I Capaha
A cura di Armando Morganti e di Gianni Albertoli
Il villaggio di Capaha si trovava nell’attuale Stato dell’Indiana, poco a sud di Greencastle, nelle “Terre Haute”, e rappresentava il punto più settentrionale raggiunto dalla spedizione di Hernando de Soto che stava costeggiando il corso del Mississippi. Si trattava indiscutibilmente del villaggio di “Pacha”, o “Pacaba”, ricordato dal Fidalgo de Elvas, e di “Pacaha” dal Biedma. La spedizione marciò per tre giorni giungendo infine ad una vasta palude che rappresentava il confine di due “province” nemiche: “Casquin” e “Capaha”. Oltrepassata la palude, gli spagnoli, dopo tre giorni di marcia, giunsero in vista dell’insediamento. “Il villaggio era composto da 500 grandi case ben costruite e situato su un luogo elevato e sovrastante i dintorni.
Gli abitanti lo avevano reso quasi un isola scavandovi tutto intorno un fossato profondo 10 o 12 braccia e largo 50 passi, e 40 nella parte più stretta.
Era tutto pieno d’acqua fornita dal Rio Grande (Mississippi) che scorreva a tre leghe di distanza. L’acqua veniva convogliata tramite un canale scavato a forza di braccia…”, nel quale, stando al Ranjel, si potevano trovare pesci di enormi dimensioni simili ai lucci. Questo fossato difendeva l’insediamento su tre lati, mentre il quarto era difeso da una robusta palizzata, alta circa 10 piedi, “realizzata con grossi pali piantati nel terreno, legati l’uno all’altro, muniti di traverse e intonacati di argilla mista a paglia”. Infatti il Ranjel ricordava che “in Aquixo, Casqui e Pacaha abbiamo visto i migliori villaggi fino a quel momento, molto ben difesi e fortificati, e con gente di eccellente qualità ad eccezione di quelli di Cofitachiqui”. All’arrivo della spedizione gli indiani, assolutamente impreparati ad affrontare uno scontro, si dettero alla fuga e raggiunsero in canoa un isola del Mississippi, altri fuggirono nei boschi della zona. Gli indiani di Casquin, che accompagnavano gli spagnoli, non contenti di aver depredato ed ucciso a piacimento i loro nemici, “si recarono anche al tempio che si trovava in una grande piazza del villaggio; questo era il sepolcro di tutti i cacicchi che avevano dominato quella regione”, razziando il tempio e spogliando i trofei degli antenati, infine, devastarono i campi coltivati della regione e liberarono parecchi loro fratelli che, catturati, servivano i Capaha nei lavori più umili.
La mappa del passaggio di Hernan De Soto e i suoi
Ma chi erano questi indiani di Capaha? L’identificazione di questa popolazione è piuttosto controversa e dibattuta, il territorio da loro occupato, quello dell’Indiana meridionale, in epoca storica era abitato da popolazioni di lingua Algonchina, infatti nelle vicinanze del fiume Wabash viveva un gruppo degli indiani Miami. Ma gli studiosi propendono per una identificazione ben diversa, ovvero per una popolazione di lingua Siouan del gruppo dialettale Dhegiha, erano questi gli antenati dei Quapaw, che nelle epoche storiche furono incontrati nell’Arkansas, presso la foce del fiume Arkansas. Noi sappiamo che questa popolazione, strettamente affine ai Ponca e agli Omaha, ma anche ai Kansa, ai Missouri e agli Osage, venne incontrata dai francesi nel 1673, ma originariamente era stanziata lungo il corso del fiume Ohio, presso la foce del Wabash, da cui, negli anni successivi, fu sospinta verso sud-ovest, nelle pianure dell’Arkansas orientale. Stando alle fonti più antiche questi indiani devono essere identificati con i “Capaha”, o “Pacaha”, incontrati dalla spedizione del de Soto; pur non essendovi ancora certezza, non possiamo però escludere che in quegli anni vivessero ancora sul fiume Ohio; basti pensare che il nome dei Quapaw derivava dal nativo “ug’khpa”, significante “la gente a valle”, e molto simile a “Capaha”. D’altronde, i primi esploratori francesi trovarono questi indiani sotto la foce di un fiumiciattolo chiamato “San Francesco”, il che sembra dovuto ad uno spostamento del loro villaggio ben più a nord in epoca spagnola, ma non possiamo dimenticare che il St. Francis River si trova nell’Arkansas. La loro storia tradizionale sembra avere delle sostanziali fondamenta, padre Gravier, nelle sue descrizioni del viaggio verso il Mississippi (1700), affermava che i corsi inferiori dei fiumi Wabash ed Ohio erano chiamati, dagli Illinois e dai Miami, “i fiumi degli Akansea”, ovvero dei Quapaw. Ai Quapaw venivano assegnati tre rami dei fiumi e tutti provenienti da nord-ovest, essi passavano proprio dietro le terre dei Miami ed uno di questi era chiamato “San Giuseppe”, che gli indiani chiamavano “Ouabachci” (Wabash).
