La casa-museo di Doc Holliday (con un’intervista esclusiva)

A cura di Lorenzo Barruscotto

L’interno della casa di Doc Holliday
Cos’è il West?
Sentendo questa parola tutti noi spolveriamo dai meandri della nostra memoria sensazioni, emozioni e ricordi legati ad un film, un libro o un fumetto. Ognuno di noi ha un modo diverso di approcciarsi a quel periodo crudele, selvaggio ma affascinante.
C’è anche chi sostiene che il West che è giunto fino a noi, proprio perché filtrato dalle percezioni di altri, non sia quello vero, che quello autentico non avesse nulla in comune nemmeno con l’idea più brutta, sporca e cattiva che il più pessimista degli appassionati contemporanei possa costruirsi nella mente in merito a quegli anni. Beh, come per molte cose la verità bisogna ricercarla nel mezzo tra i due estremi.
Se è vero che l’immaginario collettivo è inevitabilmente stato condizionato da scritti prima e registi poi, che i duelli non si svolgevano con i due contendenti fermi nella main street di una cittadina di Frontiera, che in quei frangenti il volume di fuoco contava come e spesso più di una buona mira, che c’era differenza tra marshal e sceriffo, che le ferite ad una spalla non erano affatto “solo un graffio” o che se non si vuole andare oltre il velo del tempo si rischia di rimanere invischiati in una serie di clichè i quali non collimano con la realtà dei fatti, è pur vero che non bisogna considerare a priori tutto un circo, un’invenzione fittizia in stile parco giochi.
D’altra parte, questo vale per svariati ambiti storiografici: anche gli antichi Romani non facevano il segno di “ok” quando si trattava di graziare un gladiatore anzi questo è un esempio nel quale la gestualità moderna ha completamente stravolto la realtà perché secondo studi neanche troppo recenti chi doveva decretare la vita o la morte nell’arena dopo lo scontro, se uno degli avversari era ancora vivo, usava sì il pollice ma con un significato contrario a quello che noi tutti pensiamo. Era per dire “uccidilo” che si teneva il pollice in su, dal momento che stava a significare “usa la tua spada” (o daga che dir si voglia), mentre quando il guerriero sconfitto si era dimostrato meritevole di magnanimità si volgeva il pollice in basso come a voler simulare che la lama dovesse venire rimessa nel fodero.
Come molti sapranno, ok deriva invece da “zero killed”, cioè nessuno ucciso, resoconto giornaliero diffuso negli accampamenti della Guerra Civile americana, quindi giusto qualche annetto dopo il tempo di signori della guerra, dei dell’Olimpo e legionari che si beccavano schiaffoni da Asterix e Obelix.

A parte questa digressione aggiunta allo scopo di darvi un’idea, tornando alle nostre praterie, specialmente negli ultimi decenni anche i racconti sul West, cartacei o “di celluloide”, hanno riscoperto la necessità di seguire maggiormente gli eventi in un contesto realistico, più vero rispetto al solamente verosimile, ovviamente però sempre dovendo sottostare a regole e limitazioni oggettivamente non evitabili.
Voglio dire, a nessuno che non sia uno appassionato di storia fino all’osso o un ficcanaso (o entrambi come il sottoscritto) interessa se un famoso pistolero soffriva davvero di mal di denti ed uno spettatore non vuole pagare il biglietto per vederlo affrontare il barbiere/cavadenti di turno con il solo aiuto di mezza bottiglia di whisky ed un robusto paio di tenaglie, men che meno si vuole conoscere la realtà delle conseguenze di una vita passata in sella a discapito di determinate parti del corpo… credo di avere reso l’idea.
Quando mito e storia si mescolano, non sempre si riesce a ritrovare la pista giusta e talvolta si viene influenzati dalla leggenda: il trascorrere dei decenni ingloba persone ed eventi come una nebbia.

Ne costituisce un illustre modello John Henry Holliday, il “Doc” amico di Wyatt Earp, ex dentista e giocatore d’azzardo, vissuto sempre sfidando il destino e la morte, quella morte che si portava dentro rappresentata dalla tubercolosi.
Tralasciando i pareri, positivi o negativi, sulla controversa figura del gambler, anche perché possono essere facilmente travisati ed interpretati individualmente (a volte in modo razionale mentre altre si tratta di meri “discorsi da saloon” che lasciano il tempo che trovano senza fondarsi un minimo su fatti veri e dimostrabili), molto meglio basarsi su qualcosa di solido e tangibile.
E cosa c’è di più tangibile di una casa, per di più una casa grazie alla quale mito e storia si uniscono?
Quella che vi propongo qui di seguito è un’intervista esclusiva, per l’Italia di sicuro ma oserei dire per l’Europa, suona altisonante ma credo proprio che sia così e se continuerete nella lettura comprenderete il perché, che sono riuscito ad ottenere da parte di miss Susanna Dover Harris, proprietaria dell’abitazione che è stata la dimora da bambino di John Henry Holliday.
(Per ovvie ragioni è passato un po’ di tempo da quando ho iniziato ad interessarmi ed a contattare miss Susanna.)

