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La campagna militare di Kit Carson: l’ultima guerra dei Signori del New Mexico

A cura di Marco Aurilio

“I Mescaleros sono stati soggiogati; invierò l’intero reggimento del Colonnello Carson contro i Navajos che continuano a saccheggiare ed uccidere la popolazione”. Nella mente del Generale Carleton i piani di guerra contro “I Signori del Nuovo Messico” erano già chiari prima ancora che Carson avesse accettato e che la guerra ai Mescaleros fosse realmente conclusa. Per anni questa tribù di ceppo Athapaschan, stretti cugini dei popoli Apaches, aveva dominato una vasta area nel selvaggio sud-ovest. Gli spagnoli li chiamavano “Los Duenos del Mundo” “i Signori della Terra”, gli Americani “The Lords of New Mexico”.
LA CAMPAGNA ESTIVA.
Nell’ Aprile del 1863 Carleton ordinò di iniziare il reclutamento di guide neomessicane e soprattutto dei migliori scouts Utes. Il 7 Luglio 1863 Carson partì da Los Lunas con 221 uomini, solo una parte dei 746 soldati a disposizione ai quali andavano aggiunti altri 326 stanziati a Fort Wingate, raggiunto dalla colonna in tre giorni di cammino. Mancavano il Capitano Abreu ancora impegnato in attività contro i Mescaleros ed i Capitani Barbey e Pfeiffer che lo avrebbero raggiunto il 2 Agosto a Pueblo Colorado. Da Fort Wingate la truppa si diresse verso l’ormai abbandonato Fort Fauntleroy. Già qui cavalli e muli erano “in cattive condizioni ed incapaci di continuare”. Carson decise di avanzare comunque, non incontrando indiani ma solo i loro campi di grano che furono tutti distrutti. A Bear Springs fu raggiunto dal Capitano Carei e dal Liuetenant Cook che però non lo seguirono verso la meta finale, Fort Defiance, nei pressi di Canyon Bonito, da dove sarebbero dovute partire le operazioni vere e proprie, raggiunto il 20 Luglio con animali in pessime condizioni.
Gli scout Ute che lo avevano preceduto, dopo aver compiuto una perlustrazione in cerca di navajos, riferirono di non aver incontrato nemici ma solo un altro war party ute che rientrava dopo aver catturato undici fra donne e bambini da rivendere come schiavi. Tre giorni dopo l’arrivo, il Colonnello partì per la prima esplorazione con una compagnia di scout ute e settanta soldati… l’obiettivo era prendere confidenza con il territorio mentre si costruiva Fort Canby sulle rovine del vecchio Fort Defiance. Attaccarono solo un piccolo gruppo di navajos, uccidendo tre uomini e liberando una donna Paiute tenuta come schiava, che li informò della presenza nelle vicinanze di un altro gruppo più numeroso di nemici che però riuscì a far perdere le proprie tracce…”ho seguito le loro tracce per due ore finchè i cavalli non hanno ceduto e sono rientrato con la convinzione, supportata da Kaniache (capo ute e scout), che sarebbe stato impossibile prenderli”. Lungo la strada del ritorno verso Fort Defiance gli scout ute lanciarono altre esplorazioni che portarono all’uccisione di altri otto navajos, così Carson sugli scout ute ”oltre le mie aspettative sulla loro efficacia come scouts”.
Ad inizi Agosto la truppa si mosse per un esplorazione vicino Pueblo Colorado, senza vedere un solo navajo. Ciò causò nelle truppe un falso senso di sicurezza che portò il Maggiore Joseph Cummings ad allontanarsi dalla colonna principale da solo verso l’ingresso di un canyon. I Navajos in realtà erano molto vicini, delle frecce si alzarono verso il Maggiore che fu colpito a morte, gli autori dell’imboscata si dileguarono rapidamente e non furono mai presi. Dopo questo episodio Carson decise iniziare un più lungo scouting del territorio, muovendo prima verso il pueblo di Zuni per chiedere supporto a questa tribù, per poi dirigersi verso il territorio degli Hopi; partì Il 5 Agosto con 333 soldati e 16 ufficiali. Durante la marcia distrusse molti campi coltivati e prese 13 donne e bambini come prigionieri, di cui sei furono dati agli Ute come ricompensa per le loro azioni. Mentre si muoveva nei pressi di Zuni la colonna fu attaccata dai navajos, fu una rapida schermaglia che non causò perdite da entrambi i lati. Le informazioni di Carson in questa fase, (ottenute anche dagli Hopi) erano che “l’intera tribù” si trovava in parte sul Little Colorado ed in parte nel Canyon de Chelly. La mattina del 20 Agosto le truppe si mossero verso il Canyon De Chelly, distruggendo altri campi coltivati. In questa occasione, immaginando che i navajos li stessero tenendo d’occhio e che sarebbero tornati nei loro campi dopo il loro passaggio, Carson fece nasconde nelle vicinanze due gruppi di soldati comandati da Albert Pfeiffer. In realtà furono soli due i Dinè che tornarono sul luogo della devastazione e furono presi tra i due fuochi ma riuscirono comunque a scappare con grande disappunto del Colonnello.
