Le guerre Cheyenne – 5

A cura di Pietro Costantini
Tutte le puntate dell’articolo: 1, 2, 3, 4, 5.

La Battaglia di Soldier Spring
«Qualche giorno venne necessariamente perso per riorganizzare e riequipaggiare il reggimento del Kansas dopo la dura esperienza nei Canyons del Cimarron. Al termine di queste operazioni, il 7 dicembre la spedizione, dotata di razioni per 30 giorni, si mosse verso sud sotto il mio personale comando.»
– Maggiore Generale Phillip H. Sheridan.
Custer aveva ottenuto la sua vittoria, ma la guerra di Sheridan contro i Cheyenne continuava. Dopo aver dimostrato che la campagna invernale nelle Pianure poteva essere un successo, Sheridan ora era convinto che «se possiamo fare uno o due buoni colpi non ci saranno più problemi con gli Indiani nel mio Dipartimento.» Era ansioso di dare un seguito al successo di Custer.
Clara Blinn
Tuttavia le condizioni del viaggio erano troppo dure per gli uomini e i cavalli dell’esercito. La cavalleria del Kansas aveva perso la maggior parte dei cavalli – ora operava principalmente come fanteria – e i soldati di Custer avevano bisogno di riposo e rifornimenti. Sheridan concesse al 7° Cavalleria solo pochi giorni di riposo, quindi, il 7 dicembre, si mise in movimento verso la valle del Washita con una colonna di 1.500 uomini (comprensivi della cavalleria di Custer e truppe del Kansas). Il secondo giorno di marcia, una grande bufera soffiò dal nord, ma le truppe continuarono la marcia. Sheridan raggiunse la valle del Washita il 10 dicembre. Il giorno dopo vennero ritrovati e sepolti i corpi mutilati di Elliott e dei componenti il suo distaccamento. Sheridan esaminò anche i siti degli altri villaggi che si trovavano a valle rispetto all’accampamento di Black Kettle. Si stimò che i campi abbandonati avessero contenuto dalle 600 alle 1.000 tende. In uno dei villaggi vennero rinvenuti i corpi di Clara Blinn (che era stata rapita) e del suo figlioletto di due anni. Nonostante le atroci condizioni meteorologiche, il 12 dicembre Sheridan trovò una traccia degli Indiani e riuscì a riprendere l’inseguimento.
La traccia condusse la colonna di Sheridan verso Fort Cobb. Dopo la battaglia del Washita, la maggior parte degli Arapaho, Comanche e Kiowa considerava la campagna invernale come una guerra diretta solamente contro i Cheyenne. Quindi quelle tribù avevano spostato i loro villaggi a Fort Cobb, richiedendo ad Hazen protezione e razioni. Il 17 dicembre Sheridan capitò su una grande villaggio Kiowa, che si arrese immediatamente. Sheridan accettò la resa, anche se sospettava fortemente che i Kiowa avessero partecipato ai combattimenti contro Custer. Dubitando della sincerità del desiderio di pace espresso dalla gente Kiowa, Sheridan trattenne i capi Lone Wolf e Satanta in ostaggio. Poi diede ordine che il loro villaggio fosse trasportato a Fort Cobb. Nella settimana successiva i Kiowa non andarono a Fort Cobb, per cui Sheridan minacciò di impiccare gli ostaggi se il loro popolo non avesse obbedito. La minaccia ottenne l’effetto desiderato e, alla fine, la maggioranza dei Kiowa si aggregò all’agenzia. Tuttavia molte tribù continuarono a disobbedire agli ordini del governo, giocando a rimpiattino con le altre colonne di Sheridan il cui ruolo era di raccogliere i riottosi. Il 2 dicembre la colonna di Fort Lyon di Carr aveva marciato verso sud in mezzo a una tremenda bufera invernale. Combattendo con il terreno accidentato e il tempo avverso, la truppa di Carr non arrivò al fiume Canadian fino al 28 dicembre. Non aveva incontrato Indiani ostili, ma probabilmente aveva giocato un ruolo nello spingere gli Indiani verso l’area dove si trovava la terza colonna di Sheridan, guidata da Evans. La colonna di Evans era partita da Fort Bascom, in New Mexico, il 18 novembre, con sei compagnie del 3° Cavalleria, una compagnia formata da elementi del 37° Fanteria e una batteria di artiglieria con quattro obici da montagna; in tutto 563 uomini.