La ricostruzione di un villaggio
La loro separazione dagli altri gruppi Dhegiha sarebbe avvenuta nell’Illinois meridionale, e mentre gli altri avrebbero risalito il Missouri, i Quapaw sarebbero scesi a sud divenendo “quelli che scendono a valle”. Nelle epoche successive questi indiani appaiono sotto il nome di “Akansea” e nella mappa di padre Marquette (1673) venivano menzionati come “Papikaha”, un altro termine molto simile a “Capaha” o “Pacaha”, ma il missionario localizzava gli “Akansea” ancora a est del Mississippi, proprio di fronte ai “Papikaha”. Il Biedma, uno dei cronisti della spedizione, affermava che un villaggio, posto “sulla riva orientale del Rio Grande” (il Mississippi), era sotto il dominio, “come molti altri”, del “sovrano di Pacaha”; anche il Métairie, che partecipò alla spedizione del La Salle del 1682, citava un insediamento degli indiani “Kapaha sul fiume Arkansas”, e negli anni successivi apparve anche il villaggio di “Kappa”, nell’Arkansas orientale. E’ probabile che gli indiani Capaha fossero in effetti diversi gruppi di etnia Sioux che avevano il controllo di quelle terre, probabilmente nel territorio, oltre ai futuri Quapaw, vi erano anche altre popolazioni affini dei gruppi Chiwere e Dhegiha, con più a nord i Winnebago, popolazioni Sioux che hanno avuto un ruolo determinante nella “Cultura Oneota” a partire dal 1000 d.C., una Cultura comunque affiliata con quella Mississippian.
Ingresso e palizzata difensiva
Sul capo di Pacaha sappiamo soltanto quello che i cronisti della spedizione ci hanno tramandato, e uno di questi, il Garcilaso, l’unico a non aver partecipato all’avventura, si riferiva a lui come Capaha, probabilmente un errore grossolano. Il capo viveva in un villaggio fortificato vicino al Mississippi ed alcuni archeologi speculano affermando che l’insediamento fosse nella contea Crittenden. Ma siamo sicuri che questo grande villaggio fosse posto così a nord? Gli studiosi non sono assolutamente concordi e molti respingono una simile affermazione, gli uomini del de Soto non avrebbero mai raggiunto il territorio dell’Indiana. I più recenti studi sembrano concordare su un fatto molto preciso, questi indiani ai tempi della spedizione avevano già raggiunto il territorio dell’Arkansas, scacciando i gruppi Tunican dalla zona ed occupando i loro antichi insediamenti. Gli archeologi identificano il villaggio con il “Nodena site” (circa 1400-1650), posto a est di Wilson, nell’Arkansas nord-orientale; villaggio che, a quanto pare, stando al dottor James K. Hampson, avrebbe avuto una imponente palizzata e, avrebbe dato agli studiosi, numerosi reperti archeologici oggi custoditi nel “Museum State Park” di Wilson (Arkansas). Questo sito sembra rappresentare una importante componente culturale della tarda “Mississippian Culture” e riconducibile alla “Nodena Phase” (1400-1700 circa), di cui, l’Hampson ricorda lo “Upper Nodena” e il “Middle Nodena archeological site”. Questa “Nodena Phase” avrebbe interessato diversi insediamenti lungo il Mississippi, tra i confini dell’Arkansas e il Wampanocca Lake; e questa Cultura sarebbe contemporanea della “Parkin Phase”, sita anch’essa nell’Arkansas. Gli storici ritengono che la spedizione di Hernando de Soto avrebbe visitato parecchi villaggi della “Nodena Phase”, tutti identificati come “Provincia di Pacaha”, e con il “Parkin site” appartenente alla “Provincia di Casquin”.
