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Toro Seduto, il profeta dei Sioux

A cura di Rino Albertarelli
Toro Seduto
Il destino ha voluto che Toro Seduto (Tatanka Iyotanka) vivesse l’epoca più difficile della conquista bianca: l’ultima. E che il suo nome splendesse nella stessa costellazione di personaggi leggendari, quali George Armstrong Custer, Buffalo BIll, Phlltp Sherldan, Nelson A. Miles, George Crook, Nuvola Rossa (Makhpiya-Luta), Cavallo Pazzo (Tashunka Witko) e altri forse meno suggestivi, ma altrettanto importanti nell’ordito della cosiddetta Epopea Americana. Forse per questo è il capo indiano più universalmente conosciuto.
Non c’è americano che ignori quel che Toro Seduto combinò al 7° Cavalleria nel 1876, e questo spiega la popolarità dell’inflessibile capo dei Sioux Unkpapa.
Il popolo che si considera il meno militarista del mondo è, paradossalmente, ultra sensibile alle sconfitte militari. Che i Sioux del Montana fossero aggrediti senza provocazione dalle forze armate dell’Unione, mentre stavano godendo pacificamente di un diritto riconosciuto loro solennemente dal trattato del 1868, cessa d’avere rilevanza per l’americano medio dal momento che essi batterono clamorosamente generali patentati come Crook e Custer.


Toro Seduto in un ritratto veramente raro

Appartenere a un’altra razza continua a essere una colpa; avere combattuto la nazione americana è un’aggravante specifica; aver vinto battaglie è un sacrilegio imperdonabile. Anche se avevano ragione, i Sioux dovevano perdere.
Se visitate oggi il campo di battaglia del Little Big Horn, monumento nazionale, le guide del museo intitolato a Custer, descrivendovi la battaglia, vi parleranno di Toro Seduto e di Cavallo Pazzo come di selvaggi.
Non vi diranno – come fa Emilio Salgari ne La Scotennatrice – che Toro Seduto strappò il cuore a Custer e lo divorò crudo, al cospetto dei suoi tremila guerrieri; al contrario, vi chiariranno che il vecchio furfante si tenne lontano dalla linea del fuoco perché era un pusillanime. E in ogni giro di frase, in ogni inflessione di voce, in ogni gesto ci sarà l’intenzione di convincervi che su queste collinette spoglie e remote i soldati del 7° Cavalleria non erano venuti a tentare un altro massacro come quello del Washita, ma a portare un amoroso messaggio di civiltà a poveri fratelli umani resi ciechi dalla barbarie, e che solo la furia selvaggia delle belve rosse istigate da Tatanka Iyotanka impedirono l’abbraccio simbolico dei due popoli.


Toro Seduto a Fort Randall con la sua famiglia

Non è molto quel che si sa di Toro Seduto, della sua adolescenza, della sua giovinezza, della sua maturità. Gli Unkpapa, ai quali apparteneva, erano una banda dei Dakota, il Popolo dei Sette Fuochi, che aveva il suo territorio sotto la grande ansa del Missouri, lontano dalle piste battute dagli emigranti. Con i washichu (visi pallidi) non avevano mai avuto rapporti, se si eccettua qualche incontro con mercanti e missionari, e quando scoppiò la grande rivolta delle pianure, in seguito alle repressioni del Minnesota, nessun Unkpapa aveva mai visto un soldato americano.
Fu solo dopo l’attacco del generale Sully e il massacro del Sand Creek che essi si unirono agli ostili.
Un’immagine familiare di Toro Seduto
In questo periodo (1863-68) Toro Seduto aveva tra i trentadue e i trentasette anni, l’età in cui un guerriero indiano si appresta a lasciare la guerra attiva per divenire maestro ai giovani. Furono gli eventi a prolungare la carriera. E fu in quegli anni che la gente della Frontiera imparò a conoscerne il nome.
Che Toro Seduto infierisse contro i suoi nemici bianchi, quando questi stavano conducendo scopertamente una campagna di spogliazione e di sterminio del popolo Dakota, non può essergli imputato come un delitto contro l’umanità. Egli non era andato in Cornovaglia o in Bretagna a uccidere visi pallidi; li uccideva nella sua terra, quando essi la invadevano. E se difendere la patria è onorevole e doveroso per ogni uomo appartenente a un paese civile, non si vede perché debba essere disonorevole per un nativo americano.
D’altra parte, non può essere ignorato che tra le tante crudeltà della guerra Toro Seduto conservava abbastanza umanità per usare misericordia a nemici o prigionieri votati alla morte. Sono almeno quattro le occasioni conosciute in cui il suo cuore si aprì alla pietà. La prìma, quando, in extremis, salvò il ragazzo Assiniboin che poi adottò come fratello.


Una fotografia autografata dal capo dei Sioux

La seconda, quando liberò una donna dei Corvi, fatta prigioniera e destinata al supplizio, e la rinviò alla sua gente carica di doni. La terza, quando si adoperò insistentemente affinché Fanny Kelly, catturata da una banda di Oglala, fosse restituita ai bianchi. La quarta, quando salvò la vita a Frank Grouard. In seguito lo ospitò nella sua tenda per alcuni anni, prima che questi fuggisse e si arruolasse come scout di Crook.
Se nell’aldilà esiste una bilancia che pesa le opere buone e cattive degli uomini, il selvaggio Toro Seduto avrà almeno questi quattro episodi da mettere sul piatto delle buone azioni. Ma cosa metterà sul suo, il civile generale Sheridan, pianificatore di tutti massacri indiani avvenuti dopo la Guerra Civile?