Wichita, la “entrada” spagnola
A cura di Gianni Albertoli
Wee-tá-ra-shá-ro
Gli antenati delle popolazioni – oggi conosciute come “Wichita, Kichai, Pawnee e Arikara” -, si mossero dalle aree forestali dell’est per stabilirsi nelle vallate dei fiumi delle grandi Pianure. In queste terre, intorno al 500-600 d.C., queste genti si divisero dando vita a vari gruppi Caddoan indipendenti tra loro. I proto-Pawnee e gli Arikara si stabilirono nella vallata del Missouri, mentre i proto-Wichita e Kichai occuparono vaste aree sull’Arkansas River, negli attuali stati americani del Kansas e dell’Oklahoma. Ricordiamo che, notoriamente, il termine “Caddoan” venne usato per indicare i gruppi parlanti una lingua particolare, cui facevano riferimento gli indiani “Wichita, Kichai, Pawnee e Caddo”.
Nel corso degli anni i Wichita dettero vita ad “un importante e prosperoso stile di vita” lungo i margini delle Pianure meridionali. I Wichita si definiscono ancor oggi “Kitikitish”, mentre il nome “Wichita” deriverebbe da uno dei gruppi più piccoli che componevano questi “Kitikitish”, e il termine è stato utilizzato per circa secolo come nome dell’intera tribù.
Il libro di F. Todd Smith
Onde evitare confusione, il Todd Smith dichiarava, “Ho scelto di utilizzare il termine ‘Wichita’ per indicare la tribù nel suo insieme, mentre ‘Guichita’ resta una delle tante grafie utilizzate dagli spagnoli, per indicare il gruppo più piccolo”. L’autore non dimentica di includere nella sua opera anche la tribù Kichai, un gruppo culturalmente e linguisticamente simile, e strettamente associato ai Wichita nel XVIII secolo – anche se non sempre pacificamente -, ed infine assorbito dalla moderna tribù Wichita. Questi indiani si estendevano in zone semiaride che dallo Smoky Hill a nord, portava al fiume Brazos a sud, un’area delimitata dalla prateria erbosa dei bufali a ovest, e dalle “Eastern Woodlands” a est. Le praterie di erba alta e di erba mista dominavano la regione, una terra divisa in due da una serie di fiumi che scorrono verso est e da due distinte fasce boscose da nord a sud, note come “Eastern and Western Cross Timbers”. La loro economia combinava l’agricoltura alla caccia, ed era la chiave del loro successo nelle Pianure meridionali, dove le praterie pullulavano di bisonti, antilopi, conigli, animali da tana, galli cedroni, galline della prateria e quaglie, mentre cervi, orsi e tacchini abbondavano nelle Cross Timbers e nei fondali dei fiumi. Per massimizzare le loro capacità produttive, adottavano uno stile di vita semi-sedentario che li portava, in primavera e in estate, a vivere in villaggi fissi ed estesi presso i loro campi “ben puliti e ordinati”. I Wichita avevano abitazioni rotonde ben costruite su una struttura di pali ricoperti d’erba che, agli occhi degli osservatori europei, sembravano degli “alveari di paglia e pan di zucchero” con un piccolo foro al centro del tetto per la ventilazione dell’aria. Per facilitare le coltivazioni e le cacce, i Wichita si dividevano in numerosi piccoli villaggi indipendenti, tutti con un sistema politico interno molto aperto ed egualitario, con ogni villaggio guidato da un leader eletto dal Consiglio dei guerrieri.

Una veduta della parte occidentale delle Cross Timbers
Infatti, il potere del capo non era assoluto e, di conseguenza, poteva anche essere rimosso dal Consiglio tribale. Per quanto riguarda i guerrieri, avevano un sottocapo il cui titolo era noto come “okonitsa”, un titolo che lo indicava come responsabile per la scelta dei siti dei villaggi e la supervisione della loro disposizione. Il Consiglio dell’intera tribù includeva anche le donne e le soluzioni dei problemi dovevano avere il consenso di tutti, tranne quelli che dissentivano e allora potevano lasciare il villaggio per entrare in un altro insediamento della tribù.

