L’avvio degli insediamenti nel selvaggio west
A cura di Sergio Mura da un lavoro di Kathy Alexander
L’occupazione stabile e permanente nell’immensa area geografica delle Grandi Pianure cominciò nei giorni epici dei commercianti di pellicce. A quel tempo c’erano solo loro, i trapper solitari, uomini liberi e decisi che si spingevano nei territori selvaggi, riempivano i loro fagotti di pelli e li portavano con sé fino a St. Louis, nel Missouri, per venderli ai mercanti dell’Est. Ma subito dietro arrivarono le compagnie organizzate, le società che capirono presto una cosa: era molto più redditizio costruire postazioni fisse, dove gli indigeni potevano giungere facilmente, scambiare il bottino stagionale di pellicce con beni di valore, e tornarsene nei loro villaggi con qualcosa in più.
Così nacquero gli avamposti commerciali lungo tutto il lato occidentale del Missouri e su per i suoi affluenti, attraversando le praterie del Kansas, del Nebraska e delle Dakotas. Differenti per dimensioni e scorte, questi fortini del commercio avevano però molto in comune.
I più grandi, costruiti tra tribù ostili o pensati come centri di rifornimento per altri avamposti minori, erano fortificati: recinti di pali alti e robusti, uomini armati fino ai denti, e in alcuni casi — in terra Sioux — addirittura piccoli cannoni a guardia delle palizzate. Ma la maggior parte erano semplici empori, un edificio per il commercio e pochi alloggi per chi vi lavorava. Questi uomini vivevano isolati dal mondo, senza nemmeno una visita all’Est, circondati da popolazioni spesso ostili e da una natura selvaggia e infinita. Il loro lavoro era uno solo: barattare. Le loro giornate, monotone e grigie, venivano rotte solo dalle avventure quotidiane legate alla fauna che li circondava.
Eppure fu da questi avamposti che nacquero i primi insediamenti. Ogni postazione aveva bisogno di lavoratori — il numero variava a seconda dell’importanza —: c’era il commerciante, il suo assistente, taglialegna, contadini, barcaioli all’occorrenza, qualche trapper bianco sotto contratto, un fabbro o un falegname. In alcuni casi, come al Fort Lisa in Nebraska, di fronte a Council Bluffs, anche le donne si spinsero nel selvaggio per stare con gli uomini che amavano. Alcuni fortini divennero ritrovi per trapper indipendenti, altri impiegavano cacciatori stipendiati. Nacquero così case di legno, di terra o addirittura di pietra. Il magazzino per il commercio con gli indigeni si trasformò pian piano in un emporio per bianchi e nativi. E poi c’era l’“acquavite rossa”, onnipresente al confine: non tardarono ad arrivare i venditori, sempre pronti a placare la sete dei pionieri.

Così, poco a poco, questi fortini si trasformarono in insediamenti brutti e disordinati, popolati da anime vagabonde, volti che cambiavano con le stagioni: uno spariva nella prateria, un altro sbucava da chissà dove a prenderne il posto. Marinai dei battelli fluviali in cerca di terraferma, trapper stanchi, cacciatori delle Grandi Pianure, avventurieri, vagabondi, e il peggio del confine andavano e venivano. Ma alcuni restavano, trovando lì una strana serenità, finché dai grandi centri dell’Est non cominciarono ad arrivare i veri pionieri: uomini e donne con figli, cavalli, aratri, in cerca di una casa stabile dove la terra costava poco e il valore di un uomo si misurava più con il coraggio che con il denaro.

Così iniziò tutto. È questa la storia delle cento città che oggi punteggiano le rive occidentali del Missouri, che si affacciano tranquille sui fiumi Kansas, Platte, Niobrara e tanti altri. È la storia del commerciante indiano, del vagabondo, del pioniere. È il passaggio da avamposto solitario a villaggio fiorente. L’avanzata verso ovest fu rapida, almeno per i primi 150 chilometri. Le praterie erano invitanti, l’erba alta prometteva raccolti, pioveva abbastanza, le tribù locali erano tranquille.
La natura sembrava dire ai coloni: “Venite!”. Ma le folle non si riversarono. Nell’Est c’era ancora tanta terra libera. Solo i più coraggiosi, gli spiriti indomiti che amavano la vita di frontiera, attraversarono le colline boscose del Missouri o i pascoli ondulati dell’Iowa per stabilirsi su quelle praterie ancora inesplorate. Cuori temerari, che per primi trovarono un varco nel fiume torbido e costruirono la propria casa nel cuore del nulla.
I pionieri si tenevano vicini ai fiumi e alle valli fertili. Diffidavano delle vaste praterie, considerate inutili, e costruivano le loro capanne di tronchi vicino all’acqua o nei piccoli boschetti, conducendo vite dure, fatte di privazioni, fatiche e pericoli. Ma questa sottile linea d’assalto si spingeva sempre più in là, rinforzata da nuovi arrivi. Le lettere pubblicate dai viaggiatori, i rapporti degli esploratori, i messaggi privati tra amici contribuirono ad aumentare il flusso verso l’Ovest. Ex soldati, abituati a quei territori, si stabilivano; cacciatori incantati dalla bellezza della prateria restavano; i commercianti, ovviamente, non mancavano mai.

