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Violenze e guerre nello Utah

A cura di Angelo D’Ambra

Giunti nello Utah, per i mormoni non fu semplice perseguire il sogno di una società salda su fermi valori religiosi e dall’economia semplice, agricola, di sussistenza.
I primi problemi i mormoni li ebbero con gli indiani. Come presidente della chiesa, governatore territoriale e sovrintendente territoriale degli affari indiani, Brigham Young tentò di guidare un processo di insediamento pacifico, invitando i suoi confratelli ad imparare le lingue indiane ed a stabilire con i nativi delle relazioni commerciali. Questa politica non fu sempre coerente, anche perché i nativi non avevano sempre intenzione di lasciare terre ad altri, né capivano che lo scambio delle merci e del bestiame non era vissuto come un obbligo da parte dei mormoni.
Alla fine del 1849, nella valle dello Utah, omicidi ed incomprensioni avevano incrinato i rapporti. In un consiglio dei dirigenti della chiesa a Salt Lake City il 31 gennaio 1850, il leader di Fort Utah riferì che le azioni e le intenzioni degli ute stavano diventando sempre più aggressive, allora il governatore Young autorizzò una campagna militare contro i nativi: la Walker War.
La guerra si aprì quando gli Ute si presentarono alla casa di James Anderson Ivie, a Springville, tentando di imporre a sua moglie uno scambio di merci. L’uomo reagì sparando sugli indiani ed uccidendo Shower-O-Cats, un parente del capo ute Walkara. Il giorno successivo, su ordine del colonnello George A. Smith, il capitano Stephen C. Perry della milizia di Springville guidò un’unità nel campo di Walkara, a circa cinque miglia di distanza dal canyon di Payson, per convenire ad una risoluzione pacifica, ma fu tutto inutile perché gli ute chiedevano che l’affronto fosse punito con la morte di un mormone ed, anzi, per rappresaglia uccisero a sangue freddo una guardia mormone, Alexander Keele.


Guerrieri Ute

Walkara capì che il conflitto a quel punto sarebbe stato inevitabile e si portò coi suoi guerrieri su Payson Canyon sparando alle abitazioni dei coloni, rubando cavalli e bestiame. Nei giorni seguenti, sfuggendo alle milizie mormoni, condusse incursioni nei villaggi dei coloni uccidendo e razziando; i mormoni risposero affidandosi ai colonnelli Peter Conover e Stephen Markham, fortificarono le loro case e si spostarono in fattorie e ranch più lontani o meglio difendibili. La guerra si diffuse pure nello Utah settentrionale quando gli ute attaccarono quattro uomini che trasportavano legname vicino a Park City, uccidendone due, poi conducendo nuove incursioni a Fillmore, Fountain Green, Santaquin e Manti. Invece di seguire una politica conciliante come aveva suggerito Young, i coloni mormoni reagirono in modo brutale: un’unità della milizia assalì l’accampamento ute nei pressi di Goshen, uccidendo quattro o cinque persone, ed a Nefi, il 2 ottobre 1853, i mormoni massacrarono otto ute. La risposta esacerbata dei mormoni fu sicuramente dovuta anche ai soprusi ed alle violenze patite sino ad allora. Parecchi avevano perso i loro familiari, tutti erano finiti in povertà a fare da fuggiaschi, guide religiose erano state ammazzate ed i nuovi leader della comunità sentivano il peso di quanto avvenuto e di quanto stava avvenendo, la responsabilità di tutte quelle famiglie che cercavano di farsi una vita. Il governatore Young tentò più volte di siglare dei trattati di pace ma ci riuscì solo nel maggio del 1854, quando, a Chicken Creek, nella contea di Juab, si pose finalmente fine al conflitto. Sempre astuto, Walkara chiese cibo, pistole e munizioni, offrendo di vendere porzioni di terre dello Utah centrale in cambio di bestiame e cavalli per un periodo di vent’anni. La pace fu fatta. In tutto, le vittime durante la guerra ammontarono a dodici mormoni ed altrettanti ute, ma a questi numeri vanno sicuramente aggiunte anche le vittime del Guinnison massacre.