Mappa 38

A inizio dicembre Evans stabilì un campo base sul fiume Canadian, vicino a Monument Creek. Il 15 dicembre partì dal campo, lasciando indietro un piccolo distaccamento, la maggior parte dei carri e tutte le tende. Due giorni dopo, a circa 18 miglia ad est delle Antelope Hills, scoprì tracce di Indiani e le seguì finché il 20 dicembre raggiunse la forca nord del Fiume Rosso.

Mappa 39. La Forca Nord del Fiume Rosso

«Le mie istruzioni scritte non erano restrittive e lasciavano una sufficiente libertà d’azione, essendo le direttive generali che io dovessi procedere lungo il Canadian il più lontano possibile e attaccare tutti gli Indiani che incontrassi.»
– Maggiore Andrew Evans


Segnali di fumo – dipinto di Robert Tate

Inizialmente Evans era dubbioso di aver preso la decisione giusta dirigendosi a sud. Gli ordini ricevuti erano di spostarsi ad est lungo il Canadian. Avere guide non pratiche della regione era un ostacolo aggiuntivo nel decidere come procedere. Comunque, ben presto divenne chiaro che si trovava sulle tracce di diversi accampamenti indiani e quindi prese la decisione di continuare la caccia. Le tracce erano mischiate, ma i segni più recenti puntavano ad un campo di diverse centinaia di tende. Evans non era preoccupato della possibilità che le sue poche truppe potessero essere sovrastate in numero dai guerrieri ostili. D’altro canto era invece molto più preoccupato che, se gli Indiani fossero venuti a contatto con la sua colonna e ingaggiato un combattimento, le sue esauste truppe non sarebbero state in grado di catturarli. La colonna era carente in foraggio e granaglie per cavalli e muli. Ogni giorno questi diventavano più deboli e molti crollavano e morivano per la fame e la stanchezza. Il 22 dicembre tutte le sue compagnie di cavalleria avevano ciascuna una decina di uomini che camminavano con i carri delle provviste. I quattro gruppi di carri avevano difficoltà a tenere il passo e gli stessi carri avevano frequenti guasti a causa del terreno aspro e gelato.
Il 23 dicembre Evans giunse ai contrafforti occidentali dei monti Wichita. Qui la Forca Nord del Fiume Rosso piegava a sud est attraverso le montagne. Le sue guide scorsero dei segnali di fumo sui monti ed egli a denti stretti ammise: «Sembrava evidente che un attacco di sorpresa contro qualunque villaggio non sarebbe stato praticabile, anche se nelle vicinanze se ne fosse trovato uno, cosa che non si supponeva.» Ciò nonostante, decise di continuare la caccia.
Evans poteva vedere che le tracce degli Indiani seguivano il fiume nell’aspro canyon ed era riluttante a portare i suoi cavalli esausti su quel terreno così infido. Quindi Evans progettò di seguire la traccia dal lato sud delle montagne per riprendere l’inseguimento. In quel momento Evans pensava che gli Indiani fossero parecchi giorni di cammino davanti a lui. Sfortunatamente la Forca Nord era larga e con acque basse o in secca. Questo rendeva difficile alle guide seguire il corso principale del fiume nella vasta prateria ghiacciata. A sud della montagna le guide persero le tracce e finirono per seguire un anonimo corso d’acqua verso sud. Evans ben presto si rese conto che non stavano più seguendo la Forca Nord e fece svoltare la truppa ad est, sperando di incrociare sia il fiume che le tracce degli Indiani. Per tutto il giorno le guide videro piccoli gruppi di Indiani che osservavano da vicino la colonna nei suoi movimenti. La colonna coprì circa 12 miglia prima di ritrovare di nuovo il corso del fiume. Evans costeggiò il fiume per altre due miglia, ma non vi era nessun segno che indicasse le tracce da seguire. A questo punto il fiume non era niente più che sabbia ghiacciata con solo poche pozze d’acqua alcalina, inutilizzabile. Evans decise di tornare alle montagne per cercare l’acqua di cui la spedizione necessitava.