Una giovane Wichita
L’Athanase de Mézières, nel 1770s, annotava che i capi dei Wichita, “non sono riconosciuti come capi se non in riconoscimento delle loro gesta, il guerriero più abile e vincente è colui che comanda, e l’autorità spetta a chi la usa meglio nella difesa dei suoi compatrioti”, e che il loro governo “è democratico, senza escludere nemmeno le donne, in considerazione di ciò che contribuiscono al benessere della repubblica”. Poiché i Wichita erano di discendenza matrilineare, con la famiglia come unità basilare, i bambini venivano cresciuti dalla famiglia allargata della madre, e i suoi membri tendevano a vivere vicini gli uni agli altri in un gruppo di capanne. Quando si avvicinava la nascita di un bambino, il padre lasciava la capanna e tornava soltanto quattro giorni dopo la nascita; le ostetriche assistevano le madri nel parto e portavano immediatamente il bambino presso un ruscello per bagnarlo il meglio possibile. Solitamente la coppia sposata risiedeva con i genitori della sposa a meno che non fossero diventati insoddisfatti del matrimonio e avessero divorziato, un evento piuttosto comune tra i Wichita. Sebbene avessero generalmente un solo coniuge alla volta, la maggior parte degli uomini e delle donne ne aveva almeno due durante la loro intera vita. Le loro usanze funebri consistevano in diversi rituali eseguiti rapidamente, e poiché le capanne di erba erano considerate luoghi sacri dove nessuno avrebbe dovuto morire, i Wichita isolavano le persone in punto di morte in una tenda costruita in tutta fretta.

Le migrazioni dei Wichita 1540-1820
Per poi, alla morte di un individuo, i parenti lo “tagliavano per rispetto” verso il defunto, con gli amici che si prendevano cura del corpo e lo lavavano, lo vestivano e lo presentavano all’intero villaggio poi, alla fine, il corpo veniva seppellito in una fossa poco profonda, solitamente situata in cima ad una collina, e comunque vicina al villaggio. La guerra veniva combattuta principalmente per la gloria e consisteva in “piccole incursioni mordi e fuggi” contro i nemici, vale a dire gli Osage a est e gli Apaches a ovest, in cui i guerrieri Wichita cercavano di ferire, uccidere e scalpare un nemico. Il ritorno di un gruppo di guerrieri vittoriosi era sempre occasione di grande gioia nel villaggio, soprattutto quando veniva fatto prigioniero un nemico e, soprattutto, erano le donne e i bambini a prendere in mano la situazione, “torturavano la vittima per tre o quattro giorni, picchiandola e squarciandola fino alla morte”; senza dimenticare che, in “un rituale cannibalesco progettato per ottenere potere sulla tribù nemica”, i Wichita “tagliavano la carne del prigioniero morto in piccoli pezzi”, che poi gli abitanti del villaggio divoravano. La maggior parte degli osservatori esterni ha menzionato la tortura e il cannibalismo dei Wichita, e l’ultimo resoconto di prima mano proviene dall’Anthony Glass che, nel 1808, affermava che i Wichita “spogliano il prigioniero e lo legano al palo. A volte rimangono lì e tutte le persone vengono a vederlo, dopodiché le donne e i bambini con i bastoni si mettono a picchiarlo finché non muore sotto i loro colpi, quindi tolgono la carne dalle ossa e la appendono a pezzi in due parti diverse del villaggio”. Fisicamente, i Wichita erano “bassi, tozzi e dalla pelle piuttosto scura”, e tutti gli osservatori commentavano i loro elaborati tatuaggi. Gli uomini si tatuavano intorno agli occhi e si definivano “occhi di procione”, al contrario, i tatuaggi ornavano le braccia e il seno delle donne; senza dimenticare che, sia gli uomini che le donne, avevano i capelli lunghi, indossavano abiti di pelle di daino e si ornavano con gioielli di conchiglie.

