- www.farwest.it - https://www.farwest.it -

L’imboscata dei Sioux ai Pawnee a Massacre Canyon

A cura di Pietro Costantini

Capo Aquila – guerriero Pawnee
Il capitano Charles Meinhold sperava di completare il suo incarico senza incidenti mentre guidava i soldati madidi di sudore della Compagnia B, 3° U.S. Cavalleria, arrancando metodicamente attraverso le monotone pianure, rotte solo da qualche bluff, del sud-ovest del Nebraska. Incaricata di monitorare gli Indiani delle riserve, nominalmente pacifici, che cacciavano nella zona lungo il fiume Republican, la pattuglia di Meinhold servì anche a frenare gli intemperanti uomini di frontiera, a proteggere gli ispettori e poi a delineare le fattorie per i coloni bianchi.
C’era poco sollievo dal caldo opprimente e dall’umidità durante la noiosa marcia. Cinque giorni di pattugliamenti a sud di Fort McPherson si erano rivelati senza eventi. Ma, mentre i soldati si accampavano alla foce del Blackwood Creek il 5 agosto 1873, la pattuglia di di Meinhold era di ritorno.
Quella mattina tardi c’erano un giovane uomo bianco e tre anziani Pawnee che galoppavano freneticamente verso i soldati, portando dettagli scioccanti di un brutale massacro avvenuto appena a monte. A ribadire la loro agitazione, una colonna di rifugiati schizzati di sangue e barcollanti giungeva lentamente in vista da
ovest. Mentre Meinhold lottava per comprendere i loro racconti angosciati, divenne chiaro che una forza schiacciante di guerrieri Sioux (Lakota) aveva attaccato gli sfortunati Pawnees, massacrando diversi uomini insieme a molte donne e bambini. Sebbene il feroce attacco avesse lasciato i Pawnee storditi e demoralizzati, i loro capi assicurarono a Meinhold che avrebbero potuto radunarsi per contrattaccare i Sioux, se solo i soldati li avessero aiutati. Il capitano rifiutò saggiamente, spiegando che i suoi 49 uomini di truppa potevano fare poco contro la schiera di guerrieri che i capi avevano descritto. Consigliò ai Pawnees di continuare lungo il Republican e riorganizzarsi vicino all’insediamento di Red Willow, circa 20 miglia più a est, mentre lui avrebbe indagato.
Dopo una marcia verso ovest di una dozzina di miglia, i soldati di Meinhold si avvicinarono a un canyon poco profondo che conteneva le prime prove sanguinose della brutale lotta: corpi mutilati che giacevano come erano caduti riempivano il canyon, testimoni di una carneficina orribile. I peggiori timori di Meinhold furono confermati.
Il chirurgo civile a contratto David F. Powell in seguito scrisse della sua reazione dolorosa:
Era uno spettacolo orribile. Uomini coraggiosi morti con gli archi ancora strettamente afferrati tra le dita morte e irrigidite; bambini attaccati al seno delle loro madri trafitti con le frecce; viscere che sporgono da aperture fatte dai coltelli; teste scalpate, con il sangue rosso smaltato su di loro – una massa puzzolente, molti già gonfiati e bruciati dal calore.
I soldati potrebbero aver vomitato mentre sondavano il silenzioso canalone schizzato di sangue. Tra i cadaveri gonfi, migliaia di chili di carne di bisonte a mucchi e centinaia di pellicce giacevano disseminate di disordine, a testimonianza del panico scatenato dall’improvviso e omicida attacco Sioux.
Nonostante il loro aspetto sedentario, i Pawnee per necessità si avventuravano fuori dalla riserva per integrare i loro magri raccolti e le rendite incerte con la carne raccolta durante due caccie annuali al bufalo ad ampio raggio. Gli agenti indiani quaccheri recentemente nominati dal presidente Ulysses S. Grant deploravano la pratica, che ritenevano consentisse ai Pawnees una libertà ingiustificata dal controllo dell’agenzia. Le logge di terra raggruppate dei Pawnee, che avevano provvisoriamente accettato la vita di riserva già nel 1857, erano bersagli allettanti e facili per i loro nemici nomadi Sioux. Mentre cercavano di percorrere la strada dell’uomo bianco, i Pawnee impararono presto che le promesse federali di protezione significavano poco di fronte alle persistenti incursioni dei Sioux Brulé e Oglala. I quaccheri avevano chiesto una trasformazione irrealisticamente rapida e senza compromessi dello stile di vita dei Pawnees. Nel 1873, tuttavia, le tristi realtà della vita di riserva avevano lasciato la tribù quasi indigente.