Mappa 39

Nel tardo pomeriggio del 24 scopri alcune pozze d’acqua in una gola. Le truppe raccolsero rapidamente l’acqua e poi proseguirono la marcia finché venne buio. Quel giorno l’esausta unità aveva percorso 27 miglia. I soldati posero il campo in uno spiazzo pieno di tronchi d’albero, senza altro riparo o giaciglio che le coperte delle selle. Quella notte un deluso Evans si rendeva conto di aver perso le tracce degli Indiani.

Mappa 40. La decisione del mattino di Natale

«Determinato a non trascurare più a lungo questi individui che sembravano osservarci, distaccai subito al loro inseguimento il maggiore Tarlton con la sua compagnia, che si trovava in testa alla colonna; e supponendo che non ci fossero forze nemiche nelle nostre vicinanze, procedetti risalendo il fiume con il resto della truppa in cerca di un posto per accamparci, essendo mia intenzione, in vista del peggiorare del tempo ed essendo il giorno di Natale…di effettuare una marcia breve, restando sulla traccia principale e seguirla poi tutta la notte.»
– Maggiore Andrew Evans
Il mattino di Natale Evans riprese la ricerca delle tracce degli Indiani in mezzo a un vento impetuoso e a una neve copiosa. La sua situazione era disperata; i soldati erano molto infreddoliti e i cavalli stavano morendo. Le scarse riserve di cereale della colonna erano esaurite e non c’era foraggio disponibile nella prateria gelata. Le compagnie di cavalleria contavano ora in media 30 uomini ciascuna, con almeno 20 uomini per compagnia che camminavano accanto ai carri avendo perso i cavalli. Evans decise di fare il campo al più presto per poter esaminare le opzioni disponibili.
Il capo Kiowa Manyi-ten (Cuore di donna)
Evans aveva intenzione di usare i rialzi e i boschi lungo il fiume per fornire un riparo agli uomini. Il maggiore era determinato a far riposare la truppa per tutto il giorno e poi riprendere l’inseguimento quella notte con la copertura delle tenebre. Mentre la colonna marciava da sud, le guide riferirono la presenza di due Indiani vicino al fiume.
Evans ordinò alla compagnia di testa, comandata dal capitano (col brevetto di maggiore) Elisha Tarlton, di scacciare gli Indiani. Evans continuò con il resto della colonna per allestire il campo alla base dell’odierna King Mountain. Lì i soldati dissellarono i cavalli, liberarono i muli dal carico e fornirono un po’ di foraggio agli animali spogliando i cespugli lungo la riva.
All’insaputa di Evans e dell’ignaro Tarlton, nella zona si trovava un numero significativo di Indiani ostili. Vicino all’estremità orientale delle montagne, nascosto in un boschetto, c’era un accampamento Comanche. Altre cinque miglia più a est, alla confluenza di Elk Creek e della Forca Nord, c’era una banda Kiowa comandata da Cuore di Donna. I Kiowa avevano partecipato alla battaglia nel villaggio di Black Kettle, ed erano fuggiti a sud dopo la battaglia del Washita. Il villaggio Comanche, di circa 60 tende, era la banda di Dorso di Cavallo, uno dei firmatari del Trattato di Medicine Lodge. Dorso di Cavallo, come lo sfortunato Black Kettle, era un difensore della pace che aveva tentato senza successo di impedire alla sua banda di razziare nel Texas. Sembra che egli avesse portato i famigliari più stretti a Fort Cobb per evitare le ostilità. Capo di guerra del villaggio era in quel momento Punta di Freccia. Il governo aveva ordinato ai Kiowa e ai Comanche di recarsi all’agenzia di Fort Cobb e quindi, poiché la gente di Punta di Freccia e Cuore di Donna era rimasta fuori dall’agenzia, l’esercito l’aveva classificata come “ostile”. Gli esploratori di Punta di Freccia avevano avvistato la colonna di Evans il 23 dicembre. Il suo campo era ben fornito di provviste invernali e avrebbe avuto difficoltà a spostarsi a causa delle condizioni dei cavalli, che erano molto deboli. Quindi egli prese la decisione di restare nascosto, nella speranza che i soldati sarebbero passati oltre.