INTERVISTA ESCLUSIVA A SUSANNA DOVER HARRIS

Ciao. Grazie per il tuo tempo e la tua gentilezza.
DOMANDA – Ho scoperto l’esistenza della casa grazie ad un post che hai pubblicato nel gruppo su Facebook relativo a Doc Holliday dove hai spiegato di aver acquistato la sua “vecchia” abitazione a Valdosta, in Georgia, e che volevi rinnovarla per creare un museo a lui dedicato. Puoi dirci qualcosa di più in merito? La casa sarà un museo pubblico o una struttura privata? Sarà finito e aperto a dicembre (2019)?

RISPOSTA – La casa che abbiamo acquistato il 14 agosto 2018 (per coincidenza, il compleanno di Doc) sarà la nostra casa privata. Il restauro ed il rinnovamento interno insieme a diverse aggiunte sono ora completi. Il cortile e l’area della piscina sono attualmente in costruzione mentre abbiamo rimosso una più grande piscina (malandata ed antica). Nel dicembre 2019, abbiamo aperto le porte alla comunità per un tour della casa.

DOMANDA – Puoi dire ai nostri lettori perché proprio Doc Holliday? In che modo lo spirito del famoso giocatore d’azzardo, della sua leggenda, è ancora vivo a Valdosta?

RISPOSTA – Per una città ferroviaria un tempo assonnata nella Georgia del sud, è sempre stato un punto di fascino locale che una leggenda come John Henry Holliday avesse legami con la zona. È nato più a nord di qui, ma ha trascorso la sua adolescenza a Valdosta. Suo padre rimase qui per molti anni fino alla sua morte. C’è anche una bella mostra presso la “Società e Museo storico della contea di Lowndes”, attrazione locale sulla vita e la storia di Doc a Valdosta.

DOMANDA – Possiamo sapere qualcosa sulla casa? Le stanze, come appare la sua struttura e tutto ciò che ritieni interessante e che desideri condividere. Quando e per quanto tempo ha vissuto Doc a Valdosta?

RISPOSTA – La casa stessa fu costruita nel 1860: in origine era una fattoria situata subito fuori Valdosta. Doc visse da queste parti con la sua famiglia tra il 1864 e il 1872 circa. Ci tornò anche per un breve periodo dopo la laurea. Si trasferì all’Ovest a causa della sua battaglia contro la tubercolosi, che probabilmente contrasse da sua madre. La casa fu occupata almeno fino al 1891 dalla famiglia Holliday. Successivamente è passata di mano numerose volte.

DOMANDA – Ci sono alcuni dettagli specifici per chiunque sia appassionato del vecchio West e di storia?

RISPOSTA – In origine la casa era interamente in legno con cornici di rivestimento. Nel corso degli anni in cui sono stati aggiunti elettricità e impianti idraulici, i muri sono stati racchiusi in sheetrock (cartongesso) e aggiunte modanature. La dependance originale della cucina era attaccata al retro della casa, convertita in ulteriore spazio abitativo negli anni ’80. Esistono ancora i pavimenti originali in legno di pino nella sala da pranzo, le cappe del camino sono piallate a mano e non sono mai state pitturate, e ci sono molte finestre e quadri autentici.

DOMANDA – Potresti mandarci alcune foto come una sorta di anteprima dell’interno, anche solo di un’area particolare, se preferisci, di una stanza e dell’esterno?

RISPOSTA – Sicuro. Allegherò le foto alla mail, scattate direttamente dal mio telefono. (Sono quelle che potete vedere nell’articolo)

DOMANDA – La casa avrà un nome?

RISPOSTA – La casa è sempre stata chiamata “The Doc Holliday House”, manterrà quello.

DOMANDA – Cosa dovrebbero sapere le persone per visitare Valdosta e la tua casa? Ci sarà un sito Web o una pagina social per avere qualche informazione in più su di essa, come l’indirizzo e l’organizzazione?

RISPOSTA – La casa non sarà abitualmente aperta al pubblico in quanto è stata acquistata per essere una casa privata. Tuttavia, intendiamo intrattenere periodicamente e aprire regolarmente le nostre porte in quanto è una parte affascinante della storia della contea di Lowndes.

Per meglio comprendere le parole della gentile miss Susanna, bisogna fare qualche precisazione.