Alle 8.00 del 23 Agosto la truppa arrivò all’ingresso ovest del Canyon de Chelly. In questa sua prima esplorazione incontrò pochissimi indiani, come scrisse in seguito a Carleton :” c’erano pochissimi indiani e i più poveri fra loro”. Lasciato il Canyon, esplorarono delle valli “con abbondanza di acqua e vegetazione” senza comunque incontrare un solo Dinè. Costeggiarono i monti Lukachukai, arrivarono ad un grosso “butte” che i navajos chiamavano Tsaile (“dove l’acqua entra nel canyon”), per poi costeggiare i monti Chuska e rientrare a Fort Canby il 31 Agosto. Qui trovò una non rosea situazione tra le truppe: risse, alcolismo e prostitute. Nella stessa data i navajos attaccarono un convoglio vicino Fort Wingate. La velocità dell’attacco fu tale che i soldati dovettero abbandonare tutto il carico nelle loro mani. Carson scrisse a Carleton riferendo gli esiti della campagna estiva, sostenendo che i navajos erano andati verso sud ed ovest, oltre Flagstaff direzione monti San Francisco, alcuni si erano uniti a gruppi di Apaches non lontani dai villaggi Pima, consigliando di mandare altre truppe in queste direzioni.


Tsaile Butte, “Dove l’acqua entra nel canyon”

Fort Wingate.
Carson operava dall’ex Fort Defiance (ora Canby) ma non era il solo presidio militare attivo. Il 27 Settembre 1862 il Colonnello Josè Francisco Chavez aveva ricevuto l’ordine di costruire Fort Wingate sul confine est del territorio indiano, dove insieme al Capitano Chacon si insediò con un numeroso contingente di volontari della California e del Nuovo Messico. Poco tempo dopo alcuni navajos si presentarono a Santa Fè chiedendo spiegazioni, gli fu risposto che non avrebbero avuto pace fin quando non si sarebbero arresi e recati in una riserva a Bosque Redondo, sul fiume Pecos. I primi infruttuosi contatti dopo l’inizio delle operazioni si ebbero proprio qui tra Barboncito, Delgadito, Sarracino ed il Colonnello Chavez. Per tutto l’invero del 1863 i navajos tormentarono costantemente il forte, tanto che Carleton si espresse così in lettera a Chavez:”possibile che gli indiani hanno sempre la meglio sulle truppe di Fort Wingate?” chiedendo poi l’elenco degli ufficiali da rimuovere. Furono uomini di questa postazione a subire l’imboscata nella località di China Springs, a seguito della quale i navajos la ribattezzarono “Many Arrows” .

IL RUOLO DEGLI ZUNI.
