Gli Overland Trails, pericoli e sofferenze verso il west
A cura di Matteo Pastore da una lavoro di Randall Parrish
Un attacco sull’Overland Trail
Con il termine “Overland Trail” ci si può riferire a ognuno dei sentieri che portavano a ovest. Ce n’erano alcuni. La maggior parte partiva da uno dei tanti “punti di lancio” nel Midwest. Ecco i più importanti:
– L’Oregon Trail, arrivava in Oregon. E a volte anche a Washington. Di solito verso Portland o Vancouver. Circa 3.200 km.
– Il California Trail, poteva finire in diverse zone della California, a seconda del ramo che si prendeva. Spesso si arrivava a Sacramento, grazie alla corsa all’oro, ma c’erano diramazioni per molte altre aree. Circa 2.400 km.
– Il Santa Fe Trail, terminava in Nuovo Messico, di solito proprio a Santa Fe. Circa 1.450 km.
– Il Mormon Trail, arrivava a Salt Lake City, Utah. Circa 2.100 km, e spesso si percorreva con carretti a mano invece che con i carri!
Il famoso Santa Fe Trail era un sentiero e fu il primo ad essere utilizzato come percorso verso la frontiera da parte di innumerevoli persone che cercavano miglior fortuna nella vita andando a colonizzare le nuove terre dell’ovest. E per questo motivo l’Overland Trail fu anche il primo ad essere testimone delle violenze e delle sofferenze dei viaggi verso le grandi praterie e verso le terre promesse.
Esposizione agli elementi atmosferici
Fin dall’inizio, lungo questo percorso, si verificarono eventi di sangue e difficoltà legate all’esposizione agli elementi atmosferici. Molto comuni erano le terribili tempeste di sabbia estive che bloccavano e stancavano i viaggiatori oltre a rendere nervosi gli animali. Frequenti erano le fughe di cavalli, muli o bovini.

L’attraversamento di un fiume
Di tanto in tanto le carovane si rompevano e se non vi erano strumenti per ripararle, i coloni erano costretti a proseguire a piedi. Un’altra difficoltà si verificava durante le piogge quando per chilometri e chilometri i coloni potevano essere costretti a camminare accanto alle ruote, tirandole faticosamente fuori dal fango.
Tuttavia, i disastri più gravi si verificavano di solito nelle aree montane durante l’inverno, prima di raggiungere Santa Fe. Essere sorpresi da una tempesta di neve furiosa era senza dubbio un’esperienza terribile. Con il sentiero completamente cancellato dalla vista, non si poteva fare altro che attendere le fine della tempesta. Tutti i coloni erano costretti a rimanere tutti vicini nelle varie carovane condividendo le coperte e fare ogni sforzo per non congelare oltre a prestare attenzione a non incendiare i tessuti se qualcuno accendeva una sigaretta.
Vi era anche il rischio di trovarsi poi senza cavalli e muli i quali, spaventati dalla tormenta di neve, potevano fuggire. Anche le forti grandinate erano pericolose perché potevano danneggiare le carovane e ferire coloni ed animali.
Un massacro
È quasi contemporanea al primo tentativo di percorrere il nuovo percorso che si verificò a la prima tragedia degna di nota sul Santa Fe Trail legata alle diligenze. Si trattava di un Concord diretto a ovest, con un equipaggio completo di passeggeri, tra cui il signor White, sua moglie, suo figlio e un’infermiera afroamericana. Il viaggio, attraverso la vasta distesa delle Pianure, non fu molto difficile; la catena del Raton era stata superata con sicurezza e, verso l’alba, iniziarono a guadare le acque del fiume Canadian, senza che i suoi occupanti fossero consapevoli di alcun pericolo.

