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Le pioniere del nuovo mondo – 5

A cura di Domenico Rizzi
Puntate: 1, 2, 3, 4, 5, 6.

La massiccia emigrazione verso il West nel 1849-50 incrementò rapidamente la popolazione di alcuni territori, particolarmente quella della California, che dai 14.000 residenti del 1848, in maggioranza di lingua spagnola, lievitò in un biennio fino a 92.597. Il villaggio di Yerba Buena, ribattezzato San Francisco dal nome di un convento francescano che sorgeva nei pressi, accrebbe enormemente i suoi abitanti, passati da un migliaio a 34.776 in un triennio, mentre Sacramento, così chiamata nel 1808 dallo spagnolo Gabriel Moraga, sfiorava i 7.000 nel 1850 e Los Angeles, futura metropoli californiana, a quell’epoca era ancora un villaggio di 1.600 anime.
Fra gli Stati dell’Ovest, il Texas, con i suoi 213.000 abitanti del 1850, era quello che aveva registrato la crescita maggiore dopo l’indipendenza dal Messico; il New Mexico ne aveva 61.500 nella medesima data, ma altri territori come Arizona, Nevada e Colorado, contavano ancora un numero irrilevante di insediamenti. Soprattutto le Grandi Pianure, che coincidevano grosso modo con l’antica Louisiana francese, erano disabitate da gente di razza bianca, perché gli emigranti si limitavano a transitarvi con le loro carovane, essendo spesso povere di risorse idriche e battute dai venti. Il rapporto del maggiore Stephen H. Long, che le aveva esplorate nel 1820, era stato come una doccia fredda sulle aspettative della gente, perché la regione era ritenuta inadatta alla colonizzazione, tanto da indicarla nelle mappe come “Gran Deserto Americano”. Si sarebbe dovuto aspettare mezzo secolo prima che Wyoming, North e South Dakota e Montana accogliessero un numero significativo di immigrati ed ancora oggi questi Stati risultano fra i meno popolosi dell’Unione.
Kansas e Nebraska avrebbero registrato una sensibile crescita soltanto dopo il 1860, grazie all’arrivo della ferrovia e alle mandrie di bovini provenienti dal Texas, mentre il Colorado venne invaso dal 1859 in poi, richiamando minatori da ogni parte dell’Unione dopo la scoperta dell’oro nel Pike’s Peak delle Montagne Rocciose. Nel 1860 il territorio aveva più di 34.000 abitanti e Denver, inizialmente un agglomerato di baracche in cui alloggiava qualche centinaio di prospector (cercatori d’oro) sarebbe passato in pochi mesi ad ospitanre 4.750. Un particolare curioso è che, di questi, le persone di sesso femminile fossero meno di 10.
Per concludere la panoramica, l’Oklahoma sarebbe rimasta un’area di riserve indiane fino al tardo Ottocento, perché soltanto dopo il 1889 una parte delle sue terre – oltre 7.600 chilometri quadrati, ceduti dalle tribù – venne aperta alla colonizzazione e lottizzata. Nel mese di aprile di quell’anno si svolse la famosa “Corsa all’Oklahoma”, con l’assegnazione di 42.000 appezzamenti e oltre 50.000 coloni che si insediarono stabilmente nella regione. Il centro di Oklahoma City superava nel 1890 i 4.000 abitanti, che un decennio più tardi sarebbero quasi triplicati.


Fino al 1845 era opinione diffusa che il West non fosse il luogo ideale per le donne, per gli innumerevoli disagi che comportava, le fatiche immani derivanti dall’edificazione di nuovi insediamenti e le difficoltà di allevarvi la prole. Non erano pochi coloro che pensavano, una volta realizzati lauti guadagni con il commercio delle pellicce o con l’estrazione di oro e argento da miniere e fiumi, di tornare all’Est per condurre un’esistenza più tranquilla e agiata. John Colter (1774-1812) membro della spedizione di Lewis e Clark trasformatosi sulla via del ritorno in mountain man, lo fece davvero dopo essere scampato per due volte alle ire dei Piedi Neri. Giurò infatti che non avrebbe mai più “rimesso piede in quel maledetto West”, ma morì pochi anni dopo nel Missouri, di itterizia.
