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I romanzi western di Paul Evan Lehman

A cura di Angelo D’Ambra
Paul Evan Lehman è molto di più che uno dei tanti scrittori americani che negli anni trenta legò il suo nome alla letteratura pulp-western. I suoi romanzi hanno un loro marchio di fabbrica. Ogni suoi scritto presenta sempre una fitta trama di segreti e delitti, una nebbia di sospetti che lentamente si dirada, una storia ben strutturata e tanta azione. I suoi eroi sono spesso coinvolti in un singolare gioco di maschere che non è mai però appesantito da aspetti psicologici. Essi cercano la loro rivalsa, hanno da guadagnarsi la loro identità e lo fanno muovendosi nelle pagine dei libri come dei detective. L’ambientazione preferita da Lehman, poi, concorre nel rendere i suoi lavori assolutamente riconoscibili. Paul Evan Lehman è infatti lo scrittore delle guerre per i pascoli, delle faide tra le famiglie di allevatori, dello scontro tra i ranch per acqua e confini.
Prendiamo in considerazione “Dakota”, un lavoro del 1933 tradotto in un film, “The Idhao kid” col leggendario Rex Bell. Le pagine del libro si aprono portandoci nella cittadina di Sisco sconvolta da una guerra per i pascoli sanguinosa e violenta. Il mandriano Chris Anson è stato ammazzato, la figlia Sally accusa i rivali del ranch 88 di Jed Stone che però si dichiara estraneo ai fatti. Intanto, uno sconosciuto che si fa chiamare Dakota appare proprio in quei giorni e viene da tutti preso per un ranger inviato ad indagare sull’assassinio. E’ assunto da Stone, ma salva la vita a Sally, iniziando ad investigare su chi abbia provato a farla fuori proprio sotto i suoi occhi, sparando con un fucile dalla finestra di una delle camere dell’avvocato Kelogg, invalido su sedia a rotelle e legale di entrambi i ranch. Si riesuma Anson e nel suo corpo è trovata una pallottola calibro 50 attribuibile ad uno sharp in passato posseduto da Hod Brewer, ucciso anni prima da Anson. I sospetti finiscono sul figlio di Brewer, lo stupido Shab, aiutante di Kelogg, e su sua madre, Maggie, la cercatrice d’oro. Ogni interrogativo sulla donna scompare quando è trovata morta e pure Shab, presto, viene rinvenuto privo di vita in un contesto che lascia pensare ad un suicidio. Una pallottola calibro 50 però fa fuori anche Jed Stone, proprio il giorno in cui si fa vivo in città qualuno che si presenta come suo figlio Bob, allontanatosi da anni. L’intrigo si infittisce, c’è qualcuno che vuole approfittarsi dello scontro tra i ranch e Dakota lo capisce. Con uno stratagemma scopre l’avvocato camminare e smaschera pure il presunto figlio di Stone. Tutti i nodi vengono al pettine con un ritmo narrativo serrato e tra lo sconosciuto che tutti pensano essere un ranger e Sally Anson sboccia l’amore. Solo alla fine si capirà che è proprio Dakota il vero Bob Stone.
Sangue del West
“Sangue del West” è un libro che riformula questa trama, la arricchisce di tensione, agguati e sparatorie. Le ambizioni meschine e subdole di Kelogg sono qui sostituite da quelle di Alonzo B. Pellt, amministratore di un ranch a Saccaron, New Mexico, che tenta, con l’imbroglio, di impadronirsi della proprietà spodestando la vera titolare, Patrica Lane. L’amministratore truffaldino sogna di costruirsi un vero e proprio impero acquisendo, con ogni mezzo persuasivo, tutti i ranch dello stato. E’ questo ciò che lascia credere a chi gli è più vicino, in realtà progetta di vender tutto alla ferrovia ed intascare una enorme fortuna. E’ già proprietario dell’albergo di Saccaron, di empori e di ipoteche su molti dei terreni del posto, ora punta pure a farsi eleggere giudice di contea. Sembra inarrestabile. In soccorso dell’innocente ragazza arriva però il giovane proprietario di un altro ranch, Clay Dennison, che scopre i giochetti messi in atto da Pelly per aizzare i vari ranch l’uno contro l’altro, ma la pace si raggiunge grazie all’arguzia pacata e sottile di un uomo di città, Rod Montgomery, figura che spinge la trama verso qualcosa che richiama molto da vicino il film “Il Grande Paese” con Gregory Peck e Charlton Heston.