Valdosta è il capoluogo della contea di Lowndes, Georgia. Attualmente è la quattordicesima città più grande della Georgia. Viene chiamata Azalea City, poiché in quell’area il fiore cresce in modo assai diffuso. La città ospita un festival annuale dell’azalea a Marzo.
La Lowndes County si trova lungo il confine georgiano con la Florida. Parte della Grand Bay, una palude di 13.000 acri (53 chilometri quadrati circa), è inclusa nel suo territorio.
Il museo menzionato nell’intervista è il “Lowndes County Historical Society Museum” che ha un sito nel quale si può leggere una pagina dedicata alla vita di Doc, vi troverete anche le immagini dei suoi genitori, ed alla sua attività di dentista con tanto di tariffario per le prestazioni ambulatoriali.
Questo è il link: http://valdostamuseum.com/exhibitions/ .

Ovviamente non si può dimenticare il motivo per cui tutti conoscono Doc, vale a dire la sparatoria all’Ok Corral, al fianco dei fratelli Earp, i quali fronteggiarono un gruppo di Cowboys, banda di fuorilegge, assassini e ladri di bestiame (comunque la pensiate su Holliday e Wyatt Earp si trattava davvero di terribili fuorilegge con dita di pelo sullo stomaco dai modi spietati, tanto che in quelle aree lo stesso termine “cowboy” acquistò un’accezione negativa diventando sinonimo di farabutto) a Tombstone in uno scontro a fuoco durato solamente 30 secondi ma i cui spari non hanno mai smesso di riecheggiare, conflitto che portò ad una cascata di violenza in seguito alla quale un fratello del celebre Wyatt Earp, Morgan, rimase ucciso in un attentato ed un altro fratello, Virgil, all’epoca Marshal della città, ebbe un braccio paralizzato per via delle ferite e che sfociò nell’altrettanto famosa “Vendetta ride”, una lunga cavalcata della vendetta da parte di Wyatt, e Doc al suo fianco naturalmente, per chiudere i conti con i loro avversari.

La scuola che Holliday frequentò è il “Pennsylvania College of Dental Surgery” (surgery significa chirurgia), si ritiene fondata tra gli altri da suo cugino Robert nel 1856, che potrebbe averlo spinto verso quella strada. Lo stesso zio di John Henry aveva prestato servizio come chirurgo durante la Guerra Civile. Doc si laureò il 1 marzo 1872, due anni dopo la sua iscrizione, e gli venne conferito il titolo di “Doctor of Dental Surgery”. Poco dopo iniziò a praticare la professione in uno studio di Atlanta.
Il Pennsylvania Dental College costituiva l’orgoglio di Filadelfia ed era la seconda più antica scuola di odontoiatria operativa negli Stati Uniti, in attività fino al momento della sua chiusura nel 1909. Dalla facoltà derivò ciò che sono oggi le scuole dentali della Temple University e della University of Pennsylvania.
In un periodo storico del tutto privo di “quote rosa”, questa sede universitaria costituiva un’eccezione che merita di essere sottolineata. Henriette Hirschfeld-Tiburtius, originaria della Germania, divenne la prima donna a frequentare un corso universitario completo di odontoiatria. Henriette si laureò nel 1869.
Come detto Doc era nato a Griffin, contea di Spalding, Georgia, il 14 agosto 1851 ma visse la sua giovinezza a Valdosta. Quando aveva 15 anni sua madre, Jane McKey Holliday, morì di tisi, come se la malattia costituisse un’oscura maledizione che gravava sulla sua famiglia.
Holliday trascorse gran parte della sua infanzia a Valdosta ed ebbe molti legami familiari radicati in quest’area (suo padre Henry Burroughs Holliday fu anche sindaco di Valdosta). Alcuni dei suoi parenti alla lontana vivono ancora nella contea di Lowndes. Fu uno dei primi studenti dell’Istituto Valdosta, una scuola privata che gli fornì una forte educazione classica in matematica, grammatica, storia, latino e francese.
Dopo la laurea, rimase qualche tempo nella cittadina come apprendista del Dr. Lucian Fredrick Frink.

Diversi anni fa, in un documento ufficiale della contea di Lowndes, venne perfino rinvenuta una certificazione del lavoro di Doc Holliday dove c’era il conto di una prestazione chirurgica che comprendeva anche l’estrazione di ben tre denti ad una signora del posto, una certa Corinthia Morgan: 21 dollari totali da pagare al tirocinante dottor Holliday.
In seguito, si trasferì temporaneamente dapprima ad Atlanta con l’intento di iniziare la sua carriera, anche se poi non fu quello il suo “ramo”, per quanto inizialmente, sperando che il clima nel sud-ovest americano alleviasse i suoi sintomi, si diresse nel West stabilendosi in un primo momento a Dallas, Texas, lavorando in uno studio dentistico con il collega georgiano John A. Seegar.