Un dipinto raffigurante un guerriero Osage
Rispecchiando la loro divisione del lavoro in base al genere, i Wichita credevano in un pantheon di dei – sia maschili che femminili -, che si dividevano in “cielo e terra, divinità maschili e femminili” dove, “Kinnikaus” (“Uomo-mai-Conosciuto-sulla-Terra”), era il capo delle divinità perché era responsabile della creazione della terra e di tutto ciò che vi era al suo interno. Una serie di divinità maschili venivano associate al cielo, e fra queste il più importante era il Sole, quello che forniva la luce per far crescere le cose, seguito da “Kiarsidia” (“Avere-il-Potere-di-Portare-la-Luce”). Rappresentato dalla “Stella del Mattino”, il “Kiarsidia” era lo spirito del primo uomo creato ed era suo dovere mantenere le stelle al loro posto e far entrare la luce del giorno. La successiva divinità per importanza era la “Stella del Sud”, la “guardiana dei guerrieri”, dopo la quale veniva la “Stella del Nord”, la divinità che permetteva agli umani di orientarsi sulla terra.

Cacciatori Wichita di bufali
Sebbene la maggior parte delle divinità femminili fossero terrestri, la “Kashatskihakatidise” (“Donna-Splendente”) era la “guardiana speciale delle donne” ed era rappresentata dalla Luna. Essendo la moglie di “Kiarsidia”, era la madre dell’universo e controllava le forze di riproduzione e procreazione per tutti gli esseri viventi. Quindi, le donne si rivolgevano a lei per ricevere istruzioni quando erano incinte e, una volta che il bambino era nato, lo tenevano verso la luna per farsi impartire una sorta di benedizione. Comunque, “Donna-Splendente” era l’unica divinità femminile celeste dei Wichita e, simile per potere a lei, vi era soltanto la dea dell’acqua, “Otskahakakaitshoidiaa” (“Donna-che-ha-Poteri-nell’Acqua”), vale a dire quella che forniva l’acqua da bere e la giusta umidità per i raccolti e, inoltre, quella che si assumeva la responsabilità dell’igiene. Un’altra divinità terrestre, la “Madre Terra”, era considerata quella che dava alla luce ogni cosa, oltre a fornire il suo seno su cui le persone potevano camminare; questa forniva ai Wichita le radici e le erbe usate per curare i malati, così come il vento, da cui si estraeva il respiro e la vita. Sebbene avessero un sistema di credenze condiviso da tutti, non avevano una classe separata di sacerdoti che li istruivano nella religione. Invece, società sciamaniche semisegrete, aperte a chiunque volesse unirsi, rendevano omaggio alle varie divinità e cercavano il loro aiuto eseguendo alcune cerimonie e danze; tra le quali, la più importante era la “Danza del Cervo”, eseguita quando appariva la prima erba, quando il grano maturava e quando veniva raccolto. Senza dimenticare le “Cerimonie-del-Fascio-di-Pioggia”, quelle che assicuravano la maturazione del mais e l’aumento delle mandrie di bufali, mentre la “Danza del Corno” implorava la benedizione per la gente a rischio; inoltre, oltre al “pantheon” delle divinità nel cielo e sulla terra, i Wichita credevano anche negli “Spiriti Guardiani”, solitamente animali che si rivelavano agli individui durante i sogni o le visioni.

Il fiume Mississippi
Nei tempi più antichi, i Wichita erano composti da due gruppi di una certa dimensione che contenevano i prototipi delle cinque tribù principali. La loro storia, prima del XVIII secolo, è approssimativa a causa della relativa mancanza, e della qualità dei documenti primari. Le due fonti principali, vale a dire i resoconti dei membri della spedizione del 1541 – quella del Francisco Vasquez de Coronado -, e quella del 1601 – del Juan de Oñate -, sono molto vaghe e spesso contraddittorie.

