- www.farwest.it - https://www.farwest.it -

Il fuoco e gli indiani

A cura di Gaetano Della Pepa

L’accensione del fuoco
Parlare oggi di come accendere il fuoco può sembrare una cosa banale. Abbiamo a disposizione ogni genere di supporto per facilitarci il lavoro. Ad esempio, i fiammiferi! Questi, già dal 1805 a Parigi, venivano fabbricati bastoncini di legno ricoperti ad una estremità di una miscela di facile combustione.
Solo nel 1840 vennero prodotti i primi fiammiferi che si accendevano per sfregamento, la cui capocchia era formata prevalentemente da un composto di fosforo. Gli svedesi, invece, fecero la prima comparsa, proprio in Svezia, nel 1855.
Questi sono detti di sicurezza perchè hanno la capocchia composta di sostanza ossidanti e si accendono solo sfregandoli su una superficie ricoperta di sostanze combustibili miscelate ad un abrasivo.
Solo nel secolo scorso si ebbero i moderni fiammiferi controvento, che bruciano con fiamma molto viva nonchè quelli resistenti all’acqua e quelli che bruciano senza fiamma.
Però tutto questo i Pellerossa non l’avevano.
Per gli Indiani il “Nonno Fuoco” rappresentava la suprema delle forze naturali. Era una magia in grado di migliorare la vita dell’intera tribù, fornendo energia per cuocere, riscaldare, illuminare, segnalare e non ultimo, tenere lontane le bestie feroci. Il fuoco aveva dunque una importanza vitale per cui i Nativi Americani ne avevano un sacro rispetto, anche considerando le difficoltà per averlo, alimentarlo e conservarlo.


Accendere un fuoco nella prateria

Sia in inverno sia in estate il fuoco non doveva mai spegnersi. Considerando inoltre che, nella prateria, le tribù erano nomadi, ben si capisce perchè il fuoco doveva essere pronto al termine del viaggio giornaliero e comunque prima che facesse notte. Per tale ragione il fuoco veniva anche trasportato durante gli spostamenti, che avvenivano stagionalmente o per la caccia. Perciò uno dei capi più anziani aveva il compito di trasportare, dentro un’urna di pietra, i carboni accesi a cui tutto il villaggio avrebbe poi attinto, appena giunti a destinazione.
A prima vista, accendere un fuoco, può sembrare la cosa più facile del mondo. Però vi assicuro che non è così. Il fuoco è determinato da una reazione chimico-fisica chiamata combustione in cui entrano in gioco un corpo comburente che è l’ossigeno dell’aria ed il combustibile che è il legno od altro materiale da bruciare. Il primo risultato è una produzione di calore, ed è appunto questa variazione brusca di temperatura che fa reagire a catena i due elementi. Per accendere il fuoco e scatenare la reazione occorre quindi provocare un improvviso calore iniziale. Pur non conoscendo queste cose gli Indiani erano esperti ma le difficoltà non mancavano. Vediamo come essi si procuravano il fuoco. Se si accendeva all’esterno si doveva scegliere con attenzione il terreno.
Pronti per cucinare
Non doveva essere bagnato, né esposto al vento e non doveva esserci il pericolo di propagazione delle fiamme. Si doveva evitare di accendere il fuoco sotto gli alberi innevati perchè la neve, sciogliendosi e venedo giù, lo avrebbe certamente spento.
I due metodi più usati dai Pellerossa erano gli stessi usati dai popoli primitivi nonchè, ancora oggi, da alcuni aborigini dell’Africa o dell’Australia.
1) Metodo per frizione.
E’ basato sul principio che, sfregando due legnetti ben secci fra di loro, il lavoro meccanico si trasforma in calore e quindi in fiamma. La frizione semplice o rotazione si ottiene facendo ruotare fra le mani un ramoscello la cui punta appoggia su un altro pezzo di legno. Il calore prodotto infiamma il combustibile preparato. Possono essere usati anche attrezzi che aumentino la velocità di rotazione, quali il frullino, semplice bastone a T fatto ruotare con una corda avvoltagli intorno con più giri; l’arco e il trapano che si basano su un procedimento analogo al frullino. La frizione a sega consiste nello sfregare in modo alternativo il pezzo di legno lavorante su legno che dovrà prendere fuoco. Nella frizione a scanalatura il pezzo di legno attivo sfrega entro una scalanatura praticata nel legno da ardere in modo che l’attrito sia prodotto dalla sola punta.
Queste tecniche richiedevano forza e velocità nel movimento perchè la combustione era determinata dal vigoroso sfregamento dei legni. In più occorreva molto tempo o quantomeno essere in due per ottenere buoni e rapidi risultati.