I cacciatori di pellicce che invasero le montagne dal 1810 al 1840 si procurarono quasi tutti una o più compagne acquistandole dagli Indiani, diventando così membri della tribù della moglie e guadagnandosi l’appellativo di squaw-man fra la gente del West. D’altronde i matrimoni misti esistevano da secoli sul continente americano e diversi capi pellirosse avevano anche sangue bianco nelle vene. Fra questi vi erano stati Aquila Rossa dei Creek, meglio conosciuto come William Weatherford, probabilmente Tecumseh, condottiero degli Shawnee e Osceola, famoso leader dei Seminole.
Lo scout Jim Bridger ebbe 3 mogli indiane, Jim Beckwourth – un ex schiavo afroamericano originario della Virginia – addirittura 8, Jim Baker un numero imprecisato, che qualcuno sostiene superiore a 10. Kit Carson sposò una Arapaho ed una Cheyenne, prima del suo terzo matrimonio con Maria Josepha Jaramillo, quattordicenne figlia di un notabile messicano, la quale gli avrebbe dato 8 discendenti. Come lui fecero diversi coloni americani del Texas, del New Mexico e della California, prendendo in mogli le donne locali di origine ispanica o indiana.
Se la popolazione di razza bianca insediata nel West presentava una netta sproporzione fra femmine e maschi a favore di questi ultimi, presso i Pellirosse era esattamente il contrario. In base ad uno studio condotto da un ente governativo nel 1861 su 152 tribù, le persone di sesso femminile costituivano addirittura il 58% dell’intera popolazione nativa. Ciò si doveva, in misura abbastanza rilevante, alla maggiore mortalità dei maschi adulti frequentemente in guerra con tribù avversarie e con i Bianchi.
Quando l’arrivo sulle coste del Pacifico diventò dell’ordine di decine di migliaia di persone – quasi tutte di sesso maschile – anche nell’Est civilizzato qualcuno cominciò a porsi il problema di come costruire in quelle regioni una società che ricalcasse il modello delle città del New England, del Midwest e del Sud.
Catharine Ester Beecher
La questione venne affrontata nel 1845 da Catharine Ester Beecher – sorella di Harriet Beecher Stowe, autrice del celeberrimo romanzo “La capanna dello zio Tom” e di Henry Ward Beecher, sostenitore dell’abolizionismo e del suffragio universale – con la pubblicazione dell’opera “The Duty of American Women to Their Country”, destinato ad una notevole diffusione. Come recita il titolo stesso (“Il dovere delle donne americane verso il loro Paese”) si trattava di un esplicito invito alle donne nubili o comunque libere da legami a trasferirsi nell’Ovest, dove avrebbero potuto iniziare una nuova vita. Nel suo libro la Beecher sottolineava la notevole preponderanza della popolazione di sesso femminile nel New England rispetto ai maschi e si aspettava che il suo appello venisse raccolto da molte fanciulle ansiose di sposarsi.
Nata a East Hampton, New York, nel 1800, figlia del leader religioso Lyman Beecher e di Roxanna Foote, aveva frequentato un college privato, diventando insegnante a New Haven, Connecticut, nel 1821. Fidanzata con un docente universitario della Yale University, decise di rimanere nubile dopo avere perso il suo futuro marito, dedicandosi ad attività a sfondo sociale. Nel 1823 fondò un collegio femminile ad Hartford, dove fu anche insegnante per quasi un decennio. Oltre a ciò, Catharine si battè per la causa della minoranza pellerossa, così come sua sorella Harriet avrebbe criticato duramente la pratica della schiavitù in uso soprattutto negli Stati del Sud. Nel 1829 creò un movimento femminile contrario alla deportazione degli Indiani dell’Est nel territorio che si sarebbe chiamato più tardi Oklahoma, osteggiando con varie iniziative l’Indian Removal Act voluto dal presidente democratico Andrew Jackson. Fra l’altro, promosse una raccolta di firme per una petizione da inviare al Congresso degli Stati Uniti, chiedendo di bloccare lo stanziamento dei fondi richiesti dalla Casa Bianca per il trasferimento dei nativi, che avrebbe riguardato circa 60.000 persone. Anche se il tentativo non ebbe successo, perché il provvedimento ottenne l’approvazione dell’organo legislativo il 28 maggio 1830, fu certamente questa la prima occasione in cui le donne americane si mobilitarono in massa per uno scopo umanitario.