L’attacco di un gruppo di guerrieri ad una carovana
Immediatamente furono attaccati da un gruppo di Apache comandati di Lupo Bianco. Senza alcuna possibilità di difendersi i vari coloni furono assalti, torturati e i loro corpi, mutilati, lasciati sul terreno.
La signora White, suo figlio e la nutrice furono portati via prigionieri.
Nel frattempo, a Taos, nel Nuovo Messico, si trovavano alcune truppe del Secondo Dragoni al comando del Maggiore Greer. La notizia dell’attacco non giunse loro prima di due settimane, ma quando la ricevettero, il maggiore organizzò una brutale campagna nella speranza di salvare i prigionieri. I soldati avevano come guide alcuni famosi uomini di frontiera, come Kit Carson, “Uncle Dick” Wootton, Joaquin Leroux e Tom Tobin.
La neve rendeva quasi impossibile riuscire a trovare o seguire le tracce, ma gli esploratori scoprirono dei “segni” e, tra molte sofferenze, seguirono la pista indiana per quasi 400 miglia e infine riuscirono a localizzare il villaggio. Tutto era pronto per l’attacco quando il maggiore Greer decise improvvisamente di trattare con gli indiani prima di iniziare a combattere. Questa decisione fece infuriare i soldati e diede ai nativi tutto il tempo per prepararsi all’azione. Approfittando dell’opportunità iniziarono a sparare e colpirono Greer al petto ma riuscì a sopravvivere grazie ad una fibbia delle bretelle.
Questo fatto tolse al maggiore ogni desiderio di ulteriori incontri con i nativi e lo scontro ebbe inizio.
Le truppe caricarono due volte, uccidendo e ferendo più di cento nativi, ma il capo fuggì e quando i soldati catturarono finalmente il villaggio, trovarono il corpo della signora White, uccisa da poco, con tre frecce nel petto.
Non fu mai trovata alcuna traccia né del bambino né dell’infermiera. Lupo Bianco fu ucciso in seguito dal tenente David Bell.
Mentre era in perlustrazione con la sua truppa da Fort Union, nel Nuovo Messico, Bell si imbatté in Lupo Bianco e vari Apache. Durante la conversazione, i due iniziarono a discutere a tal punto che all’improvviso i due capi si scambiarono dei colpi di pistola, il capo si inginocchiò per prendere la mira e Bell gettò il suo corpo in avanti, facendo indietreggiare il suo cavallo.
Il colonnello Henry Inman descrisse, nel suo diario, ciò che accadde:
“Entrambe le linee spararono, seguendo l’esempio dei loro superiori; i soldati si lanciarono verso i loro nemici mentre i guerrieri si gettarono a terra. I dragoni fecero una breve virata e caricarono di nuovo continuando a sparare. Mentre si preparavano per una terza carica, i nativi sopravvissuti furono visti fuggire verso un burrone che, sebbene fosse distante solo uno o duecento passi, non era stato notato in precedenza. Un certo numero di nemici riuscì così a fuggire, mentre le nostre truppe dovettero fermarsi sull’orlo del burrone, lanciando una raffica contro i fuggitivi. In meno di 15 minuti, ventuno su quarantasei nemici di questo strano combattimento vennero uccisi o resi invalidi. Bell non fu colpito, ma quattro o cinque dei suoi uomini furono uccisi o feriti. Lui stesso aveva sparato una dozzina di volte a Lupo Bianco”.
Alcuni capi nativi
Nei primi tempi in cui le diligenze attraversavano il Santa Fe Trail, i due capi più noti erano Satanta (Orso Bianco), un capo della nazione Kiowa, e George Bent, un desperado mezzosangue. Negli anni successivi, Uccello Scalciante (Kicking Bird), anch’egli un Kiowa, divenne il terrore delle pianure.