Il fuoco in un tronco cavo

2) Metodo per percussione.
E’ basato sulle proprietà fisico-chimiche di alcune pietre che producono una scintilla quando vengono percosse violentemente con pietre simili o con un pezzo di metallo. La pietra focaia più usata era la selce, anche se tendeva a sfaldarsi e le scintille erano scarse. Migliori risultati si avevano percuotendo tra loro i sassi di pirite, di cui erano ricchi i letti dei fiumi in secca. Gli Indiani in seguito si avvantaggiarono degli acciarini procurati loro dai mercanti bianchi. L’acciarino era un pezzo di acciaio che percosso dalla pietra focaia produceva moltissime ed intense scintille. Con l’eperienza poi impararono a farne a meno sia dell’uno o dell’altra o di tutti e due. Riuscivano ad ottenere le scintille o percuotendo l’acciarino contro una scure od un coltello oppure battendo la pietra focaia contro tali attrezzi. In mancanza dell’acciarino e della pietra focaia le scintille venivano procurate dalla percussione di due attrezzi di metallo.
Per avere il fuoco, però, non bastavano le scintille o la polvere di legno infuocata. Il calore prodotto non era sufficiente ad innescare e mantenere la reazione. Cioè le scintille dovevano determinare subito la fiamma e perciò si usavano le esche per il fuoco costituite da materiale facilmente infiammabile. Le più adatte erano quelle costituite dalle cortecce secche degli alberi di betulla, quercia, cedro oppure pigne ed aghi di pino, erba e foglie secche, nidi abbandonati dagli uccelli, sterco essiccato di bisonte. Altra ottima esca era costituita dalle schegge prelevate dagli alberi sempreverdi e ricche di resina che venivano poi lasciate seccare. Buone esche erano anche alcuni funghi secchi. l’esca, l’acciarino e la pietra focaia erano la dotazione di base di ogni singolo individuo della tribù. L’accensione dell’esca era però solo il secondo passaggio. Per avere il fuoco occorreva trasmettere il calore dell’esca a ramoscelli secchi od a fasci di erba altrettanto secca per poi arrivare ad alimentare piano piano le fiamme fino ad avere un poco di brace su cui gettare legna secca più consistente.


Un fuoco da campo per le donne Apache

Abbiamo detto che per avere la combustione occorre l’ossigeno dell’aria, oltre alla legna. Quindi gli Indiani dovevano stare attenti ad assicurare una perfetta circolazione dell’aria in modo da non soffocare il fuoco e farlo spegnere per mancanza di ossigeno. Per tale ragione si doveva posizionare il combustibile, cioè la legna, in modo ottimale per venire a contatto con il comburente, cioè l’ossigeno. Vediamone in dettaglio come facevano:
– fuoco indiano – deve il suo nome alla classica sistemazione del combustibile a forma di tepee. Il fuoco era posto dentro una buca;
– fuoco a stella – composto da cinque rami piuttosto lunghi, le cui estremità si univano al centro dove ardeva la fiamma. Man mano che si consumavano venivano avvicinati fino al loro completo esaurimento. Era questo il modo per scaldare ed illuminare molto bene un campo fisso;
– fuoco dei cacciatori – più ordinato, preciso ed adatto a cucinare di quanto non lo fossero i primi due. Occorreva alimentarlo con abilità per evitare il fumo;
– fuoco a croce – adatto a cucinare e sviluppare molto calore. Presenta la caratteristica di bruciare uniformemente e velocemente.


Nelle tende si teneva il fuoco sempre acceso

Tutti i fuochi, sia all’interno dei tepee e sia all’esterno, erano circoscritti dalle pietre in modo che non si propagassero intorno. I sassi stessi potevano essere impiegati per cucinare o scaldare ed asciugare indumenti. Un loro uso particolare si vede nella capanna sudatoria. I sassi non dovevano essere umidi o vetrosi, altrimenti potevano esplodere con esiti pericolosi.Gli Indiani, quando accendevano i fuochi nella prateria o nei boschi, spegnevano tutto accuratamente. La brace doveva essere completamente spenta e occorreva accertarsene toccandola con le dita. In ogni caso non doveva essere sepolta perchè avrebbe continuato ad ardere sotto terra e riscaldando il terreno intorno poteve essere causa di tremendi incendi.
Una curiosità finale: presso i Lakota, quando all’interno di una tenda c’erano armonia, serenità e tanto amore tra i coniugi, c’era l’abitudine di bruciare nel fuoco un pò di corteccia di ciliegio, così che tutti nel campo avrebbero capito che in quella famiglia regnava tanta gioia.