In seguito, Catharine si prese a cuore il problema dei bambini e della necessità della loro educazione da parte delle scuole pubbliche, ritenendo che la figura dell’insegnante fosse più importante rispetto ad altre professioni intellettuali. Era inoltre convinta che le donne fossero più adatte, per inclinazione naturale, all’insegnamento, mentre gli uomini si dedicavano meglio agli affari. Il “Booneville Observer” del 12 agosto 1847, dopo avere esaminato l’appello da lei lanciato attraverso la stampa per compensare la carenza femminile nelle terre in via di colonizzazione, osservò che “la signorina Beecher…ha genialmente superato questa difficoltà. Invita le ragazze ad andare nel West a fare le maestre.”
Catharine prese in seguito ulteriori iniziative, istituendo l’American Woman’s Educational Association nel 1852 ed altri enti a scopo educativo delle giovani e pubblicando oltre 20 opere. Se da un lato spinse le donne a conquistarsi un ruolo fondamentale nella società espletando attività didattiche, fu però decisamente contraria al loro impegno diretto in ambito politico, giudicando che le potesse distogliere dai loro veri compiti, essenzialmente di natura formativa. Morì ad Elmira, New York, nel maggio 1878, all’età di 77 anni, senza mai essersi sposata. L’impulso da lei dato all’esodo delle donne verso il selvaggio West fu veramente notevole, contribuendo alla creazione di una società più equilibrata e civile.
Elizabeth Woodson Burhans
Chi diede concreta attuazione al progetto della Beecher fu Elizabeth Woodson Burhans, sposata con Thomas J. Farnham, che nel maggio 1839 era partito dall’Illinois alla volta dell’Oregon insieme ad una carovana denominata Peoria Party, con l’obiettivo di colonizzare la regione. Elizabeth era nata nel novembre 1815 a Rensselaerville, New York, trasferendosi all’età di 19 anni nell’Illinois, dove aveva conosciuto il marito. Fin da giovane si era interessata alle carceri, con particolare riferimento alla condizione delle detenute, diventando, dopo il ritorno a New York nel 1841, direttrice di un penitenziario. Perso il coniuge, deceduto a San Francisco nel settembre 1848, la vedova partì per Santa Cruz per rilevare i beni che egli aveva lasciato e compì il viaggio via mare.
In California Elizabeth si rese conto di persona della esigua presenza di donne da marito e al ritorno decise di organizzare una comitiva a questo scopo, diffondendo, il 2 febbraio 1849, un annuncio che suonava come un bando di reclutamento. Il messaggio, che ebbe una buona diffusione, chiedeva l’adesione di donne di età non inferiore ai 25 anni, di condotta morale irreprensibile attestata dalle autorità civili o religiose, e disposte a raggiungere San Francisco. La spesa a carico di ciascuna volontaria era di 250 dollari, che dovevano servire per il viaggio e il loro sostentamento una volta giunte a destinazione, in attesa di un inserimento lavorativo. Il progetto della Farnham era di ottenere da 100 a 130 adesioni; il viaggio sarebbe stato compiuto a bordo della nave “Angelique”, pronta a salpare da New York. L’iniziativa ottenne l’appoggio di personalità influenti, da Henry Ward Beecher, fratello di Harriet e Catharine, a Horace Greeley, fondatore del “The Morning Post” e del “New York Tribune” e deputato del Partito Whig al Congresso.
Le donne che aderirono all’invito furono circa 200 ma, essendo sorti problemi di natura organizzativa, alla fine ne rimasero soltanto 3 a condividere l’impresa di Elizabeth, che si sarebbe poi trattenuta in California fino al 1856. In seguito, tornata a New York, si dedicò agli studi di medicina, ma non desistette da iniziative a sostegno delle donne, con un progetto inteso a favorire la sistemazione delle meno abbienti nell’Ovest. Morì a New York nel dicembre 1864 di tubercolosi, quando aveva appena compiuto i 49 anni. La sua idea sarebbe stata raccolta con successo qualche anno dopo da un uomo chiamato Asa Mercer, fermamente intenzionato a trasferire in California un ingente “carico di mogli”.