Mappa 40

La decisione di Evans di tornare verso i monti e l’avvistamento degli esploratori sconvolsero il piano di Punta di Freccia di restarsene tranquillo. Quando vide gli uomini di Tarlton avvicinarsi al villaggio, egli uscì in fretta con i sui guerrieri per dar tempo al villaggio di fuggire.

Mappa 41. Si apre il fuoco a Soldier Peak

«Essi fuggivano, andando anche in due o tre su un cavallo, quando due granate sparate da un piccolo obice da montagna scoppiarono in mezzo a loro.»
– 1° Tenente Edward Hunter

Tarlton attraversò il fiume e approdò sulla riva nord, poi si diresse a sud est parallelamente al corso del fiume. La sua piccola compagnia contava meno di 40 uomini. I guerrieri di Punta di Freccia si scontrarono con la compagnia di Tarlton a circa due miglia ad est del villaggio e, in un primo momento, riuscirono a respingere i soldati. Più tardi Tarlton riferì che «un grosso gruppo di Indiani…lo aveva assalito con lance, fucili e pistole.» Subito Tarlton inviò una richiesta di aiuti. Evans era stato spiazzato dal rumore degli spari che proveniva dalla zona a valle e dalla richiesta del suo subordinato “per battere gli Indiani.” Comunque mandò in avanti le compagnie del capitano Deane Monahan e del capitano William Hawley e preparò il resto della colonna per unirsi al combattimento. Al comando di tre compagnie, ora Tarlton riprese l’offensiva e respinse pin piano gli Indiani. La battaglia era il classico combattimento della maggior parte delle guerre indiane: una scaramuccia a lungo raggio con entrambe le parti riluttanti ad avvicinarsi e a subire perdite. Questi combattimenti sono stati descritti da veterani delle Guerre Indiane come “pittoreschi” ma di solito “inconcludenti”. I guerrieri indiani cavalcavano in circolo sotto la linea di fuoco dei soldati dimostrando il loro valore, cercando di impaurire i soldati per rallentare la loro avanzata, ma guardandosi dall’avvicinarsi troppo ai soldati per evitare perdite. D’altro canto, la forza dei militari stava nella disciplina e organizzazione.
Le piccole compagnie di cavalleria smontarono per combattere, con un uomo su quattro a badare ai cavalli. Combattevano in una linea diradata, con 5 metri di distanza circa fra un soldato e l’altro. La carabina Spencer cal. 50 dei soldati, con sette colpi a ripetizione, era una buona arma, ma il suo raggio di tiro era, al massimo, di circa 300 metri. La scarsa abilità nel tiro delle truppe provocò poche perdite al nemico quando la mira era rivolta ai fugaci obiettivi rappresentati dagli Indiani al galoppo. Ciascun soldato aveva con sé una cinquantina di cartucce e altrettante nella borsa della sella. Quindi la preoccupazione di Tarlton per un combattimento prolungato erano le munizioni; la sua unica fonte di rifornimento stava nei carri, lontani alla retroguardia.
Gradualmente i guerrieri retrocedevano sul campo aperto che stava ad ovest del loro villaggio, dove aumentarono la resistenza per proteggere il ritiro delle loro famiglie. Il capo Punta di Freccia ricevette una ferita mortale alla bocca, e fu l’unica vittima indiana nota in quello scontro. I Comanche ebbero parecchi cavalli uccisi. Anche Tarlton perse diversi cavalli, ma non ebbe perdite tra i soldati. Durante questa fase del combattimento, il tenente Edward Hunter, aiutante di Evans, piazzò due obici da montagna e li posizionò a circa 900 metri dal villaggio, distanza che era entro il loro raggio di tiro. Una volta in posizione, i due obici spararono due colpi nell’accampamento indiano. Il primo colpo non provocò nessuna esplosione, mentre il secondo ebbe un effetto drammatico sugli Indiani. Gli occupanti del villaggio erano indaffarati a raccogliere i loro averi quando furono sparati i colpi d’artiglieria; allora abbandonarono la maggior parte delle loro cose e corsero via in preda al panico per salvarsi.


Mappa 41

Il fuoco d’artiglieria disperse anche la mandria dei cavalli indiani e gli ultimi Indiani rimasti fuggirono montando talvolta in tre o quattro su un cavallo. Molti di quelli che avevano perso i loro cavalli scalarono le alture rocciose sul lato nord del villaggio.

