La frontiera settentrionale della Nuova Spagna
A cura di Gianni Albertoli
I processi di contatto tra i nativi e i nuovi venuti spagnoli, specialmente militari e coloni, non fu certamente pacifico, i cambiamenti erano troppo repentini per queste genti ed ebbero inizio praticamente subito, nel XVI secolo. Con l’avanzata a nord della colonizzazione, le prime rivolte ebbero luogo nella Provincia di Panuco (1529-1530) per terminare con quelle del Sinaloa e del Topia nel 1590s, sicuramente questa decade venne marcata da una notevole esplosione di violenza con rivolte in varie zone dell’area. Nello stesso periodo le popolazioni di Saltillo organizzarono ben tre maggiori insurrezioni: quella dei “Guachichile” (1575); subito seguita da quella dei gruppi nomadi settentrionali “Chichimecos” (1582); ed infine la terza organizzata ancora dai Guachichile affiancati dai “Pacho” (1586-1589).
Un centinaio di anni dopo queste insurrezioni la popolazione dei Guachichile si era praticamente dimezzata – ad essere ottimisti -, tuttavia, con i loro alleati avrebbero guidato movimenti in rivolta tra il 1618 e il 1621. Il XVII secolo si sarebbe aperto con le ribellioni dei gruppi “Acaxee, Tepehuane, Tarahumara e Xixime” nel Sinaloa e nel Durango, per terminare con quella dei “Seri e dei Salinero” della Sonora. Sotto la giurisdizione della Nueva Vizcaya – che comprendeva vari Stati messicani attuali -, scoppiarono la bellezza di 31 maggiori rivolte, e sottolineo maggiori, durante il XVII secolo, insurrezioni che includevano quelle dei “Quamoquane e dei Cacaxtle” del Coahuila. Più a nord, nel Nuevo Mexico, si ebbero quelle degli “indiani dei pueblos”. Comunque, nel periodo 1676-1682 il Coahuila venne sistematicamente sottoposto ad attacchi. Il 24 gennaio 1676 il vescovo di Guadalajara, il don Manuel, visitava gli insediamenti e le missioni del territorio, venne accolto da padre Larios e da 5-6 leader dei Bobole. Il prelato avrebbe commentato affermando che le lingue e i dialetti di questi gruppi erano differenti dal Nahuatl (“que es muy distinta de la de los Mexicanos”). Il giorno dopo il vescovo assegnava le quattro missioni dell’area. A padre Estevan Martinez venne assegnata la missione e la “provincia dei Catuxane”; a padre Dionisio de San Buenaventura venne assegnata la missione di Cuatro Cienegas; a padre Francisco Peñasco de Lozano quella di Santa Rosa, dove vi erano i Gueiquesale del don Esteban; e infine a padre Manuel de la Cruz quella di Monclova dove vi erano i Bobole e “y susparciales” (Banegas 1676).

