni, nel 1877, divenne nota battendo in una gara di tiro il celebre campione Frank Butler che, senza pensarci sopra un solo momento, la sposò: forse una tiratrice del genere preferiva averla sotto contratto. Annie, col Wild West Show di Buffalo Bill, girò il mondo. In Europa, con un colpo di pistola, mozzò Ia sigaretta in bocca al kaiser Guglielmo II.
Ethel Merman, quando Annie mori, le dedicò il musical “Anna prendi il fucile” e i cowboy chiamarono gli scontrini ferroviari “Annie Oakley”, in slang, perché il controllore bucava i biglietti con la stessa sicurezza con cui Annie centrava il bersaglio. Insomma, se il nostro Manzoni avesse conosciuto le donne del West le avrebbe sostituite alle Lucie comasche e alle monache monzesi, per temperamento e problematiche.
Non per nulla, tra “manzoni” e cowboy il legame, non solo etimologico, è evidente.