Calco di un volto di Capaha
La parte centrale delle aree adiacenti al corso del Mississippi – Missouri, Arkansas, Mississippi e Tennessee – è stata sicuramente interessata da una tipologia culturale piuttosto simile, il che avrebbe interessato anche popolazioni di etnia e lingua diversa. Il corso del grande fiume ha sempre creato un ambiente adatto all’insediamento sia nei periodi preistorici che storici, esso rappresentava una incredibile fonte di cibo e, grazie ai terreni alluvionali dovuti alle continue piene del Mississippi, permetteva anche delle coltivazioni intensive che permettevano parecchi raccolti annuali. Gli indiani che vissero in queste terre erano sostanzialmente dei coltivatori di mais, girasoli, zucche e fagioli, ma si dedicavano anche alla raccolta di radici e piante selvatiche; inoltre, erano ottimi cacciatori di uccelli migratori e di cervi – ma anche di scoiattoli, conigli, tacchini e germani -, nonché abilissimi pescatori di pesci gatto ed anche alligatori. Dagli studi archeologici risulta evidente che questi indiani praticavano la deformazione artificiale e l’appiattimento del cranio, che veniva deformato già in giovane età mediante assicelle ed un sistema particolare di bende e lacci. Molti degli scheletri rinvenuti nel sito provano indiscutibilmente questa pratica, del tipo definito come “deformazione fronto-occipitale”, ovvero l’appiattimento della fronte e della parte posteriore del cranio. Dei 123 crani ritrovati dal dottor Hampson soltanto sei possono essere considerati “normali”, in quanto non mostrano alcun segno di deformazione; questa pratica fu particolarmente estesa fra le popolazioni del nord America, ma cadde ben presto nel dimenticatoio dopo l’arrivo dei bianchi. I loro insediamenti erano spesso circondati da fossati dove scorrevano alcuni rami dei fiumi della zona; i villaggi erano molto spaziosi con abitazioni distanti l’una dall’altra, inoltre vi erano piccole capanne adibite per immagazzinare il mais raccolto o per far asciugare e frollare la selvaggina. All’interno degli insediamenti vi era almeno un tumulo di terra rettangolare, sulla cui piatta sommità vi erano gli edifici civici e religiosi. In tutta la Central Valley del Mississippi le abitazioni preistoriche erano quadrate e ricoperte di canne e paglia intrecciate fra loro e poi sigillate con della terra argillosa, la stessa tecnica veniva usata anche per i pavimenti delle abitazioni; infine, in posizione centrale vi era il fuoco che serviva sia per il riscaldamento che per la cottura dei cibi. Il dottor Hampson riuscì a portare alla luce parecchie abitazioni di questo tipo nello “Upper Nodena site”. Questi indiani forgiavano attrezzi di pietra, osso, legno e conchiglie di vario tipo, le loro frecce avevano punte sagomate di selce, ma furono anche ritrovati molte attrezzature per il giardinaggio e alcune ceramiche, in genere gli oggetti ornamentali erano di pietra, osso o di conchiglie. La maggior parte delle ceramiche del “Nodena site” sono del tipo noto come “Mississippian Bell Plain”, in genere erano costituite da strisce di argilla poi levigate dal vasaio, comunque simili alle ceramiche ritrovate nelle zone orientali del continente; considerate artistiche, esse avevano varie incisioni che spesso raffiguravano mitiche figure, persone e animali vari. Secondo il dottor Hampson molti dei vasi ritrovati sarebbero stati usati per scopi cerimoniali e rituali, anche per i defunti. Ma vediamo più dettagliatamente il sito.