Il 9 Settembre Carson con 10 ufficiali e 195 soldati si diresse di nuovo verso il pueblo di Zuni. Aveva avuto ordine di arruolare i guerrieri di questa tribù e di indagare per capire se alcuni di loro davano segretamente aiuto ai navajos. Tale ipotesi era poco probabile dato che per anni avevano sofferto le razzie dei Dinè. Arrivato li si incontrò con il Capitano Pishon dei volontari della California, proveniente da Fort Mojave, che riferì di non aver trovato tracce dei navajos sul Little Colorado. Il Maggiore Cushing prima della campagna estiva aveva già informato Kit che gli Zuni avevano firmato un accordo con Pfeiffer e durante l’estate si mostrarono molto attivi soprattutto nel cercare di portar via il bestiame ai navajos, anche se effettivamente non smisero del tutto di commerciare con alcuni di essi. In alcuni rapporti del 1864 si sostiene che alcuni navajos, specialmente “ricos” si nascondevano tra gli zuni. Nell’Agosto dello stesso anno il Maggiore Eaton arrestò per tradimento il capo di guerra zuni Josè Maria, che però dall’anno precedente aveva guidato molte spedizioni contro i Dinè. Il capo Padre Pino riuscì ad ottenere, con diplomazia, poco tempo dopo il suo rilascio. Negli anni seguenti per contro, vengono registrate molte azioni militari guidate dagli Zuni. A metà del 1865 Antonio Meijcano ed altri due cittadini di Cubero si misero a capo di un battaglione che comprendeva dai 75 ai 100 zuni. Meijcano sostenne di aver ucciso 21 navajos ma anche che erano gruppi molto poveri e che “si cibavano di bacche”, “los ricos” erano altrove. Nell’Agosto del 1865 Josè Maria riportò che in uno scontro erano stati uccisi alcuni “importanti” navajos… Navajo Blanco, Barboncito Negro (che ovviamente non si tratta di Barboncito), e Diego figlio di Capitan Largo. In realtà non si trattava di elementi così conosciuti ed importanti come riportato dal guerriero Zuni. Sono noti negli anni 1865-66, war parties misti Ute/Zuni. Uno di questi con l’aggiunta anche di alcuni neomessicani attaccò i Dinè anche dopo la resa e pur essendo scortati dall’esercito durante il tragitto verso Bosque Redondo. Nel 1866 si presentò a Santa Fè lo stesso capo Padre Pino che si offrì di guidare personalmente gli attacchi contro gli antichi nemici e chiese rifornimenti di armi e munizioni. Il suo war party consisteva in quell’occasione di 25 zuni e 12 utes. Gli uomini di Pino continuarono nel frattempo anche a servire da scouts alle truppe regolari.Carson dopo una campagna nel mese di Novembre sottolineò l’abilità dei suoi scout zuni, in particolare dei loro due leader “Mariana” e “Salvadore”.

“No indian sign”.
Ad inizi Settembre per la prima volta Kit si diresse significativamente oltre il pueblo di Zuni, accampandosi circa 35 miglia a sud-ovest da questo. Inviò soldati e scouts sulle montagne costeggianti il tragitto per familiarizzare con la regione ma non trovarono nemici. Si mosse allora verso il Litte Colorado. Nel frattempo il 16 Settembre, lontani da Carson, i Dinè dispersero tutti cavalli del Capitano Chacon a cinque miglia da Fort Wingate, causando l’ira di Carleton.
Carson arrivato a circa 15 miglia dal fiume, decise di lasciare continuare il grosso della truppa con il Capitano McCabe, mentre lui si diresse a nordovest sostenendo “di poter sorprendere gruppi di indiani che non si aspettavano la loro presenza in questa area del territorio e quindi si credevano al sicuro”. Il risultato fu sintetizzato in una lettera al Capitano Ben Cutler:“no indications of indians” i navajos ”erano al sicuro in canyons e montagne che solo loro conoscevano”. Si riunì a McCabe sul Little Colorado, dove fu informato che gli zuni dopo aver catturato delle greggi navajo avevano fatto ritorno al loro pueblo. il 22 Settembre per la prima volta trovò tracce di un gruppo di soli sette Dinè. Mandò Pfeiffer con i suoi uomini