Il capo Walkara

John W. Gunnison, nel 1849, era stato assoldato come geometra nella Spedizione di Stansbury, incaricato di tracciare il percorso delle acque del Great Salt Lake e dello Utah Lake. In questa circostanza, aiutato dal segretario di Brigham Young, Albert Carrington, Gunnison conobbe i mormoni che si erano stabiliti in quella zona e, durante la stesura del rapporto della spedizione, redigé pure “The Mormons o Latter-Day Saints”, un libro che descriveva lo zelo dei mormoni ed il loro fervore per ripristinare una forma più vera di cristianesimo, ma muoveva anche diverse critiche. Gunnison sostenne l’idea che i mormoni erano causa del loro male, pensava cioè che la loro abnegazione fosse la ragione principale delle persecuzioni da essi subite in Missouri e Illinois e annotò pure che proprio le persecuzioni avevano rafforzato l’unità di un gruppo che, invece, lasciato solo come era, si sarebbe presto sfaldato. Così consigliò al governo di consentire ai mormoni di autogovernarsi, di lasciarli liberi di affidarsi a persone di propria scelta.
Nel 1853 Gunnison tornò nello Utah con una seconda spedizione tesa a esaminare il territorio al fine di farvi passare la ferrovia. Il suo gruppo era composto dal tenente E. G. Beckwith, secondo in comando; almeno otto topografi civili, geologi e, per sicurezza, trenta soldati del reggimento dei fucilieri a cavallo, il Regiment of Mounted Riflemen, guidati dal capitano R. M. Morris. Entro il primo settembre avevano attraversato il Continental Divide e il 17 ottobre erano sul fiume Sevier, a sud dell’attuale Manti, nello Utah. Qualche giorno prima, all’inizio di ottobre, una carovana di gente proveniente dal Missouri e diretta verso la California, aveva attraversato l’insediamento di Fillmore e si era accampato a Meadow Creek. Qui erano stati raggiunti da una piccola banda di indiani ute che volevano scambiare abiti di daino con tabacco. Gli indiani però furono aggrediti dai viaggiatori che provarono a disarmarli di archi e frecce. Nel trambusto che ne seguì, il padre di Moshoquop, un capo degli ute, finì ucciso da un colpo di fucile. Gli indiani scapparono e si accamparono a circa dodici miglia a nord-est del Lago Sevier, meditando la loro vendetta.
Giunto a St. Louis, Gunnison si accorse subito che le cose in Utah erano cambiate, che, rispetto al 1849, c’era un’accresciuta ostilità dei mormoni contro il governo, contro gli indiani ed anche contro di lui. I mormoni erano in guerra con gli ute, avevano troncato ogni scambio con gli indiani e fortificato tutte le loro città e villaggi. Essi guardavano gli esploratori con sospetto, probabilmente pensavano che la spedizione fosse in realtà diretta contro di loro, per sondarne il numero e poi costringerli ad abbandonare lo Utah con l’intervento di un esercito consistente. Forse erano preoccupati che la ferrovia aumentasse l’afflusso di coloni non mormoni nello Utah, distruggendo il loro sogno di edificare una comunità saldamente mormone. Ad ogni modo, per stemperare l’animosità della comunità religiosa, Gunnison scelse di affidarsi a guide mormone e furono proprio queste guide a convincerlo a cambiare i suoi piani iniziali, volti a seguire il corso del lago Sevier. Gunnison seguì, invece, il California Trail fino a Fillmore, con l’intenzione di avvicinarsi al lago Sevier attraverso la Pahvant Valley. A Fillmore, oltretutto, Gunnison era stato puntualmente informato da Anson Call, vescovo del villaggio, che Walkara era sul sentiero di guerra, ed aveva avvisato il governatore Brigham Young, il quale, a sua volta aveva avuto la premura di far precedere la spedizione da un suo agente speciale indiano, Dimick Huntington, per placare gli ute di capo Kanosh.