L’accampamento di logge Pawnee al Massacre Canyon

Sebbene la loro precedente caccia estiva, guidata dal socio di Buffalo Bill Cody, John B. “Texas Jack” Omohundro, avesse temporaneamente rifornito le loro riserve alimentari, la successiva caccia invernale non accompagnata si era conclusa male quando i predoni Sioux avevano rubato più di 100 dei loro cavalli e disperso i Pawnee, costringendoli a nascondere la loro carne, tornare all’agenzia e sopportare un inverno umiliante e affamato.
A seguito di un gran consiglio in primavera, i leader dei Pawnee anticiparono con impazienza l’imminente caccia estiva, anche se le mandrie di bisonti più vicine erano a più di 150 miglia di distanza. Secondo quanto riferito, Omohundro fece domanda per la posizione di agente di pista del 1873, ma poi trovò la prospettiva di apparire sul palco di New York City con Cody troppo allettante per rifiutare. O forse era la sua coprotagonista, la ballerina italiana Giuseppina Morlacchi, che trovò così seducente, abbastanza da sposarla quell’estate. Indipendentemente da ciò, Texas Jack non era disponibile.
L’inverno precedente il quacchero William Burgess aveva assunto il controllo della Pawnee Indian Agency a Genoa, vicino a Columbus nel Nebraska orientale. Luther North, dei famosi Scout Pawnee, classificò l’agente entrante come del tutto non qualificato, osservando: “A mio giudizio, per quanto riguarda i Pawnee, è più scarso di qualsiasi altro agente che i Pawnee hanno avuto”. Colpito dalla situazione di fame e di povertà della tribù, Burgess in un primo momento cercò di ottenere la distribuzione anticipata dei beni annuali per i suoi amministrati affamati. A giugno, tuttavia, aveva autorizzato con riluttanza la caccia estiva. Il sessantenne Sky Chief, considerato tra i più abili dei leader Pawnee, sarebbe stato al comando, aiutato da Sun Chief e Fighting Bear. Quella primavera John W. Williamson, un contadino di 22 anni del Wisconsin, aveva firmato a Genoa come “agricoltore di agenzia”. L’abile contadino era ben voluto dai Pawnee, che lo chiamavano “Testa Riccioluta”, a causa dei suoi capelli castani ondulati lunghi fino alle spalle. Di origine norvegese, era in ottime condizioni fisiche e parlava passabilmente la loro lingua. Nonostante le buone referenze di Williamson, lo Scout North ne diede giudizi contrastanti, sostenendo sprezzantemente che l’agricoltore scandinavo non sapeva nulla di più sui Pawnee di quanto non sapesse l’agente quacchero. North ammirò la posizione di Williamson, tuttavia, affermando che “si mostrò un uomo fino in fondo”. I leader dei Pawnee esortarono Burgess a nominare l’agricoltore dai capelli lunghi come agente del sentiero della caccia estiva. Poiché Williamson non si era candidato per la posizione, fu sorpreso quando un capo lo informò della sua nomina. Indubbiamente ancora meno sapeva di essere praticamente un agente di Omohundro, cosa che per la mentalità gli anziani della tribù avrebbe rappresentato un controllo meno rigoroso. Nel definire le sue responsabilità, Burgess avvertì Williamson di evitare di interferire con il modo tradizionale di caccia dei Pawnees, autorizzandolo a fornire i consigli che riteneva opportuni in tutte le altre questioni.