al loro inseguimento ma gli indiani, nonostante fossero alla guida di un gregge riuscirono ad eludere la cattura, eccezion fatta per un bambino che fu catturato. Il 27 del mese ordinò alla truppa di rientrare mentre lui, sette ufficiali, 128 uomini selezionati e con i migliori cavalli, continuarono le esplorazioni in pieno territorio navajo con lo stesso risultato ”no indian sign”. Trovò solo un accampamento abbandonato e decise quindi di riunirsi al grosso della truppa che stava rientrando verso Fort Canby. Mentre era sulla via del ritorno, alcuni cavalli si allontanarono dalla colonna principale e tre soldati li seguirono per recuperarli. Frecce navajo immediatamente tagliarono l’aria uccidendone uno e ferendone un altro, gli autori sparirono tra le rocce. Infuriato Carson riprese la marcia. Otto miglia a sud di Pueblo Colorado, la truppa incontrò un guerriero solitario che fu prontamente circondato da sei uomini. Nonostante fu ferito tre volte il navajo ferì a sua volta un soldato e riuscì a fuggire combattendo molto energicamente. Dal 5 Ottobre al 15 Novembre Carson rimase a Fort Canby. Affidò il comando delle esplorazioni a McCabe che guidato da Pedo Pino andò in cerca dei Dinè, senza trovarne ancora una volta uno. Due giorni dopo il ritorno di McCabe, inviò 260 uomini guidati dal Capitano Thompson verso Laguna Negra, raggiunta in due gironi di cammino. Da qui Thompson dislocò il Capitano Barbey verso il Canyon de Chelly ed il Liuetenant Dowlin nella Chuska Valley. Due gironi dopo il loro rientro Thompson fu sostituito dal Maggiore Sena. Questi inviò prima il Capitano Dues e poi il Liuetenant Bishop in altre esplorazioni. Ma furono i navajos a farsi vedere, la notte del 25 Ottobre, quando portarono via un consistente numero di animali dell’esercito dal corral di Laguna Negra. Il Capitano Deus seguì le tracce che portavano all’ingresso est del Canyon de Chelly ma non entrò temendo un imboscata. L’episodio causò non poco imbarazzo sia a Carson che a Carleton. Mentre le truppe si Senna si muovevano a nord-ovest di Fort Defiance, altre truppe guidate dal tenete Fitch si muovevano a sud-est di questo. Il Capitano rapportò ai superiori di aver ucciso un certo numero di indiani, ma poco tempo dopo fu scoperto che il rapporto era del tutto falso e fu cacciato. Durante tutto l’inverno del 1863 il bestiame dell’esercito a Laguna Negra fu bersagliato dai navajos. In un’altra occasione un distaccamento guidato dal Maggiore Abreu partito da Santa Fè verso Canby fu attaccato da otto navajos. Abreu aveva fatto accampare le truppe a Fort Lyon (vecchio Fort Fauntleroy) ed un gruppo di soldati stava portando i cavalli ad abbeverarsi quando furono attaccati. Lo scontro fu violento ma breve, gli indiani non riuscirono a portare via i cavalli. Il giorno dopo ci fu un altro attacco nelle vicinanze di Canby. La notte seguente dei carri carichi di rifornimenti diretti al forte e guidati da tale Miguel Romero nonostante la scorta militare fu attaccato. Gli assalitori erano tra i 10 e 15 e portarono via un pony e 5 muli, un aiutante di Romero ed un soldato furono feriti. Nonostante i navajos stessero evitando brillantemente scontri in campo aperto, riuscendo a portare a termine vittoriose rapide schermaglie, il 2 Novembre, 188 di loro si arresero a causa di fame e freddo e all’opera di convincimento di Delgadito. Carleton nel frattempo stava pressando Carson ad operare ad ovest delle mesas degli Hopi… Kit era poco convinto, per via soprattutto delle pessime condizioni in cui erano ridotti i cavalli a causa lunghe esplorazioni sostenute.


“C’è un particolare uccello che avvisa i navajos quando i nemici stanno per arrivare.. lo chiamiamo Ts’ani dilzhi’ì lichìì.. (Woodhouse Bluejay) emette un bel suono forte e vola verso la direzione da cui arrivano i nemici”. Gus Bighorse

Le Campagne invernali.