In effetti, Paul Evan Lehman sembra aver collaudato uno schema narrativo ed uno stile. Le sue storie rassomigliano a variazioni su un consolidato canovaccio e centrali sono gli scambi di personalità. I suoi scenari sono caratterizzati da ubriaconi, cercatori d’oro, canaglie e vaqueros che accompagnano sanguinarie faide tra ranch. “La morte cammina senza stivali” parla chiaro. Ormai Lehman ha brevettato un impianto narrativo tutto suo. Joe Raiford, ex sceriffo di una turbolenta città di minitaroti, abile con la colt 44, venduto il suo fortunato ristorante, sognava un ranch ed una vita tranquilla, ma, suo malgrado, si ritrova coinvolto in una vicenda di omicidi e raggiri quando viene raggiunto da un uomo in fin di vita, James Lanier, figlio di Pop Lanier, proprietario del Box L di Calixto, inseguito da una sua vecchia conoscenza, Squat Armstrong, sbattuto in carcere da Raiford e poi fuggito prima che potesse essere eseguita la sua impiccagione. Il buio e le ombre del fuoco impediscono ai due nemici di riconoscersi e Squat fila via pensando che l’uomo a cui ha sparato è morto. Non è così. Raiford gli salva la vita e l’affida alle cure dei proprietari di un ranch vicino e poi si dirige a Calixto, pronto a fare i conti con Squat.
La morte cammina senza stivali
In città però l’ex sceriffo è preso proprio per James Lanier e neppure Pop, divenuto cieco, può riconoscerlo. Come se non bastasse scopre che è in corso una guerra tra il Box L ed il Double A, altro ranch della zona. Anche qui c’è poi una figura fraudolenta che ha mire su entrambi i ranch, incarnata da un avvocato, Newton Cregg; anche qui c’è una nuova/vecchia fiamma, Alice Ardell, a capo del ranch avversario. Lehman dunque sviluppa variazioni della stessa trama e riesce a dare ai suoi scritti sempre un tocco di originalità in un gioco in cui le identità si mescolano. Questo trucco letterario, oltretutto, dona ai personaggi maggiore profondità senza che Lehman sia costretto a soffermarsi nel tratteggiare i loro caratteri oltre la superfice appesantendoli con tormenti psicologici.
Non mancano mai ladri di bestiame e mandriani in armi pronti a sparare, recinti di filo spinato che vengono spostati di qualche metro o abbattuti, ma qui e lì, piccole novità contraddistinguono i nuovi scritti di Lehman. Torna il gioco di maschere, ma con una interessante modifica, per esempio in “Idaho”.
Tod era nato nella cittadina di Alder da Sally Morgan e Clint Hollister, proprietario del ranch Asso di Picche. La donna però morì di parto ed il padre incolpò del fatto il piccolo, rifiutandolo. Toda allora crebbe con Jhon Endicott e sua moglie, proprietari del ranch vicino JE. Restò con loro fino al giorno in cui capì quanto accaduto e se ne andò, scomparendo nel nulla. Passano anni e Tod ritorna ad Alder. Nessuno lo riconosce, se non un ubriacone cercatore d’oro di nome Jones Tumblebug, e si fa chiamare Idaho, nome col quale è assoldato dall’Asso di Picche. Invece di trovare un padre naturale cambiato dall’età e dalla solitudine, lo ritrova irascibile e prepotente come prima, inoltre scopre che è in atto uno scontro per i pascoli su terreno demaniale.
Idaho
Clint vuole estendere a quei terreni i confini della sua proprietà per costringere Endicott ad umiliarsi chiedendogli l’accesso all’acqua dell’Alder Creek. Ecco dunque la variazione dello scheletro narrativo: lo scontro tra padre e figlio.
Altra variazione è presente in “I Razziatori del Rio Grande”. Qui abbiamo i Templeton contro gli Avery, il ranch Stars and Bars contro il Double S, dove S sta per Stars and Stripes. Insomma, lo schema si rinnova con l’uso della dicotomia sudisti/nordisti. Clay Templeton, infatti, è stato un colonnello sudista ed odia gli yankees come gli Avery, stabilitisi in Texas da una ventina d’anni. Jhon Avery, misteriosamente ucciso da qualcuno, aveva portato l’uniforme dell’Unione e tra le due famiglie la guerra civile non poteva che continuare. Un ulteriore variazione di trama qui è rappresentata dal fatto che gli scaltri avvocati e gli amministratori truffaldini sono sostituiti dalle macchinazioni e dai sotterfugi dei funzionari della Banca di Hastings. In più, il sogno della ferrovia è sostituito da quello dell’oro nero, il petrolio texano.