Il contatto con gli Spagnoli
Tuttavia, utilizzando queste fonti insieme ai fatti annotati in seguito, così come con le scoperte di antropologi e archeologi, è possibile fare alcuni suggerimenti importanti, piuttosto che affermazioni definitive, sulle dimensioni e la posizione delle tribù Wichita nei secoli XVI e XVII. Il contingente più numeroso di questi indiani, probabilmente 150mila, viveva in numerosi villaggi situati a nord-est e a est del Great Bend dell’Arkansas River (Kansas), ma dobbiamo ricordare che le cifre sulla loro popolazione sono semplicemente delle stime altamente congetturali. I membri della spedizione del Coronado ci hanno fornito testimonianze contrastanti sulla loro popolazione; e tra le Cronache, lo stesso Coronado affermava che non vi erano “più di 25 città dei Wichita”, mentre il Juan Jaramillo parlava di “6-7 pueblos dei Wichita”; inoltre, la anonima “Relación del Suceso” riportava che in “alcune città dei Wichita sono raggruppate insieme fino a duecento case”. Se effettivamente vi fossero stati 25 villaggi Wichita, contenenti una media di duecento case, utilizzando la stima bassa di 10 persone per abitazione, la loro popolazione sarebbe stata di circa 50mila anime. Però, sessant’anni dopo, la spedizione dell’Oñate forniva resoconti che suggerivano una popolazione molto più grande, con un gruppo che avrebbe esaminato un insediamento, di cui si diceva che si estendesse per “almeno tre giorni di viaggio”. Il Juan Rodríguez contava la bellezza di 1.700 case di erba nello spazio di sole due leghe (5 miglia), ma affermava che il villaggio si estendeva molto più lontano “lungo il fiume e che, la fine non era in vista”; mentre il Baltasar Martínez testimoniava che quattro soldati contarono le case e “ne trovarono quasi duemila”. Queste dichiarazioni indicano che questo singolo villaggio conteneva la bella cifra di circa ventimila anime. Il Rodríguez non aveva problemi nel riferire che un altro gruppo di indiani disse ai membri della spedizione dell’Oñate che vi erano altri villaggi dei Wichita, e tutti “molto più grandi dell’insediamento che avevamo scoperto” ma, sfortunatamente, i cronisti non hanno mai dichiarato quanti altri villaggi ci fossero. Se ci fossero stati una mezza dozzina di altri villaggi contenenti 25mila anime, ciò significherebbe che vi erano almeno 170mila indiani Wichita nell’area del Great Bend nel 1601; con il Todd Smith che avrebbe “scelto 150mila come ragionevole cifra tonda”.

Una veduta dell’Arkansas River
Comunque, erano tre tribù Wichita che vivevano in questi insediamenti: i Tawakoni sul Cow Creek e presso il Little Arkansas River; i Taovayas circa 80 miglia a nordest del Cottonwood River e infine i Guichitas, circa 80 miglia a sud dei villaggi dei Taovayas sul basso corso del Walnut River. Non vi è alcun dubbio sul fatto che queste tre tribù vivevano nelle aree del Great Bend dell’Arkansas River, tuttavia, l’esatta locazione geografica resta ancora dibattuta. Una tribù imparentata, quella dei Kickai, viveva sull’Arkansas presso la foce dei fiumi Verdigris e Neosho, erano questi indiani culturalmente simili ai Wichita, ma parlanti un dialetto Caddoan comunque distinto. Uno studioso come l’Hughs, nella sua “Prehistory of the Caddoan Speaking Tribes”, collocava i Kickai di questo periodo nel Texas centro-settentrionale, ma il Rohrbaugh sosteneva in modo convincente che si trovavano nella valle del fiume Arkansas. La forza della sua argomentazione risiede nel fatto che la lingua dei Kickai è molto più simile a quella dei Pawnee del Nebraska, piuttosto che a quella dei Wichita, suggerendo che i Kickai originariamente vivevano più a nord del Texas. Il secondo gruppo Wichita viveva a sud-ovest, molto più lontano e nelle Grandi Pianure. Erano questi gli Iscanis, una popolazione che giunse probabilmente a contare fino alle 50mila anime; questi vivevano in villaggi situati lungo il Canadian River e presso le biforcazioni del Red River (Oklahoma).