Programmata per 22 giorni, a partire da metà Novembre, la prima campagna invernale fu portata avanti da cinque compagnie di soldati più undici scouts zuni. Da Cienega Amarilla a Fort Defiance per arrivare infine a Polacca Wash. L’unico “successo” fu riportato dal sergente Herrera che bruciò un accampamento già abbandonato e riuscì a catturare un piccolo gruppo di pastori uccidendone due. Carson, una volta arrivato a contatto con gli Hopi, scoprì che tutti i loro pueblos eccetto Oraibi erano in guerra con i Dinè e così colse l’occasione per arruolare più guerrieri possibili. Si mosse verso un tributario del Little Colorado e piombò su di un accampamento riuscendo a catturare solo un bambino. Lo stesso giorno mentre alcuni soldati tornavano da una perlustrazione, furono sorpresi da tre navajos, uno dei quali sparò un colpo in aria per attirarne l’attenzione e galoppò coraggiosamente verso di loro gesticolando segnali di pace. L’indiano, che probabilmente sperava di incontrare Carson, donò il suo fucile ai soldati. Tornati all’accampamento,mentre il fucile veniva mostrato a Carson, gli Hopi lo riconobbero…. Era il fucile di Manuelito! Le truppe si mossero poi vero i San Francisco Peaks. Gli unici Dinè che riuscì a catturare furono una donna ed un bambino. Un gruppo di navajos fu visto rifugiarsi in uno stretto canyon vicino il fiume Colorado dove sia i soldati che gli scouts non vollero addentrarsi. Nel tornare al campo base individuarono una piccola rancheria con cinque indiani. Più di cinquanta soldati si spinsero velocemente all’attacco ma gli indiani elusero la cattura abbandonando armi e oggetti vari. Tornato a Fort Canby, Kit apprese che c’era stato un altro attacco al corral del forte ma i soldati questa volta si erano fatti trovare pronti ed avevano respinto gli assalitori. Carey aveva inviato uomini al loro inseguimento che però persero dopo poco le tracce. Il 13 Dicembre Barboncito portò via il grosso degli animali di Carson, custoditi a sud delle Black Rocks vicino il forte. Rapidamente i dinè misero fuori combattimento dieci soldati su di una collina ad ovest della mandria, poi altri cinque a sud della stessa, avevano pochi fucili e perlopiù vecchi moschetti, ma erano superiori di numero. Il Maggiore Sena che era al comando del Forte scrisse di “di una battaglia molto dura durata un ora e mezza”. Carson scrisse a Carleton di aver provato a d inseguire i razziatori ma che questi si erano divisi in tante piccoli gruppi sfuggendo all’inseguimento anche grazie all’arrivo del buio. Il giorno dopo due gruppi di soldati guidati da Sena partirono in cerca dei navajos. Il secondo giorno furono sorpresi da una forte nevicata ma individuarono il fumo di un accampamento. Al loro arrivo trovarono solo una anziana donna, malata. Il Maggiore la fece sistemare su di un mulo, ma poco dopo divenne un “peso” e la fece gettare in un arroyo condannandola a morire di fame e freddo. I soldati riuscirono però ad individuare una rancheria prendendo 14 prigionieri (donne e bambini). Kit apprese da una anziana prigioniera che Herrero Grande voleva la pace, ma che visto il trattamento subito da un suo emissario nel mese di Agosto non si fidava più dei soldati. In Agosto un suo emissario recatosi al forte disarmato e con intenzioni pacifiche fu fatto arrestare e poi ucciso dal pessimo Maggiore Blakeney, spesso trovato in condizioni di ubriachezza. Nel frattempo le operazioni continuavano. Il 16 Dicembre il Maggior Sena dalla Chinle Valley avvistò il fumo di un accampamento, che poi fu scoperto essere quello di un distaccamento militare guidato dal Tenente Montoya. Il giorno dopo videro da lontano due Dinè che riuscirono a far perdere le loro tracce nonostante l’abbondante neve che ricopriva il terreno. Fu solo il giorno seguente che per poco non sorprese una rancheria, trovò i fuochi ancora accesi e scoraggiato tornò a Fort Canby.

Sempre nel mese di Dicembre fu il Tenente Montoya per la prima volta a sorprendere un accampamento di sei hogan uccidendo alcuni guerrieri. Il giorno dopo avvistarono due Dinè, un uomo ed una donna. Lo scout Juan Marcos, a capo della colonna, caricò ferendo l’uomo che stava cercando di nascondere la donna tra le rocce. Il navajo reagì ferendo a sua volta Marcos ma in quel momento sopraggiunse il Sergente Nava che sparò all’uomo e catturò la donna. Il navajo però, seppur ferito, inseguì Nava e lo colpì con due frecce. Il Sergente, che non aveva avuto il tempo di ricaricare, colpì il guerriero con il calcio del fucile tramortendolo, svenendo subito dopo anche lui. Quando poco dopo arrivò Montoya il navajo si era appena rialzato e stava ricaricando la sua pistola. Ci fu uno scambio di colpi fra i due ed infine il guerriero, nonostante fosse ferito gravemente, sparì in un piccolo bosco; la donna rimase invece nelle mani dei soldati.