Nel 1858 il “Zion’s Herald” di Boston, una rivista ad orientamento religioso, pubblicò un annuncio in cui si richiedevano “buone maestre” nella regione del Kansas, promettendo stipendi interessanti e un’ottima sistemazione. L’anno seguente fu un giornale della contea di Lynn (Kansas) a rivolgere il medesimo invito a “100 maestre, di età compresa fra 18 e 21 anni, che si impegnino a sposarsi entro un anno…” (Brown, “Donne della Frontiera”, cit., p. 219).
Tuttavia, se il fabbisogno di docenti nelle scuole primarie era effettivamente elevato, non altrettanto lo erano i compensi, poiché mediamente un’insegnante percepiva 12 dollari al mese, cioè meno di un soldato semplice dell’esercito, anche se di solito le veniva concesso gratuitamente un alloggio. In alcune scuole la maestra era retribuita 1 dollaro al mese per ciascun alunno, mentre le sue spese di sostentamento venivano pagate dalle famiglie degli scolari. Spesso l’alloggio era quasi fatiscente, ubicato in luoghi lontani anche diversi chilometri dalla sede scolastica e sprovvisto di servizi igienici, come del resto lo erano le aule in cui si svolgeva l’insegnamento. In proposito, quando una giovane maestra protestò presso le autorità civili della città per la mancanza di gabinetti, minacciando di interrompere la sua attività, si sentì rispondere da qualcuno che dalle loro parti il problema non si era mai posto, “con tutte quelle piante che ci sono fuori”. (Brown, “Donne della Frontiera”, cit., p. 220).
La maestra diventò comunque, nella storia e nella sua trasposizione letteraria, una delle figure di spicco nella colonizzazione del West.


Scolaresca nel vecchio west

Nel libro “The Virginian” (Il Virginiano) considerato uno dei capostipiti del romanzo western, la protagonista è Molly Wood, una ragazza giunta dalla costa orientale per prendersi cura dei ragazzi nella sperduta località di Medicine Bow, nel Wyoming. Scritto nel 1902 da Owen Wister, amico personale del presidente Theodore Roosevelt e del grande pittore Frederic Remington, è considerato tutt’oggi fondamentale per la narrativa del genere. Infatti ebbe 14 ristampe in soli 8 mesi e dal 1914 in poi della sua trama si impadronì il cinema, iniziando con un celebre lavoro diretto da Cecil B. De Mille seguito da numerose riproposizioni.
La figura di Molly è quella tipica della giovane, sensibile ed educata, catapultata nella ruvida realtà dell’Ovest, dove dominano mandriani rudi e scontrosi, a volte aspri come la terra che li ospita. Il suo processo di adattamento alla nuova situazione procede di pari passo con la trasformazione del West e del suo partner, il Virginiano, che da cowboy diventerà imprenditore, significando l’evoluzione dei territori conquistati nella direzione di un contesto disciplinato dalla legge e dalla morale.
Man mano che i centri urbani dell’Ovest accrescevano la loro popolazione per effetto dell’immigrazione e ne venivano fondati degli altri, creare luoghi di istruzione basilare divenne a poco a poco una priorità in tutti gli insediamenti. Oltre all’alfabetizzazione dei bambini, sorse il problema di istruire gli adulti, moltissimi dei quali non sapevano né leggere né scrivere.
Una questione importante fu l’insegnamento della lingua inglese agli immigrati di ceppo germanico, scandinavo o neolatino e ai Cinesi che incominciarono a giungere dall’Asia fin dai primi decenni del XIX secolo. Fra questi ultimi, furono soprattutto quelli di etnia Han a sbarcare sulle coste del Pacifico: nel 1848 ne erano arrivati soltanto 325, l’anno seguente un numero pressochè uguale, ma nel 1852, dopo che si era sparsa la notizia della scoperta dell’oro in California, si raggiunse il numero di 20.000 in 12 mesi. Non mancarono ovviamente quelli che si munirono di pale, setaccio e picconi per andare a scavare l’oro sulle montagne o a setacciare i corsi d’acqua, come illlustrano diverse stampe dell’epoca. Nel 1880 vi erano già 300.000 Cinesi negli Stati Uniti e nonostante la diffidenza e spesso una vera e propria discriminazione che i Bianchi mantenevano nei loro confronti, parecchi si erano creati delle solide posizioni economiche, aprendo lavanderie, negozi ed altre attività commerciali di una certa importanza. Nel 1865 la Central Pacific Railroad che costruiva la prima ferrovia transcontinentale procedendo da Sacramento, in California, verso l’Utah, ne aveva ingaggiati 50 come operai, ma nei successivi tre anni il loro numero salì a 12.000. Impiegati a scavare gallerie e costruire viadotti sulla Sierra Nevada con una paga di 31 dollari al mese, il loro rendimento venne giudicato molto soddisfacente dai tecnici della compagnia.
