Frederick Benteen, l’uomo che non salvò Custer

A cura di Sergio Mura

Una fotografia di Frederick Benteen da giovane
Quando si parla della battaglia del Little Bighorn, il primo nome che balza alla mente è quello del colonnello George Armstrong Custer, l’eroe tragico sconfitto sulle rive del fiume che scorre tra le colline del Montana. Ma a margine di quella pagina leggendaria dell’epopea western americana, si staglia la figura controversa e affascinante di Frederick William Benteen, l’ufficiale che avrebbe potuto cambiare le sorti dello scontro… e non lo fece.
Nato a Petersburg, Virginia, il 24 agosto 1834, Benteen veniva da una famiglia di origini olandesi, giunta in America nel XVIII secolo. Dopo i primi studi militari al Petersburg Classical Institute, si trasferì con i suoi a St. Louis, Missouri, dove conobbe Catharine “Kate” Norman, la donna che avrebbe poi sposato.
L’elezione di Lincoln nel 1860 spaccò le famiglie e i cuori in due. Il padre di Benteen, fervente secessionista, si oppose ferocemente alla decisione del figlio di combattere per l’Unione. Ma Frederick non cambiò idea.


Benteen discute animatamente con suo padre

Il 1° settembre 1861 si arruolò come tenente nel 1° volontari di cavalleria del Missouri. Fu una carriera fulminea: combatté a Wilson’s Creek, Pea Ridge, Vicksburg e Westport, guadagnandosi sul campo promozioni a brevetto maggiore e poi tenente colonnello.


Benteen alla battaglia di Pea Ridge

Alla fine del conflitto, ricevette il comando del 138º reggimento di colore, guidando i cosiddetti “Buffalo Soldiers”.


I Buffalo Soldiers a cui fu assegnato Benteen

Nel 1866 fu nominato capitano del 7º Cavalleria e pochi mesi dopo conobbe il suo nuovo comandante: un certo George A. Custer. L’antipatia tra i due fu immediata. “Un millantatore”, lo definì Benteen fin dal primo incontro.


Benteen viene assegnato al 7° Cavalleria e conosce Custer

Nel 1868, mentre i Cheyenne minacciavano le pianure del Kansas, Benteen si fece notare per una coraggiosa azione nei pressi di Fort Zarah.
Un’altra foto di Benteen
Attaccò senza indugi quello che in quel momento credeva fosse un piccolo gruppo di guerrieri e si trovò invece circondato da oltre duecento nemici. Nonostante la situazione particolarmente tesa e pericolosa, Benteen continuò a inseguire e mettere in fuga gli indiani fino al tramonto, guadagnandosi l’ammirazione dei coloni e la promozione a “colonnello brevetto”.
Il 27 novembre di quello stesso anno, durante la battaglia del fiume Washita, Benteen si rese protagonista di un episodio crudo e simbolico: tentò di risparmiare un ragazzo Cheyenne, armato di pistola, che gli aveva appena sparato più volte. Solo al quarto colpo, con il cavallo ucciso e la neve che lo inghiottiva, Benteen fu costretto a sparare, uccidendo il giovane.


Il confronto tra Benteen e un giovane Cheyenne

Fu anche in quell’occasione che il maggiore Elliot e 19 uomini scomparvero per sempre dopo aver inseguito i nemici. Benteen riteneva che Custer li avesse abbandonati. Glielo scrisse in una lettera inviata a un amico. Quando il testo finì sulla stampa, Custer minacciò “di far frustare l’autore”. Benteen, con una mano sulla pistola, ammise la paternità della missiva. Lo scontro fu solo verbale: “Mister Benteen, ci vediamo dopo”.


Custer furioso dopo aver letto della testimonianza di Benteen

Giugno 1876. Custer e il 7º Cavalleria sono in marcia verso il fiume Little Bighorn. Il capitano Benteen comanda un battaglione composto dalle compagnie H, D e K, e riceve un ordine urgente da Custer: portare tutte le munizioni e unirsi immediatamente all’attacco a sorpresa. La nota, diventata storica, diceva: “Avanza. Grande villaggio. Sii veloce. Porta i bagagli.” Il messaggio era stato scritto dal tenente William W. Cooke, aiutante di campo di Custer e consegnato al trombettiere John Martin che così salvò la vita.


Il messaggio originale scritto dall’attendente di Custer per Benteen

Ma Benteen non si affretta. Fa abbeverare i muli. Poi galoppa, ma non abbastanza. Quando arriva, trova il maggiore Reno in grave difficoltà e si unisce a lui sulla scogliera, nel sito oggi noto come Reno-Benteen Defense Site.
Nel frattempo, Custer e le sue cinque compagnie vengono annientati.
Cosa sarebbe successo se Benteen avesse obbedito subito? Gli storici si dividono. Alcuni lo accusano di negligenza, altri lo assolvono. Come scrisse Evan S. Connell:

“Anche se avesse seguito l’ordine, è possibile che le sue tre compagnie si sarebbero separate nella corsa. Il gruppo di Reno sarebbe collassato, e il generale Terry avrebbe trovato morti tutti gli uomini del 7° Cavalleria.”
Benteen stesso, davanti alla corte inquisitoria del 1879, dichiarò che avrebbe significato “mandare tutti al massacro”.

Mentre i Sioux abbandonavano Reno e Benteen per attaccare Custer, il capitano Thomas Weir tentò una disperata cavalcata verso gli spari. Arrivò fino a quella che oggi si chiama Weir Point, ma la polvere e la distanza impedivano ogni valutazione chiara. Troppi indiani, troppi dubbi.


Posizioni al Little Big Horn

Quando Lakota e Cheyenne si volsero infine contro i sopravvissuti, Benteen guidò personalmente la resistenza. Due cariche respinsero gli assalti. Ferito a un dito, con il tacco dello stivale frantumato da un proiettile, fu visto camminare tra i suoi uomini, calmo e deciso. L’ultima difesa del 7º cavalleria fu sua.
Nel 1877 partecipò alla campagna contro i Nasi Forati, e nel 1890 ricevette la promozione a brevetto generale di brigata. Ma il suo carattere indomito lo portò a nuovi problemi: nel 1887 fu sospeso per ubriachezza e condotta disordinata a Fort DuChesne. Solo l’intervento del presidente Grover Cleveland evitò il congedo forzato.


Benteen negli ultimi tempi del suo servizio

Lasciò l’esercito nel 1888, col cuore e le ossa minati dal tempo e dai reumatismi.
Morì il 22 giugno 1898 ad Atlanta. Tra coloro che portarono la sua bara c’erano il governatore della Georgia e il sindaco di Atlanta. Qualche anno dopo, fu sepolto con onori nel cimitero nazionale di Arlington.

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