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Dawson, la capitale della Corsa all’Oro del Klondike

A cura di Angelo D’Ambra

Una vista della main street di Dawson
Non ci furono solo minatori, poliziotti e truffatori nel Klondike eccitato dalla corsa all’oro. Si mosse anche una nutrita folla interessata a fare a tutti i costi affari. In tanti si arricchirono: macellai, falegnami, commercianti d’ogni genere. Pensiamo a Joseph Ladue, l’uomo che in origine aveva equipaggiato Henderson. Ladue s’arricchì con un saloon ed una segheria alla confluenza dei fiumi Klondike e Yukon. I nuovi arrivati sul Klondike gravitavano tutti lì, una tendopoli che sarebbe poi divenuta la fiorente Dawson City. Ladue fondò il primitivo insediamento alla confluenza dei fiumi Klondike e Yukon, a una ventina di chilometri dal Discovery Claim.
Ad esso, poi, il geologo canadese George Mercer Dawson, direttore del Canada’s Geographical Survey, che mappò l’area diede il suo nome, nel 1887. Vi si riversarono migliaia di uomini e nel giro di un anno la popolazione della città passò da 500 unità a 30.000.
L’area su cui sorse Dawson era sempre stata frequentata dai nativi in estate, per la pesca del salmone. I tr’ondek hwech’in di capo Isaac, indigeni di lingua han, avevano un loro villaggio poco distante, a Tr’ochek, presso il Deer Creek.


Il discovery claim

Fino ad allora avevano avuto ottimi rapporti con i pochi bianchi che si erano affacciati in quelle zone, adesso però erano troppi, erano irrequieti e spesso violenti. Capo Isaac, allora, temendo l’impatto che gli stili di vita dei cercatori d’oro avrebbero avuto sulla cultura tradizionale della sua gente, preferì abbandonare Tr’ochek e, dopo un accordo convenuto con le autorità canadesi e promosso dal vescovo anglicano William Carpenter Bompas, il suo popolo fu guidato dal sovraintendente della North-West Mounted Police, Charles Constantine, a circa cinque miglia da Dawson, nella piccola riserva di Moosehide. Qui le cose cambiarono per loro. C’era acqua e legna, era possibile cacciare e pescare, ma non mancò chi ritenne più redditizio vendere carne ai cercatori d’oro e fabbricare barche per loro.


North-West Mounted Police

Si stima che dal 1896 al 1899 dal territorio attorno a Dawson furono estratti all’incirca 29 milioni di dollari in oro, ma a Dawson non ci furono solo cercatori, anzi. Ci fu chi vi portò covate di galline e prese a vendere uova, chi vi trascinò una mucca ed iniziò a vendere latte fresco, ci fu pure un italo-americano, R. J. Gandolfo, che fece soldi allestendo il primo banco di frutta e verdura. Dawson fu il centro della Klondike Gold Rush. Tanti scrittori presero parte alla corsa all’oro descrivendola con incredibile successo, pensiamo a Jack London e James Oliver Curwood, altri si recarono in zona per conoscere da vicino quanto stava accadendo, è il caso della giornalista Alice Freeman. Forse uno dei nomi più noti tra i cercatori che si avventarono nei suoi saloon fu quello della ballerina Kathleen Rockwell che divenne popolarissima come “Klondike Kate”. Ci fu pure una seconda “Klondike Kate”, l’infermiera Katherine Ryan, che fece soldi nella ristorazione e poi investì tutto in alcune miniere d’oro e divenne pure il primo membro donna della North-West Mounted Police.


Un’altra vista di Dawson

Una persona su dieci che prese parte alla Klondike Gold Rush apparteneva al gentil sesso. Oltre un migliaio di donne attraversarono i sentieri del Chilkoot Pass e del White Pass tra il 1896 e il 1900, spesso al seguito di parenti maschi ma anche da sole. Tra esse ci fu l’imprenditrice Belinda Mulrooney, che aprì un ristorante ed un albergo a Dawson che poi rivendette per costruire un albergo di lusso, il Grand Forks Hotel, e fondare la Dome City Bank.
Entro l’estate del 1897, Dawson contò due giornali, il Klondike Nugget ed il Midnight Sun, due banche, diversi saloon, cinque chiese ed un servizio telefonico. Entro l’anno seguente toccò le 40.000 unità, fu il suo apice. In realtà molti vi erano giunti senza sapere granché del viaggio che avrebbero intrapreso e del clima e della natura che vi avrebbero trovato. Da questo punto di vista è interessante notare che poco meno di ventimila cercatori giunti a Dawson nell’estate del 1898 si preoccuparono di cercare effettivamente l’oro. In molti si rassegnarono a trovarsi un lavoro per guadagnarsi i soldi del biglietto con cui sarebbero tornati a casa perché la sola idea di mettersi a cercare oro in quella natura così ostica li terrorizzava. Di quelli che lo fecero, solo quattromila trovarono qualcosa di significativo, e di essi in pochi divennero veramente ricchi. Dawson fu chiamata la “Parigi del Nord” perché la circolazione d’oro garantì la nascita di siti residenziali di lusso, saloon sfarzosi, palazzi dalle architetture sontuose, ma in generale la vita era piuttosto difficile, e non solo per le condizioni climatiche. La criminalità non fu mai un serio problema. La città, infatti, pullulò di bari e prostitute, ma la polizia riuscì sempre a tenere sotto controllo questo mondo d’illegalità, tollerandolo nei limiti del possibile. I saloon chiudevano a mezzanotte anche di sabato e la polizia si mostrò incorruttibile.


Cercatori d’oro nel Klondike

L’impegnò della North-West Mounted Police fu determinante in questo: nel 1897 la polizia contava appena 96 membri, l’anno dopo ne erano 288; sotto la guida di Sam Steele, Dawson fu sempre una città rispettosa della legge, non vi furono omicidi e pochi furono i furti di una certa entità.
I problemi erano altri, anzitutto il fuoco. Dawson, tutta fatta in legno, riscaldata con stufe e illuminata da candele e lampade ad olio, patì gravissimi incendi che distrussero saloon, banche e alberghi, imponendo continue ricostruzioni. Sicuramente più fastidiose erano poi le malattie. Lo scorbuto, di cui pure Jack London si ammalò, fu quella più diffusa perché nei lunghi inverni non erano disponibili cibi freschi, ma gli ospedali si riempirono anche di affetti da dissenteria, malaria, tifo e difterite. Ciò impose una migliore gestione delle acque reflue, senza però grandi successi.