Texas Jack” Omohundro
L’agente avvertì anche Williamson di guardarsi dalle incursioni dei nemici tradizionali della tribù.
Lester Beach Platt, un giovane di Baltimora che si trovava in zona per visitare suo zio che commerciava con gli Indiani, chiese di unirsi alla caccia. Sentendo che Lester avrebbe potuto essergli di buona compagnia, Williamson acconsentì, anche se sospettava che il giovane potesse essere molto inesperto e quindi rappresentare una palla al piede. Platt confermò i sospetti dell’agente di pista durante il loro primo inseguimento di bisonti, occasione in cui furono quasi gettati giù da cavallo e calpestati. I Pawnees chiamarono il giovane Keats-ko-toose Kittabutsk, che si traduce approssimativamente come “Little Platte River”, un gioco di parole sia sul suo cognome che sulla sua relazione con il vecchio Platt presso l’agenzia.
Nel 1873 l’agenzia di Genoa si occupava di oltre 2.300 Pawnee, tra cui circa 600 guerrieri. Di questi, 250 uomini lasciarono l’agenzia il 3 luglio, accompagnati da 100 donne e 50 bambini. La maggior parte degli uomini erano armati di archi e frecce, le loro armi da caccia preferite e più efficienti.
Altri portavano moschetti obsoleti ad avancarica, mentre alcuni avevano ottenuto carabine Spencer a sette colpi o revolver a percussione. I Pawnee erano quindi ben armati per la caccia, anche se non equipaggiati per una battaglia. Anche se laceri e male in arnese, il loro avanzare presentava uno spettacolo imponente, coprendo la prateria con una colonna che si estendeva per quasi un miglio. Coloni bianchi incuriositi si radunavano lungo il percorso, stupiti per quello spettacolo.
Per un mese la caccia dei Pawnee ebbe successo, raccogliendo un totale di circa 800 animali. Sia Williamson che Platt descrissero le azioni come ben organizzate ed efficienti. Di notte spesso si svolgevano feste gioiose che Williamson paragonava con simpatia agli incontri di preghiera cristiani. Sulla scia della prima caccia, l’agente di pista si era affezionato ai suoi colleghi Pawnee, ingoiando alla loro maniera un pezzo di fegato di bisonte crudo e insanguinato.
La sera del 4 agosto i Pawnee si accamparono lungo la riva nord del fiume Republican. Con la fine della caccia, si preparavano per iniziare il viaggio di ritorno all’agenzia la mattina seguente. Verso le 9 di quella notte John Deary e due compagni cacciatori di bisonti si fermarono al campo per avvertire il gruppo di caccia nativo che una grande banda di Sioux era accampata a 25 miglia a nord-ovest, apparentemente decisa ad attaccare i Pawnee. In relazione a un precedente avvertimento, Williamson aveva imposto una deviazione precauzionale, una mossa che aveva solo irritato i cacciatori Pawnee quando non avevano incontrato né Sioux né bisonti. Comprensibilmente, accolsero quest’ultimo avvertimento con grande scetticismo. Sky Chief denunciò i cacciatori di bisonti come bugiardi che cercavano di spaventare i Pawnee per avere più animali da macellare per le loro pelli.