Una rara immagine di Satanta
Satanta aveva il suo quartier generale in quella che oggi è conosciuta come Cheyenne Bottoms, a otto miglia dalla Grande Ansa del fiume Arkansas che era alla stessa distanza dal vecchio Fort Zarah, in Kansas. Le fonti dell’epoca lo descrivevano come “un indiano crudele e senza cuore” che tendeva imboscate alle diligenze e uccideva donne indifese. Per quindici anni fu il terrore della pista commise numerosi atti atroci.
George Bent era figlio di William Bent di Bent’s Fort, famoso commerciante lungo la frontiera, e sua madre era una donna Cheyenne. Istruito a St. Louis, nel Missouri, non appena tornò nelle Pianure si divenne in un “desperado” assetato di sangue, organizzando un gruppo di giovani guerrieri, in seguito noti come “cani soldato”, e iniziando una serie di scorrerie.
Con oltre cento uomini al suo servizio, rapinò ranch e attaccò carovane, carrozze e carovane dell’esercito lasciando una scia di numerosi caduti. In quegli anni si diffuse la leggenda che “nessuno era al sicuro dai cani soldato”.
Alcune volte, delle carovane, erano guidate dallo stesso Bent che poi le portava verso il luogo scelto, in precedenza, dell’imboscata pianificata con i suoi uomini.
Rapinatori
Il pericolo causato dai nativi, sulle piste dell’Overland, pur non essendo mai stato del tutto assente, divenne più grave durante la Guerra Civile, quando le tribù delle pianure divennero in gran parte ostili. Anche le rapine alle diligenze non erano rare. Nel luglio 1865, una diligenza che trasportava sette passeggeri e conteneva una notevole quantità di lingotti d’oro fu presa d’assalto. I passeggeri erano tutti vecchi uomini di frontiera ed erano pronti a una difesa disperata, prevedendo un possibile tentativo di rapina. Purtroppo, però, furono traditi. Accanto al conducente, di nome Frank Williams, sedeva uno dei rapinatori. In un punto isolato, quest’uomo gridò l’allarme che i rapinatori, appostati, stavano aspettando. Un colpo di pistola fu sparato dalla radura vicino al sentiero e gli uomini all’interno della carrozza spararono, in risposta, da dove proveniva il fuoco dei rapinatori.
Immediatamente, una raffica fu sparata dal lato degli assalitori che uccise quattro dei passeggeri e ne ferì un altro. Due uomini riuscirono a salvarsi, uno fingendosi morto nel fondo della carrozza e l’altro fuggendo nella boscaglia. I rapinatori si assicurarono oltre 70.000 dollari e si scoprì in seguito che l’autista, Williams, era un complice e ricevette la sua parte. Fu rintracciato a Denver, in Colorado, e impiccato.

Un assalto armato ad una carovana
Nel 1862, le incursioni indiane contro le carovane e alle varie stazioni lungo a strada tra Fort Laramie e South Pass furono costanti. Nell’aprile di quell’anno si verificò un terribile scontro tra un grosso gruppo di carovane e i nativi nei pressi del fiume Sweetwater.
Come era loro consuetudine, i nativi, attaccarono all’alba e gli assaliti furono costretti a posizionare le loro carovane una accanto all’altra, ad ammassare i sacchi della posta tra le ruote e a gettarvi sopra della sabbia per creare dei bastioni. Qui combatterono per tutto il giorno, rimasero feriti sei uomini e tutte le loro scorte furono rubate. Diversi nativi vennero uccisi e si ritirarono la notte stessa.
Un’altra memorabile incursione fu compiuta lungo le 200 miglia tra Julesburg, in Colorado, e Liberty Farm, alla foce del Little Blue River in Nebraska, nell’agosto del 1864. Vennero attaccate contemporaneamente carrozze postali, carovane di merci, ranch e gruppi di persone che stavano preparando il fieno. Furono uccise più di quaranta persone e vennero distrutte varie proprietà.
Buffalo Bill come conducente
Il percorso lungo il fiume North Platte era così pericoloso che divenne impossibile assumere degli affidabili conducenti di carovane postali e carri coperti nonostante gli alti salari.
William F. Cody (Buffalo Bill) diventò così un conducente e iniziò ad operare tra Split Rock e Three Crossings, uno dei tratti più pericolosi e molte volte rischiò la vita.

Buffalo Bill alla guida di una carovana
Una volta, una banda di diverse centinaia di Sioux lo assalì. Nella carrozza con lui c’era un agente degli affari indiani di nome Flowers e mezza dozzina di passeggeri ben armati. Quando Cody vide i nativi, passò le redini a Flowers e cominciò a usare la frusta. Ne seguì un acceso combattimento, con i passeggeri che sparavano dai finestrini della carrozza mentre le frecce dei nemici volevano ferendo i cavalli, Flowers e uccidendo due passeggeri. Dopo una lunga corsa riuscirono a fuggire.
Militari alla guardia delle carovane
L’usanza di far sorvegliare le carrozze dai soldati lungo l’Overland Trail fu inaugurata durante la rivolta Sioux del 1863. George P. Belden, noto a quei tempi come “Il Capo Bianco”, descrisse così questi spiacevoli compiti:
“Le truppe erano dislocate in piccole squadre in ogni stazione, a circa dieci miglia di distanza l’una dall’altra, e quando viaggiavano da una stazione all’altra venivano poste all’inizio di tutte le carovane tenendo le armi sempre pronte all’azione. Non era piacevole stare seduti in cima a una carrozza, attraversando burroni bui ed erba alta, in cui i selvaggi erano sempre in agguato.