Mappa 42. Il maggiore Tarlton invade il villaggio

«L’unità allora avanzò nel villaggio e oltre, respingendo gli Indiani al di là del boschetto, sul un crinale, con la battaglia che divampava ovunque. Subito il tenente Hunter mi mandò notizia della sua vittoria ed era ansioso di sospingere gli Indiani ancora più indietro, ma fu fermato dal maggiore Tarlton, che nel frattempo aveva occupato l’altura, determinato ad aspettare il mio arrivo. Questa era una posizione eccellente, per il fatto che gli Indiani avevano cominciato ad arrampicarsi sulle rocce soprastanti e sulla sua sinistra, disturbando i suoi uomini…Gli Indiani dimostravano la loro abilità di cavalieri galoppando in cerchio a fianco dei cavalli e sventolando gli scudi.»
– Maggiore Andrew Evans


“Carica di cavalleria” – dipinto di William T. Trego

Soddisfatto dell’operato del fuoco dell’artiglieria, Tarlton diede ordine alle tre compagnie di effettuare una carica di cavalleria. Considerate le condizioni del cavalli del 3° Cavalleria, probabilmente non fu una carica formidabile. Ciò nonostante gli spossati cavalli dell’unità riuscirono a trovare la forza di portare i loro cavalieri dentro il villaggio. Le truppe di Tarlton entrarono nel villaggio con le pistole in pugno e i guerrieri Comanche fuggirono ad est. Nel villaggio catturato, dentro il boschetto, Tarlton fece smontare gli uomini, formando una linea di battaglia, e li condusse a piedi sull’altopiano a nord est dell’accampamento. I soldati che tenevano i cavalli rimasero nel villaggio per mantenere il controllo della conquista appena effettuata. La linea di battaglia dei soldati si pose al riparo vicino a una serie di grandi rocce di granito che arrivavano fuori dall’altura, assumendo una posizione ad arco con sulla sinistra l’altopiano roccioso e sulla destra la riva del fiume North Fork.
Da dietro le rocce gli uomini di Tarlton ingaggiarono il combattimento con i guerrieri che, effettuando una manovra circolare, erano tornati indietro per riprendere la battaglia. Questi Indiani avevano preso posizione in una gola boscosa a circa 300 metri dal fronte dei soldati, in cui un piccolo corso d’acqua scorreva da Soldier Spring al fiume. Da questa gola gli Indiani esercitavano sulla linea di battaglia dei soldati un fuoco di disturbo con i fucili. Ogni tanto i guerrieri saltavano fuori dai loro ripari in audaci prove di coraggio. In queste azioni essi dimostravano il loro valore cavalcando parallelamente o verso la linea dei soldati, agitando gli scudi e lanciando insulti ai nemici. Questo sembrava incoraggiare i soldati ad abbandonare la zona protetta per riprendere l’avanzata. In realtà il vero scopo era di trattenere i soldati per dare tempo alle famiglie di allontanarsi il più possibile. Per tutto questo animato combattimento, la poca abilità di tiro dei soldati, che non riuscirono a colpire nessun Indiano, abbattendo niente più che qualche cavallo, fu pareggiata dagli Indiani che non riuscirono a causare alcuna perdita fra i nemici. Essendosi impossessato del villaggio abbandonato, Tarlton era contento di rimanere sulla difensiva e aspettare l’arrivo di Evans con il rimanente della colonna. Ma cominciò a preoccuparsi quando i Comanche ricevettero sostanziosi rinforzi e minacciarono di circondare la sua posizione.


Mappa 42

Egli aveva notato che nella battaglia si erano aggiunti molti guerrieri, che stavano manovrando a sud del fiume. Se avessero attraversato il fiume dietro di lui, avrebbero costituito una seria minaccia al suo fianco destro e ai guardiani dei cavalli alla retroguardia. Questi nuovi arrivati erano per lo più Kiowa del villaggio di Cuore di Donna, ubicato diverse miglia ad est. I guerrieri Kiowa avevano udito il suono del cannone ed erano venuti a portare aiuto ai Comanche.