La visita del vescovo alla missione
A padre Larios venne allora affidato un incarico impossibile, doveva diventare “la coscienza della Nueva Vizcaya”. Infatti, il vescovo di Guadalajara gli ordinò di contattare tutti gli abitanti di Saltillo e di altri insediamenti del Coahuila e dintorni, soprattutto quelli che tenevano gli indigeni per usarli come schiavi (“para servierse de ellos en lugar de esclavos”), coloni da ammonire facendogli liberare gli indigeni schiavizzati. Il don Manuel avrebbe poi sottolineato che questi erano i comandamenti legali di Sua Maestà, e che la mancata osservanza sarebbe stata punita con la scomunica. Alla morte di padre Larios (settembre 1676) il Peñasco avrebbe continuato a richiedere la documentazione originale, una serie di documenti dal 1677 al 1681 tutti impostati sugli aiuti economici ai nativi, aiuti chiaramente gestiti dai missionari. Le loro richieste non furono certamente soddisfacenti anche se, per ordine del vescovo di Guadalajara, 600 “fanegas” (circa 948 staia) di mais e 200 vitelli dovevano essere consegnati annualmente ai convertiti nativi del Coahuila. Queste forniture erano state destinate soprattutto ai Guachichile, ma il loro numero era stato così ridotto che non avevano più bisogno di così abbondanti scorte alimentari; comunque, sembra che questo aiuto venisse fornito, sebbene l’approvazione finale non venne formalizzata fino al febbraio 1679. Nell’aprile di due anni prima, i documenti facevano chiari riferimenti a quattro coalizioni (“parcialidades”) e non a tre come accadeva ai tempi del Larios; ciò concordava con la distribuzione dei “pueblo” e con l’assegnazione dei frati fatta dal vescovo di Guadalajara. Il 10 aprile 1679, padre Manuel de la Cruz scrisse al Padre Commissario un rapporto dettagliato sullo stato delle missioni del Coahuila, il prelato era responsabile delle quattro missioni francescane dell’area. Quello che segue è un riassunto estremo del rapporto. La missione chiamata “San Francisco de Coahuila” (Monclova) era in buone condizioni, aveva una chiesa, un battistero e un convento con quattro celle, tutti edifici dal tetto piatto e imbiancati, e dotati di finestre, porte e chiavi. Oltre alle quattro celle, il convento comprendeva un ingresso, un corridoio, una cucina ed anche un pollaio.

Al lavoro nel pueblo
Il “pueblo” aveva tre “acequias” che fornivano acqua a sufficienza anche per i campi;gli abitanti avevano seminato grano e mais e si aspettavano un buon raccolto, mentre la missione era dotata di buoi e di tutti gli attrezzi necessari per lavorare la terra. Gli indigeni del “pueblo” erano i più docili (“domesticos”) tra i gruppi barbarici (“barbarous”) e lavoravano più duramente degli indigeni di altre missioni. Periodicamente i maschi partivano per la caccia al bufalo, ma le loro donne e i loro bambini rimanevano nell’area, ormai considerata come il loro insediamento (“poblacion”). I giovani nativi erano molto capaci, imparavano la dottrina cristiana e alcuni assistevano alla messa, vivevano in “jacales” ben costruiti e allevavano pollame e altri animali. Inoltre vi erano sei famiglie di etnia Tlaxcalteca, tre delle quali avevano case con il tetto piatto (“tejado”), mentre le altre tre famiglie stavano ancora costruendo le loro abitazioni. Quattro famiglie spagnole erano rimaste dall’insediamento precedente e risiedevano nel “pueblo” da tempo. La missione aveva sicuramente buone terre e acqua a sufficienza, ma era scarsa di legname da costruzione. I missionari Manuel de la Cruz e Balthazar erano i due responsabili della missione. In genere le missioni erano tutte di questo tipo, tutte simili a quella di Monclova. Un’altra missione importante era la “San Bernardino de los Baluartes”, il cui nome venne successivamente cambiato in “La Candela”, era localizzata a circa 18 leghe (46,8 miglia) dalla precedente. Gli indigeni di questa missione erano i più gioviali e pacifici, appartenevano ai gruppi “Catujano, Tilijai e Milijai” e, sebbene non lavorassero molto, erano i più facili da “sopprimere” per via del loro comportamento pacifico. Anche in questo “pueblo” risiedevano quattro famiglie Tlaxcalteca, tutte aventi abitazioni con tetti piani. Le condizioni meteorologiche erano generalmente miti e, ricordiamo che padre Esteván Martínez e padre Dionisio de San Buenaventura erano i responsabili della missione.