La prima Cinese che mise piede negli Stati Uniti fu Afong Moy, originaria di Guangxhou (Canton) dov’era nata intorno al 1819. Furono due Americani a condurla a New York nell’ottobre 1834, per presentarla al pubblico come la “Signora Cinese”. La donna, che in base agli accordi si sarebbe dovuta trattenere in America per un paio d’anni, vi rimase molto più a lungo, perché alcune notizie su di lei riferiscono che ella si trovasse ancora negli Stati Uniti nel 1850.


Afong Moy

I Cinesi fecero crescere e prosperare la propria comunità favorendo matrimoni fra persone della loro stessa etnia e in certi luoghi, come San Francisco, il quartiere di Chinatown – sorto nel 1840 quando la California era ancora soggetta alle autorità messicane – si sviluppò notevolmente in pochi anni. Dopo la guerra di secessione e particolarmente negli Anni Settanta e Ottanta era possibile trovare Asiatici in tutte le città invase dai minatori, da Deadwood nel Dakota a Tombstone in Arizona. La maggior parte di essi erano cuochi, generici di cucina e camerieri, addette alle pulizie, inservienti nei saloon o facchini d’albergo; altri gestivano lavanderie e ristoranti. Spesso i retrobottega celavano però fumerie di oppio clandestine e postriboli, dove alcune delle loro donne esercitavano la professione più antica del mondo.
Fra le Cinesi che si guadagnarono notorietà vi fu Sing Choy, chiamata anche con altri nomi, ma conosciuta comunemente come China Mary o “Lady Dragon”. Nonostante fosse attiva anche a Tombstone, in Arizona, una “Lega anti-Cinese” che relegava la gente di razza gialla in un quartiere ai margini della città, la donna-manager offriva alla cittadinanza servizi di lavanderia, procurava personale ai saloon e domestiche ai privati e teneva la gestione di un bordello più o meno legale. Nata in Cina forse nel 1841, era emigrata in America nel 1870, sposando poi il connazionale Ah Lum, comproprietario del Can Can Restaurant. In base ad un referto medico ritenuto attendibile, la donna fu stroncata da un attacco cardiaco il 16 dicembre 1906 e il suo corpo venne inumato nel cimitero di Boothill, a Tombstone.
Nei primi Anni Sessanta, mentre all’Est infuriava il conflitto fra gli Stati dell’Unione presieduta da Abraham Lincoln e la Confederazione schiavista di Jefferson Davis, la presenza femminile nell’Ovest era rimasta ancora piuttosto scarsa. Dopo gli appelli lanciati da Catharine Beecher e Elizabeth Farnham, occorreva che qualcuno si facesse promotore di iniziative più massicce per favorire l’emigrazione delle donne verso il West.
Asa Shinn Mercer, nato a Princeton, Illinois, nel 1839, aveva fondato nel Territorio di Washington, creato nel 1853 dopo essere stato scorporato dal più vasto Territorio dell’Oregon (da non confondere con Washington D.C., la capitale degli Stati Uniti che si trova al polo opposto) la prima università della regione, abitata nel 1860 da 11.600 persone. Da Seattle, dove si trovava, l’uomo concepì un piano che ricalcava quello della Farnham, ma con l’ambizione di far affluire nell’Ovest centinaia di donne. Espose la sua idea alle autorità del Territorio, non ancora organizzato come Stato, presentando dei dati già resi noti dalla Beecher, che dimostravano come nel New England la popolazione femminile superasse quella maschile di svariate migliaia di unità. La ragione era da imputare anche alla Guerra Civile, che aveva lasciato dietro di sé moltissime vedove.