Carson credeva che molti navajos si trovassero sulla Black Mesa, a nord dei villaggi Hopi. Inviò così il Capitano Thompson ed un centinaio di soldati ad esplorarla. Thompson arrivato alla base della montagna annotò “ assolutamente impossibile per i muli salire con la neve presente sul terreno” e fece il campo base. Da qui inviò due compagnie di cinquanta soldati l’una, guidate una dal Capitano Barney e l’altra dal Sergente Romero. Con grossa difficoltà riuscirono a salire in cima dove si imbatterono nei Dinè. Un solo guerriero fu ucciso ma furono presi dodici prigionieri. Non ci sono rapporti sullo scontro ma si può ipotizzare che sia stato un duro combattimento dato che Romero decise di non inseguire i navajos e di rientrare velocemente al campo base. Il giorno dopo anche il Sergente Dorsett sostenne una schermaglia di minore entità. Una volta rientrati a Canby, Carson volle vedere i prigionieri perlopiù donne e bambini e rimanendo colpito dallo stato in cui si trovavano, denutriti e con pochi vestiti, attribuì ciò alla “distruzione del loro grano, che doveva valere circa due milioni di pounds,ad opera delle sue truppe”. Scrisse di “una situazione dell’orrore” ed ancora “colpire gli indiani mentre sono nei campi, fabbricano abiti ed in generale si preparano per l’inverno”.
I navajos non potevano coltivare, non avevano più bestiame ed il territorio brulicava oltre che di soldati anche di volontari neo messicani, pueblos ed ute, ma Kit sapeva che una parte della tribù avrebbe continuato a combattere. Gruppi di guerrieri stavano attaccando tutti i convogli che partivano da Fort Wingate con i rifornimenti per le truppe. Scrisse preoccupato al Capitano Cutler, informandolo di un ennesimo attacco ad un convoglio vicino Bear Springs, dove fu necessario poi stanziare delle truppe permanenti. Questo gruppo di navajos che attaccava i convogli vicino Bear Springs era formato da 21 guerrieri, ebbe uno duro scontro col Sergente Bird il 17 Gennaio, ma continuò a tormentare le truppe fino al mese di Marzo dell’anno successivo, quando il Capitan McCabe riuscì a farli arrendere. Il tre Gennaio arrivò la notizia che i navajos avevano attaccato il “Russel’s supply train” uccidendo un uomo e ferendone quattro, vicino Gallup. Non lontano dal luogo dell’imboscata fu trovato un mulo ucciso e cucinato, a riprova dello stato di difficoltà in cui versava la tribù. Un’altra attacco avvenne vicino la località di Chilili, ad un convoglio guidato da Lorenzo Labadie e Josè Carrillo diretto a Bosque Redondo. I navajos distrussero tutti i carri, cercando anche di rapire due giovani che erano con Carrillo. Poco tempo dopo nell’area del Red River, nord-est Arizona, portarono a termine altre vittoriose incursioni in cui si impadronirono di molto bestiame e di vari prigionieri. Mentre attraversavano il Red River si scontrarono duramente con un gruppo di soldati, che riuscirono a liberare due prigionieri ma non a recuperare il bestiame. Con buone probabilità si trattava della stessa banda che aveva attaccato Labadie.
Carson durante le campagne invernali risultava spesso confuso ed imbarazzato per l’incapacità di trovare i navajos e per l’impossibilità ricevere rifornimenti senza paura di subire un attacco. Non mancò di difendere il suo operato : ”mi permetto di sostenere che nessuna truppa degli Stati Uniti è mai stata chiamata a sostenere tante difficoltà come i miei uomini in queste operazioni”. Scrisse a Carleton di essere sicuro che nel Canyon De Chelly vi erano pochi Dinè, se non nessuno, e sembrava avesse poca intenzione di continuare le operazioni

Canyon de Chelly.