John W. Gunnison

Assicuratosi che la pace fosse stata raggiunta, Gunnison riprese il suo cammino verso lago Sevier in modo da poter effettuare una completa mappatura dell’area compresa tra il fiume Weber e Fort Bridger e poi tornare indietro attraverso il fiume Timpanogos. Intanto però era iniziato il freddo e presto i passi di montagna si sarebbero riempiti di neve, rendendo impossibili ulteriori indagini verso Fort Bridger fino alla primavera. Nonostante ciò Gunnison fu intenzionato a presentare lo stesso il suo rapporto. Voleva a tutti i costi far sapere ai suoi superiori a Washington che aveva avuto successo, che era riuscito ad individuare dei passaggi eccellenti attraverso le Montagne Rocciose dove poteva essere costruita una ferrovia. L’ambizione di Gunnison, la sua urgenza e la convinzione che gli indiani locali fossero amichevoli, lo portarono a tentare di affrettare le cose dividendo il suo gruppo. Dopo aver toccato il fiume Sevier, il capitano condusse il suo gruppo verso il lago. Questi uomini erano Richard Kern, il suo artista e topografo, Frederick Creutzfeldt, il suo botanico, William Potter, la sua guida mormone, John Bellows, un impiegato, un corporale e sette uomini del Regiment of Mounted Riflemen. Il gruppo fu avvistato dagli ute, però non quelli di capo Kanosh. Erano i guerrieri di capo Moshoquop, non contattati da Dimick Huntington ed ancora in cerca di vendetta.
Capo Moshoquop attese il momento opportuno, sotto la copertura dell’oscurità e della fitta vegetazione, circondò con i suoi uomini il campo e, proprio all’alba del 26 ottobre 1853, attaccò i bianchi mentre facevano colazione. Gunnison ed altre sette persone furono uccise in pochi minuti e poi sfregiate e dissacrate. Quattro soldati riuscirono a fuggire. Uno si diresse al campo di Beckwith e riferì del massacro. Il Capitano Morris, con i restanti soldati ed il chirurgo della spedizione, partirono per salvare eventuali sopravvissuti, incontrando altri tre soldati in fuga lungo il tragitto. Si avvicinarono al luogo del massacro al calar della notte fermandosi davanti a tre cadaveri mutilati. Anziché rischiare un’imboscata, i soldati rimasero a cavallo per tutta la notte, ascoltando i lupi divorare i loro compagni. All’alba ripresero il cammino e trovarono altri cadaveri mutilati. Non furono in grado di seppellire i morti poiché non avevano portato con sé strumenti adatti a rompere il terreno ghiacciato, e così lasciarono i cadaveri insepolti che solo più tardi furono recuperati.
Il tenente Beckwith ed il capitano Morris riferirono del massacro ai loro superiori e, poiché nessuna azione era stata ancora presa dall’autorità territoriale mormone contro gli indiani, il Dipartimento di Guerra, in risposta, ordinò alla spedizione del colonnello Edward J. Steptoe, diretta in California nell’estate del 1854, di fermarsi a Salt Lake City per punire gli indiani. Come prima cosa, seguendo i consigli del governatore Young, il colonnello Steptoe chiese agli indiani di consegnare i responsabili del massacro, altrimenti sarebbero stati puniti tutti. Capo Kanosh accettò allora di consegnare sette indiani, di cui uno era donna e solo tre erano effettivamente guerrieri. Gli otto ute furono incriminati da una giuria di mormoni, poi processati e giudicati responsabili di omicidio colposo, nonostante le evidenze che si trattasse di omicidio premeditato. Con grande scandalo, furono condannati ad appena tre anni di carcere. Il colonnello Steptoe ne fu contrariato ed i mormoni furono accusati di sfidare la legge. Più tardi si venne pure a sapere che ai prigionieri era stato permesso di fuggire, appena cinque giorni dopo l’inizio del loro periodo di reclusione in un penitenziario vicino a Salt Lake City. Come se non bastasse Martha, la moglie di Gunnison, ed il giudice Drummond produssero prove del coinvolgimento dei mormoni nel massacro. Qualcuno pensò che forse gli ute coinvolti avessero agito sotto la direzione di Brigham Young e della milizia segreta dei Daniti. In realtà non ci sono prove che confermino l’esistenza dei Daniti in quegli anni, solo voci foraggiate dal fatto che molti ex-Daniti occupavano importanti ruoli nella chiesa e nei villaggi mormoni.