Mappa 43. La vittoria di Evans

«Raggiunsi il villaggio, spingendomi avanti con le compagnie C e D del 3° Cavalleria, lasciando indietro la fanteria che avanzava con la restante sezione della batteria, in tempo per prevenire un’irruzione nell’accampamento da una parte degli Indiani, che allo scopo avevano fatto un lungo giro attorno all’ansa del fiume sulla destra, per piombare sulla retroguardia del maggiore Tarlton.»
– Maggiore Andrew Evans.
I Kiowa avanzavano da est a cavallo, guadando il fiume, e presero posizione minacciando il fianco e la retroguardia di Tarlton. L’arrivo di Evans, che con le sue truppe bilanciava numericamente il nemico, mise al sicuro la linea di fuoco di Tarlton. Evans fece manovrare due compagnie di cavalleria sulla riva del fiume per proteggere il fianco destro e mandò sulla sinistra la compagnia di fanteria. Gli Indiani tentarono di lanciarsi contro i fianchi rinforzati delle truppe. Qualcuno corse a nord est verso la sorgente. Altri cavalcarono a sud ovest lungo il fiume. Ma il fuoco serrato dei soldati scoraggiò gli Indiani, che dovettero portarsi fuori tiro. Gli Indiani vicini alla riva del fiume trovarono riparo lungo le dune di sabbia dei banchi a sud. Dall’altra parte si rifugiarono tra gli alberi, i cespugli e le rocce vicino a Soldier Spring. Evans scelse di rimanere sulla difensiva e ordinò una ritirata verso il villaggio in modo da serrare le linee. Le compagnie di cavalleria eseguirono il ritiro rapidamente. Sfortunatamente la ritirata della cavalleria espose il fianco destro della fanteria. Questa compagnia era rimasta in posizione sul fianco sinistro a causa del fuoco serrato proveniente dagli Indiani appostati sul fianco del monte. Uno dei soldati non riuscì a ricongiungersi con i commilitoni e venne rapidamente abbattuto dagli Indiani. Il soldato solitario venne infilzato da una lancia e mortalmente ferito. Allora Evans manovrò con tre compagnie di cavalleria contro il fianco degli Indiani in soccorso della fanteria.
Il contrattacco fu effettuato da un nugolo di Indiani usciti da un’altura rocciosa immediatamente a sud delle sorgenti. I soldati spararono molte raffiche contro di loro, finché essi si ritirarono nei boschi che costeggiavano la montagna. Evans riferì di molte perdite da parte degli Indiani in questa fase ma, quasi certamente, le sole perdite si verificarono tra i cavalli dei Nativi. Al tramonto Evans aveva concentrato tutti i suoi uomini nel villaggio abbandonato. Aveva diviso i suoi uomini in distaccamenti: alcuni erano a guardia del perimetro, altri cucinavano un pasto caldo e i restanti erano occupati a incendiare le proprietà degli Indiani.


Mappa 43

In seguito sorse la convinzione da parte di qualcuno che l’apparente indifferenza dei soldati nei riguardi del tiro da lunga distanza degli Indiani avesse demoralizzato questi ultimi e accelerato il loro ritiro da quella zona. Comunque è più che probabile che questa apparente noncuranza fosse un fattore derivante dal loro completo sfinimento e che gli Indiani si ritirassero perché avevano acquisito abbastanza tempo per consentire la fuga delle loro famiglie e non vedevano alcun vantaggio nel proseguire il combattimento.
Il significato della battaglia di Soldier Spring non era da misurarsi dal numero dei partecipanti uccisi o feriti. Nel complesso le perdite nello scontro furono molto basse. Evans ebbe quattro feriti, uno dei quali morì pochi giorni dopo. Evans dichiarò di aver ucciso dai 20 ai 25 guerrieri, ma gli Indiani riconobbero nelle loro file solo un morto e diversi feriti. Ancora, quel combattimento giocò un ruolo importante nella campagna di Sheridan. Evans aveva incendiato 60 tende Comanche, impadronendosi dell’intera riserva invernale di cibo dei Comanche Noconee e distruggendola. Il risultato più significativo della battaglia può riscontrarsi nell’effetto che queste perdite logistiche ebbero sul morale degli Indiani ostili. Insieme al successo di Custer sul Washita, la vittoria di Evans dimostrò ulteriormente alle tribù delle Pianure Meridionali che né la vastità delle Pianure né le condizioni più estreme del clima invernale erano sufficienti a proteggerle dall’azione dell’esercito americano.