“Ho preparato tutto il necessario per esplorare il Canyon de Chelly e partirò con le mie truppe il tre o il quattro del prossimo mese”. Così Kit il 26 Dicembre 1863. I suoi piani erano di posizionarsi con un campo base all’ingresso ovest del canyon, vicino Chinle, e di mandare una colonna guidata da Pfeiffer all’ingresso est. Il Sergente aveva il compito di attraversarlo e ricongiungersi con lui ad ovest, non sapevano che vi erano però tre ramificazioni e più di un entrata; scrisse poco prima di partire “negli ultimi giorni abbiamo avuto abbondanti nevicate e questo faciliterà le mie operazioni”. Il tre Gennaio inviò Sena a Pueblo Colorado con dei rifornimenti e dopo tre giorni partì passando proprio da lì con 390 uomini. Pfeiffer nel frattempo si dirigeva a nord con 33 uomini. Kit arrivò all’ingresso ovest il 12 Gennaio. Decise di fare una piccola perlustrazione iniziale costeggiando il lato sud annotando che “non c‘è modo possibile per scendere dal canyon” osservando le pareti “alte circa un centinaio di piedi e quasi perpendicolari”, i navajos si mostrarono sulla cima della parete nord. Dopo aver percorso una decina di miglia tornò indietro ed appena raggiunto il campo base apprese che il Sergente Herrera con cinquanta uomini aveva sorpreso un gruppo di navajos uccidendone undici, probabilmente quasi tutti anziani, donne e bambini. Riguardo questo attacco nella tradizione orale dei navajos è riportato che a guidare gli uomini di Herrera fu un navajo di nome Bitl’izhiiyee (“La sua vescica”) del gruppo Ana’ì, i “navajos nemici”. Il giorno seguente Kit, insieme al Capitano Carey, avanzò lungo il versante sud, mentre una colonna guidata dal Capitano Barney avanzava lungo il lato nord, che poi scoprì appartenere al Canyon del Muerto. Kit, particolarmente preoccupato per Pfeiffer, velocizzò la marcia. Passarono vicino antichi insediamenti Anasazi e dopo poco trovò Pfeiffer che aveva quasi interamente percorso il Canyon da Est ad Ovest. Come Carson, anch’egli era partito il sei Gennaio. Durante la marcia tra Fort Canby ed il Canyon, fece portare avanti perlustrazioni dal Capitano Ortiz senza incontrare indiani. Arrivato nelle vicinanze dell’ingresso est avvistò del fumo in lontananza ed inviò il Sergente Trujillo ad attaccare il possibile campo nemico. Si trattava di otto donne e due bambini, che Trujillo si limitò a portare indietro ed a fornirgli coperte e cibo. La marcia fu molto dura, a causa dell’abbondante neve e del freddo, alcuni dei soldati soffrirono di congelamenti ai piedi. Arrivato all’ingresso est mandò un distaccamento di scouts in avanscoperta ed uno di soldati a proteggere i fianchi della colonna. La prima notte nel canyon passò tranquilla, il giorno dopo, il 12 Gennaio, i navajos apparvero “urlando, insultandoli e lanciando pietre dall’alto”. Tutto il giorno ci furono schermaglie, i Dinè cercarono in ogni modo di ostacolarli pur non avendo armi da fuoco, i soldati uccisero due giovani ed una donna. Il Tenente Hubbell incontrò un gruppo di indiani in una diramazione del canyon ma non riuscì ad attaccarli.

I navajos utilizzavano sentieri e appigli difficili anche solo da individuare, dove ”solo un indiano o una capra di montagna riuscirebbe a passare”, come scrisse Pfeiffer, che rimase molto colpito dagli antichi insediamenti che ora i Dinè usavano come rifugi, alcuni dei quali “tre o quattrocento piedi in alto, totalmente inaccessibili ad un uomo bianco”; i navajos “saltavano da una parte all’altra come gatti di montagna urlando imprecazioni in spagnolo” e fu costretto ad ordinare varie scariche di fucileria per avanzare “attraverso la Gibilterra navajo”.