Ormai lo sappiamo, non ci sono certezze assolute sulle fotografie che avrebbero immortalato John Henry Holliday nei turbolenti anni in cui la sua fama di “gunman” (anzi di “gunslinger”, cioè di avventuriero che ci sapeva fare con la pistola, perché per quanto fosse un uomo con luci ed ombre, non era un volgare bandito né un pistolero prezzolato) lo precedeva ovunque andasse, sebbene anche in questo caso la realtà abbia lasciato il passo al mito, per non parlare dell’ultimo periodo della sua burrascosa esistenza, quando ormai era provato dalla tubercolosi. In effetti ci sono solamente due immagini che mettono d’accordo gli storici, le sole accettate negli studi più rigorosi. Potete vederle sotto forma di ritratti realizzati da chi vi scrive.
Wyatt Earp parlando di Holliday affermò che lo riteneva, testuali parole: “…un amico leale ed un buon compagno. Era un dentista che la necessità aveva trasformato in un giocatore d’azzardo, un gentiluomo la cui malattia aveva reso un vagabondo, un filosofo la cui vita lo aveva fatto diventare uno ‘spirito caustico’, un tipo biondo e longilineo mezzo morto di consunzione ma allo stesso tempo il più abile gambler e con una pistola in mano l’uomo più ardito, rapido e letale…” che avesse mai conosciuto. Ovviamente il giudizio è un po’ di parte ma se non è una conferma della stima reciproca questo, non so cosa potrebbe esserlo.
Un particolare non noto a tutti è proprio che in realtà Doc non era un uomo dai capelli corvini ma biondi, quanto meno chiari, particolare confermato anche da altri testimoni, come la moglie di Virgil Earp.

Non è esplicito se pensando di fargli un favore, ma i suoi amici più cari, Wyatt Earp in testa, hanno ripetuto racconti esagerati a giornalisti e potenziali autori che dal canto loro, in stile “dime novels”, non si sono fatti problemi ad aggiungere storie anche gonfiate per rendere i loro pezzi più sensazionali. A causa della sua cattiva reputazione, la famiglia in Georgia rinnegò Doc.
Non importa che lo consideriate un furfante o se siate tra coloro che guardano a quest’uomo complicato ma leale con occhi più benevoli. Queste sono realmente alcune sue parole, io mi limito a tradurle: “… i miei ricordi dell’Arizona non sono così brutti come li si sono voluti rappresentare. Tutto quello che voglio è essere lasciato in pace, non aspiro ad essere una persona cattiva.” Dichiarazione fatta nel settembre del 1883 a Leadville, Colorado, ad un reporter del “Denver Tribune”.
Purtroppo il demone che lo consumava interiormente, da cui derivava il suo modo di vivere sempre al limite e che lo aveva obbligato a guardare la morte in faccia ogni giorno, tanto da renderlo sprezzante e spavaldo nei confronti della stessa vecchia signora con la falce, nonché di fronte ai pericoli di un’intera esistenza avventurosa, lo vinse inesorabilmente: John Henry Holliday si spense a Glenwood Springs nell’Hotel Glenwood l’8 novembre 1887.
Si dice che le sue ultime parole furono: “…questo è divertente”.

Bizzarra curiosità da intenditori: cos’hanno in comune Margaret Mitchell, autrice di “Gone With The Wind” (Via col vento) ed il famoso Doc Holliday? Presto detto.
Miss Mitchell ha basato il personaggio di Melanie Hamilton su Martha Ann “Mattie” Holliday. Martha divenne Suor Melanie dopo essersi unita all’Ordine delle Sorelle della Misericordia. Sorella Melanie era cugina di primo grado ed amica intima di Doc che non aveva fratelli viventi, per questo lui e sorella Melanie mantennero una corrispondenza piuttosto fitta per tutta la vita. Da Jonesboro, Martha Holliday (sorella Melanie) con sua madre ed i suoi fratelli si rifugiarono a Valdosta nella fattoria di Henry B. Holliday (padre di Doc) dall’ottobre 1864 fino alla fine della Guerra Civile.
Philip Fitzgerald, zio di Robert Kennedy Holliday (cioè a sua volta uno degli zii di Doc) era il bisnonno della scrittrice Margaret Mitchell. Degli otto bambini nati da Robert Kennedy Holliday e sua moglie c’era infatti Martha Anne “Mattie” Holliday.


Doc Holliday nella sua casa

Doc aveva 36 anni quando morì ma la sua leggenda riecheggia ancora oggi tra i canyons della Storia, in quella zona grigia dove alcuni uomini diventano personaggi del mito ed i racconti diventano narrazioni immortali.

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