Wichita agricoltori
Però, ancora una volta, le affermazioni sugli Iscanis sono soltanto suggerimenti. Sulle Great Plains, a sud-ovest del fiume Arkansas, il Coronado incontrò un gruppo di cacciatori di bufali che chiamò “Teyas”, mentre l’Oñate sessant’anni dopo, incontrò una tribù simile che chiamò “Escanjaques”, ma che si faceva chiamare “Aguacanes”. I primi storici ipotizzarono che si trattasse di Apaches delle Pianure, ma indagini successive hanno dimostrato che è più probabile che fossero Iscanis, o un gruppo che alla fine si fuse con gli stessi Iscanis. La cifra sulla loro popolazione sembra derivare da dichiarazioni fatte soltanto dai membri del gruppo dell’Oñate, poiché il Coronado non visitò alcun loro villaggio. L’Oñate affermava che un villaggio degli Iscanis, da lui incontrato, conteneva “più di cinquemila persone”, mentre il Martínez testimoniava che lo stesso insediamento “doveva contenere seimila persone, giovani e anziani”. Il villaggio visitato dall’Oñate non era certamente l’unico degli Iscani, poiché il Martínez riportava che gli spagnoli erano stati informati, grazie al linguaggio dei segni, che “vi erano altre rancherías della loro gente in luoghi diversi”. Un altro soldato, il Juan de León, testimoniava che agli spagnoli era stato detto che vi erano villaggi degli Iscani “tutto intorno a loro”, mentre il Rodríguez diceva, “abbiamo appreso che nei dintorni vi sono molte altre rancherías Escanxaque”. Se ci fossero stati dieci villaggi di questa popolazione, con circa 5mila persone ciascuno, ciò avrebbe significato che la cifra complessiva di questi indiani poteva veramente raggiungere le 50mila anime.

Il corso del Canadian River nel Nuovo Messico
Nel luglio 1541, i Wichita di questi insediamenti entrarono per la prima volta in contatto con gli intrusi europei che, alla fine, avrebbero inaugurato la catastrofica “quarta era” del loro ciclo storico. L’anno precedente, il Francisco Vásquez de Coronado aveva guidato più di trecento avventurieri spagnoli, affiancati da un migliaio di alleati indiani, a nord del Messico, alla ricerca delle leggendarie “sette città d’oro di Cíbola”. Però, invece di scoprire “ricche città”, il Coronado trovò soltanto piccoli villaggi di adobe nel Nuovo Messico; stabilendo la sua base sul Río Grande appena a nord di Albuquerque, da cui inviava gruppi di esploratori spagnoli in tutte le direzioni in vani tentativi di trovare ricchezze. Gli indiani incontrati nel Nuovo Messico appartenevano tutti ad una tipica “Puebloan Culture” ma, nella realtà erano diversi gruppi che vivevano nell’area in 60-70 insediamenti autonomi e parlanti linguaggi e dialetti diversi. Gli indiani Wichita conoscevano vari gruppi dell’area, in particolare i Pueblo più orientali, e avevano rapporti specialmente con il “pueblo di Pecos”; con questi indiani scambiavano sottoprodotti del bisonte e legno utilizzato per realizzare archi. Due indiani Wichita, uno dei quali chiamato “Ysopete”, e l’altro un trader spagnolo noto come “Turk”, erano a Pecos da qualche tempo e avevano avuto modo di incontrare un capitano del Coronado, noto come Hernando de Alvarado (settembre 1540). Il leader del “pueblo”, conosciuto come “Bigotes”, disse all’ufficiale della presenza di numerosi bisonti nelle pianure poste a est e, inoltre, consigliava all’Alvarado di prendere come guide i due elementi sopra ricordati per portare le sue truppe – venti uomini -, nelle terre dei Wichita, che gli spagnoli chiamavano “Quivira”. Lo stesso riportava che la terra dei Wichita “era ricca e popolosa, dove il popolo viveva in villaggi presso vari templi (mounds)”, con i loro insediamenti vicini ad un grande fiume sul quale vi erano molte canoe, e che gli abitanti avevano una grande abbondanza di rame. Evidentemente avevano dato una descrizione generalizzata dei “great mound-building centers” sul fiume Mississippi, verso i quali avevano evidentemente fatto operazioni commerciali in passato. Tuttavia gli spagnoli, “nella loro brama di regni dorati”, fraintesero il tutto, credendo che stessero descrivendo la mitica “Quivira”. Capirono che quella regione aveva palazzi in pietra a più piani, dove “il Signore della Terra faceva la sua siesta sotto un grande albero da cui pendevano quantità di campanellini d’oro che, durante la brezza lo calmavano … il normale servizio da tavola di tutti in generale era fatto di argento lavorato mentre le brocche, i piatti e le ciotole erano d’oro”.