L’”Agente sul campo” dei Pawnee, John Williamson (al centro), con il giovane Lester Beach Platt (a destra)

Quando Williamson consigliò di nuovo cautela, Sky Chief si infuriò, denunciando il giovane agente sul campo come una donna e un codardo. Williamson furente ribatteva: “Andrò fin dove osi andare! Non dimenticatelo”. Nel frattempo, nei campi Sioux, un gruppo di guerrieri della banda Cut-off, guidati dai capi Oglala Little Wound e Pawnee Killer, aveva riferito di aver avvistato il gruppo di caccia Pawnee. Little Wound decise di attaccare immediatamente dal suo accampamento a Frenchman Creek. Furente per le recenti perdite subite dai ladri di cavalli Ute, Pawnee Killer era anche pronto per un combattimento. Il loro agente di pista, Antoine Janis, aveva speso ogni briciola di diplomazia posseduta per impedire ai Sioux di organizzare una sanguinosa rappresaglia contro gli Ute. Ma i Sioux non sarebbero stati fermati di nuovo.
Con gli atavici nemici quasi in mano, Little Wound chiese di sapere se i suoi guerrieri erano liberi di attaccarli. Janis mormorava. Mentre proibiva attacchi alla riserva dei Pawnee o vicino agli insediamenti bianchi, lasciò cripticamente sospesa la domanda. Little Wound rispose altezzosamente che visto che Janis aveva annullato la rappresaglia contro gli Ute, i giovani guerrieri Sioux non avrebbero più ascoltato l’agente di pista.
Mentre i Cut-off si preparavano per la battaglia, inviarono messaggeri al campo Brulé di Spotted Tail, a monte di Stinking Water Creek. Nel 1872 la banda di Spotted Tail, come gesto pacifico verso i bianchi, aveva intrattenuto il granduca russo Alexei Alexandrovich durante la stravagante caccia invernale al bisonte di Cody e del tenente colonnello George Custer a poche miglia di distanza. Non è certo se Spotted Tail si sia unito personalmente al gruppo di guerra contro i Pawnee, anche se probabilmente si astenne. Stephen F. Estes, agente di pista responsabile dei Brulé, in seguito affermò: “Ho usato ogni sforzo per indurre gli Indiani sotto la mia responsabilità a fare pace con i Pawnees … ma i giovani non ascoltavano nulla”.
Nelle ore precedenti l’alba del 5 agosto gli esploratori dei Pawnee avvistarono circa 50 capi di bisonti vicino alla loro linea di marcia. I cacciatori prontamente galopparono per un ultimo inseguimento, lasciando le donne, i bambini e gli uomini più anziani a proseguire verso est con gli animali da soma. Alcuni notarono una massa lontana di oggetti scuri e in movimento, il che suggeriva una mandria ancora più grande.
Mentre correvano, Sky Chief si scusò con Williamson per il suo sfogo la sera precedente. Il capo Pawnee era ancora convinto che i cacciatori bianchi avessero mentito, tuttavia, aveva trascurato di inviare esploratori verso l’accampamento Sioux segnalato. L’ultima volta che Williamson vide Sky Chief fu quando si allontanò per unirsi all’inseguimento. All’avvistamento dei bisonti, un giovane Pawnee pregò Williamson di prestargli il fucile e corse via con esso per unirsi alla caccia. Williamson non vide mai più il giovane o il fucile.