Donne in viaggio verso ovest

Nel 1864 Mercer raggiunse la costa atlantica e cominciò ad organizzare incontri e conferenze, illustrando i benefici che le terre occidentali avrebbero offerto e tacendo opportunamente le difficoltà dell’impresa. La sua proposta era rivolta soprattutto alle donne che intendevano dedicarsi all’insegnamento nelle scuole. In breve tempo raccolse 11 adesioni, sufficienti a programmare il primo viaggio via mare da New York a Seattle. Il prezzo, ancora piuttosto elevato, era di 225 dollari pro capite, con le stesse garanzie promesse a suo tempo da Elizabeth Farnham.
Il tragitto prevedeva, dopo l’imbarco, la tratta da New York a Panama, il trasferimento via terra fino alle sponde del Pacifico e il reimbarco fino alla destinazione definitiva. La partenza venne fissata nel marzo 1864 e il viaggio si completò il 16 maggio, a Seattle. Quasi tutte le ragazze trovarono marito molto presto e soltanto una di esse, Ann Murphy, ci ripensò, decidendo di tornare definitivamente a Lowell, nel Massachussets, da dove era partita.
Il successo, quantunque il numero delle donne trasferite fosse esiguo, stimolò ulteriormente Mercer e convinse il governo locale, che lo esortò a proseguire nella sua campagna di reclutamento. Tornato all’Est, però, l’uomo incontrò una serie di ostacoli, perché il presidente Andrew Johnson – succeduto ad Abraham Lincoln, assassinato il 15 aprile 1865 – gli negò il finanziamento necessario e alla fine soltanto la disponibilità del generale Ulysses Grant, principale artefice della vittoria contro i Confederati, gli consentì di utilizzare per il trasporto una nave militare.
Neppure la stampa era tutta schierata con l’audace pioniere: il “New York Herald”, uno dei principali giornali dell’epoca, gli fece una pessima pubblicità, scrivendo che le ragazze sarebbero state destinate a sposare uomini anziani, mentre un giornalista accusò Mercer di “portare via giovani donne solo per il beneficio di miserabili minatori” (Dee Brown, “Lungo le rive del Colorado”, Oscar Storia Mondadori, Milano, 2002, p. 86).
Sfavorevoli al progetto si dimostrarono anche le autorità del Massachussets, ma Mercer non si scoraggiò. Si rivolse alle giovani di età inferiore ai 25 anni, offrì il prezzo decisamente stracciato di 25 dollari per l’intero tragitto e promise a tutte un impiego non appena giunte alla mèta. Reclutò così quasi 400 volontarie, fissando al 1° agosto 1865 la data della partenza, ma il massimo responsabile della marina gli mise i bastoni fra le ruote, sostenendo che Grant non avesse l’autorità di concedergli l’uso di una imbarcazione militare. Dopo una difficile trattativa, finalmente il divieto venne meno, a condizione che Mercer pagasse 80.000 dollari per l’acquisto della nave. Non disponendo della cifra, l’uomo fu costretto a rinviare l’attuazione del suo piano, sperando di trovare un finanziatore e lasciando nel frattempo aperte le iscrizioni, che alla fine di settembre erano salite, secondo quanto dichiarò egli stesso al “New York Herald”, a 650. Le lungaggini e i continui rinvii indussero però parecchie ragazze a rinunciare, sicchè il numero si abbassò drasticamente.
Asa Shinn Mercer
All’inizio del nuovo anno, quando tutto fu pronto per la sospirata partenza, lo scafo non imbarcò più di 100 donne nubili, alle quali si aggiunsero 12 coppie e una quindicina di uomini scapoli. All’ultimo momento si aggregò alla compagnia anche un agricoltore del Maine, che aveva venduto la propria fattoria per ricominciare una nuova vita all’Ovest. Tutto sommato Mercer poteva dirsi soddisfatto, perché l’imprenditore Ben Holladay, che gestiva diverse linee di trasporti terrestri, si era offerto di finanziarlo.