La sera del terzo giorno il Sergente ordinò di accamparsi dove “il fumo del mio campo arrivava ad un grosso gruppo di indiani sulle nostre teste”, alla base di Fortress Rock, dalla quale di notte i guerrieri di Barboncito riuscivano a scendere caricare otri di acqua e risalire, silenziosi come fantasmi, senza essere mai scoperti dai soldati. Pfeiffer annotò che gli indiani “erano talmente lontani che sembravano corvi” e che non ci furono scontri data la distanza che li separava, ma solo insulti reciproci. Dopo quattro giorni di marcia raggiunse Carson all’ingresso ovest. Nel suo rapporto scrisse di aver catturato 19 fra donne e bambini semi congelati, di aver ucciso due uomini e di aver avuto il giorno dodici, uno scontro con un gruppo di guerrieri che cercava di impedirgli di avanzare. Dopo il ricongiungimento delle truppe tre navajos si presentarono per trattare la resa. Qui anche Carson nei suoi rapporti conferma la presenza con le truppe dei Dinè Ana’ì, scrivendo che uno di loro gli fece da interprete. Uno dei tre era Hastiin Biighanii (si tratta del navajo noto come “Riguero”, da non confondere con Peokon, Bighanii Nez figlio di Old Scarbreast) che affermò che non volevano più combattere e che si sarebbero arresi. Poco dopo rientrò anche il Capitano Barney impegnato sul versante nord, dove aveva affrontato solo uno scontro uccidendo due Dinè. Il giorno dopo quattro guerrieri si presentarono di nuovo per sostenere altri colloqui. A questo punto Kit affidò i primi prigionieri al Maggiore Sena mentre lui con parte delle truppe si avviò verso Fort Canby. Pfeiffer e Carey invece condussero un’altra azione con l’intento di cercare gruppi che ancora non si erano arresi. Entrarono in un ramo meridionale del canyon mai esplorato e sulle sommità delle pareti apparve un buon numero di navajos. Carey si affidò ad un interprete, che gli riferì della loro intenzione di arrendersi. Poco tempo dopo un centinaio di navajos marciavano sull’alta sommità del Canyon, parallelamente alle truppe, comunicando a gesti con Carey per indicargli il punto in cui sarebbero scesi. Carey scortò la lunga carovana che arrivò a Fort Canby quattro giorni prima di Carson. In totale i rapporti ufficiali parlano di 23 navajos uccisi nel Canyon.

La tradizione orale navajo è molto ricca ovviamente su episodi riguardanti le operazioni militari di Carson. Gus Bighorse (Bilìì ntsaazii) nato nel 1846, ricordava bene già dell’attacco a Fort Defiance, aveva 14 anni, ma ancora di più ricorda della campagna di Carson. Bighorse descrive come fossero organizzati in più bande che potevano arrivare ad un centinaio di guerrieri, ognuna delle quali aveva un leader ma che facevano tutte capo a Manuelito. Non avevano molti fucili “forse cinque per ogni banda “ e li definisce “vecchi fucili messicani”. All’interno di ogni gruppo una figura importante era il “corridore”, che sia a piedi che a cavallo, aveva il compito di tenere Manuelito informato su spostamenti e attacchi nemici e che aveva anche il compito di portare indietro le sue indicazioni. Gus ricordò che i capi e tutti i guerrieri “parlarono per molto tempo” finchè non si decise che Barboncito si sarebbe recato con i suoi guerrieri a Bosque Redondo per stare vicino al popolo. Da qui, continua Bighorse, Barboncito riusciva sempre a mandare messaggeri a Manuelito, sebbene fosse molto rischioso.
Bighorse ricorda dei “carri accampati all’ingresso del Canyon ”e che quando alcuni guerrieri cercarono di ostacolarli “ furono uccisi tre navajos e presi prigioniere 19 donne e bambini”, non specificando però quale ingresso.Il suo racconto coincide perfettamente con i rapporti di Pfeiffer che scrisse della cattura di 19 prigionieri e che il 12 Gennaio ci fu uno scontro in cui furono uccisi tre navajos. Poco tempo dopo questo episodio, Gus, ricevette l’ordine da Manuelito di portare la sua banda e molte altre famiglie nei pressi del fiume Colorado, non lontano da Navajo Mountain. Mentre si trovava vicino Navajo Mountain arrivò un “corridore” che lo informò che in cima a “Tseghaa” (Fortress Rock) vi erano circa 300 navajo guidati da Delgadito. Oltre il suo, altri gruppi che non si arresero erano nel Grand Canyon, sulla Black Mesa, a Navajo Mountain, sugli Echo Cliffs e lungo il Colorado: Hoskinini, Kayelli, Old Scarbreast, Daghaa Sikaad, Blackhorse, Old Arrow e Many Wishkers erano i loro leaders.