Spotted Tail dipinto da Henry Farny

Il polverone del branco era quasi scomparso dalla vista a est, quando Williamson notò un trambusto vicino alla testa di un piccolo canyon. Si spinse in avanti, scoprendo con allarme che i guerrieri Sioux si stavano avvicinando. Canti di guerra delle donne e lamenti si alzavano dal canyon mentre i guerrieri Pawnee si radunavano per respingerli. A condurre l’attacco iniziale fu un’avanguardia Sioux di forse non più di 100 guerrieri. Tuttavia, si lanciarono contro i Pawnee con una tale velocità che li colse di sorpresa, il che permise loro di uccidere i pochi cacciatori che erano smontati per iniziare a scuoiare il bisonte ucciso. Tra questi c’era Sky Chief, che fu circondato e morì combattendo mentre cercava di raggiungere il suo cavallo. Nella confusione iniziale Williamson esortò i Pawnees a ritirarsi lungo il canyon in una zona di legname ammassato, che offriva una posizione difensiva più promettente, ma Fighting Bear non era d’accordo, insistendo sul fatto che i guerrieri tenessero il loro terreno. Aveva spesso combattuto i Sioux e confidava che i suoi uomini potessero batterli in un combattimento aperto. Senza il tempo per discutere il da farsi, i Pawnee si schierarono per difendersi da dove si trovavano, combattendo coraggiosamente per forse un’ora.
Non essendo riuscito a organizzare una ritirata, Williamson si sentì obbligato a prevenire l’assalto dei Sioux da solo, se possibile. Cavalcando a meno di 300 metri dalle orde in corsa, l’agente e un compagno sventolavano fazzoletti bianchi per attirare l’attenzione degli aggressori. I ricordi svaniscono, ovviamente, specialmente sotto tali costrizioni. Pochi giorni dopo la battaglia Williamson riferì di aver cavalcato verso i Sioux con Platt, e nelle sue memorie il giovane confermò la sua presenza all’inizio dell’attacco. Anni dopo, tuttavia, Williamson scrisse che il suo compagno era stato l’interprete di sangue misto Ralph Weeks. Ancora altre fonti suggeriscono che tutti e tre gli uomini potrebbero essere stati presenti. Mentre i Sioux cavalcavano verso di loro, Williamson ricordò un’anziana amica che aveva osservato scherzosamente che i suoi lunghi capelli avrebbero costituito un cuoio capelluto attraente per un Indiano. In seguito scrisse di quel terribile momento: «Quando vidi arrivare i Sioux, pensai a quello che aveva detto la vecchia signora, e non persi tempo a torcermi i capelli e infilarli sotto il cappello in modo che il loro aspetto non fosse così evidente.»
I Sioux risposero all’offerta pacifica di Williamson con una scarica di proiettili fischianti, spingendo l’agente a far ruotare il suo cavallo e correre indietro verso le linee pawnee. Ai margini del canyon la sua cavalcatura, colpita da uno o più proiettili, crollò. Togliendo la sella e le briglie dal cadavere dell’animale, l’agente li trasferì sul suo pony da caccia e presto si riunì al combattimento. Solo pochi Pawnee giacevano morti quando arrivò il grosso della forza Sioux, che portò i loro ranghi a forse 1.000 guerrieri. In inferiorità numerica di 4 a 1, Pawnee di Williamson lottarono duramente per difendere le loro donne, i loro figli e sé stessi. Avendo perso il suo fucile, Williamson sparò colpi ai Sioux in arrivo con i suoi revolver. Improvvisamente, incontrò Fighting Bear, impegnato in un disperato duello a cavallo con un Sioux con copricapo di penne; ognuno dei due colpiva selvaggiamente l’altro con un tomahawk. Williamson sparò al Sioux, ferendolo e fornendo a Fighting Bear l’opportunità di finirlo. Saltando da cavallo, il capo Pawnee scalpò il suo avversario e si ritirò, conducendo il cavallo del Sioux morto giù per il canyon.
Mentre i rinforzi Sioux si radunavano attorno alla testa del canyon, gli anziani dei Pawnee finalmente ordinarono una ritirata su vasta scala. Desiderosi di uccidere i loro nemici, i Sioux si schierarono lungo entrambe le pareti del canyon poco profondo, sparando indiscriminatamente nella massa sottostante. La ritirata degenerò presto in una rotta in preda al panico, in cui si verificò la maggior parte delle vittime Pawnee quel giorno. Impegnato in quella disastrosa mischia, Williamson non riuscì a sentire il comando di ritirarsi. Ma, mentre le donne gettavano disperatamente la carne confezionata e si affrettavano a montare sui pony con i loro figli, si rese conto che anche lui avrebbe fatto meglio a correre. In seguito si lamentò della sua fretta: «Ho pensato spesso a una bambina indiana, che evidentemente era caduta dalla schiena di sua madre, nel nostro ritiro lungo il canyon. Era seduta a terra con le braccia alzate, come se supplicasse qualcuno di prenderla. Mentre passavo, ho cercato di prenderla ma sono riuscito a toccarle solo una delle mani. Non potevo tornare, così è rimasta indietro per subire una morte orribile.»
Mentre i piccoli gruppi sparsi di Pawnee fuggivano verso le rive del Republican, i Sioux inaspettatamente interruppero il loro inseguimento. I Pawnee rimasti indietro soffrirono orrori indicibili. Gli aggressori violentarono tutte le donne che erano rimaste indietro, poi le uccisero e le mutilarono, anche se alcune indubbiamente respiravano ancora mentre i Sioux gettavano i loro corpi in cima a pire di vestiti in fiamme.
Durante il frenetico ritiro Platt si separò dai Pawnee e improvvisamente si ritrovò circondato. Le sue prospettive sembravano davvero scarse, quando un guerriero lo assalì da dietro per appropriarsi del suo revolver. Per un momento Platt fissò il muso della propria arma prima di ricordare che non era carica. In quel momento un capo tra i Sioux intercedette, apparentemente decidendo che sarebbe stato impolitico uccidere un uomo bianco. Rilasciato con un eccitante giro di strette di mano, sebbene privato della sua pistola, Platt corse verso il fiume. Più tardi quel giorno, mentre Williamson e i tre capi informavano Meinhold, l’agente di pista riferì erroneamente della morte di Platt.