Soldati di guardia ad una carovana
In genere, i primi tiri dei fucili o degli archi degli indiani uccidevano uno o due cavalli e facevano cadere uno o due soldati dalla cima della carrozza.
Porsi come bersaglio era un compito sgradevole e pericoloso, ma i soldati lo eseguivano senza discutere troppo. La mia squadra dovette cavalcare fino al fiume Cottonwood e scendere alla stazione sottostante, dove attese la carrozza successiva che andava nella direzione opposta e con essa tornò al suo posto a Oilman’s. Tutte le altre stazioni erano sorvegliate allo stesso modo, quindi ogni carrozza trasportava, oltre al carico, dei soldati”.
Accampamenti militari a protezione degli insediamenti
Nel periodo 1863-65, Sioux, Arapaho e Cheyenne erano tutti sul piede di guerra. Non un miglio di prateria tra il fiume Missouri e il fiume Arkansas era sicuro per i viaggiatori. Già nel 1860 iniziarono i problemi dopo l’emigrazione in Colorado e la scoperta dell’oro nelle Montagne Rocciose. Le truppe occuparono Bent’s Fort e, in previsione degli eventi futuri, furono istituite diverse nuove postazioni in tutta la regione indiana, occupate da piccole guarnigioni. Lo scoppio della Guerra Civile richiese il ritiro di molti soldati regolari dalle Pianure e i nativi, intuendo subito l’opportunità, iniziarono a depredare su larga scala. Nel 1862, i Sioux si lanciarono in un feroce assalto verso est, nel Minnesota.
La rivolta generale delle tribù si estese alle Montagne Rocciose e persino alle rive del fiume Columbia. Per numero di persone impegnate, raggiunse la portata di una guerra ma lo scontro si limitò prevalentemente ad azioni di guerriglia.
La parte più importante dell’area delle pianure era allora priva di abitanti permanenti, con pochi edifici, tranne le stazioni lungo le piste dell’Overland e di Santa Fe, con alcuni insediamenti che si estendevano nelle praterie del Kansas e del Nebraska. Sebbene occasionalmente attaccassero alcuni piccoli accampamenti militari ben presto, i nativi, diressero i loro sforzi principali contro le carovane postali, merci e le stazioni ferroviarie indifese. Julesburg, in Colorado, era la più importante di queste. Era il punto di congiunzione tra la linea principale dell’Overland e la nuova diramazione che portava a Denver oltre ad essere anche il quartier generale della principale stazione telegrafica delle Pianure.

La stazione dei carri a Julesburg
Julesburg era popolata da circa cento persone e la maggior parte erano dipendenti della compagnia postale. Per proteggere le linee, il governo, eresse successivamente Fort Sedgwick sul South Fork del fiume Platte. La città fu attaccata in diverse occasioni e, nel febbraio del 1864, fu gravemente danneggiata, saccheggiata e in parte rasa al suolo.
Poco tempo dopo circa 88 chilometri di linea telegrafica furono distrutti, le stazioni di posta rase al suolo e alcuni dipendenti uccisi. Più o meno nello stesso periodo, una forza di oltre 2.000 nativi attaccò un distaccamento di truppe al comando del tenente colonnello Collins a Rush Creek, nel Nebraska, 136 chilometri a nord di Julesburg.
Seguì una battaglia di un giorno interno, dalla quale gli Stati Uniti persero solo tre uomini e pochi feriti. Due mesi dopo, Collins, stava combattendo di nuovo a Mud Springs nel Nebraska dove riuscì a respingere i suoi assalitori.
Nella primavera del 1865 le varie nazioni indiane tornarono sul sentiero di guerra. In quattro settimane, uccisero e catturarono numerosi soldati e civili tra Sage Creek e Virginia Dale, in Colorado.
Dopo l’invio di ulteriori uomini e lunghe trattative costrinsero tribù alleate a pronunciare promesse di pace e alleviò la pista dai suoi orrori per alcuni mesi.
È facile immaginare il pericolo che notte e giorno perseguitava le persone che percorrevano l’Overland Trail. Mai, per un solo istante, si sentivano al sicuro; ogni viaggio prometteva di essere l’ultimo, e spesso una diligenza, dopo molti chilometri, poteva trovare soltanto i resti della stazione di destinazione circondata da cadaveri ormai in decomposizione. I racconti di sofferenza, combattimenti e resistenza si tramandarono anno dopo anno e miglio dopo miglio facendo diventare quelle terre parte del mito della frontiera.