Brigham Young

Sicuramente ambiguo era il rapporto tra Young e Kanosh. Il coinvolgimento del capo ute poneva più di qualche interrogativo. Se, infatti, i rapporti della chiesa con Wakara non erano mai stati idilliaci, da quel 1850 in cui Brigham Young si era rifiutato di fornire supporto ad una spedizione ute contro gli shoshone, i rapporti con capo Kanosh erano sempre stati eccellenti. Kanosh è ricordato per essere stato un grande amico dei primi coloni mormoni, invitò la chiesa a stabilirsi nella sua zona e qui i mormoni fondarono la città che, in suo onore, prese il nome di Kanosh. Stranamente proprio Kanosh fu tra i primi e più convinti firmatari del trattato che pose fine alla Walker War. Kanosh e non partecipò alla Black Hawk War e, qualche tempo dopo, divenne pure mormone. Perché fu Kanosh a pagare se il massacro fu compiuto da uomini di Moshoquop?
Tutti questi indizi, dubbi e sospetti aggiunsero ulteriore tensione ai rapporti tra il governatore Brigham Young ed il governo federale. Quando i mormoni accusarono i soldati di Edward J. Steptoe di aver sedotto le loro donne, portandone con sé quasi cento, Washington venne ufficialmente a conoscenza della poligamia diffusa tra i fedeli della chiesa. Il disgusto per la poligamia si sparse nell’opinione pubblica e nel Congresso: il terreno era pronto per la Utah War.
All’inizio del 1857, il presidente degli Stati Uniti, James Buchanan, dando per buone alcune notizie che volevano i mormoni pronti a ribellarsi all’autorità federale, decise repentinamente di sostituire Brigham Young con Alfred Cumming ed inviò un esercito nello Utah, sotto il comando del generale William S. Harney. I mormoni si misero in allerta. La rimozione di Brigham Young era un’ingerenza nella loro vita e l’intervento dell’esercito poteva in realtà celare l’intento governativo di scacciarli dallo Utah, rinnovando quando vissuto in Missouri e nell’Illinois. I mormoni temevano la propria distruzione da parte del governo federale. Quando, Parley P. Pratt, un membro del Quorum dei Dodici Apostoli, fu assassinato nell’Arkansas, nel maggio 1857, da Hector McLean, marito legale di una delle sue dodici mogli, gli animi si esacerbarono. Brigham Young dichiarò la legge marziale sul territorio, che, tra le altre cose, proibiva alle persone di viaggiare attraverso il territorio senza un lasciapassare, e guidò i preparativi per resistere all’esercito. Gli animi si esacerbarono, crebbero tensione, paura ed equivoci e così si arrivò al Massacro di Mountain Meadows.
Alcune milizie mormoni, all’inizio di settembre di quell’anno, attaccarono una carovana di migranti – il Baker-Fancher party – che, dall’Arkansas, erano diretti in California. Mentre la carovana viaggiava a sud di Salt Lake City, i migranti ebbero degli alterchi con i mormoni su dove poter far pascolare i circa novecento capi del loro bestiame. I mormoni, un tempo amichevoli, di solito desiderosi di scambiare prodotti agricoli con manufatti dell’Est, erano ora ostili e riluttanti al commercio.


Lotte con gli emigranti

Si diffusero pure voci circa la presenza, tra i migranti, di alcuni che avevano ucciso anni prima Joseph Smith. Alcuni migranti, accecati dalla rabbia, arrivarono a minacciare di unirsi alle truppe in arrivo da Washington nella lotta contro i mormoni. Fu allora che Isaac C. Haight, presidente della milizia di Cedar City, chiamò a sé il maggiore John D. Lee e gli diede ordine di intervenire. Haight riferì tardi il piano agli altri leader e la loro opposizione, con la conseguente richiesta di annullare l’attacco, furono inutili, John D. Lee, all’alba del 7 settembre 1857, aveva già assalito la carovana. Servendosi dell’inganno, Lee, aiutato dai paiute, dopo un primo sanguinoso attacco che costò la vita a sette migranti e cinque giorni d’assedio, fece sventolare un lenzuolo bianco dissimulando la volontà di arrivare ad un accordo. Invece, entrato nel campo dei migranti, che l’accolsero in pace, offrì loro di lasciare tutti gli averi agli indiani e di essere condotti sani e salvi a Cedar City. La carovana riprese ma, dopo aver viaggiato per circa un miglio e mezzo, Lee fece aprire il fuoco uccidendo i migranti a sangue freddo. Morirono quel giorno centotrenta uomini, donne e giovani in una valle conosciuta come Mountain Meadows. Solo i bambini furono risparmiati. Molto dopo, circa a vent’anni di distanza dai fatti, i mormoni ammisero l’accaduto e scomunicarono John D. Lee, lo condannarono e lo giustiziarono. Prima della sua morte, Lee scrisse una piena confessione sostenendo di essere un capro espiatorio di molti mormoni responsabili del massacro.
La guerra con Washington finì l’anno dopo.