Williamson cerca di afferrare la mano della bambina Pawnee a terra

Williamson lavorò instancabilmente per prendersi cura dei Pawnee, letteralmente a pezzi, che erano riusciti a sfuggire all’ira dei Sioux, procurandosi sacchi di farina da un negozio gestito da Frank Byfield e assumendo un contadino con un carro per trasportare una dozzina di feriti. L’agente coinvolse anche il sovrintendente per gli affari indiani Barclay White, che organizzò i carri della Union Pacific per trasportare i sopravvissuti a Silver Creek, la fermata ferroviaria più vicina a Genoa. Un successivo censimento dell’agenzia registrò 20 guerrieri, 39 donne e 10 bambini uccisi. I Sioux avevano fatto prigionieri altri 11 bambini, ma gli agenti organizzarono ben presto la loro restituzione. Decine di Pawnees erano stati feriti e alcuni in seguito morirono per le ferite. I Sioux persero forse da quattro a sei guerrieri uccisi e un numero imprecisato di feriti.
Le recriminazioni iniziarono quasi immediatamente. Insistendo sul fatto che i Pawnee erano stati attaccati su terreni che avevano il diritto di usare per trattato, Burgess chiese $ 9.000 da prelevare dalle rendite Sioux per i cavalli persi, la carne, le pellicce e altre proprietà. Accusò direttamente l’agente degli Oglala, Janis, sostenendo che il suo agire maldestro aveva chiaramente stabilito una responsabilità governativa. L’agente dei Brulé, Estes, inizialmente biasimò i militari assenti al momento del massacro, mentre Janis affermò semplicemente di essere stato impotente a prevenire l’attacco. Quando i suoi tentativi di incolpare l’esercito non riuscirono a guadagnare trazione, Estes puntò il dito contro Janis: «La mia incapacità di scongiurare l’attacco… era dovuta in gran parte all’ignoranza e ai cattivi consigli dati dal subagente Janis agli Indiani sotto la sua responsabilità… Little Wound prevalse con la sua idea di avere il diritto perfetto di fare guerra ai Pawnees.»


Mappa dei luoghi del massacro a cura di Joan Pennington

Nel giro di pochi mesi e dopo molti dibattiti, i Pawnee decisero con riluttanza di cedere i loro possedimenti del Nebraska agli Stati Uniti in cambio di terre di riserva compensative nel Territorio Indiano (l’attuale Oklahoma). Rendendosi conto che il governo non avrebbe mai potuto proteggerli adeguatamente, i Pawnee, con il cuore spezzato, lasciarono per sempre la loro patria ancestrale.
Il massacro di Massacre Canyon rappresentò solo il capitolo finale di una litania quasi infinita di sanguinosi e brutali conflitti intertribali iniziati molto prima che gli Europei arrivassero sul continente. L’esercito e le forze della milizia, naturalmente, commisero atrocità in luoghi infausti come Camp Grant, Bear River, Sand Creek, Marias River e Wounded Knee – episodi vergognosi che non dovrebbero mai essere giustificati o dimenticati. Eppure rimane il triste fatto che alcuni dei massacri più letali degli Indiani d’America furono perpetrati da tribù rivali. Massacre Canyon ci ricorda che nel corso dei secoli innumerevoli indiani caddero vittime di tali incessanti e indiscriminati massacri intertribali.