La battaglia di Soldier Spring – Mappa 44. La campagna di Sheridan 26 dicembre 1868 – 19 febbraio 1869

«Mi rammarico che la spedizione sia terminata con un successo così scarso, principalmente dovuto, senza dubbio, ad errori di giudizio da parte mia. Le avversità e le privazioni della campagna furono sopportate senza lamentele da ufficiali e soldati sotto il mio comando e nessuna mancanza di supporto da parte loro causò l’insuccesso dei miei piani.»
– Maggiore Andrew Evans
Il mattino dopo, Evans si era convinto che gli Indiani avevano abbandonato la zona seguendo due direzioni. La maggior parte dirigendosi a nord est verso Fort Cobb. Essi avevano accolto con riluttanza la richiesta del governo di arrendersi all’agenzia. Altri si erano dimostrati riottosi ed erano andati ad est, sulle Staked Plains del Texas. Evans voleva continuare l’inseguimento e seguire le tracce che portavano nel Texas. Tuttavia riconosceva che la sua truppa non era in condizioni di continuare la campagna: «non penso che i nostri cavalli fossero in condizione di correre dietro agli Indiani con qualche probabilità di successo.»
Yellow Bear, capo Arapaho – foto del 1875
Nel villaggio Comanche egli si era impadronito di ingenti quantità di riserve di alimenti per i suoi uomini, ma poco o nulla per i cavalli e i muli. I 150 contenitori di cereali catturati nell’accampamento erano, al massimo, sufficienti per pochi giorni per gli animali. Non aveva catturato cavalli per sostituire quelli dei suoi uomini, o per ricomporre il traino dei carri delle provviste. Ogni giorno moriva una gran quantità di cavalli e muli. Quindi Evans decise di muovere verso Fort Cobb per riposare e riequipaggiare le sue esauste truppe, nonché riprendere i contatti con Sheridan.
Il 26 dicembre 1868 Evans si diresse verso Fort Cobb. Il 3 gennaio, a circa 20 miglia dal forte, incontrò molti carri carichi di provviste che Sheridan aveva mandato avanti, con ordini per Evans di ritornare al campo base di Monument Creek. A metà febbraio 1869 le colonne sia di Evans che di Carr erano tornate ai punti di partenza. Sheridan aveva prematuramente deciso che la campagna era quasi terminata. Ogni giorno, degli Indiani venivano portati a Fort Cobb per la resa ed egli pensava che la vittoria di Evans a Soldier Spring fosse «il colpo finale alle fondamenta della ribellione indiana». Per la verità, erano solo i Kiowa e i Comanche che si erano portati all’agenzia in numero significativo. D’altra parte, la maggior parte dei Cheyenne e degli Arapaho rifiutavano di rinunciare alla loro vita nomade e, invece, si spostavano ulteriormente ad ovest per sfuggire alle colonne di Sheridan. Con l’autorizzazione di Sheridan, Custer usò la sorella di Black Kettle, che era prigioniera, e Iron Shirt, un Kiowa-Apache, come emissari per intavolare trattative con Cheyenne e Arapaho. Il capo Cheyenne Little Robe e il capo Arapaho Yellow Bear, acconsentirono a trattare. Da loro Custer apprese che le loro bande erano impoverite e affamate. I capi concordavano sul fatto che la loro gente fosse disposta a recarsi all’agenzia. Sheridan dichiarò fermamente che la resa sarebbe stata accettata solo se fossero state restituite le due ultime donne prigioniere. Nel tardo gennaio Custer, con solo 40 uomini di cavalleria, lasciò Fort Sill, di recente costruzione, per andare a prendere i ribelli.


Mappa 44

I due capi guidarono la piccola colonna di Custer a ovest. Sul Mulberry Creek trovarono il villaggio Arapaho di Piccolo Corvo, con 65 tende. Custer convinse gli Arapaho, stanchi della guerra, a recarsi all’agenzia. Tuttavia i Cheyenne, obiettivo primario della campagna di Sheridan, restavano ostili e si spostavano ad ovest, verso il “Panhandle” del Texas.

