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Gli hopi di Martin Cruz Smith (L’ala della notte)

A cura di Angelo D’Ambra
La copertina del libro
La fortuna di Tony Hillerman è stata seminale, ha dato il via ad un filone di successo nel quale si sono cimentati più giallisti, pronti a cogliere nelle riserve indiane della seconda metà del Novecento un mondo di ombre e misteri. Tuttavia già nel 1970, anno in cui Hillerman pubblicò il suo primo thriller, “Il canto del nemico” (The Blessing Way), un altro autore intraprendeva la stessa strada. Parliamo di Martin Cruz Smith, di origini pueblo.
Dei suoi “thriller etnici”, il solo che ci risulta tradotto e pubblicato in Italia è “L’ala della notte”, una mistery novel profondamente imbevuta di tradizioni religiose hopi, che si sviluppa sui profili della loro riserva in Arizona, con canyon e caverne che assumono quasi le sembianze di cattedrali e cripte gotiche. Una spruzzata di horror rende la trama più avvincente.
Il vice sceriffo Youngman Duran si ritrova a indagare sulla morte di Abner Tasupi, uno stregone hopi novantenne che fa uso di datura, che stava conducendo un sortilegio per fermare le avide mani della El Paso Gas.
Youngman Duran è un ex-tossicodipendente con un passato da sergente dell’aviazione statunitense nella guerra del Vietnam e una dura esperienza nel carcere militare. Youngman non è neppure hopi a dir il vero, è un tewa, una tribù che si unì agli hopi per combattere i navajo. Il vice sceriffo fa i conti con la sua identità problematica e si ritrova pure a portare avanti le sue indagini in aperto contrasto con Walker Chee, lo sceriffo presidente del consiglio tribale navajo. Tutto cambia quando si verifica un attacco di pipistrelli durante la Danza del Serpente a Shongopovi e muoiono sette anziani coi corpi deturpati dai morsi…
Il testo permette al lettore di conoscere con dettaglio e realismo le condizioni e la vita quotidiana degli hopi. Anzitutto il loro rapporto coi navajo che non è dei migliori. Martin Cruz Smith lo chiarisce bene. Shongopovi, la città chiave del racconto, era la casa del vecchio popolo hopi che si allontanò dai navajo arroccandosi sul bordo estremo della mesa, mentre i diné – “calpesta crani” – svendono tutto ai bianchi.
Il centro dell’universo hopi è dunque la mesa: la Third Mesa coi pueblo di Hotevilla e Oraibi, il principale villaggio, la Second Mesa con i pueblo di Shongopovi e Shipaulovi, la First Mesa con i pueblo di Hano e Walpi e la Antelope Mesa con le rovine di Awatowi. Un mondo in cui i bianchi – i pahan – hanno prosciugato il fiume Gila, sottratto il quadruplo delle loro quote legali di acqua del Colorado, stuprato il Lago Powel e il Little Colorado, rubato tutto il San Juan River ed il livello della falda freatica sotto Phoenix diminuisce.
Nel frattempo Martin Cruz Smith continuò a pubblicare pubblicò un buon numero di western, horror e thriller. Ciò che l’avrebbe consacrato nell’Olimpo dei giallisti sarebbe stato il noir Gorky Park, ma “L’ala della notte” ebbe così tanto successo di vendite, che divenne persino un film nel 1979 con la regia di Arthur Hiller.
La pellicola punta tutto sull’horror ed ha venature grottesche mentre nel libro l’horror è solo una superficie dietro la quale si nascondono altri significati.
Dietro anche le vestigia della cultura hopi, dietro le invocazioni a Masaw, dio della morte e guardiano del villaggio, dietro le descrizioni dei Kiva, questi locali sotterranei puzzolenti di tabacco, assieme tempio e luogo d’assemblea, collegamento col mondo sotterraneo da cui sarebbero venuti fuori strisciando i primi hopi, dietro anche le Katcina, c’è un discorso più profondo.
Il male non sono i pipistrelli vampiri, il vero male infatti è il navajo Chee, archetipo dell’indiano speculatore, arguto e incosciente, pratico e spudorato, quello che fiuta affari e li insegue ad ogni costo. Anche questo è un volto delle comunità native contemporanee. Chee ammalia gli hopi con le sue parole, li circuisce e poi prova in tutti i modi a nascondere il diffondersi della peste polmonare della riserva pur di giostrare il suo business senza spaventare gli investitori. Progetta di vendere il Mask Canyon e intascare bei quattrini come fatto coi suoi navajo. Nella riserva dei diné ha già portato tre centrali elettriche e altre dodici sono in preparazione, ha stretto contatti con politici ed ha avviato programmi sanitari e piani d’irrigazione. Così copre i vampiri che a loro volta non sono solo animali, rappresentano l’avidità dei bianchi, rappresentano le corporation, sono una metafora della cupidigia del capitalismo.
I nativi dunque non sono presentati in modo semplicistico, non sono buoni indifesi, non lo è neppure il vice-sceriffo Duran che si ritrova al centro di due mondi, in contrasto con la sua gente, anticonformista per tutti, anche per la sua ragazza bianca.

Titolo: L’ala della notte
Traduzione: Nicoletta Lamberti
Autore: Martin Cruz Smith
Editore: Mondadori
Collana: Oscar bestsellers
Pagine: 252
Rilegatura: Brossura leggera
Prezzo: 6 €

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