La missione di Santa Rosa
La missione di “Santa Rosa” era posta ad una quindicina di miglia da Monclova e, stando alle fonti, sembra sia stata molto frequentata dagli indiani anche se erano particolarmente intrattabili, facevano parte dei gruppi dediti alla caccia ai bisonti nella vallata del Río Grande. Questi gruppi vivevano in “remote aree durante l’inverno” per rientrare nelle missioni e ripartire ai tempi della pesca del tonno e della raccolta dei fichi d’India che, nelle zone di Sabinas, iniziava in giugno. Quando si presentavano alla missione, erano sempre in grandi gruppi, “divorarono tutto il raccolto e colpivano i buoi con le frecce… Distruggevano tutto ciò che riuscirono a trovare, abbattevano i muri per raggiungere i raccolti immagazzinati e prendevano i muli o i cavalli (‘bestias’)”. Tale situazione ebbe luogo l’anno precedente (1687), e simili episodi erano stati ripetutamente annotati dai missionari. In genere, queste azioni native incitavano gli indiani delli missioni vicine alle stesse attività ribelli. Per queste ragioni i raccolti e le provviste non erano mai sufficienti e mettevano in seria difficoltà i padri Peñasco e Juan Macias, i responsabili di questa missione. La “San Buenaventura de las Quatro Cienegas” era posizionata a circa 36 miglia da Monclova, in un territorio anche particolarmente montuoso e, stando ad alcune fonti, si occupava di vari gruppi nativi fra i quali vi erano “molti cattivi individui”. La missione di “San Bernardino de la Candela” era sita a 57 miglia da Monclova ed era stata stabilita per i gruppi “Catuxane, Milixai e Tilixai”; mentre la “San Buenaventura de los Colorados” era posta a 52 miglia da Monclova e stabilita per i gruppi “Cabeza (Cabesa), Contotore e Bausarigame”, ma sarebbe stata spostata velocemente nelle terre dei Contotore (“puesto de los Contotores”) prima del 1679. Nel nuovo territorio la missione non sarebbe rimasta a lungo finché i conflitti che contrapponevano i Bausarigame ai Cabesa e ai Contotore non raggiunsero il loro apice. Le fonti riportavano che una notte questi gruppi furono coinvolti in una durissima battaglia campale, con alcuni Cabesa e Contotore che si nascosero nelle celle dei frati.

Battaglia tra gli indios
Poiché i missionari difesero questi due gruppi durante lo scontro, padre Ygnacio Telles venne ferito ad un braccio e padre Bartolomeo de Cárdenas sarebbe stato sicuramente ucciso se non fosse intervenuta un’anziana donna del gruppo Cabesa o Contotore. I Bausarigame furono costretti ad evacuare il territorio, ma i Contotore e i Cabesa li raggiunsero e, in campo aperto, i tre gruppi combatterono una ferocissima battaglia che durò dall’alba al tramonto. I Contotore ne uscirono decimati (“se consumio la nacion de los Contotores”) e solo pochi Cabesa sopravvissero allo scontro. Dopo questa epica battaglia, i Cabesa rimasti, insieme ai loro “capi”, il don Pedrote e il don Santiago, si spostarono nelle aree di Parras, dove i loro discendenti vivevano ancora nel 1746. La missione rimase poi abbandonata fino al 1691, quando padre Martín Ponce si recò nell’entroterra (“tierra adentro”) portando nella missione gruppi di “Colorados e Topas”; successivamente la missione venne ristabilita nella valle del Río Nadadores per gli indiani “Quetzal (Gueiquesale) e Manos Prietas”. Comunque, in questo burrascoso periodo vennero ricordate diverse ribellioni e diserzioni; fra queste la tentata uccisione di padre Balthazar Pacheco, che sarebbe stato bruciato vivo se non fosse intervenuto un giovane Quetzal.