Costumi del sudovest
Sebbene il Rapporto avesse incuriosito il Coronado, gli spagnoli dovettero sopportare il duro inverno prima di poter iniziare una spedizione verso “Quivira”. L’esercito sopravvisse al freddo intenso costringendo i Pueblos a fornire loro indumenti caldi e provviste, per poi reprimere brutalmente una piccola rivolta dei nativi. Alla fine, nel maggio 1541, il Turk e l’Ysopete guidarono il Coronado nelle grandi Pianure alla ricerca di “Quivira”. Il Turk, pensando che gli spagnoli volessero visitare le grandi preistoriche città sul Mississippi, si diresse verso est, in direzione del Texas Panhandle, nonostante l’Ysopete insistesse sul fatto che “Quivira” si trovasse a nord-est. Nel Llano Estacado, nella vallata del Canadian River, gli spagnoli entrarono in contatto con dei “relativi nuovi venuti nell’area”, si trattava di un gruppo di cacciatori di bisonti di etnia Apaches, una popolazione da lungo tempo in guerra contro i Wichita. Cinque giorni dopo oltrepassarono il Palo Duro Canyon per incontrare, finalmente, un gruppo Wichita. Si avvicinarono per imbattersi in un contingente di Iscanis intenti nella caccia ai bufali lungo le rive del Red River. Gli Iscanis, che vivevano nelle vicinanze in villaggi stanziali, convinsero il Coronado che il Turk li stava fuorviando, poiché lo informarono che “Quivira” in realtà si trovava più a nord, come aveva sempre sostenuto l’Ysopete. Fu allora che lo “stanco comandante spagnolo” decise di farsi guidare dall’Ysopete, poi fece mettere il Turk in catene e rimandò la maggior parte delle sue truppe sul Río Grande e poi, con un gruppo di solo trenta spagnoli a cavallo, si diresse a nord verso il Great Bend dell’Arkansas River. Circa un mese dopo, nel luglio 1541, il piccolo gruppo raggiunse il fiume Arkansas, nelle zone dell’attuale Ford (Kansas). Gli spagnoli avrebbero guadato il grande fiume per raggiungere la sponda settentrionale dove, poco tempo dopo, entrarono in contatto con un piccolo gruppo di indiani Wichita impegnati nella caccia.