Fino al 1854, però, non esistevano insediamenti davvero stabili in Kansas e Nebraska. L’intera zona era ufficialmente “terra indiana”, popolata solo da trapper erranti, commercianti sparsi e avventurieri della rotta per Santa Fe. Ma quando quei territori vennero legalmente aperti ai coloni, il confine si animò. In Kansas, la popolazione passò da 8.501 abitanti nel 1855 a oltre 107.000 in soli cinque anni. In Nebraska da 4.494 a quasi 30.000. I primi insediamenti restarono vicini ai fiumi, senza spingersi troppo all’interno.
Il commercio verso Santa Fe fu fondamentale per il Kansas, così come la migrazione mormone e l’apertura dell’Oregon Trail lo furono per il Nebraska. Kansas si sviluppò più in fretta, complice la battaglia tra schiavisti e abolizionisti che lo rese un terreno conteso e ambito. A Council Grove, Kansas, uno degli ultimi punti di rifornimento prima del territorio indiano, nacque un insediamento già nei primi tempi. Altri come Round Grove, 35 miglia da Independence, divennero punti di raccolta. Lì dove i fiumi bloccavano il cammino, si insediavano i traghettatori, e con loro spuntavano locande e villaggi improvvisati. Così nacque Topeka, da un traghetto sul fiume.

Council Grove, Kansas
Anche l’Oregon Trail lasciava dietro di sé sparuti coloni lungo i fiumi Vermilion, Blue e Platte. Questi uomini vivevano più di caccia che di agricoltura, simili ormai agli indiani, alcuni dei quali si univano a loro per assaltare i convogli diretti a Ovest. Anche il passaggio dei mormoni lasciò qualche insediamento, ma nessuno di questi pionieri rappresentava la civiltà: erano reietti, vagabondi del confine, poco più che briganti. In ogni villaggio indiano c’era almeno un rinnegato bianco.

Carri lungo la Oregon Trail
L’arrivo delle diligenze e del Pony Express portò alla nascita di stazioni lungo le rotte verso le Montagne Rocciose. Baracche isolate, rifugio per i guidatori, stallieri e lavoranti. Ma spesso da queste stazioni nascevano piccoli villaggi, con il loro saloon, un paio di giocatori d’azzardo, e poco altro. Alcuni, come Julesburg in Colorado, divennero famigerati: veri inferni di frontiera, tra alcool, risse, sparatorie continue e pochissime donne rispettabili. Non sempre il più temuto nei saloon era anche il più coraggioso: si racconta che, quando gli indiani minacciarono Julesburg, un vecchio soldato riuscì a radunare cento uomini per cacciarli. Partirono ubriachi e urlanti, ma appena videro l’accampamento nemico — finito il whiskey — finirono anche il coraggio. Alla carica, l’unico a galoppare fu il comandante. Gli altri? Tornarono indietro a gambe levate.

La corsa all’oro in Colorado
Nel 1858, l’oro scoperto nelle Montagne Rocciose portò nuova vita lungo il margine occidentale delle pianure. I minatori accorsero, ma qualcuno capì che coltivare o allevare cibo per loro era un colossale affare d’oro. Così nacquero insediamenti agricoli a Pueblo, lungo Cherry Creek e dove oggi sorge Colorado City. Denver iniziò proprio allora: William McGaa costruì il primo recinto, William Larimer la prima casa — una capanna di legno 5×6 metri con pavimento di terra battuta. Nel 1858, in tutta Denver c’erano solo cinque donne. L’anno dopo, diversi contadini iniziarono a coltivare il mais. Lo proteggevano con irrigazione, ma un giorno dei cercatori d’oro del Missouri, delusi, liberarono le loro vacche sui campi. Ne nacque una rissa: alcuni morirono, molti furono feriti, ma alla fine i contadini vinsero.
La popolazione crebbe e cominciò un costante traffico di merci verso le Montagne. Lungo l’Arkansas, il Platte o lo Smoky Hill Trail, i carri delle compagnie Majors, Russell & Waddell solcavano le pianure ogni giorno. I treni postali correvano su linee regolari, e già nel 1859 le diligenze arrivavano fino a Leavenworth. Da Julesburg partiva anche un ramo del Pony Express.

Sioux nel 1854
Più a nord, nelle zone chiamate Dakota e nel Wyoming, la colonizzazione era ancora lontana. I Sioux, fieramente ostili, e un paesaggio poco invitante scoraggiavano con decisione i coloni. Non c’erano strade principali, solo alcuni piccoli forti sparsi e qualche coraggioso esploratore. Il primo insediamento stabile fu Sioux Falls nel 1856. Qualche anno dopo, si videro i primi contadini lungo il Missouri. Ma il Wyoming, percorso da migliaia diretti in California o Oregon, restava terra vergine. I pochi che si fermavano erano eccezioni.
Ecco com’era la grande distesa del West nel 1854, quando Kansas e Nebraska divennero territori ufficiali. Una terra attraversata da piste polverose, carovane e treni di carri, ma ancora misteriosa, sconosciuta, un regno selvaggio popolato da animali e uomini liberi. Solo qualche striscia di civiltà lungo i fiumi, e poi ancora il nulla. Poi arrivarono i minatori, i contadini, i pionieri veri. Ma in mezzo… ancora il deserto che gli atlanti chiamavano il “Grande Deserto Americano”.