L’incontro tra i missionari e gli indigeni
In un’altra occasione, padre Juan Yerben si mosse nell’entroterra per sei mesi e riuscì a riportare gli indigeni alla missione; invece, in un’altra occasione, padre Christoval Mexia trascorse 61 giorni nell’entroterra alla ricerca degli indigeni, riuscendo a riportarne qualcuno, che rimasero fin nel 1762. La “San Phelipe de Santiago de Valladares” venne conosciuta nel 1736 ed fu originariamente collocata da padre Estevan Martinez, un seguace del Larios; la missione era stata costituita per i gruppi “Acaphe e Chantaphe” provenienti dalle remote aree della Sierra de Leones. Il missionario sarebbe riuscito a congregare questi indios con gli indiani “Catujano, Milixai e Tilixai”, purtroppo il piano non ebbe buon fine, le solite inimicizie tribali posero fine agli intenti spagnoli. Poco dopo i gruppi avrebbero abbandonato la missione che, ristabilita nel 1691 dal vescovo Galindo, venne definitivamente chiusa nel 1746. La missione nota come “Ss.mo Nombre de Jesus” era localizzata nel Coahuila settentrionale lungo il corso del fiume conosciuto come “San Yldephonso” e venne fondata da padre Peñasco, nel 1673-1674, con una ventina di “Quetzale” e quattro famiglie Tlaxcaltecans, sarebbe poi stata abbandonata due anni dopo causa i continui attacchi dei ribelli nativi. Nel 1698, padre Manuel Borrego e padre Bartholome Adame attraversarono il territorio interno con due soldati e alcuni nativi; durante il viaggio ebbero la fortuna di incontrare la numerosa popolazione degli Xijame, in fuga dai disordini sollevati dai Coyame, dai Tripas Blancas e dai Gavilanes. Gli Xijame si unirono rapidamente ai frati e insieme si stabilirono nella missione, che a quel tempo si trovava a 10 leghe (42 chilometri) più vicina a Coahuila (Monclova) rispetto alla missione precedente: fu in questa occasione che la missione divenne nota come “Nombre de Jesus de los Peyotes”. Nello stesso periodo (agosto 1681) padre Peñasco richiedeva la legale documentazione e tutte le varie documentazioni inerenti alla cristianizzazione dei nativi e, infine, richiese ardentemente la costruzione di un Presidio militare da stabilire nella zona, ben presidiato con cinquanta soldati e un caporale. Questi soldati dovevano essere arruolati tra i coloni della provincia.

Fernando del Bosque è nominato “alcalde mayor e capitán de Guerra”
Nello stesso anno 1681, il Re e il Viceré nominarono Fernando del Bosque “alcalde mayor e capitán de Guerra” per i nuovi insediamenti e le conversioni dei nativi del Coahuila; gli sarebbe poi stato affidato il comando di una compagnia di 25 soldati. In una dichiarazione al Viceré, Bosque scrisse che i Tobosos erano il gruppo più problematico, richiese nuove famiglie per colonizzare le terre e presentò diverse richieste per ottenere nuovi rifornimenti militari. Inoltre il Bosque menzionò anche la paura e la preoccupazione che la rivolta dei nativi del Nuovo Messico (agosto 1680) stava causando tra i militari e i coloni (Marques de la Laguna, 1681). Con la sua nomina reale, la Bosque venne finalmente data la piena autorità per assegnare terre e concedere diritti idrici ai nuovi coloni (“la faculdad para que repartam tierras, aguas, solaris, y huertas a las familias”) (Marques de la Laguna 1681, Real Cedula 1681). Ed ancora, il 17 aprile 1682, il don José de Bracamonte venne nominato capitano della provincia del Coahuila, proprio nei momenti in cui i modelli tipici dei movimenti di rivolta stavano ricalcandogli insediamenti spagnoli e le attività economiche nella Nuova Spagna settentrionale e, probabilmente, riflettevano anche il modello di trasferimento delle popolazioni native ribelli in altre regioni. Gli insediamenti missionari fornivano rifugio dal conflitto immediato, guadagnavano tempo e spesso fungevano da basi operative per pianificare la rivolta successiva. Vari documenti che coprono quasi un secolo di lavoro missionario nel nordest del Coahuila, e sul Río Grande, mostrano ampiamente che gli insediamenti missionari erano afflitti da numerosi problemi. Come diceva il Maestas, “anche se i gruppi nativi erano stati preparati e disposti a rimanere negli insediamenti missionari e si erano impegnati per renderli operativi e far prosperare l’appetito spagnolo per le terre migliori e più redditizie, destinò gli insediamenti missionari ad un ruolo sempre più marginale”.