Una splendida immagine del Palo Duro Canyon
I Wichita fuggirono alla vista degli spagnoli a cavallo, ma si fermarono quando l’Ysopete li chiamò nella loro lingua, e convinse i suoi parenti che non vi era da temere; quindi, accettarono di condurre il Coronado al loro villaggio, che si trovava a circa tre giorni di viaggio più a valle. Alla fine, dopo aver vagato per due mesi nelle Pianure senza sentieri, né piste, il Coronado raggiungeva la leggendaria “Quivira”. Furono chiaramente molto delusi, perché il villaggio dei Tawakoni che incontrarono sul Little Arkansas River, come gli altri villaggi Wichita che visitarono durante il loro soggiorno, “non era fatto di pietra, ma soltanto di paglia”. Sebbene i Wichita fossero amichevoli e disposti a condividere il loro mais e la loro carne con i visitatori bianchi, non possedevano né oro né altri metalli preziosi, a parte un pezzo di rame, acquisito tramite commerci. Credendo che il Turk avesse mentito intenzionalmente sulle grandi ricchezze del territorio, gli spagnoli lo strangolarono. Dopo il Coronado, un piccolo gruppo di francescani si decise ad organizzare in grande stile la cristianizzazione degli indiani dell’area, il tutto rimase però nelle loro teste anche se, nella primavera del 1542, sei guide di etnia Wichita guidarono padre Juan de Padilla, con pochi servi al seguito, in direzione “Quivira”. Ancora una volta i Wichita accolsero gli stranieri che portavano pecore, muli, un cavallo e vari ornamenti ecclesiastici però, non furono contenti quando il Padilla decise di lasciarli per visitare una tribù nemica, probabilmente gli Osage. Così, uccisero il Padilla mentre si dirigeva verso i villaggi nemici, ma permettendo ai suoi servi di tornare nel Messico, dove informarono i funzionari del martirio.

La spedizione di Coronado
Poco dopo, i Pueblos chiusero senza tante cerimonie il libro sulla spedizione del Coronado uccidendo due francescani che erano rimasti nel Nuovo Messico. Dopo questi fallimenti gli spagnoli abbandonarono temporaneamente il Nuovo Messico e “Quivira” ma, a partire dal 1580, condussero una serie di indagini non autorizzate nel Nuovo Messico, sempre alla ricerca infruttuosa di ricchi regni nativi. L’ultima di queste spedizioni illegali, quella guidata dal Francisco Leyva de Bonilla (1593), viaggiò oltre il deludente paese dei Pueblo fino a “Quivira” e come con il Coronado, i Wichita accolsero il Bonilla e i suoi fornendo loro “abbondanti scorte di cibo”. Gli spagnoli, ormai frustrati, litigarono tra loro e la spedizione si disintegrò quando il soldato Antonio Gutiérrez de Humaña, uccise il Bonilla con un coltello da macellaio ed i Wichita risposero uccidendo l’assassino e tutti gli altri spagnoli, mentre consentirono agli ausiliari nativi della Nuova Spagna di fuggire. Soltanto uno, di nome Jusepe Gutiérrez, alla fine sarebbe rientrato nel Nuovo Messico. Nel 1598 il Juan de Oñate entrava nella terra dei Pueblos per poi, nel giugno 1601, muoversi verso “Quivira”, era guidato dal Jusepe Gutiérrez, e al suo fianco vi erano 80 soldati, due preti e un certo numero di servi indiani, oltre a più di 700 cavalli e muli, quattro cannoni e una collezione di buoi. Spingendosi verso nordest, dopo aver guadato il Canadian River, raggiunsero le Antelope Hills (Oklahoma) per avvistare un grande accampamento degli Iscanis sul Salt Fork dell’Arkansas River. Gli indiani, come al solito, accolsero amichevolmente gli spagnoli, e credendo che l’Oñate fosse venuto per vendicare la distruzione della spedizione del Bonilla, lo informarono che i Wichita tenevano ancora prigioniero uno spagnolo e si offrirono di unirsi per un attacco contro i vicini “Guichitas”, con cui stavano attualmente combattendo. Sebbene l’Oñate rifiutò, i guerrieri Iscani seguirono gli spagnoli mentre si dirigevano verso nord lungo il corso dell’Arkansas finché non raggiunsero quello che chiamarono il “grande insediamento dei Guichitas”, era posto nelle vicinanze della foce del fiume Walnut.