Il 16 gennaio 1866 la nave a vapore “Continental” salpò da New York, puntando verso il Sud America. Fra i passeggeri, vi era anche un corrispondente del “New York Times” di nome Roger Conant, soprannominato Rod, un trentenne scapolo che, come scrisse una passeggera, tentò un approccio ”un po’ con tutte le donne sulla nave”, corteggiandole insistentemente una dopo l’altra “ma sempre senza successo” (Brown, op. cit., p. 87). Come c’era da aspettarsi, i flirt nati durante il viaggio furono molteplici e qualche volta degenerarono, al punto che il comandante si vide costretto ad imporre una sorta di coprifuoco serale. Da Rio de Janeiro, dove la nave fece sosta per alcuni giorni, Conant inviò i suoi appunti di viaggio al giornale per cui lavorava, ma non si sbilanciò sulle intemperanze di cui era stato testimone e qualche volta protagonista. Avrebbe reso noto più tardi il suo diario privato, nel quale raccontava più dettagliatamente le storie d’amore – comprese le sue, vere o inventate – fiorite a bordo della “Continental”.
Mercer, il promotore dell’impresa, non fu mai simpatico né al giornalista, né a molte delle ragazze trasportate, avendo imposto una serie di limitazioni che andavano dal divieto di ballare a quello di servirsi della biblioteca di bordo. Durante la successiva tappa a Lota, in Cile, l’uomo ebbe i suoi problemi a tenere unita la spedizione, perché alcune ragazze, corteggiate dagli abitanti del luogo, non volevano saperne di reimbarcarsi. Superato anche questo intoppo, la “Continental” potè ripartire verso la California e il 25 aprile attraccò finalmente nella baia di San Francisco, accolta da una folla festante. Le donne giunte a destinazione erano meno di quelle conteggiate alla partenza, ma sempre in numero significativo.
Le persone che decisero di fermarsi nella città californiana, che superava già i 100.000 abitanti, furono 36, di cui 2 vedove, 11 uomini scapoli e 23 “unattached girls”, cioè ragazze libere da legami sentimentali. Delle rimanenti 34 che ripresero la navigazione raggiungendo Seattle il 29 maggio, 31 si maritarono (13 a tempo di record, entro il primo mese dall’arrivo) o riuscirono comunque a crearsi un’unione stabile. Fra queste, vi erano anche l’”attempata” Mary Martin, andata in sposa ad un membro dell’equipaggio, e Annie Elizabeth Stephens, una ventinovenne di Baltimora che diventò la moglie di Asa Mercer un mese e mezzo dopo lo sbarco a Seattle, poichè fra i due si era già creato un solido rapporto nel corso della lunga traversata. Ma non fu l’unico caso a fare scalpore: anche una vedova settantenne che aveva compiuto il viaggio per accompagnare la figlia, trovò marito, sposando un portiere d’albergo. (Mary Elizabeth Massey, “Women in the Civil War”, Lincoln, University of Nebraska Press, 1966, pp. 299-300). Soltanto Elizabeth Ordway, maestra di scuola per diversi anni, rimase single per propria libera scelta, perché non volle “abbandonare i privilegi della vita da nubile” (Brown, “Sulle rive del Colorado”, cit., p. 90).
Tutte le componenti femminili della spedizione riuscirono a trovare un’occupazione onesta e non furono poche quelle che, in possesso di un’adeguata istruzione, si dedicarono all’insegnamento o ad altri servizi utili alla comunità. Invece la carriera dell’intraprendente Mercer divenne in seguito piuttosto travagliata.
Trasferitosi nell’Oregon, dove cambiò vari lavori, raggiunse più tardi il Texas per dare vita e dirigere alcuni giornali dall’incerta fortuna. Nel 1883 si spostò a Cheyenne, fondando il “Northwestern Livestock Journal” che qualche anno dopo venne preso di mira e incendiato durante la Guerra della Contea di Johnson fra allevatori. Alla fine Mercer si rassegnò a condurre una vita più tranquilla, mettendosi a gestire un ranch a Hyattville, nel Wyoming, dove si sarebbe spento il 10 agosto 1917 all’età di 78 anni.
Nella sua vita aveva avuto 8 figli, dei quali 3 deceduti prima di lui. Anche la moglie Annie, una delle Mercer Girls che l’avevano accompagnato nel suo avventuroso viaggio per mare, lo aveva lasciato vedovo da tempo, essendo morta il 16 ottobre 1900 a 63 anni.