Mappa 45. Marzo – aprile 1869: Custer di nuovo in marcia

«Avevo deciso di mandare Custer con i suoi e il reggimento del Kansas, con istruzioni di insistere per la resa immediata dei Cheyenne, oppure dare loro una sonora lezione.»
– Maggiore Generale Philip H. Sheridan
Il 2 marzo 1869 Custer lasciò Fort Sill con 11 compagnie del 7° Cavalleria e l’intero 19° del Kansas Cavalleria in cerca dei Cheyenne.
Sheridan era ansioso di portare la campagna ad una conclusione vittoriosa. Egli sapeva che, con l’imminente arrivo della primavera, i cavalli dei Cheyenne avrebbero potuto riacquistare la loro forza e l’esercito avrebbe perso il vantaggio della mobilità che aveva avuto in inverno. Egli aveva stabilito di ricongiungersi con Custer più tardi, ma di recarsi prima a Camp Supply per organizzare i rifornimenti per la spedizione. A Camp Supply ricevette ordini di presentarsi a Washington. Poi, il 6 marzo, ricevette un ulteriore dispaccio che lo informava che il nuovo presidente Ulysses S. Grant lo aveva nominato Generale dell’Esercito, promuovendolo a tenente generale e dandogli disposizioni di assumere il comando della divisione del Missouri. Spettava adesso a Custer assumere il comando della fase finale della campagna invernale.
Custer partì verso est costeggiando il lato sud dei monti Wichita. Le condizioni atmosferiche avverse, la mancanza di rifornimenti e le generali non buone condizioni dei cavalli ostacolarono l’avanzata della colonna. Custer divise la colonna alla Forca Nord del Fiume Rosso. Mandò 400 uomini verso est, ad un deposito di provviste allestito da poco sul fiume Washita e continuò verso ovest con 800 uomini e cavalli, scelti fra quelli nelle migliori condizioni. Sulla Salt Fork scoprì una traccia che portava a nord est, verso Gypsum Creek. Poi, il 12 marzo, le guide Osage trovarono ulteriori segni che la colonna si avvicinava ai Cheyenne. Ma anche così, la situazione di Custer era disperata. Ogni giorno altri cavalli crollavano per lo sfinimento e i soldati sopravvivevano sostentandosi con carne di mulo.
Tre giorni dopo venne trovato un grande villaggio Cheyenne sullo Sweetwater Creek. Custer era esitante sul fatto di attaccare, avendo scoperto che nell’accampamento vi erano due donne bianche prigioniere. Seguì l’esempio dato in precedenza da Sheridan; nel corso delle trattative con i Cheyenne prese tre capi come ostaggi e negoziò sia il rilascio delle due prigioniere bianche, sia la resa della banda Cheyenne. I Cheyenne promisero di presentarsi a Camp Supply non appena i loro cavalli fossero stati in grado di affrontare il viaggio. Preoccupato per la mancanza di rifornimenti, Custer decise che non poteva aspettare di scortarli e si avviò subito per Camp Supply, portando con sé i tre ostaggi per costringere i Cheyenne a mantenere la parola. Egli acconsentì a rilasciare i capi e i prigionieri catturati sul Washita, che ora si trovavano a Fort Hays, al momento in cui i Cheyenne si fossero presentati a Camp Supply. Gli esausti soldati di Custer arrivarono a Camp Supply il 28 marzo e poi continuarono per Fort Hays.


Mappa 45

La campagna invernale di Sheridan si concluse ufficialmente nell’aprile 1869, quando la colonna di Custer tornò a Fort Hays. L’esercito considerò la campagna invernale come un successo limitato, perché la vittoria era incompleta. La maggior parte dei Comanche e dei Kiowa erano ormai stabilmente a Fort Sill. Tuttavia i Cheyenne restavano ribelli. Molti di loro erano d’accordo a vivere in pace e lasciare la maggior parte delle loro terre in Kansas, ma rifiutavano di rassegnarsi alla vita in riserva. I Cheyenne Dog Soldiers, i più combattivi della tribù, rifiutavano di accettare la pace e decisero di muovere a nord per continuare la resistenza. Gli insediamenti di frontiera del Kansas si preparavano per un’altra estate di incursioni degli Indiani.

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