Una statua dedicata al Juan de Oñate
Alla vista degli spagnoli, affiancati dai nemici Iscanis, i guerrieri “Guichita” (Wichita) assunsero una posizione ostile e si prepararono allo scontro ormai imminente. Tuttavia, ancora una volta grazie al linguaggio dei segni, l’Oñate li convinse che il suo gruppo era venuto in pace e allora i “Guichitas” li accolsero presentando loro collane di perline e portando provviste. Comunque, il comandante non si dimostrò certamente educato quanto i suoi cortesi ospiti. Dopo una lunga notte di provocazioni da parte degli Iscani, l’Oñate catturò il capo dei “Guichita” in visita, era un uomo chiamato “Catarax”, cercando di costringerlo a consegnare il prigioniero spagnolo che presumibilmente teneva nel suo campo. Fortunatamente per l’Oñate, il Catarax “rimase calmo e ordinò al suo popolo di abbandonare il grande insediamento e di non massacrare gli spagnoli”, cosa che sicuramente avevano la forza di poter fare. Per due giorni l’Oñate, e i suoi uomini, attraversarono il villaggio vuoto senza raggiungere il suo limite; colpiti dalle dimensioni e dall’ordine regnante nel villaggio, e “timorosi che i numerosi Guichita potessero attaccare in qualsiasi momento”, i soldati convinsero il comandante a rinunciare alla ricerca e a rientrare velocemente nel Nuovo Messico. La decisione di ritirarsi fece infuriare gli Iscani che, “già arrabbiati con l’Oñate per essersi rifiutato di permettere loro di bruciare le case dei Wichita e confiscare il cibo immagazzinato”, li avrebbe portati a tendere un’imboscata all’avanguardia spagnola mentre passava vicino al loro accampamento. Gli “scouts” spagnoli furono molto abili nel sottrarsi agli agguati preparati e nell’avvisare l’Oñate delle intenzioni nemiche. Fu allora che il comandante dette ordine di prepararsi alla battaglia e di mettersi a cavallo per contrastare i nemici. Circa 500 Iscani si disposero a semicerchio e attaccarono violentemente, scatenando una pioggia di frecce che ferirono, anche se non in modo preoccupante, la maggior parte degli uomini dell’Oñate. La battaglia si protrasse per circa due ore, fin quando gli indiani “si esaurirono in un assalto infruttuoso alle truppe spagnole” prima che la superiore potenza di fuoco degli europei li costringesse finalmente a ritirarsi. Sebbene l’Oñate avesse liberato un certo numero di donne Iscani che aveva catturato durante la battaglia, portò con sé alcuni ragazzi della tribù nel Nuovo Messico, che finalmente raggiunse nel novembre 1601.

La spedizione spagnola verso le terre dei Wichita
Questa spedizione segnò la fine dei tentativi spagnoli di raggiungere la patria dei Wichita, nelle terre di “Quivira”. Per tutto il resto del XVII secolo, i Wichita avrebbero avuto soltanto due incontri diretti con gli spagnoli, entrambi con spedizioni che si erano avventurate nelle pianure meridionali dal Nuovo Messico. Nel 1629 un gruppo di “Quiviras” entrò in contatto con due missionari, padre Juan de Salas e padre Diego López i quali, dopo aver attraversato il Texas sudoccidentale, si mossero alla ricerca di indiani da convertire. Cinquantacinque anni dopo, alcuni emissari della tribù “Isconis” (non è un errore ortografico) vennero annotati all’interno di altri gruppi entrati in contatto con padre Juan Domínguez de Mendoza, il quale stava esplorando le aree del Texas centro-occidentale. Così, nel corso di un secolo e mezzo, le tribù Wichita hanno avuto rapporti diretti con gli intrusi europei soltanto una manciata di volte. Sebbene gli incontri faccia a faccia relativamente innocui con gli stranieri fossero pochi e sporadici, gli spagnoli portarono indirettamente ai Wichita due cose che avrebbero seriamente sconvolto il prospero stile di vita che la tribù aveva instaurato nelle Pianure meridionali negli ultimi millenni: cavalli e malattie epidemiche.

In un villaggio Wichita
Quando un altro gruppo di europei, i francesi, arrivò nella loro terra natia – all’inizio del XVIII secolo – con un altro oggetto straniero, le armi da fuoco, i Wichita erano già stati costretti a modificare radicalmente il loro stile di vita.