Ancora un’immagine del prezioso reperto
Era di 15 acri (circa 6 ettari di territorio) e posto su un ansa del Mississippi, circa 5 miglia (8 km) a est di Wilson. I reperti archeologici vengono datati nel periodo compreso fra il 1400 e il 1650; il sito aveva tre tumuli tipici della zona, due dei quali di grandi dimensioni. Il più grande, designato come “Mound A”, era largo 111 piedi (34 metri) e lungo 120 piedi (37 metri), la sua altezza raggiungeva i 15,50 piedi (5 metri). Questo “Mound A” aveva due livelli e quindi di dimensioni piuttosto elevate, inoltre, su questo tumulo sono stati trovati i resti di tre strutture, di cui uno sul livello più alto, mentre il “Mound B” aveva dimensioni più ridotte e nella parte alta aveva una struttura circolare sulla sommità. Dietro al “Mound A” vi era una grande piazza che l’Hampson ha chiamato “chunkey field”. Il “Mound C” era invece circolare e si trovava presso l’altra estremità del “chunkey field”. Nel sito sono state inoltre trovate 314-316 tombe di uomini sotto i tumuli. Le abitazioni del villaggio erano poste in modo estremamente ordinato, infatti, quando gli spagnoli giunsero a Capaha descrissero l’insediamento come attentamente pianificato ed organizzato, mai avevano visto simili villaggi in tutto il sud-est americano. Gli spagnoli notarono che intorno all’insediamento vi erano pochissimi alberi, probabilmente essi rappresentavano la fonte primaria da usare sia come combustibile che come materiale da costruzione. Anche le palizzate assumono un ruolo importante, esse servivano per scopi difensivi, inoltre aveva dei bastioni ad intervalli regolari, da cui gli arcieri potevano respingere gli attacchi. Vista la continua guerra con Casquin, la maggior parte dei siti della zona avevano palizzate difensive. A Nodena il Morse notava subito il sistema di fossati per il drenaggio dell’acqua, usato per scopo difensivo all’esterno della palizzata; il sistema delle palizzate attorno ai villaggi era comune nel territorio e venne confermato anche dagli spagnoli, ma sembra che alcuni insediamenti non fossero assolutamente difesi dalle palizzate, probabilmente in terre più tranquille e meno esposte agli attacchi nemici. L’Hudson ricordava che, generalmente, gli insediamenti dell’Arkansas nord-orientale avevano dalle 15 alle 40 capanne, e che a Nodena la popolazione poteva variare dalle 1000 alle 1500 anime, stima confermata anche dal Morse. L’Hampson parlava invece di 66 capanne portate alla luce, anche se altri propendono per ben 82 abitazioni. I cronisti della spedizione riferivano che il grande capo viveva nel villaggio principale, ma noi non sappiamo se il “Nodena site” fosse veramente la capitale della nazione.
Una vista a “volo d’aquila” di un insediamento di Capaha
La lingua di questi indiani non è comunque ancora accertata, si presume che fosse Siouan o Tunican. E’ noto che i Tunica erano nella zona quando giunse la spedizione di Hernando de Soto, e con genti Caddoan a ovest delle loro terre. Quel che possiamo affermare con sicurezza è che dopo il 1670, con l’inizio del periodo storico, queste terre erano abitate dai Quapaw, una popolazione Siouan del gruppo dialettale Dhegiha. I tentativi effettuati per collegare gli stili delle ceramiche e le fonti dei cronisti della spedizione sarebbero stati tutti infruttuosi. Il problema rimane comunque ed è sicuramente legato al fatto che questi indiani fossero grandi nemici dei Casquin. Estremamente importante da analizzare è il fatto che le descrizioni delle abitazioni dei nativi della Louisiana meridionale, risalenti al 1780, risultano essere simili a quelle dell’Arkansas nord-orientale del XV-XVI secolo, il che farebbe pendere la bilancia dalla parte dei Tunican, ma ciò non escluderebbe che gli antenati dei Quapaw che avrebbero occupato gli insediamenti dei vecchi abitatori.